123 resultados para Biblioteca nazionale centrale di Roma


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La definizione dell’ordinamento dell’Unione come ordinamento costituzionale è centrale, ma resta frammentata. Per restituirle sistematicità è importante individuare un principio sul quale poggiarne il consolidamento. Per questo si è scelto di esaminare il principio di non discriminazione attraverso l’analisi della giurisprudenza, con l’obiettivo di verificare se questo principio è parte fondamentale dell’identità costituzionale dell’Unione Europea. Nella prima parte della tesi si analizza la struttura del giudizio sulla discriminazione davanti alla CGUE e davanti alla CEDU, mettendo in evidenza come la struttura ricordi sempre di più quella del giudizio di costituzionalità. Nella seconda parte ci si concentra sul contributo dato dal principio di non discriminazione all’identità costituzionale dell’Unione Europea attraverso la lotta contro specifiche tipologie di discriminazione. Poiché i motivi di discriminazione sono molto numerosi, si è stabilito di esaminare quei motivi che sono regolati dal diritto derivato. Per questo la seconda parte dell’analisi si è concentrata sulle discriminazioni a motivo della nazionalità (dir. 2004/38/CE), della razza (dir. 2000/43/CE), del genere (dir. 2006/54/CE, dir. 2004/113/CE) dell’età, disabilità, religione ed orientamento sessuale (dir. 2000/78/CE). Dall’analisi della giurisprudenza e del diritto derivato che ne dà attuazione è possibile comprendere che questo principio, oltre ad essere sostenuto da un vero e proprio giudizio di legittimità costituzionale (il rinvio pregiudiziale), ha gli strumenti necessari a permetterne lo sviluppo tenendo conto delle identità costituzionali degli stati membri e può aiutare ad offrire delle risposte rispetto a uno dei problemi fondamentali inerenti all’efficacia del diritto dell’Unione Europea: la tensione fra il principio di attribuzione e la dottrina degli effetti diretti. Le conclusioni di questo lavoro portano a sostenere che è possibile individuare una giurisprudenza della Corte che, attraverso alcuni passaggi fondamentali (le sentenze Mangold, Kucukdeveci, Hay, Deckmyn e Zambrano), definisce il principio di non discriminazione come principio fondamentale, e costituzionale, del diritto dell’Unione Europea.

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Nel presente studio ci si è proposti di valutare la presenza e diffusione della leishmaniosi in una provincia dell’Italia centrale (Rieti) che, per caratteristiche ambientali (prevalentemente montuosa, clima freddo-secco) poco sembra prestarsi al ciclo della malattia. A questo scopo sono stati calcolati: i) sieroprevalenza grezza nella popolazione canina (2006-2013) e prevalenza media annuale ii) casi di leishmaniosi viscerale (LV) e cutanea (LC) (2000-2013). Catture di flebotomi sono state effettuate per due stagioni consecutive (2011-2012) per ogni sito sono stati registrati i dati climatici (temperatura, umidità etc.) ed altitudine. I flebotomi sono stati sottoposti a ricerca di Leishmania mediante PCR. La sieroprevalenza grezza per leishmania varia da 0 a 76,9% e la prevalenza media annuale non presenta un trend lineare. Sono stati registrati 6 casi di LV tutti in pazienti italiani tutti residenti in provincia di Rieti. I flebotomi sono stati rilevati in 5 dei 6 siti monitorati fino agli 800 m s.l.m., seppur con basse densità. Sono state identificate le seguenti specie: P. perniciosus (6,4 %), P. perfiliewi (1,8%), P. mascittii (0,1%) e S. minuta (91,7 %). E’ stata rilevata una correlazione statisticamente significativa (r=0,69, p<0,001) tra numero di flebotomi e temperatura giornaliera (Tmed°C) ed una correlazione negativa significativa (r= -0,51, p<0,05) con l’umidità relativa (Umed%). La ricerca di leishmania ha dato esito negativo in tutti i flebotomi analizzati. Questi rilievi suggeriscono l’endemia della leishmaniosi nella provincia di Rieti.

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Il settore suinicolo ricopre un ruolo rilevante nel contesto nazionale, con ricadute economiche e sociali di primaria importanza in varie regioni. Tuttavia da alcuni anni il settore si trova in crisi a causa dell’instabilità dei mercati internazionali, dello scarso coordinamento tra gli attori della filiera, della progressiva riduzione della redditività dei prodotti trasformati a Denominazione di Origine, della mancata valorizzazione dei tagli di carne fresca, nonché della difficoltà di aggredire i mercati esteri. Altre criticità riguardano la distribuzione del valore lungo la filiera e la scarsa efficacia delle politiche di coordinamento finora adottate. L'obiettivo della ricerca è quello di identificare gli elementi che possono garantire maggiore equilibrio di potere negoziale tra allevatori suinicoli e macellatori rispetto alla situazione attuale: verificati gli elementi critici che caratterizzano la relazione commerciale tra allevatori e macellatori, si avanzano alcune proposte operative utili al superamento delle fratture tra la componente agricola e quella dei macelli in Emilia Romagna. La struttura della tesi è la seguente: (capitolo 1) si descrive il quadro economico del settore suinicolo a livello internazionale e nazionale. Successivamente (capitolo 2) si passano in rassegna le teorie economiche utili a comprendere le ragioni alla base del malfunzionamento dei rapporti tra gli attori della filiera agroalimentare, mentre nel terzo capitolo è richiamato il quadro normativo comunitario, nazionale e regionale all’interno del quale tali relazioni si configurano. Nel quarto capitolo si elabora un modello interpretativo al fine di spiegare le fratture che oggi contraddistinguono le relazioni in essere tra gli attori della filiera: il “modello delle fratture”. Alla luce di questa concettualizzazione è stata svolta un’indagine diretta svolta presso gli operatori aderenti all’Organizzazione Interprofessionale del Gran Suino Italiano, i cui risultati hanno consentito di valutare l’efficacia del modello interpretativo e di fornire indicazioni migliorative della strategia di governance delle relazioni tra allevatori e macellatori.