163 resultados para Affido, Mediatore, Culturale


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L’attività di ricerca è focalizzata sull’analisi delle normative in materia di contratto di lavoro a termine in Italia, Francia e Spagna. Si tratta di Stati che, al pari del nostro, fanno un grandissimo uso di tale fattispecie, divenuta nei fatti il principale canale di ingresso nel mondo del lavoro, con percentuali complessive di rapporti a tempo determinato anche superiori a quelle italiane. Il confronto con due Paesi a noi vicini da un punto di vista giuridico, culturale e sociale è servito allo scopo di valutare la razionalità e l’opportunità delle profonde modifiche apportate alla disciplina generale da parte del decreto-legge n. 34/2014 (c.d. Decreto Poletti) ed ancora prima dalla riforma del sistema risarcitorio ad opera della legge n. 183/2010. Per ciascun ordinamento sono prese in considerazione le regole finalizzate alla tutela dei diritti dei lavoratori a termine, nonché gli orientamenti giurisprudenziali che hanno contribuito, specie in materia di non discriminazione, ad implementare il livello di protezione della posizione dei lavoratori stessi. Specifica attenzione viene dedicata, inoltre, alla disciplina del pubblico impiego, settore in cui si riscontra spesso un uso distorto delle assunzioni a tempo determinato, come testimoniano le vicende degli agents contractuels francesi e dei lavoratori c.d. indefinidos no fijos de plantilla. La conclusione della tesi è affidata allo studio del contenzioso originato dai tre Stati avanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, al fine di isolare eventuali momenti di sintesi delle differenze delle rispettive regolamentazioni. L’elemento aggregante che affiora dai dicta del supremo organo di giustizia comunitario è il principio di stabilità dell’impiego, la cui portata generale e trasversale può essere utile al fine di orientare l’attività produttiva e interpretativa delle norme nazionali nella direzione di un’implementazione delle tutele spettanti ai prestatori di lavoro a termine.

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Secondo il Report IFAD sulla povertà rurale, nel 2008, circa due terzi della popolazione africana viveva nelle aree rurali ed era in qualche modo coinvolta in attività agricole commerciali o di sussistenza (IFAD, 2011). L’agricoltura rappresenta il più importante settore economico per la popolazione africana e le donne risultano cruciali per la produzione agricola: rappresentano infatti il 62,8 per cento della forza lavoro (FAO, 2014). Dopo la crisi alimentare del 2007-2008 si è andato intensificando il fenomeno delle acquisizione di terre su larga scala in paesi del Sud del mondo, in particolare nel continente africano, da parte di multinazionali, governi, aziende nazionali e singoli soggetti privati. Questo processo è stato denominato anche land grabbing dalle principali organizzazioni internazionali e della società civile e ha avuto grande impatto mediatico a livello internazionale. L'intensificarsi del fenomeno ha portato a una progressiva perdita di controllo e accesso ad ampie porzioni di territorio da parte delle comunità locali, che non possono più disporre delle risorse naturali collegate alla terra. La cessione di ampi terreni avviene in molti casi senza trasparenza informativa, con violazione dei diritti umani e senza il consenso delle comunità che vi abitano e che coltivano tali aree, e a cui viene imposto un cambio radicale di vita. La terra è una risorsa centrale per l'identità, il sostentamento e la sicurezza alimentare di una comunità, dunque le conseguenze sono molteplici a livello sociale, culturale, economico e politico. Gli impatti sulle relazioni di genere e in particolare sulle donne delle comunità rurali risultano essere cruciali nel discorso sullo sviluppo. L’obiettivo di questo lavoro è indagare come le relazioni di genere, a seguito delle trasformazioni nella gestione della terra, si modificano amplificando squilibri già esistenti e creando conseguenze sulle logiche di potere delle comunità rurali e sulle vite delle persone che ne fanno parte.

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Questa tesi coniuga metodologie tradizionali e nuove tecnologie per far luce sulla straordinaria proliferazione di immagini musicali che caratterizza il ducato di Alfonso I d’Este (1505-1534) e offrire la possibilità di esplorare in modo nuovo uno degli ambienti più significativi del Rinascimento: il Camerino delle Pitture, studiolo del Duca. Il lavoro svolto ha portato all’individuazione di 60 opere finora mai analizzate da un punto di vista iconografico-musicale, ad eccezione di pochissimi casi, e alla creazione del primo catalogo iconografico-musicale sulla Ferrara di Alfonso I (vol. II). Il vol. I della tesi espone gli approfondimenti critici. Il corpus raccolto nel catalogo è inquadrato nel particolare contesto culturale di ricercata sinergia tra le arti, alla luce della dimensione cortese del consumo musicale ma soprattutto del valore identitario che Alfonso stesso attribuiva alla musica. Le immagini musicali sono quindi analizzate nella duplice veste di testimonianze storiche (sui contesti esecutivi, sulle sonorità degli ensembles, sulla diffusione e l’interesse per alcuni strumenti e sul loro valore di emblemi dell’elegante ed armonica vita cortese) e di omaggio verso il Duca, i suoi gusti artistici e le sue vedute culturali. Ad Alfonso e alle sue identificazioni mitologiche è dedicata la seconda parte. Un accurato profilo caratteriale prelude all’analisi di alcune delle opere più significative della committenza alfonsina con particolare attenzione ai capolavori provenienti dai suoi studioli, lo Studio dei Marmi e il Camerino delle Pitture. Quest’ultimo è al centro anche della terza ed ultima parte della tesi che ne propone, in conclusione, un’originale elaborazione 3D in cui è possibile avere informazioni storico-critiche sulle opere e, soprattutto, ascoltare una registrazione inedita del canone di Adrian Willaert raffigurato nel Baccanale degli Andrii di Tiziano, autentico manifesto identitario e culturale di Alfonso.

