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Negli impianti utilizzati per la produzione di energia elettrica che sfruttano l'energia solare, quali la tecnologia solare a concentrazione (Solare Termodinamico) sviluppata da ENEA, per minimizzare le dispersioni di calore è necessaria una elevata selettività spettrale. Per ottimizzare l'efficienza dell'impianto è quindi necessario lo sviluppo di materiali innovativi, in grado di minimizzare la quantità di energia dispersa per riflessione. In questo studio, per incrementare la trasmittanza solare dei componenti in vetro presenti nei tubi ricevitori dell'impianto, sono state utilizzate tipologie diverse di rivestimenti antiriflesso (multistrato e a singolo strato poroso). I rivestimenti sono stati ottenuti mediante via umida, con tecnica di sol-gel dip-coating. I sol coprenti sono stati preparati da alcossidi o sali metallici precursori degli ossidi che costituiscono il rivestimento. Sono state approfondite sia la fase di sintesi dei sol coprenti, sia la fase di deposizione sul substrato, che ha richiesto la progettazione e realizzazione di una apparecchiatura prototipale, ossia di un dip-coater in grado di garantire un accurato controllo della velocità di emersione e dell'ambiente di deposizione (temperatura e umidità). Il materiale multistrato applicato su vetro non ha migliorato la trasmittanza del substrato nell'intervallo di lunghezze d'onda dello spettro solare, pur presentando buone caratteristiche antiriflesso nell'intervallo dell'UV-Vis. Al contrario, l'ottimizzazione del rivestimento a base di silice porosa, ha portato all'ottenimento di indici di rifrazione molto bassi (1.15 to 1.18) e ad un incremento della trasmittanza solare dal 91.5% al 96.8%, efficienza superiore agli attuali rivestimenti disponibili in commercio.

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L’obiettivo della tesi riguarda l’utilizzo di immagini aerofotogrammetriche e telerilevate per la caratterizzazione qualitativa e quantitativa di ecosistemi forestali e della loro evoluzione. Le tematiche affrontate hanno riguardato, da una parte, l’aspetto fotogrammetrico, mediante recupero, digitalizzazione ed elaborazione di immagini aeree storiche di varie epoche, e, dall’altra, l’aspetto legato all’uso del telerilevamento per la classificazione delle coperture al suolo. Nel capitolo 1 viene fatta una breve introduzione sullo sviluppo delle nuove tecnologie di rilievo con un approfondimento delle applicazioni forestali; nel secondo capitolo è affrontata la tematica legata all’acquisizione dei dati telerilevati e fotogrammetrici con una breve descrizione delle caratteristiche e grandezze principali; il terzo capitolo tratta i processi di elaborazione e classificazione delle immagini per l’estrazione delle informazioni significative. Nei tre capitoli seguenti vengono mostrati tre casi di applicazioni di fotogrammetria e telerilevamento nello studio di ecosistemi forestali. Il primo caso (capitolo 4) riguarda l’area del gruppo montuoso del Prado- Cusna, sui cui è stata compiuta un’analisi multitemporale dell’evoluzione del limite altitudinale degli alberi nell’arco degli ultimi cinquant’anni. E’ stata affrontata ed analizzata la procedura per il recupero delle prese aeree storiche, definibile mediante una serie di successive operazioni, a partire dalla digitalizzazione dei fotogrammi, continuando con la determinazione di punti di controllo noti a terra per l’orientamento delle immagini, per finire con l’ortorettifica e mosaicatura delle stesse, con l’ausilio di un Modello Digitale del Terreno (DTM). Tutto ciò ha permesso il confronto di tali dati con immagini digitali più recenti al fine di individuare eventuali cambiamenti avvenuti nell’arco di tempo intercorso. Nel secondo caso (capitolo 5) si è definita per lo studio della zona del gruppo del monte Giovo una procedura di classificazione per l’estrazione delle coperture vegetative e per l’aggiornamento della cartografia esistente – in questo caso la carta della vegetazione. In particolare si è cercato di classificare la vegetazione soprasilvatica, dominata da brughiere a mirtilli e praterie con prevalenza di quelle secondarie a nardo e brachipodio. In alcune aree sono inoltre presenti comunità che colonizzano accumuli detritici