195 resultados para riduzione selettiva della furfurale sintesi di alcol furfurilico catalizzatori a base di CaO e CaCO3 metanolo come fonte di idrogeno reazione di Hydrogen Transfer


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In questo lavoro di dottorato sono stati analizzati differenti strumenti impiegati per le stime di pericolosità sismica. Facendo riferimento alla Mappa di Pericolosità Sismica Italiana MPS04 (Gruppo di Lavoro MPS, 2004), redatta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e adottata come mappa di riferimento per il territorio nazionale ai sensi dell’Ordinanza PCM 3519 del 28 aprile 2006, All. 1b, è stato approfondito il calcolo dei tassi di sismicità attraverso la relazione di Gutenberg e Richter (1944). In particolare, si è proceduto attraverso un confronto tra i valori ottenuti dagli autori della Mappa (Gruppo di Lavoro MPS, 2004) e i valori ottenuti imponendo un valore costante e unico al parametro b della relazione (Gutenberg e Richter, 1944). Il secondo tema affrontato è stato l’analisi della presenza di eventi di origine non tettonica in un catalogo. Nel 2000 Wiemer e Baer hanno proposto un algoritmo che identifica e rimuove gli eventi di origine antropica. Alla metodologia di Wiemer e Baer (2000) sono state apportate delle modifiche al fine di limitare la rimozione di eventi naturali. Tale analisi è stata condotta sul Catalogo Strumentale della Sismicità Italiana (CSI 1.1; Castello et al., 2006) e sui cataloghi Europei disponibili online: Spagna e Portogallo, Francia, Nord Europa, Repubblica Ceca, Romania, Grecia. L’ultimo argomento trattato ha riguardato la presunta correlazione tra i meccanismi di fagliazione e il parametro b della relazione di Gutenberg e Richter (1944). Nel lavoro di Schorlemmer et al. (2005), tale correlazione è dimostrata calcolando il b-value su una griglia a scala mondiale raggruppando i terremoti in funzione dell’angolo di rake: i valori maggiori del parametro sono misurati per i terremoti che si originano in un regime distensivo, seguono quelli in un regime trascorrente mentre i valori minori si registrano nelle aree a regime compressivo. Il principale ostacolo per una applicazione del metodo al territorio italiano è rappresentato dal numero ridotto di terremoti per i quali è possibile avere indicazioni circa il meccanismo focale della sorgente: la correlazione è stata così valutata calcolando il b-value all’interno delle zone sismogenetiche definite per la realizzazione di MPS04 (Gruppo di Lavoro MPS, 2004), alle quali è stato nuovamente assegnato un meccanismo di fagliazione prevalente attraverso la somma del tensore momento. Sono inoltre allegati lavori altri lavori prodotti nell’ambito della pericolosità sismica.

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La tesi affronta le problematiche relative ai nuovi scenari educativi nella cosiddetta Società della Conoscenza e alle sfide che essa richiede alla didattica nei nuovi “ambienti” formativi. Partendo dall’analisi della definizione della stessa come Società della Conoscenza si cerca di darne una lettura che ne metta in luce gli elementi principali che la caratterizzano aprendo alla riflessione sullo sguardo che essa dà al suo futuro e agli scenari verso i quali si orientano le sue sfide cognitive ed educative. In tale analisi non può mancare una riflessione sul legame tra la società contemporanea e le cosiddette nuove tecnologie (ICT: Information and Comunication Technologies). Le ICT, infatti, in misura sempre maggiore, hanno invaso la società e influenzato l’evoluzione della stessa assumendo un ruolo significativo nella vita quotidiana e nell’affermarsi della società della conoscenza. Il percorso di ricerca prende il via da questi interrogativi per ampliare la riflessione sulle nuove frontiere dell’educazione nella società della conoscenza. Quest’ultima, infatti, così come si caratterizza e come si evolve, identificando la sua priorità non solo nella diffusione dell’informazione, ma anche e soprattutto nella “costruzione” di conoscenza, impone un nuovo modo di pensare e approcciarsi all’educazione e alla formazione. Il longlife learning diventa l’elemento centrale ma non va inteso solo come possibilità date all’individuo adulto di riprendere percorsi formativi lasciati o intraprenderne di nuovi. Quello che cambia è la finalità stessa della formazione: è il concetto dell’apprendimento come potenzialità individuale (empowerment). Non basta avere accesso e acquisire un numero sempre maggiore di informazioni ma occorre sviluppare la capacità di acquisire strategicamente le informazioni per essere capaci di affrontare i continui cambiamenti e costruire nuove forme di sapere condiviso. Sul piano operativo le ICT permettono numerose nuove possibilità per la formazione, sia come strumenti a supporto della didattica, sia come mezzi di trasmissione delle informazioni e costruzione di conoscenza. L’e-learning si afferma con una sua impostazione e una sua metodologia, nonché con i suoi “oggetti” e i suoi “ambienti”. Nella tesi vengono illustrate le principali problematiche da considerare per la costruzione di percorsi formativi in rete (strumenti, contenuti, ruoli, comunicazione, valutazione) per presentare, infine, i materiali prodotti dall’autrice per l’erogazione on line di moduli didattici in due Unità Formative.

