231 resultados para cosmologia,costante di hubble,parametri cosmologici,modello lambda-cdm,equazioni di Friedmann


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Obiettivo del presente lavoro è approntare un’analisi interpretativa dell’operatività dalle Finanziarie regionali, valutarne gli investimenti in capitale di rischio e, in particolare, l’attività di private equity, evidenziando le tendenze in atto, i possibili percorsi evolutivi e le eventuali criticità. La metodologia adottata ha previsto un’articolazione del lavoro lungo due principali direttive: un’analisi di tipo quantitativo sui bilanci di sette esercizi (dal 2002 al 2008), con la finalità di indagare nel dettaglio gli aspetti economici, finanziari e patrimoniali delle Finanziarie regionali attive sul territorio italiano; un’analisi qualitativa basata su un’approfondita rassegna della letteratura internazionale e su interviste mirate ad un campione ampiamente rappresentativo della popolazione osservata. I risultati raggiunti fanno ragionevolmente supporre che sia in atto una profonda ristrutturazione dell’intero sistema delle Finanziarie, che ha visto innanzitutto aumentare il controllo pubblico nella compagine sociale. L’indagine contabile ha permesso di identificare la presenza di due modelli di business ben differenziati: alcune Finanziarie sono orientate ad attività con forte contenuto di intermediazione finanziaria; altre invece sono focalizzate sull’attività di erogazione di servizi sia finanziari di consulenza che reali. L’investimento in capitale di rischio costituisce un attività centrale per le Finanziarie regionali; l’analisi dedicata a tali impieghi ha permesso di individuare, tra esse, alcune realtà tipiche del merchant banking, e più di frequente, del modello di holding. Complessivamente le Finanziarie campionate detengono oltre 400 partecipazioni per un valore che supera 1,7 miliardi di euro; prevalentemente concentrati su una ristretta cerchia di realtà spesso con impatto strategico sul territorio, ovvero strumentali. Segnatamente all’attività di private equity, è stato possibile rilevare come la politica d’investimento delle Finanziarie regionali sia complementare rispetto a quella mediamente espressa dal mercato domestico, anche se restano critici, anche per le Finanziarie, gli investimenti su imprese target con fatturato compreso tra 2 e 10 milioni di euro. Le evidenze circa la struttura dei contratti segnalano una parziale conformità alla best practice individuata dalla letteratura internazionale. In particolare l’uso limitato dello stage financing, la bassa partecipazione alla gestione sono le principali criticità individuate. Infine, della fase di riorganizzazione che pare interessare il sistema delle Finanziarie, si trova conferma nella percezione dei suoi operatori. Interpellati sul futuro dell’attività di investimento in capitale di rischio, hanno fornito indicazioni che consentono di concludere l’esistenza di una polarizzazione delle Finanziarie su due gruppi: da un lato quelle che implementeranno, più o meno, l’attività di private equity, dall’altro quelle che, viceversa, abbandoneranno tale strumento. La normativa sulle società a partecipazione pubblica regionale e la scarsa autonomia nella gestione delle misure affidate sono ritenute, dalle Finanziarie “interessate”, il principale fattore di freno alla loro crescita nel mercato del private equity.

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Lo scopo di questa tesi di dottorato è la comparazione di metodi per redarre mappe della vulnerabilità degli acquiferi all’inquinamento. Sono state redatte le mappe di vulnerabilità dell’acquifero della conoide del Reno utilizzando i metodi parametrici SINTACS (Civita e De Maio, 1997) e DRASTIC (Aller et al., 1987). E' stato elaborato un modello tridimensionale del flusso tramite l'utilizzo del software di modellistica numerica FEFLOW. I risultati ottenuti sono stati confrontati con le mappe derivanti dall'appllicazione dei PCSM. E’ stato, inoltre, approfondito lo sviluppo di un modello inverso, che, partendo dalla distruzione del carico piezometrico, fornisce la distribuzione della conducibilità idraulica dell’acquifero.La conoscenza di questo parametro è, infatti, il punto di partenza per lo sviluppo di un nuovo metodo per la definizione della vulnerabilità basato sulla caratterizzazione dell'area di acquifero potenzialmente inquinabile rispetto ad uno sversamento in superficie di un inquinante.L’indice di vulnerabilità viene definito sulla lunghezza del cammino che un inquinante percorrere nell’arco di un anno.

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Le tecniche dell'informazione e i metodi della comunicazione hanno modificato il modo di redigere documenti destinati a trasmettere la conoscenza, in un processo che è a tutt'oggi in corso di evoluzione. Anche l'attività progettuale in ingegneria ed architettura, pure in un settore caratterizzato da una notevole inerzia metodologica e restio all'innovazione quale è quello dell'industria edilizia, ha conosciuto profonde trasformazioni in ragione delle nuove espressioni tecnologiche. Da tempo l'informazione necessaria per realizzare un edificio, dai disegni che lo rappresentano sino ai documenti che ne indicano le modalità costruttive, può essere gestita in maniera centralizzata mediante un unico archivio di progetto denominato IPDB (Integrated Project DataBase) pur essendone stata recentemente introdotta sul mercato una variante più operativa chiamata BIM (Building Information Modelling). Tuttavia l'industrializzazione del progetto che questi strumenti esplicano non rende conto appieno di tutti gli aspetti che vedono la realizzazione dell'opera architettonica come collettore di conoscenze proprie di una cultura progettuale che, particolarmente in Italia, è radicata nel tempo. La semantica della rappresentazione digitale è volta alla perequazione degli elementi costitutivi del progetto con l'obiettivo di catalogarne le sole caratteristiche fabbricative. L'analisi della letteratura scientifica pertinente alla materia mostra come non sia possibile attribuire ai metodi ed ai software presenti sul mercato la valenza di raccoglitori omnicomprensivi di informazione: questo approccio olistico costituisce invece il fondamento della modellazione integrata intesa come originale processo di rappresentazione della conoscenza, ordinata secondo il paradigma delle "scatole cinesi", modello evolvente che unifica linguaggi appartenenti ai differenti attori compartecipanti nei settori impiantistici, strutturali e della visualizzazione avanzata. Evidenziando criticamente i pregi e i limiti operativi derivanti dalla modellazione integrata, la componente sperimentale della ricerca è stata articolata con l'approfondimento di esperienze condotte in contesti accademici e professionali. Il risultato conseguito ha coniugato le tecniche di rilevamento alle potenzialità di "modelli tridimensionali intelligenti", dotati cioè di criteri discriminanti per la valutazione del relazionamento topologico dei componenti con l'insieme globale.