stabilizzati e le rupi arenacee. A questo scopo, oltre alle immagini aeree (Volo IT2000) sono state usate anche immagini satellitari ASTER e altri dati ancillari (DTM e derivati), ed è stato applicato un sistema di classificazione delle coperture di tipo objectbased. Si è cercato di definire i migliori parametri per la segmentazione e il numero migliore di sample per la classificazione. Da una parte, è stata fatta una classificazione supervisionata della vegetazione a partire da pochi sample di riferimento, dall’altra si è voluto testare tale metodo per la definizione di una procedura di aggiornamento automatico della cartografia esistente. Nel terzo caso (capitolo 6), sempre nella zona del gruppo del monte Giovo, è stato fatto un confronto fra la timberline estratta mediante segmentazione ad oggetti ed il risultato di rilievi GPS a terra appositamente effettuati. L’obiettivo è la definizione del limite altitudinale del bosco e l’individuazione di gruppi di alberi isolati al di sopra di esso mediante procedure di segmentazione e classificazione object-based di ortofoto aeree in formato digitale e la verifica sul campo in alcune zone campione dei risultati, mediante creazione di profili GPS del limite del bosco e determinazione delle coordinate dei gruppi di alberi isolati. I risultati finali del lavoro hanno messo in luce come le moderne tecniche di analisi di immagini sono ormai mature per consentire il raggiungimento degli obiettivi prefissi nelle tre applicazioni considerate, pur essendo in ogni caso necessaria una attenta validazione dei dati ed un intervento dell’operatore in diversi momenti del processo. In particolare, le operazioni di segmentazione delle immagini per l’estrazione di feature significative hanno dimostrato grandi potenzialità in tutti e tre i casi. Un software ad “oggetti” semplifica l’implementazione dei risultati della classificazione in un ambiente GIS, offrendo la possibilità, ad esempio, di esportare in formato vettoriale gli oggetti classificati. Inoltre dà la possibilità di utilizzare contemporaneamente, in un unico ambiente, più sorgenti di informazione quali foto aeree, immagini satellitari, DTM e derivati. Le procedure automatiche per l’estrazione della timberline e dei gruppi di alberi isolati e per la classificazione delle coperture sono oggetto di un continuo sviluppo al fine di migliorarne le prestazioni; allo stato attuale esse non devono essere considerate una soluzione ottimale autonoma ma uno strumento per impostare e semplificare l’intervento da parte dello specialista in fotointerpretazione.

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Le soluzioni tecnologiche rese oggi disponibili dalle discipline della moderna Geomatica, offrono opportunità di grande interesse per il rilevamento nel settore dei Beni Culturali, sia per quanto riguarda il momento primario del rilievo, cioè la fase di acquisizione del dato metrico, sia per quanto concerne la questione della rappresentazione per oggetti di interesse archeologico, artistico, architettonico. Lo studio oggetto della presente tesi si propone, sulla base di numerose esperienze maturate nel corso del Dottorato dal Laboratorio di Topografia e Fotogrammetria del DISTART, di affrontare e approfondire le problematiche connesse all’utilizzo della fotogrammetria digitale e del laser a scansione terrestre per applicazioni nell’ambito dei Beni Culturali. La ricerca condotta è prettamente applicata, quindi è stata primaria l’esigenza di avere a disposizione reali casi di studio su cui sperimentare le tecniche di interesse; è però importante sottolineare che questo è un campo in cui ogni esperienza presenta proprie caratteristiche e peculiarità che la rendono interessante e difficilmente descrivibile con schemi convenzionali e metodologie standardizzate, quindi le problematiche emerse hanno di volta in volta indirizzato e spinto la ricerca all’approfondimento di certi aspetti piuttosto che altri. A tal proposito è stato evidenziato dalle esperienze effettuate che il campo dei Beni Culturali è forse il più emblematico delle potenzialità rese oggi disponibili dalle moderne tecnologie della Geomatica, e soprattutto dalle possibilità offerte da un approccio integrato e multi – disciplinare di tecniche e tecnologie diverse; per questo