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Il problema della sicurezza/insicurezza delle città, dalle grandi metropoli sino ai più piccoli centri urbani, ha sollecitato negli ultimi anni un’attenzione crescente da parte degli studiosi, degli analisti, degli organi di informazione, delle singole comunità. La delinquenza metropolitana viene oggi diffusamente considerata «un aspetto usuale della società moderna»: «un fatto – o meglio un insieme di fatti – che non richiede nessuna speciale motivazione o predisposizione, nessuna patologia o anormalità, e che è iscritto nella routine della vita economica e sociale». Svincolata dagli schemi positivistici, la dottrina criminologica ha maturato una nuova «cultura del controllo sociale» che ha messo in risalto, rispetto ad ogni visione enfatizzante del reo, l’esigenza di pianificare adeguate politiche e pratiche di prevenzione della devianza urbana attraverso «tutto l’insieme di istituzioni sociali, di strategie e di sanzioni, che mirano a ottenere la conformità di comportamento nella sfera normativa penalmente tutelata». Tale obiettivo viene generalmente perseguito dagli organismi istituzionali, locali e centrali, con diverse modalità annoverabili nel quadro degli interventi di: prevenzione sociale in cui si includono iniziative volte ad arginare la valenza dei fattori criminogeni, incidendo sulle circostanze sociali ed economiche che determinano l’insorgenza e la proliferazione delle condotte delittuose negli ambienti urbani; prevenzione giovanile con cui si tende a migliorare le capacità cognitive e relazionali del minore, in maniera tale da controllare un suo eventuale comportamento aggressivo, e ad insegnare a genitori e docenti come gestire, senza traumi ed ulteriori motivi di tensione, eventuali situazioni di crisi e di conflittualità interpersonale ed interfamiliare che coinvolgano adolescenti; prevenzione situazionale con cui si mira a disincentivare la propensione al delitto, aumentando le difficoltà pratiche ed il rischio di essere scoperti e sanzionati che – ovviamente – viene ponderato dal reo. Nella loro quotidianità, le “politiche di controllo sociale” si sono tuttavia espresse in diversi contesti – ed anche nel nostro Paese - in maniera a tratti assai discutibile e, comunque, con risultati non sempre apprezzabili quando non - addirittura – controproducenti. La violenta repressione dei soggetti ritenuti “devianti” (zero tolerance policy), l’ulteriore ghettizzazione di individui di per sé già emarginati dal contesto sociale, l’edificazione di interi quartieri fortificati, chiusi anche simbolicamente dal resto della comunità urbana, si sono rivelate, più che misure efficaci nel contrasto alla criminalità, come dei «cortocircuiti semplificatori in rapporto alla complessità dell’insieme dei problemi posti dall’insicurezza». L’apologia della paura è venuta così a riflettersi, anche fisicamente, nelle forme architettoniche delle nuove città fortificate ed ipersorvegliate; in quelle gated-communities in cui l’individuo non esita a sacrificare una componente essenziale della propria libertà, della propria privacy, delle proprie possibilità di contatto diretto con l’altro da sé, sull’altare di un sistema di controllo che malcela, a sua volta, implacabili contraddizioni. Nei pressanti interrogativi circa la percezione, la diffusione e la padronanza del rischio nella società contemporanea - glocale, postmoderna, tardomoderna, surmoderna o della “seconda modernità”, a seconda del punto di vista al quale si aderisce – va colto l’eco delle diverse concezioni della sicurezza urbana, intesa sia in senso oggettivo, quale «situazione che, in modo obiettivo e verificabile, non comporta l’esposizione a fattori di rischio», che in senso soggettivo, quale «risultante psicologica di un complesso insieme di fattori, tra cui anche indicatori oggettivi di sicurezza ma soprattutto modelli culturali, stili di vita, caratteristiche di personalità, pregiudizi, e così via». Le amministrazioni locali sono direttamente chiamate a garantire questo bisogno primario di sicurezza che promana dagli individui, assumendo un ruolo di primo piano nell’adozione di innovative politiche per la sicurezza urbana che siano fra loro complementari, funzionalmente differenziate, integrali (in quanto parte della politica di protezione integrale di tutti i diritti), integrate (perché rivolte a soggetti e responsabilità diverse), sussidiarie (perché non valgono a sostituire i meccanismi spontanei di prevenzione e controllo della devianza che si sviluppano nella società), partecipative e multidimensionali (perché attuate con il concorso di organismi comunali, regionali, provinciali, nazionali e sovranazionali). Questa nuova assunzione di responsabilità da parte delle Amministrazioni di prossimità contribuisce a sancire il passaggio epocale «da una tradizionale attività di governo a una di governance» che deriva «da un’azione integrata di una molteplicità di soggetti e si esercita tanto secondo procedure precostituite, quanto per una libera scelta di dar vita a una coalizione che vada a vantaggio di ciascuno degli attori e della società urbana nel suo complesso». All’analisi dei diversi sistemi di governance della sicurezza urbana che hanno trovato applicazione e sperimentazione in Italia, negli ultimi anni, e in particolare negli ambienti territoriali e comunitari di Roma e del Lazio che appaiono, per molti versi, esemplificativi della complessa realtà metropolitana del nostro tempo, è dedicata questa ricerca. Risulterà immediatamente chiaro come il paradigma teorico entro il quale si dipana il percorso di questo studio sia riconducibile agli orientamenti della psicologia topologica di Kurt Lewin, introdotti nella letteratura sociocriminologica dall’opera di Augusto Balloni. Il provvidenziale crollo di antichi steccati di divisione, l’avvento di internet e, quindi, la deflagrante estensione delle frontiere degli «ambienti psicologici» in cui è destinata a svilupparsi, nel bene ma anche nel male, la personalità umana non hanno scalfito, a nostro sommesso avviso, l’attualità e la valididella «teoria del campo» lewiniana per cui il comportamento degli individui (C) appare anche a noi, oggi, condizionato dalla stretta interrelazione che sussiste fra le proprie connotazioni soggettive (P) e il proprio ambiente di riferimento (A), all’interno di un particolare «spazio di vita». Su queste basi, il nostro itinerario concettuale prende avvio dall’analisi dell’ambiente urbano, quale componente essenziale del più ampio «ambiente psicologico» e quale cornice straordinariamente ricca di elementi di “con-formazione” dei comportamenti sociali, per poi soffermarsi sulla disamina delle pulsioni e dei sentimenti soggettivi che agitano le persone nei controversi spazi di vita del nostro tempo. Particolare attenzione viene inoltre riservata all’approfondimento, a tratti anche critico, della normativa vigente in materia di «sicurezza urbana», nella ferma convinzione che proprio nel diritto – ed in special modo nell’ordinamento penale – vada colto il riflesso e la misura del grado di civiltà ma anche delle tensioni e delle contraddizioni sociali che tormentano la nostra epoca. Notevoli spunti ed un contributo essenziale per l’elaborazione della parte di ricerca empirica sono derivati dall’intensa attività di analisi sociale espletata (in collaborazione con l’ANCI) nell’ambito dell’Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio, un organismo di supporto della Presidenza della Giunta Regionale del Lazio al quale compete, ai sensi dell’art. 8 della legge regionale n. 15 del 2001, la funzione specifica di provvedere al monitoraggio costante dei fenomeni criminali nel Lazio.