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I moderni sistemi embedded sono equipaggiati con risorse hardware che consentono l’esecuzione di applicazioni molto complesse come il decoding audio e video. La progettazione di simili sistemi deve soddisfare due esigenze opposte. Da un lato è necessario fornire un elevato potenziale computazionale, dall’altro bisogna rispettare dei vincoli stringenti riguardo il consumo di energia. Uno dei trend più diffusi per rispondere a queste esigenze opposte è quello di integrare su uno stesso chip un numero elevato di processori caratterizzati da un design semplificato e da bassi consumi. Tuttavia, per sfruttare effettivamente il potenziale computazionale offerto da una batteria di processoriè necessario rivisitare pesantemente le metodologie di sviluppo delle applicazioni. Con l’avvento dei sistemi multi-processore su singolo chip (MPSoC) il parallel programming si è diffuso largamente anche in ambito embedded. Tuttavia, i progressi nel campo della programmazione parallela non hanno mantenuto il passo con la capacità di integrare hardware parallelo su un singolo chip. Oltre all’introduzione di multipli processori, la necessità di ridurre i consumi degli MPSoC comporta altre soluzioni architetturali che hanno l’effetto diretto di complicare lo sviluppo delle applicazioni. Il design del sottosistema di memoria, in particolare, è un problema critico. Integrare sul chip dei banchi di memoria consente dei tempi d’accesso molto brevi e dei consumi molto contenuti. Sfortunatamente, la quantità di memoria on-chip che può essere integrata in un MPSoC è molto limitata. Per questo motivo è necessario aggiungere dei banchi di memoria off-chip, che hanno una capacità molto maggiore, come maggiori sono i consumi e i tempi d’accesso. La maggior parte degli MPSoC attualmente in commercio destina una parte del budget di area all’implementazione di memorie cache e/o scratchpad. Le scratchpad (SPM) sono spesso preferite alle cache nei sistemi MPSoC embedded, per motivi di maggiore predicibilità, minore occupazione d’area e – soprattutto – minori consumi. Per contro, mentre l’uso delle cache è completamente trasparente al programmatore, le SPM devono essere esplicitamente gestite dall’applicazione. Esporre l’organizzazione della gerarchia di memoria ll’applicazione consente di sfruttarne in maniera efficiente i vantaggi (ridotti tempi d’accesso e consumi). Per contro, per ottenere questi benefici è necessario scrivere le applicazioni in maniera tale che i dati vengano partizionati e allocati sulle varie memorie in maniera opportuna. L’onere di questo compito complesso ricade ovviamente sul programmatore. Questo scenario descrive bene l’esigenza di modelli di programmazione e strumenti di supporto che semplifichino lo sviluppo di applicazioni parallele. In questa tesi viene presentato un framework per lo sviluppo di software per MPSoC embedded basato su OpenMP. OpenMP è uno standard di fatto per la programmazione di multiprocessori con memoria shared, caratterizzato da un semplice approccio alla parallelizzazione tramite annotazioni (direttive per il compilatore). La sua interfaccia di programmazione consente di esprimere in maniera naturale e molto efficiente il parallelismo a livello di loop, molto diffuso tra le applicazioni embedded di tipo signal processing e multimedia. OpenMP costituisce un ottimo punto di partenza per la definizione di un modello di programmazione per MPSoC, soprattutto per la sua semplicità d’uso. D’altra parte, per sfruttare in maniera efficiente il potenziale computazionale di un MPSoC è necessario rivisitare profondamente l’implementazione del supporto OpenMP sia nel compilatore che nell’ambiente di supporto a runtime. Tutti i costrutti per gestire il parallelismo, la suddivisione del lavoro e la sincronizzazione inter-processore comportano un costo in termini di overhead che deve essere minimizzato per non comprometterre i vantaggi della parallelizzazione. Questo può essere ottenuto soltanto tramite una accurata analisi delle caratteristiche hardware e l’individuazione dei potenziali colli di bottiglia nell’architettura. Una implementazione del task management, della sincronizzazione a barriera e della condivisione dei dati che sfrutti efficientemente le risorse hardware consente di ottenere elevate performance e scalabilità. La condivisione dei dati, nel modello OpenMP, merita particolare attenzione. In un modello a memoria condivisa le strutture dati (array, matrici) accedute dal programma sono fisicamente allocate su una unica risorsa di memoria raggiungibile da tutti i processori. Al crescere del numero di processori in un sistema, l’accesso concorrente ad una singola risorsa di memoria costituisce un evidente collo di bottiglia. Per alleviare la pressione sulle memorie e sul sistema di connessione vengono da noi studiate e proposte delle tecniche di partizionamento delle strutture dati. Queste tecniche richiedono che una singola entità di tipo array venga trattata nel programma come l’insieme di tanti sotto-array, ciascuno dei quali può essere fisicamente allocato su una risorsa di memoria differente. Dal punto di vista del programma, indirizzare un array partizionato richiede che ad ogni accesso vengano eseguite delle istruzioni per ri-calcolare l’indirizzo fisico di destinazione. Questo è chiaramente un compito lungo, complesso e soggetto ad errori. Per questo motivo, le nostre tecniche di partizionamento sono state integrate nella l’interfaccia di programmazione di OpenMP, che è stata significativamente estesa. Specificamente, delle nuove direttive e clausole consentono al programmatore di annotare i dati di tipo array che si vuole partizionare e allocare in maniera distribuita sulla gerarchia di memoria. Sono stati inoltre sviluppati degli strumenti di supporto che consentono di raccogliere informazioni di profiling sul pattern di accesso agli array. Queste informazioni vengono sfruttate dal nostro compilatore per allocare le partizioni sulle varie risorse di memoria rispettando una relazione di affinità tra il task e i dati. Più precisamente, i passi di allocazione nel nostro compilatore assegnano una determinata partizione alla memoria scratchpad locale al processore che ospita il task che effettua il numero maggiore di accessi alla stessa.