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A partire dalla caduta di Costantinopoli (1453) il problema dell’espansionismo ottomano acquisì progressiva importanza negli equilibri politici europei, scandendo con momenti di tregua e ostilità i rapporti tra Ponente e Levante per i successivi due secoli. Le conseguenze di tali tensioni politiche si riversarono sulla ritrattistica dei principi europei, il cui nuovo ruolo di eroi antiturchi trovò espressione, coerentemente con la diffusa lettura del problema ottomano in un’ottica di comparatio temporum, nell’istituzione di parallelismi con figure d’eroi antecedenti, della storia o del mito. Tali immagini allegoriche principesche hanno costituito il soggetto del presente studio e sono state indagate attraverso tre focus su altrettanti contesti cronologici, compresi tra la presa turca della capitale dell’Impero bizantino e la riconquista cristiana di Tunisi (1535). La considerazione di questo arco temporale, meno indagato rispetto a cronologie successive, ha consentito di individuare e rendere ragione di alcune specificità iconografiche delle immagini allegoriche dei principi antiturchi: tra queste in primis è emerso un movimento oscillatorio tra il riuso di iconografie sacrali-cavalleresche, di matrice crociata, e l’impiego di un repertorio di modelli eroici antichi, elaborato ad hoc nel detto frangente storico-culturale, le cui origini sono state rintracciate negli scritti encomiastici ed esortativi degli umanisti italiani attivi nel secondo Quattrocento. I casi di studio presi in esame hanno inoltre conferito alla ricerca un carattere d’interesse anche in rapporto agli studi sulla ritrattistica d’identificazione, annoverando una serie di diverse forme di espressione visiva della comparazione eroica, delle quali il ritratto in veste eroica costituisce la manifestazione più compiuta. Sia sul frangente iconografico sia su quello tipologico, i risultati ottenuti della ricerca sono infine stati verificati, in sede di conclusioni, su un succinto corpus di opere esteso al tardo Cinquecento e al Seicento.

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The ever-growing interest in scientific techniques, able to characterise the materials and rediscover the steps behind the execution of a painting, makes them widely accepted in its investigation. This research discusses issues emerging from attribution and authentication studies and proposes best practise for the characterisation of materials and techniques, favouring the contextualisation of the results in an integrated approach; the work aims to systematically classify paintings in categories that aid the examination of objects. A first grouping of paintings is based on the information initially available on them, identifying four categories. A focus of this study is the examination of case studies, spanning from the 16th to the 20th century, to evaluate and validate different protocols associated to each category, to show problems arising from paintings and explain advantages and limits of the approach. The research methodology incorporates a combined set of scientific techniques (non-invasive, such as technical imaging and XRF, micro-invasive, such as optical microscopy, SEM-EDS, FTIR, Raman microscopy and in one case radiocarbon dating) to answer the questions and, if necessary for the classification, exhaustively characterise the materials of the paintings, as the creation and contribution of shared technical databases related to various artists and their evolution over time is an objective tool that benefits this kind of study. The reliability of a close collaboration among different professionals is an essential aspect of this research to comprehensively study a painting, as the integration of stylistic, documentary and provenance studies corroborates the scientific findings and helps in the successful contextualisation of the results and the reconstruction of the history of the object.