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Il lavoro presentato si propone di fornire un contributo all'implementazione di indagini finalizzate a misurare l'evoluzione delle intenzioni d'acquisto del consumatore italiano nei confronti degli OGM, data anche l'impossibilità  al momento di avere indicazioni e dati sul comportamento (vista la quasi totale assenza dei prodotti OGM nella distribuzione, se si eccettuano i prodotti d'allevamento di animali alimentati con OGM per cui non è previsto nessun obbligo di etichettatura). Le coltivazioni transgeniche (Organismi Geneticamente Modificati) si stanno diffondendo abbastanza rapidamente nel contesto mondiale, dal 1996, primo anno in cui sono uscite dalla fase sperimentale, ad oggi. Nel 2008 la superficie globale delle colture biotech è stata di 125 milioni di ettari, circa il 9% in più rispetto ai 114 milioni del 2007, mentre il numero dei Paesi che hanno adottato varietà  GM è giunto a 25. Di questi sono soprattutto Usa, Canada, Argentina, Brasile, Cina e India a trainare la crescita; le colture più diffuse sono soia, mais, cotone e colza, prodotti destinati principalmente al segmento feed e al segmento no-food e solo in minima parte al segmento food (cioè all'alimentazione diretta umana). Molte più resistenze ha incontrato tale sviluppo nei Paesi dell'Unione europea. A tutt'oggi le coltivazioni GM hanno raggiunto estensioni significative solamente in Spagna, con alcune decine di migliaia di ettari di mais GM. Mais che peraltro è l'unica produzione per cui è stata autorizzata una varietà  GM alla coltivazione. Si intuisce in sostanza come in Europa si sia assunto un atteggiamento molto più prudente verso l'utilizzo su larga scala di tale innovazione scientifica, rispetto a quanto accaduto nei grandi Paesi citati in precedenza. Una prudenza dettata dal serrato dibattito, tuttora in corso, tra possibilisti e contrari, con contrapposizioni anche radicali, al limite dell'ideologia. D'altro canto, le indagini di Eurobarometro hanno messo in luce un miglioramento negli ultimi anni nella percezione dei cittadini europei verso le biotecnologie: dopo aver raggiunto un livello minimo di fiducia nel 1999, si è manifestata una lenta risalita verso i livelli di inizio anni '90, con percentuali di "fiduciosi" intorno al 55-60% sul totale della popolazione. Tuttavia, sebbene sulle biotecnologie in genere (l'Eurobarometro individua quattro filoni: alimenti contenenti OGM, terapie geniche, nanotecnologie e farmaci contenenti OGM), il giudizio sia abbastanza positivo, sugli alimenti permane un certo scetticismo legato soprattutto a considerazioni di inutilità  della tecnologia, di rischio percepito e di accettabilità morale: per citare il caso italiano, che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, è tra i più elevati nel contesto europeo, solamente un cittadino su tre valuta positivamente gli alimenti contenenti OGM. Se si analizza, inoltre, il sentiment del settore agricolo, nel quale il tema riveste anche un'importanza di natura economico-produttiva, in quanto incidente sui comportamenti e sulla strategie aziendali, sembra emergere un'apertura significativamente più elevata, se non una vera e propria frattura rispetto all'opinione pubblica. Infatti, circa due maiscoltori lombardi su tre (Demoskopea, 2008), cioè la tipologia di agricoltori che potrebbe beneficiare di tale innovazione, coltiverebbero mais GM se la normativa lo consentisse. Ebbene, in tale contesto diventa d'estremo interesse, sebbene di non facile praticabilità , lo studio e l'implementazione di modelli volti a monitorare le componenti che concorrono a formare l'intenzione e, in ultima analisi, il comportamento, dei consumatori verso gli OGM. Un esercizio da attuare per lo più tramite una serie di misurazioni indirette che devono fermarsi necessariamente all'intenzione nel caso italiano, mentre in altri Paesi che hanno avuto legislazioni più favorevoli all'introduzione degli OGM stessi nella produzione food può perseguire approcci d'analisi field, focalizzati non solo sull'intenzione, ma anche sul legame tra intenzione ed effettivo comportamento. Esiste una vasta letteratura che studia l'intenzione del consumatore verso l'acquisto di determinati beni. Uno degli approcci teorici che negli ultimi anni ha avuto più seguito è stato quello della Teoria del Comportamento Pianificato (Ajzen, 1991). Tale teoria prevede che l'atteggiamento (cioè l'insieme delle convinzioni, credenze, opinioni del soggetto), la norma soggettiva (cioè l'influenza dell'opinione delle persone importanti per l'individuo) e il controllo comportamentale percepito (ovvero la capacità , auto-percepita dal soggetto, di riuscire a compiere un determinato comportamento, in presenza di un'intenzione di ugual segno) siano variabili sufficienti a spiegare l'intenzione del consumatore. Tuttavia, vari ricercatori hanno e stanno cercando di verificare la correlazione di altre variabili: per esempio la norma morale, l'esperienza, l'attitudine al rischio, le caratteristiche socio-demografiche, la cosiddetta self-identity, la conoscenza razionale, la fiducia nelle fonti d'informazione e via discorrendo. In tale lavoro si è cercato, quindi, di esplorare, in un'indagine "pilota" quali-quantitativa su un campione ragionato e non probabilistico, l'influenza sull'intenzione d'acquisto di prodotti alimentari contenenti OGM delle variabili tipiche della Teoria del Comportamento Pianificato e di alcune altre variabili, che, nel caso degli OGM, appaiono particolarmente rilevanti, cioè conoscenza, fiducia nelle fonti d'informazione ed elementi socio-demografici. Tra i principali risultati da porre come indicazioni di lavoro per successive analisi su campioni rappresentativi sono emersi: - La conoscenza, soprattutto se tecnica, sembra un fattore, relativamente al campione ragionato analizzato, che conduce ad una maggiore accettazione degli OGM; le stesse statistiche descrittive mettono in luce una netta differenza in termini di intenzione d'acquisto dei prodotti contenenti OGM da parte del sub-campione più preparato sull'argomento; - L'esplorazione della fiducia nelle fonti d'informazione è sicuramente da approfondire ulteriormente. Dall'indagine effettuata risulta come l'unica fonte che influenza con le sue informazioni la decisione d'acquisto sugli OGM è la filiera agroalimentare. Dato che tali attori si caratterizzano per lo più con indicazioni contrarie all'introduzione degli OGM nei loro processi produttivi, è chiaro che se il consumatore dichiara di avere fiducia in loro, sarà  anche portato a non acquistare gli OGM; - Per quanto riguarda le variabili della Teoria del Comportamento Pianificato, l'atteggiamento mette in luce una netta preponderanza nella spiegazione dell'intenzione rispetto alla norma soggettiva e al controllo comportamentale percepito. Al contrario, queste ultime appaiono variabili deboli, forse perchè a tutt'oggi la possibilità  concreta di acquistare OGM è praticamente ridotta a zero ; - Tra le variabili socio-demografiche, l'influenza positiva del titolo di studio sulla decisione d'acquisto sembra confermare almeno in parte quanto emerso rispetto alla variabile "conoscenza"; - Infine, il fatto che il livello di reddito non influisca sull'intenzione d'acquisto appare abbastanza scontato, se si pensa, ancora una volta, come a tutt'oggi gli OGM non siano presenti sugli scaffali. Il consumatore non ha al momento nessuna idea sul loro prezzo. Decisamente interessante sarà  indagare l'incidenza di tale variabile quando il "fattore OGM" sarà  prezzato, presumibilmente al ribasso rispetto ai prodotti non OGM.