nell’Introduzione si è voluto sottolineare questo aspetto, descrivendo l’approccio metodologico adottato in molti lavori in contesto archeologico, che include generalmente diverse tecniche integrate tra loro allo scopo di realizzare in modo veloce e rigoroso un rilievo multi – scala che parte dal territorio, passa attraverso l’area del sito archeologico e degli scavi, ed arriva fino al singolo reperto; questo approccio è caratterizzato dall’avere tutti i dati e risultati in un unico e ben definito sistema di riferimento. In questa chiave di lettura l’attenzione si è poi focalizzata sulle due tecniche che rivestono oggi nel settore in esame il maggiore interesse, cioè fotogrammetria digitale e laser a scansione terrestre. La struttura della tesi segue le fasi classiche del processo che a partire dal rilievo porta alla generazione dei prodotti di rappresentazione; i primi due capitoli, incentrati sull’acquisizione del dato metrico, riguardano quindi da un lato le caratteristiche delle immagini e dei sensori digitali, dall’altro le diverse tipologie di sistemi laser con le corrispondenti specifiche tecniche; sempre nei primi capitoli vengono descritte le caratteristiche metodologiche e tecnico – operative e le relative problematiche delle due tipologie di rilievo. Segue un capitolo sulle procedure di calibrazione delle camere digitali non professionali, imperniato sull’utilizzo di software diversi, commerciali e sviluppati in house per questo scopo, prestando attenzione anche agli strumenti che essi offrono in termini di risultati ottenibili e di controllo statistico sugli stessi. La parte finale della tesi è dedicata al problema della rappresentazione, con l’obiettivo di presentare un quadro generale delle possibilità offerte dalle moderne tecnologie: raddrizzamenti, ortofoto, ortofoto di precisione e infine modelli tridimensionali foto – realistici, generati a partire sia da dati fotogrammetrici sia da dati laser.

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L’analisi del movimento umano ha come obiettivo la descrizione del movimento assoluto e relativo dei segmenti ossei del soggetto e, ove richiesto, dei relativi tessuti molli durante l’esecuzione di esercizi fisici. La bioingegneria mette a disposizione dell’analisi del movimento gli strumenti ed i metodi necessari per una valutazione quantitativa di efficacia, funzione e/o qualità del movimento umano, consentendo al clinico l’analisi di aspetti non individuabili con gli esami tradizionali. Tali valutazioni possono essere di ausilio all’analisi clinica di pazienti e, specialmente con riferimento a problemi ortopedici, richiedono una elevata accuratezza e precisione perché il loro uso sia valido. Il miglioramento della affidabilità dell’analisi del movimento ha quindi un impatto positivo sia sulla metodologia utilizzata, sia sulle ricadute cliniche della stessa. Per perseguire gli obiettivi scientifici descritti, è necessario effettuare una stima precisa ed accurata della posizione e orientamento nello spazio dei segmenti ossei in esame durante l’esecuzione di un qualsiasi atto motorio. Tale descrizione può essere ottenuta mediante la definizione di un modello della porzione del corpo sotto analisi e la misura di due tipi di informazione: una relativa al movimento ed una alla morfologia. L’obiettivo è quindi stimare il vettore posizione e la matrice di orientamento necessari a descrivere la collocazione nello spazio virtuale 3D di un osso utilizzando le posizioni di punti, definiti sulla superficie cutanea ottenute attraverso la stereofotogrammetria. Le traiettorie dei marker, così ottenute, vengono utilizzate per la ricostruzione della posizione e dell’orientamento istantaneo di un sistema di assi solidale con il segmento sotto esame (sistema tecnico) (Cappozzo et al. 2005). Tali traiettorie e conseguentemente i sistemi tecnici, sono affetti da due tipi di errore, uno associato allo strumento di misura e l’altro associato alla presenza di tessuti molli interposti tra osso e cute. La propagazione di quest’ultimo ai risultati finali è molto più distruttiva rispetto a quella dell’errore strumentale che è facilmente minimizzabile attraverso semplici tecniche di filtraggio (Chiari et al. 2005). In letteratura è stato evidenziato che l’errore dovuto alla deformabilità