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I continui sviluppi nel campo della fabbricazione dei circuiti integrati hanno comportato frequenti travolgimenti nel design, nell’implementazione e nella scalabilità dei device elettronici, così come nel modo di utilizzarli. Anche se la legge di Moore ha anticipato e caratterizzato questo trend nelle ultime decadi, essa stessa si trova a fronteggiare attualmente enormi limitazioni, superabili solo attraverso un diverso approccio nella produzione di chip, consistente in pratica nella sovrapposizione verticale di diversi strati collegati elettricamente attraverso speciali vias. Sul singolo strato, le network on chip sono state suggerite per ovviare le profonde limitazioni dovute allo scaling di strutture di comunicazione condivise. Questa tesi si colloca principalmente nel contesto delle nascenti piattaforme multicore ad alte prestazioni basate sulle 3D NoC, in cui la network on chip viene estesa nelle 3 direzioni. L’obiettivo di questo lavoro è quello di fornire una serie di strumenti e tecniche per poter costruire e aratterizzare una piattaforma tridimensionale, cosi come dimostrato nella realizzazione del testchip 3D NOC fabbricato presso la fonderia IMEC. Il primo contributo è costituito sia una accurata caratterizzazione delle interconnessioni verticali (TSVs) (ovvero delle speciali vias che attraversano l’intero substrato del die), sia dalla caratterizzazione dei router 3D (in cui una o più porte sono estese nella direzione verticale) ed infine dal setup di un design flow 3D utilizzando interamente CAD 2D. Questo primo step ci ha permesso di effettuare delle analisi dettagliate sia sul costo sia sulle varie implicazioni. Il secondo contributo è costituito dallo sviluppo di alcuni blocchi funzionali necessari per garantire il corretto funziomento della 3D NoC, in presenza sia di guasti nelle TSVs (fault tolerant links) che di deriva termica nei vari clock tree dei vari die (alberi di clock indipendenti). Questo secondo contributo è costituito dallo sviluppo delle seguenti soluzioni circuitali: 3D fault tolerant link, Look Up Table riconfigurabili e un sicnronizzatore mesocrono. Il primo è costituito fondamentalmente un bus verticale equipaggiato con delle TSV di riserva da utilizzare per rimpiazzare le vias guaste, più la logica di controllo per effettuare il test e la riconfigurazione. Il secondo è rappresentato da una Look Up Table riconfigurabile, ad alte prestazioni e dal costo contenuto, necesaria per bilanciare sia il traffico nella NoC che per bypassare link non riparabili. Infine la terza soluzione circuitale è rappresentata da un sincronizzatore mesocrono necessario per garantire la sincronizzazione nel trasferimento dati da un layer and un altro nelle 3D Noc. Il terzo contributo di questa tesi è dato dalla realizzazione di un interfaccia multicore per memorie 3D (stacked 3D DRAM) ad alte prestazioni, e dall’esplorazione architetturale dei benefici e del costo di questo nuovo sistema in cui il la memoria principale non è piu il collo di bottiglia dell’intero sistema. Il quarto ed ultimo contributo è rappresentato dalla realizzazione di un 3D NoC test chip presso la fonderia IMEC, e di un circuito full custom per la caratterizzazione della variability dei parametri RC delle interconnessioni verticali.

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Il tema generale di ricerca oggetto della presente trattazione è rappresentato dal diritto di difesa nel procedimento de libertate. Esso costituisce un tema da sempre controverso, materia di vivaci e mai sopiti dibattiti sia in dottrina che in giurisprudenza, poiché si colloca in un punto nevralgico non solo del procedimento penale, ma, addirittura, dell’intero ordinamento giuridico di uno stato, poiché in esso si incontrano, e sovente si scontrano, le istanze di garanzia del cittadino contro indebite limitazioni ante iudicium della libertà personale, da un lato, e le esigenze di tutela della collettività e del processo dai pericula libertatis (inquinamento delle prove, rischio di fuga, pericolo di reiterazione dei reati), dall’altro. Detto in altri termini, il procedimento de libertate è esattamente il luogo in cui un ordinamento che voglia definirsi liberale, nella sua naturale e incessante evoluzione, tenta faticosamente di trovare un equilibrio tra autorità e libertà. Trattandosi, per ovvie ragioni, di un argomento vastissimo, che spazia dall’esercizio del diritto di difesa nella fase applicativa delle misure cautelari personali, alle impugnazioni delle misure medesime, dalla revoca o sostituzione delle stesse al giudicato cautelare sulle decisioni de libertate, etc., il campo della ricerca è stato circoscritto a due temi specifici che interessano direttamente il diritto di difesa, limitatamente alla fase dell’applicazione delle misure cautelari personali, e che presentano profili di originalità, per alcune importanti modifiche intervenute a livello sia di legislazione ordinaria che di legislazione costituzionale: 1) l’accertamento dei gravi indizi di colpevolezza; 2) il principio del contraddittorio nel procedimento cautelare, alla luce dell’art. 111 Cost. Siffatti temi, apparentemente disomogenei, sono, in realtà, profondamente correlati tra loro, rappresentando, per usare una locuzione spicciola, l’uno la “sostanza” e l’altro “la forma” del procedimento de libertate, ed insieme concorrono ad individuare un modello di giusto processo cautelare.