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Con il presente lavoro, che ha ad oggetto l’istituto dello scioglimento anticipato delle Camere nell’ordinamento costituzionale italiano, il candidato si propone tre obiettivi. Il primo è quello della ricostruzione dogmatica dell’istituto che sconta inevitabilmente un grosso debito nei confronti della vasta letteratura giuridica che si è sviluppata nel corso dei decenni. Il secondo obiettivo è quello, ben più originale, dell’indagine sulla prassi che ha contraddistinto il ricorso allo scioglimento nella peculiare realtà italiana. In questo modo si viene colmando uno spazio di ricerca diretto a leggere gli avvenimenti e a ricondurli in un quadro costituzionale sistematico, anche al fine di ricavare utili riflessioni circa la conformità della prassi stessa al dato normativo, nonché sulle modalità di funzionamento concreto dell'istituto. Il terzo obiettivo, quello più ambizioso, è utilizzare le considerazioni così sviluppate per ricercare soluzioni interpretative adeguate all’evoluzione subita dall’assetto politico-istituzionale italiano negli ultimi due decenni. Quanto al metodo, la scelta del candidato è stata quella di ricorrere ad uno strumentario che pone in necessaria sequenza logica: a) i presupposti storici/comparatistici e il dibattito in Assemblea costituente, utili per l’acquisizione del patrimonio del parlamentarismo europeo del tempo e per la comprensione del substrato su cui si costruisce l’edificio costituzionale; b) il testo costituzionale, avvalendosi anche delle importanti considerazioni svolte dalla dottrina più autorevole; c) la prassi costituzionale, consistente nella fase di implementazione concreta del disposto normativo. La finalità che il candidato si pone è dimostrare la possibilità di configurare lo scioglimento secondo un modello di tipo “primoministeriale”. Per quanto riguarda la prima parte della ricerca, dalla pur sintetica descrizione dei precedenti storici (sia rispetto alle realtà europee, inglese e francese in primis, che al periodo prerepubblicano) si trae conferma che l’operatività dell’istituto è intrinsecamente influenzata dalla forma di governo. Una prima indicazione che emerge con forza è come la strutturazione del sistema partitico e il grado di legame tra Assemblea rappresentativa e Gabinetto condizionino la ratio del potere di scioglimento, la sua titolarità ed il suo effettivo rendimento. Infatti, in presenza di regimi bipartitici e di impianti istituzionali che accentuano il raccordo fiduciario, il Capo dello Stato tende all’emarginazione, e lo scioglimento acquisisce carattere di automaticità tutte le volte in cui si verificano crisi ministeriali (eventualità però piuttosto rara); più consueto è invece lo scioglimento primoministeriale libero, come arma politica vera e propria attraverso cui il Governo in carica tende a sfruttare il momento migliore per ricercare il giudizio del popolo. Al contrario, dove il sistema politico è più dinamico, e il pluralismo sociale radicalizzato, il Capo dello Stato interferisce fortemente nella vita istituzionale e, in particolare, nella formazione dell’indirizzo politico: in quest’ottica lo scioglimento viene da questi inglobato, ed il suo ricorso subordinato ad esigenze di recupero della funzionalità perduta; soprattutto, quando si verificano crisi ministeriali (invero frequenti) il ricorso alle urne non è conseguenza automatica, ma semmai gli viene preferita la via della formazione di un Gabinetto poggiante su una maggioranza alternativa. L’indagine svolta dal candidato sui lavori preparatori mostra come il Costituente abbia voluto perseguire l'obiettivo di allargare le maglie della disciplina costituzionale il più possibile, in modo da poter successivamente ammettere più soluzioni interpretative. Questa conclusione è il frutto del modo in cui si sono svolte le discussioni. Le maggiori opzioni prospettate si collocavano lungo una linea che aveva ad un estremo una tassativa preordinazione delle condizioni legittimanti, ed all’altro estremo l’esclusiva e pressoché arbitraria facoltà decisionale dello scioglimento nelle mani del Capo dello Stato; in mezzo, la via mediana (e maggiormente gradita) del potere sì presidenziale, benché circondato da tutta una serie di limiti e garanzie, nel quadro della costruzione di una figura moderatrice dei conflitti tra Esecutivo e Legislativo. Ma non bisogna tralasciare che, seppure rare, diverse voci propendevano per la delineazione di un potere governativo di scioglimento la quale impedisse che la subordinazione del Governo al Parlamento si potesse trasformare in degenerazione assemblearista. Quindi, il candidato intende sottolineare come l’adamantina prescrizione dell’art. 88 non postuli, nell’ambito dell’interpretazione teleologica che è stata data, alcuno specifico indirizzo interpretativo dominante: il che, in altri termini, è l’ammissione di una pluralità di concezioni teoricamente valide. L'analisi del dettato costituzionale non ha potuto prescindere dalla consolidata tripartizione delle teorie interpretative. Dall'analisi della letteratura emerge la preferenza per la prospettiva dualistica, anche in virtù del richiamo che la Costituzione svolge nei confronti delle competenze sia del Presidente della Repubblica (art. 88) che del Governo (art. 89), il che lo convince dell’inopportunità di imporre una visione esclusivista, come invece sovente hanno fatto i sostenitori della tesi presidenziale. Sull’altro versante ciò gli permette di riconferire una certa dignità alla tesi governativa, che a partire dal primo decennio repubblicano era stata accantonata in sede di dibattito dottrinario: in questo modo, entrambe le teoriche fondate su una titolarità esclusiva assumono una pari dignità, benchè parimenti nessuna delle due risulti persuasiva. Invece, accedere alla tesi della partecipazione complessa significa intrinsecamente riconoscere una grande flessibilità nell’esercizio del potere in questione, permettendo così una sua più adeguata idoneità a mutare le proprie sembianze in fase applicativa e a calarsi di volta in volta nelle situazioni contingenti. Questa costruzione si inserisce nella scelta costituente di rafforzare le garanzie, ed il reciproco controllo che si instaura tra Presidente e Governo rappresenta la principale forma di tutela contro potenziali abusi di potere. Ad ognuno dei due organi spettano però compiti differenti, poiché le finalità perseguite sono differenti: come l’Esecutivo agisce normalmente secondo canoni politici, in quanto principale responsabile dell’indirizzo politico, al Capo dello Stato si addice soprattutto il compito di sorvegliare il regolare svolgimento dei meccanismi istituzionali, in posizione di imparzialità. Lo schema costituzionale, secondo il candidato, sembra perciò puntare sulla leale collaborazione tra i poteri in questione, senza però predefinire uno ruolo fisso ed immutabile, ma esaltando le potenzialità di una configurazione così eclettica. Assumendo questa concezione, si ha buon gioco a conferire piena cittadinanza costituzionale all’ipotesi di scioglimento disposto su proposta del Presidente del Consiglio, che si può ricavare in via interpretativa dalla valorizzazione dell’art. 89 Cost. anche secondo il suo significato letterale. Al discorso della titolarità del potere di scioglimento, il candidato lega quello circa i presupposti legittimanti, altro nodo irrisolto. La problematica relativa alla loro definizione troverebbe un decisivo ridimensionamento