dei tessuti molli durante l’analisi del movimento umano provoca inaccuratezze tali da mettere a rischio l’utilizzabilità dei risultati. A tal proposito Andriacchi scrive: “attualmente, uno dei fattori critici che rallentano il progresso negli studi del movimento umano è la misura del movimento scheletrico partendo dai marcatori posti sulla cute” (Andriacchi et al. 2000). Relativamente alla morfologia, essa può essere acquisita, ad esempio, attraverso l’utilizzazione di tecniche per bioimmagini. Queste vengono fornite con riferimento a sistemi di assi locali in generale diversi dai sistemi tecnici. Per integrare i dati relativi al movimento con i dati morfologici occorre determinare l’operatore che consente la trasformazione tra questi due sistemi di assi (matrice di registrazione) e di conseguenza è fondamentale l’individuazione di particolari terne di riferimento, dette terne anatomiche. L’identificazione di queste terne richiede la localizzazione sul segmento osseo di particolari punti notevoli, detti repere anatomici, rispetto ad un sistema di riferimento solidale con l’osso sotto esame. Tale operazione prende il nome di calibrazione anatomica. Nella maggior parte dei laboratori di analisi del movimento viene implementata una calibrazione anatomica a “bassa risoluzione” che prevede la descrizione della morfologia dell’osso a partire dall’informazione relativa alla posizione di alcuni repere corrispondenti a prominenze ossee individuabili tramite palpazione. Attraverso la stereofotogrammetria è quindi possibile registrare la posizione di questi repere rispetto ad un sistema tecnico. Un diverso approccio di calibrazione anatomica può essere realizzato avvalendosi delle tecniche ad “alta risoluzione”, ovvero attraverso l’uso di bioimmagini. In questo caso è necessario disporre di una rappresentazione digitale dell’osso in un sistema di riferimento morfologico e localizzare i repere d’interesse attraverso palpazione in ambiente virtuale (Benedetti et al. 1994 ; Van Sint Jan et al. 2002; Van Sint Jan et al. 2003). Un simile approccio è difficilmente applicabile nella maggior parte dei laboratori di analisi del movimento, in quanto normalmente non si dispone della strumentazione necessaria per ottenere le bioimmagini; inoltre è noto che tale strumentazione in alcuni casi può essere invasiva. Per entrambe le calibrazioni anatomiche rimane da tenere in considerazione che, generalmente, i repere anatomici sono dei punti definiti arbitrariamente all’interno di un’area più vasta e irregolare che i manuali di anatomia definiscono essere il repere anatomico. L’identificazione dei repere attraverso una loro descrizione verbale è quindi povera in precisione e la difficoltà nella loro identificazione tramite palpazione manuale, a causa della presenza dei tessuti molli interposti, genera errori sia in precisione che in accuratezza. Tali errori si propagano alla stima della cinematica e della dinamica articolare (Ramakrishnan et al. 1991; Della Croce et al. 1999). Della Croce (Della Croce et al. 1999) ha inoltre evidenziato che gli errori che influenzano la collocazione nello spazio delle terne anatomiche non dipendono soltanto dalla precisione con cui vengono identificati i repere anatomici, ma anche dalle regole che si utilizzano per definire le terne. E’ infine necessario evidenziare che la palpazione manuale richiede tempo e può essere effettuata esclusivamente da personale altamente specializzato, risultando quindi molto onerosa (Simon 2004). La presente tesi prende lo spunto dai problemi sopra elencati e ha come obiettivo quello di migliorare la qualità delle informazioni necessarie alla ricostruzione della cinematica 3D dei segmenti ossei in esame affrontando i problemi posti dall’artefatto di tessuto molle e le limitazioni intrinseche nelle attuali procedure di calibrazione anatomica. I problemi sono stati affrontati sia mediante procedure di elaborazione dei dati, sia apportando modifiche ai protocolli sperimentali che consentano di conseguire tale obiettivo. Per quanto riguarda l’artefatto da tessuto molle, si è affrontato l’obiettivo di sviluppare un metodo di stima che fosse specifico per il soggetto e per l’atto motorio in esame e, conseguentemente, di elaborare un metodo che ne consentisse la minimizzazione. Il