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I viaggi e gli studi compiuti in Croazia, Montenegro e Bosnia Erzegovina in occasione della Tesi di Laurea hanno costituito l’occasione per comprendere quanto sia consistente il retaggio di Roma antica sulla sponda orientale dell’Adriatico. Nello stesso tempo si è potuto constatare che, per diversi motivi, dal punto di vista prettamente scientifico, la ricchezza di questo patrimonio archeologico aveva sino allora trovato soltanto poche occasioni di studio. Da qui la necessità di provvedere a un quadro completo e generale relativo alla presenza romana in un territorio come quello della provincia romana di Dalmatia che, pur considerando la sua molteplicità geografica, etnica, economica, culturale, sociale e politica, ha trovato, grazie all’intervento di Roma, una sua dimensione unitaria, un comune denominatore, tanto da farne una provincia che ebbe un ruolo fondamentale nella storia dell’Impero. Il lavoro prende le mosse da una considerazione preliminare e generale, che ne costituisce quasi lo spunto metodologico più determinante: la trasmissione della cultura e dei modelli di vita da parte di Roma alle altre popolazioni ha creato un modello in virtù del quale l’imperialismo romano si è in certo modo adattato alle diverse culture incontrate ed assimilate, dando vita ad una rete di culture unite da elementi comuni, ma anche profondamente diversificate per sintesi originali. Quella che pare essere la chiave di lettura impiegata è la struttura di un impero a forma di “rete” con forti elementi di coesione, ma allo stesso tempo dotato di ampi margini di autonomia. E questo a cominciare dall’analisi dei fattori che aprirono il cammino dell’afflusso romano in Dalmatia e nello stesso tempo permisero i contatti con il territorio italico. La ricerca ne analizza quindi i fattori:il diretto controllo militare, la costruzione di una rete viaria, l’estensione della cittadinanza romana, lo sviluppo della vita locale attraverso la formazione di una rete di municipi, i contatti economici e l’immigrazione di genti romanizzate. L’analisi ha posto in evidenza una provincia caratterizzata da notevoli contraddizioni, che ne condizionarono – presso entrambi i versanti del Velebit e delle Alpi Dinariche – lo sviluppo economico, sociale, culturale e urbanistico. Le profonde differenze strutturali tra questi due territori rimasero sempre presenti: la zona costiera divenne, sotto tutti i punti di vista, una sorta di continuazione dell’Italia, mntre quella continentale non progredì di pari passo. Eppure l’influenza romana si diffuse anche in questa, così che essa si pote conformare, in una certa misura, alla zona litoranea. Come si può dedurre dal fatto che il severo controllo militare divenne superfluo e che anche questa regione fu dotata progressivamente di centri amministrati da un gruppo dirigente compiutamente integrato nella cultura romana. Oltre all’analisi di tutto ciò che rientra nel processo di acculturazione dei nuovi territori, l’obiettivo principale del lavoro è l’analisi di uno degli elementi più importanti che la dominazione romana apportò nei territori conquistati, ovvero la creazione di città. In questo ambito relativamente periferico dell’Impero, qual è il territorio della provincia romana della Dalmatia, è stato dunque possibile analizzare le modalità di creazione di nuovi centri e di adattamento, da parte di Roma, ai caratteri locali dell’insediamento, nonché ai condizionamenti ambientali, evidenziando analogie e differenze tra le città fondate. Prima dell’avvento di Roma, nessuna delle regioni entrate a far parte dei territori della Dalmatia romana, con la sola eccezione della Liburnia, diede origine a centri di vero e proprio potere politico-economico, come ad esempio le città greche del Mediterraneo orientale, tali da continuare un loro sviluppo all’interno della provincia romana. In altri termini: non si hanno testimonianze di insediamenti autoctoni importanti che si siano trasformati in città sul modello dei centri provinciali romani, senza aver subito cambiamenti radicali quali una nuova pianificazione urbana o una riorganizzazione del modello di vita locale. Questo non significa che la struttura politico-sociale delle diverse tribù sia stata cambiata in modo drastico: almeno nelle modeste “città” autoctone, nelle quali le famiglie appaiono con la cittadinanza romana, assieme agli ordinamenti del diritto municipale, esse semplicemente continuarono ad avere il ruolo che i loro antenati mantennero per generazioni all’interno della propria comunità, prima della conquista romana. Il lavoro mette compiutamente in luce come lo sviluppo delle città nella provincia abbia risentito fortemente dello scarso progresso politico, sociale ed economico che conobbero le tribù e le popolazioni durante la fase pre-romana. La colonizzazione greca, troppo modesta, non riuscì a far compiere quel salto qualitativo ai centri autoctoni, che rimasero sostanzialmente privi di concetti basilari di urbanistica, anche se è possibile notare, almeno nei centri costieri, l’adozione di tecniche evolute, ad esempio nella costruzione delle mura. In conclusione questo lavoro chiarisce analiticamente, con la raccolta di un’infinità di dati (archeologici e topografici, materiali ed epigrafici, e desunti dalle fonti storiche), come la formazione della città e l’urbanizzazione della sponda orientale dell’adriatico sia un fenomeno prettamente romano, pur differenziato, nelle sue dinamiche storiche, quasi caso per caso. I dati offerti dalla topografia delle città della Dalmatia, malgrado la scarsità di esempi ben documentati, sembrano confermare il principio della regolarità degli impianti urbani. Una griglia ortogonale severamente applicata la si individua innanzi tutto nelle città pianificate di Iader, Aequum e, probabilmente, anche a Salona. In primis nelle colonie, quindi, ma non esclusivamente. Anche numerosi municipi sviluppatisi da insediamenti di origine autoctona hanno espresso molto presto la tendenza allo sviluppo di un sistema ortogonale regolare, se non in tutta l’area urbana, almeno nei settori di più possibile applicazione. Ne sono un esempio Aenona, Arba, Argiruntum, Doclea, Narona ed altri. La mancanza di un’organizzazione spaziale regolare non ha tuttavia compromesso l’omogeneità di un’attrezzatura urbana tesa alla normalizzazione, in cui i componenti più importanti, forum e suoi annessi, complessi termali, templi dinastici e capitolia, si avviano a diventare canonici. Le differenze più sensibili, che pure non mancano, sembrano dipendere dalle abitudini delle diverse etnie, dai condizionamenti topografici e dalla disponibilità finanziaria dei notabili. Una città romana non può prendere corpo in tutta la sua pienezza solo per la volontà del potere centrale. Un progetto urbanistico resta un fatto teorico finché non si realizzano le condizioni per cui si fondano due fenomeni importantissimi: uno socio-culturale, che consiste nell’emergenza di una classe di notabili “fortunati” desiderosi di dare a Roma dimostrazioni di lealtà, pronti a rispondere a qualsiasi sollecitazione da parte del potere centrale e addirittura ad anticiparlo; l’altro politico-amministrativo, che riguarda il sistema instaurato da Roma, grazie al quale i suddetti notabili possono godere di un certo potere e muoversi in vista della promozione personale nell’ambito della propria città. Aiuti provenienti dagli imperatori o da governatori provinciali, per quanto consistenti, rimangono un fatto non sistematico se non imprevedibile, e rappresentano comunque un episodio circoscritto. Anche se qualche città risulta in grado di costruire pecunia publica alcuni importanti edifici del quadro monumentale, il ruolo del finanziamento pubblico resta relativamente modesto. Quando la documentazione epigrafica esiste, si rivela che sono i notabili locali i maggiori responsabili della costruzione delle opere pubbliche. Sebbene le testimonianze epigrafiche siano scarse e, per la Dalmatia non sia possibile formulare un quadro completo delle committenze che favorirono materialmente lo sviluppo architettonico ed artistico di molti complessi monumentali, tuttavia è possibile osservare e riconoscere alcuni aspetti significativi e peculiari della provincia.