nel momento in cui si ammette la compartecipazione di Governo e Presidente della Repubblica: il diverso titolo con il quale essi cooperano consentirebbe di prevenire valutazioni pretestuose circa la presenza delle condizioni legittimanti, poichè è nel reciproco controllo che entrambi gli organi individuano i confini entro cui svolgere le rispettive funzioni. Si giustificano così sia ragioni legate ad esigenze di funzionalità del sistema (le più ricorrenti in un sistema politico pluripartitico), sia quelle scaturenti dalla divaricazione tra orientamento dei rappresentati e orientamento dei rappresentanti: purchè, sottolinea il candidato, ciò non conduca il Presidente della Repubblica ad assumere un ruolo improprio di interferenza con le prerogative proprie della sfera di indirizzo politico. Il carattere aperto della disciplina costituzionale spinge inevitabilmente il candidato ad approfondire l'analisi della prassi, la cui conoscenza costituisce un fondamentale modo sia per comprendere il significato delle disposizioni positive che per apprezzare l’utilità reale ed il rendimento sistemico dell’istituto. Infatti, è proprio dall'indagine sulla pratica che affiorano in maniera prepotente le molteplici virtualità dello strumento dissolutorio, con modalità operative che, a seconda delle singole fasi individuate, trovano una strutturazione casistica variabile. In pratica: nel 1953 e nel 1958 è l'interesse del partito di maggioranza relativa ad influenzare il Governo circa la scelta di anticipare la scadenza del Senato; nel 1963 e nel 1968 invece si fa strada l'idea del consenso diffuso allo scioglimento, seppure nel primo caso l'anticipo valga ancora una volta per il solo Senato, e nel secondo ci si trovi di fronte all'unica ipotesi di fine naturale della legislatura; nel 1972, nel 1976, nel 1979, nel 1983 e nel 1987 (con una significativa variante) si manifesta con tutta la sua forza la pratica consociativa, figlia della degenerazione partitocratica che ha svuotato le istituzioni giuridiche (a partire dal Governo) e cristallizzato nei partiti politici il centro di gravità della vita pubblica; nel 1992, a chiusura della prima epoca repubblicana, caratterizzata dal dominio della proporzionale (con tutte le sue implicazioni), si presentano elementi atipici, i quali vanno a combinarsi con le consolidate tendenze, aprendo così la via all'incertezza sulle tendenze future. È con l'avvento della logica maggioritaria, prepotentemente affacciatasi per il tramite dei referendum elettorali, a sconvolgere il quadro delle relazioni fra gli organi costituzionali, anche per quanto concerne ratio e caratteristiche del potere di scioglimento delle Camere. Soprattutto, nella fase di stretta transizione che ha attraversato il quadriennio 1992-1996, il candidato mette in luce come i continui smottamenti del sistema politico abbiano condotto ad una fase di destabilizzazione anche per quanto riguarda la prassi, incrinando le vecchie regolarità e dando vita a potenzialità fino allora sconosciute, addirittura al limite della conformità a Costituzione. La Presidenza Scalfaro avvia un processo di netta appropriazione del potere di scioglimento, esercitandolo in maniera esclusiva, grazie anche alla controfirma offerta da un Governo compiacente (“tecnicco”, perciò debitore della piena fiducia quirinalizia). La piena paternità presidenziale, nel 1994, è accompagnata da un altro elemento di brusca rottura con il passato, ossia quello della ragione legittimante: infatti, per la prima volta viene addotta palesemente la motivazione del deficit di rappresentatività. Altro momento ad aver costituito da spartiacque nell’evoluzione della forma di governo è stato il mancato scioglimento a seguito della crisi del I Governo Berlusconi, in cui forti erano state le pressioni perché si adeguasse il parlamentarismo secondo i canoni del bipolarismo e del concetto di mandato di governo conferito direttamente dagli elettori ad una maggioranza (che si voleva predefinita, nonostante essa in verità non lo fosse affatto). Dopo questa parentesi, secondo il candidato la configurazione dello strumento dissolutorio si allinea su ben altri binari. Dal punto di vista della titolarità, sono i partiti politici a riprendere vigorosamente un certo protagonismo decisionale, ma con una netta differenza rispetto al passato consociativo: ora, il quadro politico pare saldamente attestato su una dinamica bipolare, per cui anche in relazione all’opzione da adottare a seguito di crisi ministeriale sono le forze della maggioranza che decidono se proseguire la legislatura (qualora trovino l’accordo tra di loro) o se sciogliere (allorchè invece si raggiunga una sorta di maggioranza per lo scioglimento). Dal punto di vista dei presupposti, sembra consolidarsi l’idea che lo scioglimento rappresenti solo l’extrema ratio, chiamando gli elettori ad esprimersi solo nel momento in cui si certifica l’assoluta impossibilità di ripristinare la funzionalità perduta. Conclusioni. Il rafforzamento della prospettiva bipolare dovrebbe postulare una riconfigurazione del potere di scioglimento tesa a valorizzare la potestà decisionale del Governo. Ciò discenderebbe dal principio secondo cui il rafforzamento del circuito che unisce corpo elettorale, maggioranza parlamentare e Governo, grazie al collante di un programma politico condiviso, una coalizione che si presenta alle elezioni ed un candidato alla Presidenza del Consiglio che incarna la perfetta sintesi di tutte queste istanze, comporta che alla sua rottura non si può che tornare al giudizio elettorale: e quindi sciogliere le Camere, evitando la composizione di maggioranze che non rappresentano la diretta volontà popolare. Il candidato però non ritiene auspicabile l’adozione di un automatismo analogo alla regola dell'aut simul stabunt aut simul cadent proprio dell’esperienza regionale post 1999, perché soluzione eccessivamente rigida, che ingesserebbe in maniera inappropriata una forma parlamentare che comunque richiede margini di flessiblità. La proposta è invece di rileggere il testo costituzionale, rebus sic stantibus, nel senso di far prevalere un potere libero di proposta da parte del Governo, cui il Capo dello Stato non potrebbe non consentire, salvo svolgere un generale controllo di costituzionalità volto ad accertare l’insussistenza di alcuna forma di abuso. Su queste conclusioni il lavoro esprime solo prime idee, che meritano di essere approfondite. Come è da approfondire un tema che rappresenta forse l’elemento di maggiore originalità: trattasi della qualificazione e descrizione di un mandato a governare, ossia della compatibilità costituzionale (si pensi, in primis, al rapporto con il divieto di mandato imperativo di cui all’art. 67 Cost.) di un compito di governo che, tramite le elezioni, gli elettori affidano ad una determinata maggioranza, e che va ad arricchire il significato del voto rispetto a quello classico della mera rappresentanza delle istanze dei cittadini (e propria del parlamentarismo ottocentesco): riflessi di tali considerazioni si avrebbero inevitabilmente anche rispetto alla concezione del potere di scioglimento, che in siffatta maniera verrebbe percepito come strumento per il ripristino del “circuito di consonanza politica” che in qualche modo si sarebbe venuto a rompere. Ad ogni buon conto, già emergono dei riflessi in questo senso, per cui la strada intrapresa dal candidato pare quella giusta affinchè l’opera risulti completa, ben argomentata ed innovativa.