metodo di stima è non invasivo, non impone restrizione al movimento dei tessuti molli, utilizza la sola misura stereofotogrammetrica ed è basato sul principio della media correlata. Le prestazioni del metodo sono state valutate su dati ottenuti mediante una misura 3D stereofotogrammetrica e fluoroscopica sincrona (Stagni et al. 2005), (Stagni et al. 2005). La coerenza dei risultati raggiunti attraverso i due differenti metodi permette di considerare ragionevoli le stime dell’artefatto ottenute con il nuovo metodo. Tale metodo fornisce informazioni sull’artefatto di pelle in differenti porzioni della coscia del soggetto e durante diversi compiti motori, può quindi essere utilizzato come base per un piazzamento ottimo dei marcatori. Lo si è quindi utilizzato come punto di partenza per elaborare un metodo di compensazione dell’errore dovuto all’artefatto di pelle che lo modella come combinazione lineare degli angoli articolari di anca e ginocchio. Il metodo di compensazione è stato validato attraverso una procedura di simulazione sviluppata ad-hoc. Relativamente alla calibrazione anatomica si è ritenuto prioritario affrontare il problema associato all’identificazione dei repere anatomici perseguendo i seguenti obiettivi: 1. migliorare la precisione nell’identificazione dei repere e, di conseguenza, la ripetibilità dell’identificazione delle terne anatomiche e della cinematica articolare, 2. diminuire il tempo richiesto, 3. permettere che la procedura di identificazione possa essere eseguita anche da personale non specializzato. Il perseguimento di tali obiettivi ha portato alla implementazione dei seguenti metodi: • Inizialmente è stata sviluppata una procedura di palpazione virtuale automatica. Dato un osso digitale, la procedura identifica automaticamente i punti di repere più significativi, nella maniera più precisa possibile e senza l'ausilio di un operatore esperto, sulla base delle informazioni ricavabili da un osso digitale di riferimento (template), preliminarmente palpato manualmente. • E’ stato poi condotto uno studio volto ad indagare i fattori metodologici che influenzano le prestazioni del metodo funzionale nell’individuazione del centro articolare d’anca, come prerequisito fondamentale per migliorare la procedura di calibrazione anatomica. A tale scopo sono stati confrontati diversi algoritmi, diversi cluster di marcatori ed è stata valutata la prestazione del metodo in presenza di compensazione dell’artefatto di pelle. • E’stato infine proposto un metodo alternativo di calibrazione anatomica basato sull’individuazione di un insieme di punti non etichettati, giacenti sulla superficie dell’osso e ricostruiti rispetto ad un TF (UP-CAST). A partire dalla posizione di questi punti, misurati su pelvi coscia e gamba, la morfologia del relativo segmento osseo è stata stimata senza identificare i repere, bensì effettuando un’operazione di matching dei punti misurati con un modello digitale dell’osso in esame. La procedura di individuazione dei punti è stata eseguita da personale non specializzato nell’individuazione dei repere anatomici. Ai soggetti in esame è stato richiesto di effettuare dei cicli di cammino in modo tale da poter indagare gli effetti della nuova procedura di calibrazione anatomica sulla determinazione della cinematica articolare. I risultati ottenuti hanno mostrato, per quel che riguarda la identificazione dei repere, che il metodo proposto migliora sia la precisione inter- che intraoperatore, rispetto alla palpazione convenzionale (Della Croce et al. 1999). E’ stato inoltre riscontrato un notevole miglioramento, rispetto ad altri protocolli (Charlton et al. 2004; Schwartz et al. 2004), nella ripetibilità della cinematica 3D di anca e ginocchio. Bisogna inoltre evidenziare che il protocollo è stato applicato da operatori non specializzati nell’identificazione dei repere anatomici. Grazie a questo miglioramento, la presenza di diversi operatori nel laboratorio non genera una riduzione di ripetibilità. Infine, il tempo richiesto per la procedura è drasticamente diminuito. Per una analisi che include la pelvi e i due arti inferiori, ad esempio, l’identificazione dei 16 repere caratteristici usando la calibrazione convenzionale richiede circa 15 minuti, mentre col nuovo metodo tra i 5 e i 10 minuti.