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The vertical profile of aerosol in the planetary boundary layer of the Milan urban area is studied in terms of its development and chemical composition in a high-resolution modelling framework. The period of study spans a week in summer of 2007 (12-18 July), when continuous LIDAR measurements and a limited set of balloon profiles were collected in the frame of the ASI/QUITSAT project. LIDAR observations show a diurnal development of an aerosol plume that lifts early morning surface emissions to the top of the boundary layer, reaching maximum concentration around midday. Mountain breeze from Alps clean the bottom of the aerosol layer, typically leaving a residual layer at around 1500-2000 m which may survive for several days. During the last two days under analysis, a dust layer transported from Sahara reaches the upper layers of Milan area and affects the aerosol vertical distribution in the boundary layer. Simulation from the MM5/CHIMERE modelling system, carried out at 1 km horizontal resolution, qualitatively reproduced the general features of the Milan aerosol layer observed with LIDAR, including the rise and fall of the aersol plume, the residual layer in altitude and the Saharan dust event. The simulation highlighted the importance of nitrates and secondary organics in its composition. Several sensitivity tests showed that main driving factors leading to the dominance of nitrates in the plume are temperature and gas absorption process. A modelling study turn to the analysis of the vertical aerosol profiles distribution and knowledge of the characterization of the PM at a site near the city of Milan is performed using a model system composed by a meteorological model MM5 (V3-6), the mesoscale model from PSU/NCAR and a Chemical Transport Model (CTM) CHIMERE to simulate the vertical aerosol profile. LiDAR continuous observations and balloon profiles collected during two intensive campaigns in summer 2007 and in winter 2008 in the frame of the ASI/QUITSAT project have been used to perform comparisons in order to evaluate the ability of the aerosol chemistry transport model CHIMERE to simulate the aerosols dynamics and compositions in this area. The comparisons of model aerosols with measurements are carried out over a full time period between 12 July 2007 and 18 July 2007. The comparisons demonstrate the ability of the model to reproduce correctly the aerosol vertical distributions and their temporal variability. As detected by the LiDAR, the model during the period considered, predicts a diurnal development of a plume during the morning and a clearing during the afternoon, typically the plume reaches the top of the boundary layer around mid day, in this time CHIMERE produces highest concentrations in the upper levels as detected by LiDAR. The model, moreover can reproduce LiDAR observes enhancement aerosols concentrations above the boundary layer, attributing the phenomena to dust out intrusion. Another important information from the model analysis regard the composition , it predicts that a large part of the plume is composed by nitrate, in particular during 13 and 16 July 2007 , pointing to the model tendency to overestimates the nitrous component in the particular matter vertical structure . Sensitivity study carried out in this work show that there are a combination of different factor which determine the major nitrous composition of the “plume” observed and in particular humidity temperature and the absorption phenomena are the mainly candidate to explain the principal difference in composition simulated in the period object of this study , in particular , the CHIMERE model seems to be mostly sensitive to the absorption process.

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Il concetto di "core training" è ampiamente diffuso nelle moderne metodologie di allenamento, nonostante sia spesso collegato a pratiche da campo non pienamente supportate dalla ricerca scientifica. Il termine "core" identifica il "centro funzionale del corpo" in grado di garantire una "adeguata stabilità prossimale al fine di ottimizzare la mobilità distale", sostenendo il complesso lombo-pelvico e permettendo la connessione funzionale tra arti e tronco. La muscolatura del core, cositutita principalmente dalla regione addominale e paraspinale, è ben condizionabile dall'utilizzo di superfici instabili quali Bosu e Fitball, strumenti comuni nel settore sportivo e rieducativo ma sui quali esistono teorie e conoscenze altamente eterogenee. Obiettivo della presente tesi è, dunque, da un lato quello di confrontare una varietà di esercizi eseguibili su entrambe le superfici instabili precedentemente citate al fine di determinare le attivazioni muscolari a livello del "core", dall'altro quello di valutare gli effetti indotti da un "core training" di 8 settimane su parametri performance-specifici. Lo studio, effettuato su atleti aventi una elevata esperienza in tale settore, evidenzia valori elettromiografici superiori nella Fitball e Bosu rispetto al tappeto, seppure in maniera non significativa; circa il legame con aspetti prestativi, emerge invece come un allenamento specifico ad alto impatto nervoso, modulato secondo un target razionale, consenta di incrementare l'endurance della muscolatura addominale, l'equilibrio funzionale dinamico e la capacità di trasmissione di forze arti-tronco, giustificandone un utilizzo in vari settori dell'attività motoria.