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Lo scompenso cardiaco è una sindrome clinica complessa di notevole prevalenza ed incidenza nella popolazione generale, con elevata mortalità e morbidità. Le numerose alterazioni strutturali e funzionali che lo caratterizzano sono in grado di generare contemporaneamente diversi tipi di alterazioni del ritmo: dalle tachiaritmie ventricolari/sopraventricolari alle turbe della conduzione dell’impulso con bradi-aritmie e dissincronie di contrazione. La cardioversione della fibrillazione atriale e la resincronizzazione cardiaca rappresentano due terapie elettriche molto importanti in tale contesto. Le modificazioni emodinamiche, funzionali e neuro-ormonali indotte da tali trattamenti, tanto in acuto che a medio/lungo termine, possono generare numerose informazioni sulla fisio-patologia di questa sindrome. Il progetto scientifico alla base del presente manoscritto è costituito da due studi volti ad affrontare separatamente le tematiche accennate. Il primo studio è stato focalizzato sulle modificazioni indotte in 38 pazienti dalla terapia di resincronizzazione cardiaca sui parametri di circolazione periferica. I risultati ottenuti evidenziano come il trattamento consenta un incremento del flusso muscolare, soprattutto in chi presenterà un rimodellamento ventricolare inverso. La diversa eziologia sottostante (ischemica vs. non ischemica) appare influenzare i parametri relativi alla circolazione periferica tanto in acuto, quanto in cronico. Il diverso comportamento in merito alle variabili della circolazione periferica nelle valutazioni seriate suggerisce che la terapia di resincronizzazione cardiaca abbia, principalmente nei pazienti responders, effetti non solo “centrali”, e che essi non siano puramente meccanici ma mediati da fattori probabilmente di natura neuro-ormonale. Il secondo studio si è occupato della cardioversione elettrica esterna di fibrillazione atriale, un’aritmia che presenta strette relazioni con l’insufficienza cardiaca. 242 pazienti sono stati sottoposti a cardioversione elettrica esterna con onda bifasica, utilizzando due 1 diverse configurazioni di erogazione dell’energia: antero-posteriore con patch adesivi e antero-apicale con piastre standard. Il ripristino del ritmo sinusale è stato ottenuto in oltre l’80% dei pazienti già col primo shock a 120J. Sebbene fra le due metodiche non si evidenzi una significatività in termini di efficacia, i risultati ottenuti suggeriscono che la scelta della specifica configurazione di shock dovrebbe prendere in considerazione anche alcune variabili biometriche: peso, altezza e superficie corporea del paziente. Il ripristino ed il mantenimento del ritmo sinusale inducono un’importante modificazione della concentrazione di NT-pro-BNP. Un’elevata attivazione neuro-ormonale pre-procedura predispone alle recidive a medio-lungo termine, mentre le recidive nel breve-medio periodo appaiono influenzate da tale fattore solo in corso di profilassi anti-aritmica per il mantenimento del ritmo sinusale. In conclusione i risultati del progetto di ricerca sottolineano come trattamenti mirati a parametri strettamente cardiaci (ritmo e conduzione dell’impulso) siano in grado di determinare importanti modificazioni sugli equilibri emodinamici e neuro-ormonali dell’intero organismo, confermando la stretta relazione tra questi parametri e l’evoluzione del quadro clinico.

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La ricerca svolta ha individuato fra i suoi elementi promotori l’orientamento determinato da parte della comunità europea di dare vita e sostegno ad ambiti territoriali intermedi sub nazionali di tipo regionale all’interno dei quali i sistemi di città potessero raggiungere le massime prestazioni tecnologiche per cogliere gli effetti positivi delle innovazioni. L’orientamento europeo si è confrontato con una realtà storica e geografica molto variata in quanto accanto a stati membri, nei quali le gerarchie fra città sono storicamente radicate e funzionalmente differenziate secondo un ordine che vede la città capitale dominante su città subalterne nelle quali la cultura di dominio del territorio non è né continua né gerarchizzata sussistono invece territori nazionali compositi con una città capitale di riconosciuto potere ma con città di minor dimensione che da secoli esprimono una radicata incisività nella organizzazione del territorio di appartenenza. Alla prima tipologia di stati appartengono ad esempio i Paesi del Nord Europa e l’Inghilterra, esprimendo nella Francia una situazione emblematica, alla seconda tipologia appartengono invece i Paesi dell’aera mediterranea, Italia in primis, con la grande eccezione della Germania. Applicando gli intendimenti comunitari alla realtà locale nazionale, questa tesi ha avviato un approfondimento di tipo metodologico e procedurale sulla possibile organizzazione a sistema di una regione fortemente policentrica nel suo sviluppo e “artificiosamente” rinata ad unità, dopo le vicende del XIX secolo: l’Emilia-Romagna. Anche nelle regioni che si presentano come storicamente organizzate sulla pluralità di centri emergenti, il rapporto col territorio è mediato da centri urbani minori che governano il tessuto cellulare delle aggregazioni di servizi di chiara origine agraria. Questo stato di cose comporta a livello politico -istituzionale una dialettica vivace fra territori voluti dalle istituzioni e territori legittimati dal consolidamento delle tradizioni confermato dall’uso attuale. La crescente domanda di capacità di governo dello sviluppo formulata dagli operatori economici locali e sostenuta dalle istituzioni europee si confronta con la scarsa capacità degli enti territoriali attuali: Regioni, Comuni e Province di raggiungere un livello di efficienza sufficiente ad organizzare sistemi di servizi adeguati a sostegno della crescita economica. Nel primo capitolo, dopo un breve approfondimento sulle “figure retoriche comunitarie”, quali il policentrismo, la governance, la coesione territoriale, utilizzate per descrivere questi fenomeni in atto, si analizzano gli strumenti programmatici europei e lo S.S.S.E,. in primis, che recita “Per garantire uno sviluppo regionale equilibrato nella piena integrazione anche nell’economia mondiale, va perseguito un modello di sviluppo policentrico, al fine di impedire un’ulteriore eccessiva concentrazione della forza economica e della popolazione nei territori centrali dell’UE. Solo sviluppando ulteriormente la struttura, relativamente decentrata, degli insediamenti è possibile sfruttare il potenziale economico di tutte le regioni europee.” La tesi si inserisce nella fase storica in cui si tenta di definire quali siano i nuovi territori funzionali e su quali criteri si basa la loro riconoscibilità; nel tentativo di adeguare ad essi, riformandoli, i territori istituzionali. Ai territori funzionali occorre riportare la futura fiscalità, ed è la scala adeguata per l'impostazione della maggior parte delle politiche, tutti aspetti che richiederanno anche la necessità di avere una traduzione in termini di rappresentanza/sanzionabilità politica da parte dei cittadini. Il nuovo governo auspicato dalla Comunità Europea prevede una gestione attraverso Sistemi Locali Territoriali (S.Lo.t.) definiti dalla combinazione di milieu locale e reti di attori che si comportano come un attore collettivo. Infatti il secondo capitolo parte con l’indagare il concetto di “regione funzionale”, definito sulla base della presenza di un nucleo e di una corrispondente area di influenza; che interagisce con altre realtà territoriali in base a relazioni di tipo funzionale, per poi arrivare alla definizione di un Sistema Locale territoriale, modello evoluto di regione funzionale che può essere pensato come una rete locale di soggetti i quali, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. Identificare un sistema territoriale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire qualsiasi forma di pianificazione o governance territoriale, perchè si deve soprattutto tener conto dei processi di integrazione funzionale e di networking che si vengono a generare tra i diversi sistemi urbani e che sono specchio di come il territorio viene realmente fruito., perciò solo un approccio metodologico capace di sfumare e di sovrapporre le diverse perimetrazioni territoriali riesce a definire delle aree sulle quali definire un’azione di governo del territorio. Sin dall’inizio del 2000 il Servizio Sviluppo Territoriale dell’OCSE ha condotto un’indagine per capire come i diversi paesi identificavano empiricamente le regioni funzionali. La stragrande maggioranza dei paesi adotta