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La sedimentazione clastica di mare profondo è attualmente uno dei principali argomenti della ricerca sedimentologica sia in ambito puramente accademico che in ambito petrolifero-industriale. Gli studi recenti hanno enfatizzato l'influenza fondamentale della topografia preesistente del fondo marino sulla crescita e la morfologia sui fan di mare profondo; si è visto come, in molti systemi torbiditici, l’evoluzione dei processi deposizionali sia stata da moderatamente a fortemente controllata dall’ effetto di confinamento di scarpate tettoniche, ridge strutturali e seamounts. Scopo di questo lavoro è studiare l'effetto del confinamento alla scala di bacino sui principali sistemi torbiditici del margine orientale della Sardegna che rappresenta un margine passivo articolato di bacini di intraslope confinati verso mare da seamounts. Lo studio dei sistemi deposizionali è stato eseguito attraverso l'interpretazione di dati di batimetria multibeam ad alto dettaglio acquisiti dall’ISMAR di Bologna durante la crociera Tir99. L’ interpretazione multibeam è stata integrata con l’ analisi di profili sismici a riflessione per comprendere la morfologia l’organizzazione interna e l’evoluzione nel tempo dei principali elementi deposizionali dei sistemi torbiditici. Tre bacini di intraslope (Olbia, Baronie e il settore settentrionale del bacino Ogliastra) sono stati investigati. Il bacino di Olbia è il bacino più settentrionale del margine orientale della Sardegna ed è limitato verso mare dai seamount Etruschi e Baronie. Il principale sistema torbiditico del bacino di Olbia è costituito dal Caprera, articolato in un sistema di canyon alimentatori nella piattaforma e nella scarpata continentale e da un ampio canale con argini alla base della scarpata. Il Caprera è fiancheggiato da un ampia piattaforma continentale, e questa, fungendo da “magazzino” per il materiale piu grossolando, può spiegare la peculiare architettura sedimentaria del suo fan. L'effetto di confinamento del bacino sulla forma e sull'evoluzione del fan del Caprera è evidente soprattutto sull'asimmetria dei leve e su fenomeni di avulsione che hanno coinvolto il canale. Il bacino di intraslope di Olbia appare completamente riempito, e, nel bordo orientale, è presente il canyon di intrabacino verso il bacino sottostante. Gli effetti dell'abbassamento del livello di base sono visibili nel settore distale del sistema, dove si ha lo sviluppo di canali distributari e di valli erosive a basso rilievo, che rappresentano le porzioni "upslope" dei canyon di "bypass". Il bacino di intraslope del Baronie è il bacino centrale del margine, confinato verso mare dal seamount delle Baronie, e presenta una via di fuga laterale rappresentato dal sistema di canyon di Gonone-Orosei. Il Posada è il sistema torbiditico principale, consiste di un canyon profondamente inciso nella piattaforma e nella scarpata, e sviluppa alla base della scarpata un piccolo fa radiale. La morfologia del è il risultato dell'interazione complessa tra la geoemtria del bacino ricevente ed il comportamento dei flussi sedimentari. La forma del bacino ha costretto il sistema torbiditico a cambiare la direzione di sviluppo, da est verso sud. Processi di framanento in massa a grande scala hanno inoltre contribuito alla riorganizzazione del sistema torbiditico. Il bacino dell’Ogliastra è localizzato nel settore meridionale del margine, limitato verso mare dal seamount Quirra. Il settore settentrionale della scarpata continentale del bacino Ogliastra è caratterizzato da canyon e incisioni di carattere ibrido, con tratti deposizionali ed erosivi. L'Arbatax è il principale sistema torbiditico del bacino di Ogliastra caratterizzato da un settore meridionale dominato da un canale alimentatore e da un settore settentrionale abbandonato, caratterizzato da fenomeni di smantellamento e instabilità gravitativa. In generale i risultati dello studio evidenziano l'importanza della combinazione dei fattori di controllo esterni, e della topografia preesistente, nello sviluppo dei processi sedimentari e degli elementi deposizionali dei sistemi torbiditici. In particolare, appare evidente come lo stile deposizionale dei sistemi torbiditici in ambiente confinato diverga sostanzialmente da quello previsto dai modelli di fan sottomarini usati come strumenti predittivi nella esplorazione e sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi.