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Nella mia tesi di dottorato mi propongo di indagare la metamorfosi del romanzo nella letteratura italiana contemporanea attraverso il lavoro di Paolo Volponi, che può essere descritto come un’«opera mondo», in accordo con la formula critica coniata da Franco Moretti. Volponi intende superare il divario fra l’io e il mondo e ricomporre il corpo come una mediazione umanistica di ragione e sensi. La sua opera può essere definita ‘epica’ perché recupera la tradizione del romanzo cavalleresco e la parodia esercitata su questa tradizione letteraria da Cervantes nel Don Chisciotte. Ma, come l’Ulysses di Joyce, è un’epica «moderna» perché fondata su una totalità disgiunta e sul conflitto dialogico, in una linea che accomuna la moltiplicazione dei punti di vista, propria del romanzo polifonico secondo Bachtin, alla pluralità di prospettive del discorso scientifico. Dopo un primo capitolo teorico, nel secondo e nel terzo capitolo della tesi i romanzi di Volponi vengono studiati in rapporto al filone dell’«epica moderna» e al genere satirico, che ha un suo modello fondativo nell’opera di Giacomo Leopardi. Il quarto capitolo si focalizza sulle ultime raccolte poetiche, che mostrano la tendenza a recuperare il linguaggio formulare e la matrice orale della poesia delle origini, servendosene per rappresentare in funzione contrappuntistica l’universo globale dell’età contemporanea.

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Con il trascorrere del tempo, le reti di stazioni permanenti GNSS (Global Navigation Satellite System) divengono sempre più un valido supporto alle tecniche di rilevamento satellitare. Esse sono al tempo stesso un’efficace materializzazione del sistema di riferimento e un utile ausilio ad applicazioni di rilevamento topografico e di monitoraggio per il controllo di deformazioni. Alle ormai classiche applicazioni statiche in post-processamento, si affiancano le misure in tempo reale sempre più utilizzate e richieste dall’utenza professionale. In tutti i casi risulta molto importante la determinazione di coordinate precise per le stazioni permanenti, al punto che si è deciso di effettuarla tramite differenti ambienti di calcolo. Sono stati confrontati il Bernese, il Gamit (che condividono l’approccio differenziato) e il Gipsy (che utilizza l’approccio indifferenziato). L’uso di tre software ha reso indispensabile l’individuazione di una strategia di calcolo comune in grado di garantire che, i dati ancillari e i parametri fisici adottati, non costituiscano fonte di diversificazione tra le soluzioni ottenute. L’analisi di reti di dimensioni nazionali oppure di reti locali per lunghi intervalli di tempo, comporta il processamento di migliaia se non decine di migliaia di file; a ciò si aggiunge che, talora a causa di banali errori, oppure al fine di elaborare test scientifici, spesso risulta necessario reiterare le elaborazioni. Molte risorse sono quindi state investite nella messa a punto di procedure automatiche finalizzate, da un lato alla preparazione degli archivi e dall’altro all’analisi dei risultati e al loro confronto qualora si sia in possesso di più soluzioni. Dette procedure sono state sviluppate elaborando i dataset più significativi messi a disposizione del DISTART (Dipartimento di Ingegneria delle Strutture, dei Trasporti, delle Acque, del Rilevamento del Territorio - Università di Bologna). E’ stato così possibile, al tempo stesso, calcolare la posizione delle stazioni permanenti di alcune importanti reti locali e nazionali e confrontare taluni fra i più importanti codici scientifici che assolvono a tale funzione. Per quanto attiene il confronto fra i diversi software si è verificato che: • le soluzioni ottenute dal Bernese e da Gamit (i due software differenziati) sono sempre in perfetto accordo; • le soluzioni Gipsy (che utilizza il metodo indifferenziato) risultano, quasi sempre, leggermente più disperse rispetto a quelle degli altri software e mostrano talvolta delle apprezzabili differenze numeriche rispetto alle altre soluzioni, soprattutto per quanto attiene la coordinata Est; le differenze sono però contenute in pochi millimetri e le rette che descrivono i trend sono comunque praticamente parallele a quelle degli altri due codici; • il citato bias in Est tra Gipsy e le soluzioni differenziate, è più evidente in presenza di determinate combinazioni Antenna/Radome e sembra essere legato all’uso delle calibrazioni assolute da parte dei diversi software. E’ necessario altresì considerare che Gipsy è sensibilmente più veloce dei codici differenziati e soprattutto che, con la procedura indifferenziata, il file di ciascuna stazione di ciascun giorno, viene elaborato indipendentemente dagli altri, con evidente maggior elasticità di gestione: se si individua un errore strumentale su di una singola stazione o se si decide di aggiungere o togliere una stazione dalla rete, non risulta necessario il ricalcolo dell’intera rete. Insieme alle altre reti è stato possibile analizzare la Rete Dinamica Nazionale (RDN), non solo i 28 giorni che hanno dato luogo alla sua prima definizione, bensì anche ulteriori quattro intervalli temporali di 28 giorni, intercalati di sei mesi e che coprono quindi un intervallo temporale complessivo pari a due anni. Si è così potuto verificare che la RDN può essere utilizzata per l’inserimento in ITRF05 (International Terrestrial Reference Frame) di una qualsiasi rete regionale italiana nonostante l’intervallo temporale ancora limitato. Da un lato sono state stimate le velocità ITRF (puramente indicative e non ufficiali) delle stazioni RDN e, dall’altro, è stata effettuata una prova di inquadramento di una rete regionale in ITRF, tramite RDN, e si è verificato che non si hanno differenze apprezzabili rispetto all’inquadramento in ITRF, tramite un congruo numero di stazioni IGS/EUREF (International GNSS Service / European REference Frame, SubCommission for Europe dello International Association of Geodesy).