una definizione di regione funzionale basata sul pendolarismo. I confini delle regioni funzionali sono stati definiti infatti sulla base di “contorni” determinati dai mercati locali del lavoro, a loro volta identificati sulla base di indicatori relativi alla mobilità del lavoro. In Italia, la definizione di area urbana funzionale viene a coincidere di fatto con quella di Sistema Locale del Lavoro (SLL). Il fatto di scegliere dati statistici legati a caratteristiche demografiche è un elemento fondamentale che determina l’ubicazione di alcuni servizi ed attrezzature e una mappa per gli investimenti nel settore sia pubblico che privato. Nell’ambito dei programmi europei aventi come obiettivo lo sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio fatto di aree funzionali in relazione fra loro, uno degli studi di maggior rilievo è stato condotto da ESPON (European Spatial Planning Observation Network) e riguarda l’adeguamento delle politiche alle caratteristiche dei territori d’Europa, creando un sistema permanente di monitoraggio del territorio europeo. Sulla base di tali indicatori vengono costruiti i ranking dei diversi FUA e quelli che presentano punteggi (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In questo senso, i MEGA sono FUA/SLL particolarmente performanti. In Italia ve ne sono complessivamente sei, di cui uno nella regione Emilia-Romagna (Bologna). Le FUA sono spazialmente interconnesse ed è possibile sovrapporre le loro aree di influenza. Tuttavia, occorre considerare il fatto che la prossimità spaziale è solo uno degli aspetti di interazione tra le città, l’altro aspetto importante è quello delle reti. Per capire quanto siano policentrici o monocentrici i paesi europei, il Progetto Espon ha esaminato per ogni FUA tre differenti parametri: la grandezza, la posizione ed i collegamenti fra i centri. La fase di analisi della tesi ricostruisce l’evoluzione storica degli strumenti della pianificazione regionale analizzandone gli aspetti organizzativi del livello intermedio, evidenziando motivazioni e criteri adottati nella suddivisione del territorio emilianoromagnolo (i comprensori, i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro…). La fase comprensoriale e quella dei distretti, anche se per certi versi effimere, hanno avuto comunque il merito di confermare l’esigenza di avere un forte organismo intermedio di programmazione e pianificazione. Nel 2007 la Regione Emilia Romagna, nell’interpretare le proprie articolazioni territoriali interne, ha adeguato le proprie tecniche analitiche interpretative alle direttive contenute nel Progetto E.S.P.O.N. del 2001, ciò ha permesso di individuare sei S.Lo.T ( Sistemi Territoriali ad alta polarizzazione urbana; Sistemi Urbani Metropolitani; Sistemi Città – Territorio; Sistemi a media polarizzazione urbana; Sistemi a bassa polarizzazione urbana; Reti di centri urbani di piccole dimensioni). Altra linea di lavoro della tesi di dottorato ha riguardato la controriprova empirica degli effettivi confini degli S.Lo.T del PTR 2007 . Dal punto di vista metodologico si è utilizzato lo strumento delle Cluster Analisys per impiegare il singolo comune come polo di partenza dei movimenti per la mia analisi, eliminare inevitabili approssimazioni introdotte dalle perimetrazioni legate agli SLL e soprattutto cogliere al meglio le sfumature dei confini amministrativi dei diversi comuni e province spesso sovrapposti fra loro. La novità è costituita dal fatto che fino al 2001 la regione aveva definito sullo stesso territorio una pluralità di ambiti intermedi non univocamente circoscritti per tutte le funzioni ma definiti secondo un criterio analitico matematico dipendente dall’attività settoriale dominante. In contemporanea col processo di rinnovamento della politica locale in atto nei principali Paesi dell’Europa Comunitaria si va delineando una significativa evoluzione per adeguare le istituzioni pubbliche che in Italia comporta l’attuazione del Titolo V della Costituzione. In tale titolo si disegna un nuovo assetto dei vari livelli Istituzionali, assumendo come criteri di riferimento la semplificazione dell’assetto amministrativo e la razionalizzazione della spesa pubblica complessiva. In questa prospettiva la dimensione provinciale parrebbe essere quella tecnicamente più idonea per il minimo livello di pianificazione territoriale decentrata ma nel contempo la provincia come ente amministrativo intermedio palesa forti carenze motivazionali in quanto l’ente storico di riferimento della pianificazione è il comune e l’ente di gestione delegato dallo stato è la regione: in generale troppo piccolo il comune per fare una programmazione di sviluppo, troppo grande la regione per cogliere gli impulsi alla crescita dei territori e delle realtà locali. Questa considerazione poi deve trovare elementi di compatibilità con la piccola dimensione territoriale delle regioni italiane se confrontate con le regioni europee ed i Laender tedeschi. L'individuazione di criteri oggettivi (funzionali e non formali) per l'individuazione/delimitazione di territori funzionali e lo scambio di prestazioni tra di essi sono la condizione necessaria per superare l'attuale natura opzionale dei processi di cooperazione interistituzionale (tra comuni, ad esempio appartenenti allo stesso territorio funzionale). A questo riguardo molto utile è l'esperienza delle associazioni, ma anche delle unioni di comuni. Le esigenze della pianificazione nel riordino delle istituzioni politico territoriali decentrate, costituiscono il punto finale della ricerca svolta, che vede confermato il livello intermedio come ottimale per la pianificazione. Tale livello è da intendere come dimensione geografica di riferimento e non come ambito di decisioni amministrative, di governance e potrebbe essere validamente gestito attraverso un’agenzia privato-pubblica dello sviluppo, alla quale affidare la formulazione del piano e la sua gestione. E perché ciò avvenga è necessario che il piano regionale formulato da organi politici autonomi, coordinati dall’attività dello stato abbia caratteri definiti e fattibilità economico concreta.

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Il presente lavoro affronta il problema della traduzione dei termini culturo-specifici nella letteratura contemporanea di lingua tedesca ambientata nella DDR. L’analisi della produzione narrativa della Wendeliteratur consente di osservare come il lessico e le espressioni tipiche della DDR vengano utilizzati nelle opere letterarie in funzione citazionale per denotare e connotare la realtà della Germania dell’Est. Attraverso un approccio integrato che coniuga i contributi teorici degli studi sulla traduzione con gli aspetti della pratica traduttiva il lavoro indaga il tema dei realia attraverso una presentazione delle ricerche esistenti, propone una classificazione specifica per i realia della DDR e procede a una ricognizione delle strategie e dei procedimenti traduttivi concreti, che consente di evidenziare le diverse scelte adottate dai traduttori. Attraverso un’analisi ermeneutica dei testi e lo strumento dell’isotopia come indicatore di coerenza le traduzioni italiane delle opere della Wendeliteratur sono oggetto di un’analisi critica. I risultati dell’analisi vengono infine utilizzati come riferimento per la traduzione dei realia nel racconto di F.C. Delius, Die Birnen von Ribbeck.

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La finalità della tesi è stata quella d'improntare una riflessione sulle società legate all'edilizia nel momento di apice politico ed economico di una città, attiva e importante nel basso Medioevo, come Bologna. Questo tipo di studio, già intrapreso per alcune città dell'Italia centro settentrionale, risulta necessario per comprendere alcune dinamiche politiche, economiche e produttive della realtà cittadina. In particolare, gli obiettivi sono stati quelli di coniugare la vita corporativa dell'arte all'organizzazione lavorativa, individuando gli aspetti legati all'ambito produttivo e valutando, l'evoluzione della società nel passaggio dal Duecento al Trecento. Gli statuti e le matricole, principali fonti compilate dalle due società delle arti e giunte ai nostri giorni, salvo rare eccezioni, completamente inedite sono stati il principale punto di partenza dello studio. Il risultato è la sintesi di alcuni spunti di riflessione emersi dai documenti, quali la mentalità degli uomini che si approcciavano alle arti, le gerarchie nate all'interno delle stesse società, il loro cambiamento e quello legato alla percezione di comunità nel corso dei secoli oltre agli aspetti più prettamente lavorativi e artigianali.