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Questo lavoro di tesi è stato suddiviso in tre parti. L’argomento principale è stato lo “Studio della componente antiossidante di oli ottenuti da olive mediante l’utilizzo di diversi sistemi e parametri tecnologici”. E’ ben noto come la qualità ossidativa di un olio di oliva dipenda oltre che dalla sua composizione in acidi grassi, dalla presenza di composti caratterizzati da un elevata attività antiossidante, ovvero le sostanze fenoliche. I composti fenolici contribuiscono quindi in maniera preponderante alla shelf life dell’olio extravergine di oliva. Inoltre sono state riscontrate delle forti correlazione tra alcune di queste sostanze e gli attributi sensoriali positivi di amaro e piccante. E’ poi da sottolineare come il potere antiossidante dei composti fenolici degli oli vergini di oliva, sia stato negli ultimi anni oggetto di considerevole interesse, poiché correlato alla protezione da alcune patologie come ad esempio quelle vascolari, degenerative e tumorali. Il contenuto delle sostanze fenoliche negli oli di oliva dipende da diversi fattori: cultivar, metodo di coltivazione, grado di maturazione delle olive e ovviamente dalle operazioni tecnologiche poiché possono variare il quantitativo di questi composti estratto. Alla luce di quanto appena detto abbiamo valutato l’influenza dei fattori agronomici (metodi di agricoltura biologica, integrata e convenzionale) e tecnologici (riduzione della temperatura della materia prima, aggiunta di coadiuvanti in fase di frangitura e di gramolatura, confronto tra tre oli extravergini di oliva ottenuti mediante diversi sistemi tecnologici) sul contenuto in composti fenolici di oli edibili ottenuti da olive (paper 1-3-4). Oltre alle sostanze fenoliche, negli oli di oliva sono presenti altri composti caratterizzati da proprietà chimiche e nutrizionali, tra questi vi sono i fitosteroli, ovvero gli steroli tipici del mondo vegetale, che rappresentano la frazione dell’insaponificabile quantitativamente più importante dopo gli idrocarburi. La composizione quali-quantitativa degli steroli di un olio di oliva è una delle caratteristiche analitiche più importanti nella valutazione della sua genuinità; infatti la frazione sterolica è significativamente diversa in funzione dell’origine botanica e perciò viene utilizzata per distinguere tra di loro gli oli e le loro miscele. Il principale sterolo nell’olio di oliva è il β- sitosterolo, la presenza di questo composto in quantità inferiore al 90% è un indice approssimativo dell’aggiunta di un qualsiasi altro olio. Il β-sitosterolo è una sostanza importante dal punto di vista della salute, poiché si oppone all’assorbimento del colesterolo. Mentre in letteratura si trovano numerosi lavori relativi al potere antiossidante di una serie di composti presenti nell’olio vergine di oliva (i già citati polifenoli, ma anche carotenoidi e tocoferoli) e ricerche che dimostrano invece come altri composti possano promuovere l’ossidazione dei lipidi, per quanto riguarda il potere antiossidante degli steroli e dei 4- metilsteroli, vi sono ancora poche informazioni. Per questo è stata da noi valutata la composizione sterolica in oli extravergini di oliva ottenuti con diverse tecnologie di estrazione e l’influenza di questa sostanza sulla loro stabilità ossidativa (paper 2). E’ stato recentemente riportato in letteratura come lipidi cellulari evidenziati attraverso la spettroscopia di risonanza nucleare magnetica (NMR) rivestano una importanza strategica da un punto di