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Nelle attuali organizzazioni sanitarie non è raro trovare operatori sanitari i quali ritengono che la relazione con il paziente consista nell'avere adeguate competenze tecniche inerenti la professione e nell'applicarle con attenzione e diligenza. Peraltro si tende ad invocare il “fattore umano”, ma si lamenta poi che l’operatore si rapporti col paziente in modo asettico e spersonalizzato. Da un punto di vista scientifico il termine “relazione” in psicologia si riferisce essenzialmente ai significati impliciti e quasi sempre non consapevoli veicolati da qualunque relazione: dipende pertanto dalla struttura psichica dei due interlocutori investendo in particolare la sfera dell’affettività e procede per processi comunicativi che travalicano il linguaggio verbale e con esso le intenzioni razionali e coscienti. La relazione interpersonale quindi rientra nel più ampio quadro dei processi di comunicazione: sono questi o meglio i relativi veicoli comunicazionali, che ci dicono della qualità delle relazioni e non viceversa e cioè che i processi comunicazionali vengano regolati in funzione della relazione che si vuole avere (Imbasciati, Margiotta, 2005). Molti studi in materia hanno dimostrato come, oltre alle competenze tecnicamente caratterizzanti la figura dell’infermiere, altre competenze, di natura squisitamente relazionale, giochino un ruolo fondamentale nel processo di ospedalizzazione e nella massimizzazione dell’aderenza al trattamento da parte del paziente, la cui non osservanza è spesso causa di fallimenti terapeutici e origine di aumentati costi sanitari e sociali. Questo aspetto è però spesso messo in discussione a favore di un maggiore accento sugli aspetti tecnico professionali. Da un “modello delle competenze” inteso tecnicisticamente prende origine infatti un protocollo di assistenza infermieristica basato sull’applicazione sistematica del problem solving method: un protocollo preciso (diagnosi e pianificazione) guida l’interazione professionale fra infermiere e la persona assistita. A lato di questa procedura il processo di assistenza infermieristica riconosce però anche un versante relazionale, spesso a torto detto umanistico riferendosi alla soggettività dei protagonisti interagenti: il professionista e il beneficiario dell’assistenza intesi nella loro globalità bio-fisiologica, psicologica e socio culturale. Nel pensiero infermieristico il significato della parola relazione viene però in genere tradotto come corrispondenza continua infermiere-paziente, basata sulle dimensioni personali del bisogno di assistenza infermieristica e caratterizzata da un modo di procedere dialogico e personalizzato centrato però sugli aspetti assistenziali, in cui dall’incontro degli interlocutori si determinerebbe la natura delle cure da fornire ed i mezzi con cui metterle in opera (Colliere, 1992; Motta, 2000). Nell’orientamento infermieristico viene affermata dunque la presenza di una relazione. Ma di che relazione si tratta? Quali sono le capacità necessarie per avere una buona relazione? E cosa si intende per “bisogni personali”? Innanzitutto occorre stabilire cosa sia la buona relazione. La buona o cattiva relazione è il prodotto della modalità con cui l’operatore entra comunque in interazione con il proprio paziente ed è modulata essenzialmente dalle capacità che la sua struttura, consapevole o no, mette in campo. DISEGNO DELLA LA RICERCA – 1° STUDIO Obiettivo del primo studio della presente ricerca, è un’osservazione delle capacità relazionali rilevabili nel rapporto infermiere/paziente, rapporto che si presume essere un caring. Si è voluto fissare l’attenzione principalmente su quelle dimensioni che possono costituire le capacità relazionali dell’infermiere. Questo basandoci anche su un confronto con le aspettative di relazione del paziente e cercando di esplorare quali collegamenti vi siano tra le une e le altre. La relazione e soprattutto la buona relazione non la si può stabilire con la buona volontà, né con la cosiddetta sensibilità umana, ma necessita di capacità che non tutti hanno e che per essere acquisite necessitano di un tipo di formazione che incida sulle strutture profonde della personalità. E’ possibile ipotizzare che la personalità e le sue dimensioni siano il contenitore e gli elementi di base sui quali fare crescere e sviluppare capacità relazionali mature. Le dimensioni di personalità risultano quindi lo snodo principale da cui la ricerca può produrre i suoi risultati e da cui si è orientata per individuare gli strumenti di misura. La motivazione della nostra scelta dello strumento è da ricercare quindi nel tentativo di esplorare l’incidenza delle dimensioni e sottodimensioni di personalità. Tra queste si è ritenuto importante il costrutto dell’Alessitimia, caratteristico nel possesso e quindi nell’utilizzo, più o meno adeguato, di capacità relazionali nel processo di caring,