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Sebbene Anarsia lineatella sia un fitofago ormai da anni introdotto e diffuso in Italia, ancora poco si conosce circa le sue abitudini riproduttive. In considerazione della elevata dannosità di A. lineatella nei pescheti del nord Italia e delle scarse conoscenze sulla sua biologia, si è evidenziata la necessità di approfondire la conoscenza di questo fitofago. Pertanto gli scopi di questa ricerca hanno riguardato l’approfondimento delle conoscenze sui sistemi di comunicazione intraspecifici utilizzati da A. lineatella; la valutazione dell’efficacia di diverse miscele di feromone sintetico, in laboratorio utilizzando anche densità diverse di popolazioni di anarsia e in campo utilizzando gabbie di accoppiamento appositamente costruite, posizionate in frutteti a conduzione biologica nel nord Italia e messe a confronto con gabbie che utilizzavano come fonte attrattiva femmine vergini di tre giorni di età. Sono state condotte prove sul comportamento di maschi di A. lineatella di differenti età in risposta al feromone emesso da femmine vergini di tre giorni di età e al feromone emesso da erogatori di materiale plastico contenenti differenti miscele di feromone sintetico. Sono stati condotti studi per verificare l’influenza del contenuto di alcol ((E)5-10:OH) nella miscela feromonica sulla capacità di inibizione degli accoppiamenti, sottoponendo gli insetti a differenti concentrazioni di feromone in modo da verificare eventuali differenze di attività delle diverse miscele, differenze che emergerebbero con evidenza maggiore alle minori concentrazioni. Alcune prove sono state effettuate anche con differenti densità di popolazione, poiché una maggiore densità di popolazione determina una maggiore probabilità di accoppiamento, evidenziando più chiaramente i limiti di efficacia della miscela utilizzata. Inoltre sono state effettuate prove di campo per confrontare due modelli di erogatore per la confusione sessuale di anarsia contenenti miscele con differenti percentuali di alcol Inoltre, poiché nei pescheti la presenza di A. lineatella è pressoché sempre associata a quella di Cydia molesta e l’applicazione del metodo della confusione deve spesso essere applicato per controllare entrambi gli insetti, può risultare vantaggioso disporre di un unico erogatore contenente entrambi i feromoni; è stato quindi valutato un erogatore contenente una miscela dei due feromoni per verificare eventuali interazioni che possano ridurre l’efficacia.

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In questo lavoro di ricerca viene indagato il rapporto tra politiche pubbliche e gentrification attraverso la presa in esame della trasformazione fisica, sociale ed economica delle aree centrali di due importanti realtà urbane dell’Europa mediterranea: il Raval di Barcellona e il Centro Storico di Genova. Ciò che è avvenuto nelle due aree di studio è riconducile a quanto viene indicato in letteratura come policy-led gentrification o positive gentrification in quanto è a seguito dell’azione pubblica che si avvia il processo di ricambio sociale. Le autorità locali, con la trasformazione fisica e simbolica dello spazio, hanno perseguito l’inserimento di nuove funzioni e nuovi utenti al fine di superare le problematicità ivi presenti attraverso il conseguimento del social-balance. Pertanto, sia nel Raval che nel Centro Storico genovese, la gentrification è stata utilizzata come uno strumento per la rivitalizzazione sociale ed economica di due aree dall’importanza strategica per il successo dell’intera realtà urbana. La ricerca è suddivisa in tre parti. La prima è dedicata all’esposizione della letteratura sul tema al fine di dotare la ricerca di una solida base teorica. Seguono la seconda e terza parte nelle quali vengono affrontati i due casi di studio. Innanzitutto è verificata l’esistenza delle precondizioni necessarie all’avvio della gentrification a cui segue l’analisi e la descrizione della trasformazione dello spazio fisico. Il conseguente ricambio sociale viene indagato con la presa in esame dell’evoluzione delle caratteristiche della popolazione e attraverso l’interpretazione delle motivazioni alla base della strategia residenziale attuata dai gentrifier. L’analisi degli effetti del dispiegarsi del fenomeno mina la possibilità di etichettare come gentrification in senso strictu il processo di trasformazione che ha investito il Raval e il Centro Storico genovese. Dalla ricerca condotta si esclude, in entrambe le aree, la presenza di una gentrification che rispetti l’idealtipo individuato per le grandi città globali e si ritiene necessario ricorrere ad una disaggregazione concettuale. Ai fini dell’interpretazione di quanto avvenuto nel Raval e nel Centro Storico genovese sembra più utile ricorrere al concetto di marginal gentrification il quale prevede che in un’area degradata si verifichi un miglioramento delle condizioni strutturali ed estetiche degli edifici e un ricambio sociale ma senza che questo comporti un’elevazione al rango di quartiere esclusivo o elitario. La resilienza dimostrata dalle due aree ad un pieno processo di gentrification è imputabile tanto a specificità locali quanto riconducibile alla posizione occupata sulla gerarchia urbana internazionale dalla città di Barcellona e da quella di Genova

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Lo scopo della presente tesi di dottorato è di illustrare il lavoro svolto nella progettazione del circuito a metallo liquido del Test Blanket System (TBS) Helium Cooled Lithium Lead (HCLL), uno dei sistemi fondamentali del reattore sperimentale ITER che dovrà dimostrare la fattibilità di produrre industrialmente energia elettrica da processi di fusione nucleare. Il blanket HCLL costituisce una delle sei configurazioni che verranno testate in ITER, sulla base degli esperimenti condotti nei 10 dieci anni di vita del reattore verrà selezionata la configurazione che determinerà la costituzione del primo reattore dimostrativo per la produzione di un surplus di energia elettrica venti volte superiore all’energia consumata, DEMO. Il circuito ausiliario del blanket HCLL è finalizzato, in DEMO all’estrazione del trizio generato mediante il TES; ed in ITER alla dimostrazione della fattibilità di estrarre il trizio generato e di poter gestire il ciclo del trizio. Lo sviluppo dei componenti, svolto in questa tesi, è accentrato su tale dispositivo, il TES. In tale ambito si inseriscono le attività che sono descritte nei capitoli della seguente tesi di dottorato: selezione e progettazione preliminare del sistema di estrazione del trizio dalla lega eutettica Pb15.7Li del circuito a metallo liquido del TBM HCLL; la progettazione, realizzazione e qualifica dei sensori a permeazione per la misura della concentrazione di trizio nella lega eutettica Pb15.7Li; la qualificazione sperimentale all’interno dell’impianto TRIEX (TRItium EXtarction) della tecnologia selezionata per l’estrazione del trizio dalla lega; la progettazione della diagnostica di misura e controllo del circuito ausiliario del TBM HCLL.