vista funzionale e metabolico. Questi lipidi, da un lato un lato sono stati associati allo sviluppo di cellule neoplastiche maligne e alla morte cellulare, dall’altro sono risultati anche messaggeri di processi benigni quali l’attivazione e la proliferazione di un normale processo di crescita cellulare. Nell’ambito di questa ricerca è nata una collaborazione tra il Dipartimento di Biochimica “G. Moruzzi” ed il Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna. Infatti, il gruppo di lipochimica del Dipartimento di Scienze degli Alimenti, a cui fa capo il Prof. Giovanni Lercker, da sempre si occupa dello studio delle frazioni lipidiche, mediante le principali tecniche cromatografiche. L’obiettivo di questa collaborazione è stato quello di caratterizzare la componente lipidica totale estratta dai tessuti renali umani sani e neoplastici, mediante l’utilizzo combinato di diverse tecniche analitiche: la risonanza magnetica nucleare (1H e 13C RMN), la cromatografia su strato sottile (TLC), la cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC) e la gas cromatografia (GC) (paper 5-6-7)

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PREMESSA: La progressione della recidiva d’epatite C è accelerata nei pazienti sottoposti a trapianto di fegato e ciò ha portato alla necessità di sviluppare nuove e validate metodiche non invasive per la quantificazione e la misura della fibrosi epatica. SCOPI: Stabilire l’efficacia dell’elastometria epatica (Fibroscan®) e dei parametri sierici di fibrosi, attualmente disponibili nella pratica clinica, per predire il grado di fibrosi nei pazienti sottoposti a trapianto epatico. METODI: La correlazione fra fibrosi epatica, determinata mediante biopsia epatica ed esame istologico, e Fibroscan® o indici clinico-sierologici di fibrosi (Benlloch, Apri, Forns, Fibrotest and Doppler resistance index), è stata studiata in pazienti che avevano ricevuto un trapianto ortotopico di fegato con evidenza di recidiva d’epatite da HCV. Un totale di 36 pazienti, con la seguente classificazione istologica: fibrosi secondom METAVIR F1=24, F2=8, F3=3, F4=1, sono stati arruolati nella popolazione oggetto di studio. Un totale di 29 individui volontari sani sono serviti come controllo. Le differenze fra gli stadi di fibrosi sono state calcolate mediante analisi statistica non parametrica. Il miglior cut-off per la differenziazione di fibrosi significativa (F2-F4) è stato identificato mediante l’analisi delle curve ROC. RISULTATI: La rigidità epatica ha presentato valori di 4.4 KPa (2.7-6.9) nei controlli (mediane e ranges), con valori in tutti i soggeti <7.0 KPa; 7.75 KPa (4.2-28.0) negli F1; 16.95 KPa (10.2-31.6) negli F2; 21.10 KPa nell’unico paziente F4 cirrotico. Le differenze sono state statisticamente significative per i soggetti controllo versus F1 e F2 (p<0.0001) e per F1 versus F2 (p<0.0001). Un cut-off elastografico di 11.2 KPagarantisce 88% di Sensibilità, 90% di Specificità, 79% di PPV e 95% di NPV nel differenziare i soggetti F1 dagli F2-F4. Le AUROC, relativamente alla capacità di discriminare fra i differenti gradi di fibrosi, evidenziavano un netto vantaggio per il Fibroscan® rispetto ad ognuno degli indici non invasivi di fibrosi. CONCLUSIONI: L’elastometria epatica presenta una buona accuratezza diagnostica nell’identificare pazienti con fibrosi epatica di grado significativo, superiore a quella di tutti gli altri test non invasivi al momento disponibili nella clinica, nei pazienti portatori di trapianto epatico ortotopico da cadavere con recidiva di HCV.