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Il presente lavoro si occupa dell’analisi numerica di combustione di gas a basso potere calorifico (gas di sintesi derivanti da pirolisi di biomasse). L’analisi è stata condotta su due principali geometrie di camera di combustione. La prima è un bruciatore sperimentale da laboratorio adatto allo studio delle proprietà di combustione del singas. Esso è introdotto in camera separatamente rispetto ad una corrente d’aria comburente al fine di realizzare una combustione non-premiscelata diffusiva in presenza di swirl. La seconda geometria presa in considerazione è la camera di combustione anulare installata sulla microturbina a gas Elliott TA 80 per la quale si dispone di un modello installato al banco al fine dell’esecuzione di prove sperimentali. I principali obbiettivi conseguiti nello studio sono stati la determinazione numerica del campo di moto a freddo su entrambe le geometrie per poi realizzare simulazioni in combustione mediante l’utilizzo di diversi modelli di combustione. In particolare è stato approfondito lo studio dei modelli steady laminar flamelet ed unsteady flamelet con cui sono state esaminate le distribuzioni di temperatura e delle grandezze tipiche di combustione in camera, confrontando i risultati numerici ottenuti con altri modelli di combustione (Eddy Dissipation ed ED-FR) e con i dati sperimentali a disposizione. Di importanza fondamentale è stata l’analisi delle emissioni inquinanti, realizzata per entrambe le geometrie, che mostra l’entità di tali emissioni e la loro tipologia. Relativamente a questo punto, il maggior interesse si sposta sui risultati ottenuti numericamente nel caso della microturbina, per la quale sono a disposizione misure di emissione ottenute sperimentalmente. Sempre per questa geometria è stato inoltre eseguito il confronto fra microturbina alimentata con singas a confronto con le prestazioni emissive ottenute con il gas naturale. Nel corso dei tre anni, l’esecuzione delle simulazioni e l’analisi critica dei risultati ha suggerito alcuni limiti e semplificazioni eseguite sulle griglie di calcolo realizzate per lo studio numerico. Al fine di eliminare o limitare le semplificazioni o le inesattezze, le geometrie dei combustori e le griglie di calcolo sono state migliorate ed ottimizzate. In merito alle simulazioni realizzate sulla geometria del combustore della microturbina Elliott TA 80 è stata condotta dapprima l’analisi numerica di combustione a pieno carico per poi analizzare le prestazioni ai carichi parziali. Il tutto appoggiandosi a tecniche di simulazione RANS ed ipotizzando alimentazioni a gas naturale e singas derivato da biomasse. Nell’ultimo anno di dottorato è stato dedicato tempo all’approfondimento e allo studio della tecnica Large Eddy Simulation per testarne una applicazione alla geometria del bruciatore sperimentale di laboratorio. In tale simulazione è stato implementato l’SGS model di Smagorinsky-Lilly completo di combustione con modelli flamelet. Dai risultati sono stati estrapolati i profili di temperatura a confronto con i risultati sperimentali e con i risultati RANS. Il tutto in diverse simulazioni a diverso valore del time-step imposto. L’analisi LES, per quanto migliorabile, ha fornito risultati sufficientemente precisi lasciando per il futuro la possibilità di approfondire nuovi modelli adatti all’applicazione diretta sulla MTG.

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La ricerca si propone come studio teorico e analitico basato sulla traduzione letteraria e audiovisiva del genere diasporico, esemplificato nel romanzo The Namesake – L’omonimo di J. Lahiri e nel film The Namesake – Il destino nel nome di M. Nair. Si sviluppa, quindi, un doppio percorso di analisi, concentrandosi sulla traduzione interlinguistica di due modalità testuali differenti, quella letteraria (il testo narrativo) e quella audiovisiva (in particolare, il doppiaggio). L’approccio teorico è di stampo interdisciplinare, come risulta sempre più imprescindibile nel campo dei Translation Studies: infatti, si cerca di coniugare prospettive di natura più linguistica, quali i Descriptive Translation Studies (in particolare, Toury 1995) e lo sviluppo degli studi sui cosiddetti ‘universali traduttivi’, con approcci di stampo più culturalista, in particolare gli studi sulla traduzione post-coloniali, con le loro riflessioni sui concetti di ‘alterità’ e ‘ibridismo’. Completa il quadro teorico di riferimento una necessaria definizione e descrizione del genere diasporico relativo alla cultura indiana, in rapporto sia al contesto di partenza (statunitense) sia al contesto di arrivo (italiano) per entrambi i testi presi in considerazione. La metodologia scelta per l’indagine è principalmente di natura linguistica, con l’adozione del modello elaborato dallo studioso J. Malone (1988). L’analisi empirica, accompagnata da una serie di riflessioni teoriche e linguistiche specifiche, si concentra su tre aspetti cruciali per entrambe le tipologie testuali, quali: la resa della naturalezza dei dialoghi nel discorso letterario e in quello filmico, la rappresentazione del multiculturalismo e delle varietà linguistiche caratterizzanti i due testi di partenza e i numerosi riferimenti culturo-specifici delle due opere e la loro traduzione in italiano. Si propongono, infine, alcune considerazioni in ottica intersemiotica in relazione alle tre aree individuate, a integrazione dell’indagine in chiave interlinguistica.

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Nella presente analisi si è avuta l’eccezionale disponibilità di dati longitudinali su molti individui (6000studenti frequentanti le scuole superiori bolognesi). Per ottenere un modello che al meglio spiegasse e riproducesse l’andamento degli esiti scolastici (promozione alla classe successiva) tenendo conto del percorso scolastico nel tempo, si è scelto il modello a curva latente condizionato. La variabile risposta è combinazione lineare dell’esito di fine anno (Promosso/Non promosso); riassume, per ogni studente/anno scolastico, classe frequentata ed esito finale. Le variabili esplicative sono state selezionate tra le informazioni disponibili per gli individui. Vengono presentati alcuni dati aggregati, poi descritti i dati individuali che entreranno nel modello, evidenziando la composizione degli studenti. La prima fase è la stima del modello logistico, con specificazione delle criticità, che hanno indotto alla scelta successiva del modello dipendente dal tempo. Dopo la descrizione della metodologia principale utilizzata, la teoria del conditionalLCM, e la selezione degli indicatori di fitting, viene delineata la procedura di stima, e raggiunto il modello ottimale. Le variabili significative per spiegare l’andamento delle promozioni individuali nel tempo risultano: cittadinanza (italiani con risultati significativamente migliori degli stranieri), sesso (ragazze con percorso scolastico mediamente migliore dei ragazzi: la differenza risulta però significativa soltanto negli istituti tecnici e professionali), tipologia di scuola frequentata (studenti del liceo con risultati significativamente migliori di chi frequenta altri tipi di istituto). I risultati risultano fortemente dipendenti dai dati impiegati, specie riguardo al limite territoriale. Precedenti analisi evidenziavano una forte differenziazione dei risultati scolastici tra studenti del nord e del sud Italia, oltre che tra studenti dei comuni maggiormente popolati e studenti dei comuni di provincia. Sarebbe interessante disporre di dati individuali analoghi a quelli qui utilizzati, ma riferiti all’intero territorio nazionale, oppure ad un zona maggiormente vasta dell’Italia, onde saggiare l’entità dell’influenza sul percorso scolastico,ed in particolare sulla regolarità, della differenza territoriale.