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La ricerca di dottorato affronta lo studio della cultura materiale dell’abitato dell’età del Bronzo di Mursia (isola di Pantelleria) attraverso l’analisi della produzione ceramica. In particolare, sono analizzati gli aspetti che permettono di ampliare l’inquadramento culturale del sito, sia nella sua articolazione interna che nei rapporti con le coeve comunità del Mediterraneo centrale nella prima metà del II millennio a.C. La ricerca inizia con l’illustrazione delle recenti prospettive di studio della Preistoria del Mediterraneo, un tema al centro di un intenso dibattito incentrato sul riconoscimento delle identità culturali e sul ruolo delle reciproche interazioni, con particolare attenzione all’età del Bronzo. Al complesso archeologico di Mursia viene riconosciuto un carattere di eccezionalità per la spettacolare conservazione dei resti archeologici dell’abitato e della necropoli monumentale, oggetto di indagine negli ultimi decenni da parte dell’Università di Bologna e dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Le ricerche hanno consentito di mettere in luce ampie porzioni dell’abitato e di poter esaminare con elevato dettaglio la cultura materiale in rapporto alle modalità insediative diversificate nello spazio e nel tempo. L’approfondimento della ricerca del dottorato verte sullo studio dei manufatti ceramici come strumento privilegiato per definire l’identità culturale della comunità di Mursia, attraverso gli aspetti della produzione artigianale, le abitudini di preparazione e consumo dei cibi e il significato funzionale o simbolico/estetico di alcune categorie vascolari. Rispetto a precedenti presentazioni del contesto di Mursia, la ricerca di dottorato ha enfatizzato, all’interno dell’abbondante produzione ceramica, la presenza di alcune classi con decorazioni incise e impresse che per quantità e caratteri di originalità divengono un elemento aggiuntivo nella definizione della facies di Mursia. Le stesse ceramiche incise e impresse presentano elementi di affinità con una serie di produzioni vascolari coeve nell’area del Mediterraneo centrale, consentendo di affrontare il tema delle interazioni tra diversi contesti insulari

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Questa tesi indaga la relazione tra la letteratura anticontadina, fiorente in Italia a partire dalla metà del Trecento, e la realtà dei rapporti tra cittadini e contadini nel basso Medioevo italiano, con un’attenzione particolare all’area padana. Al centro dell’analisi vi sono due stereotipi satirici: il rustico ladro nei campi, che attirava su di sé l’odio feroce della classe padronale, e il villano rozzo, che mangiava alimenti poveri e del tutto estranei alla raffinata cultura alimentare cittadina. L’esame delle fonti giudiziarie, soprattutto bolognesi, conferma che l’immagine del rustico ladro aveva un saldo appiglio nella realtà, ma lo avevano anche i lamenti letterari dei contadini, riguardanti la disonestà dei padroni: vi sono infatti processi in cui i rustici riuscirono a dimostrarsi innocenti da accuse rivelatesi infondate o addirittura false. Inoltre, alcuni processi per ingiurie contro i campagnoli, insieme a episodici riferimenti in epistolari governativi e fonti normative, mostrano come il disprezzo per i villani fosse ben radicato a tutti i livelli della società cittadina. Per quanto riguarda la seconda figura – il rustico rozzo – l’esame dei libri di cucina italiani, unitamente alle descrizioni dei grandi banchetti, mostra chiaramente che non solo i prodotti, ma anche intere ricette associate in letteratura al mondo contadino rientravano nell’alimentazione delle élites: non vi era pertanto una rigida separazione tra l’ambito alimentare cittadino e quello campagnolo. La satira aveva dunque un profondo legame con la realtà, in quanto partiva sempre da un dato reale ed esprimeva un sentimento provato da una larga fascia della cittadinanza. Se ne discostava, tuttavia, quando esasperava la subalternità sociale e culturale dei contadini, negando gli evidenti aspetti di complementarità e integrazione di quel rapporto città-campagna che vedeva la prima in posizione dominante, ma la seconda tutt’altro che passiva o inerme.

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Negli ultimi anni, in Italia sono stati tradotti un gran numero di opere letterarie cinesi grazie all’impegno e alla passione di numerosi sinologi, studiosi e traduttori italiani. Tuttavia, gli studi sulla traduzione della letteratura cinese sono, sia in Cina che in Italia, relativamente pochi e non sempre uniformi: in Cina è difficile trovare dati completi, sistematici e dotati di un certo valore di riferimento, e in Italia, una ricerca di questo tipo ha avuto origine nell’ambito degli studi sinologici italiani, piuttosto che in quello degli studi sulla traduzione. A partire da una rassegna dei principali approcci agli studi sulla traduzione (letteraria) dalla seconda metà del XX secolo fino ai nostri giorni, questo lavoro di tesi tenta di analizzare da un lato le tendenze generali relative alla traduzione e alla pubblicazione delle opere letterarie cinesi in Italia in un arco temporale che va dal 1942 al 2018, tramite alcune analisi di tipo sia quantitativo che qualitativo basate su una tabella di dati concernenti la letteratura cinese sul mercato editoriale italiano che è stata costruita appositamente; dall’altro, questa ricerca intende investigare le strategie utilizzate per tradurre i diversi riferimenti culturali riscontrati nel corpus di testi scelti e che sono stati suddivisi nelle seguenti categorie: antroponimi, intertestualità, riferimenti al contesto politico e culturale, gastronomia e altri riferimenti culturali. Attraverso un’analisi comparativa e descrittiva dei testi di partenza e dei testi di arrivo, ai fini della tesi si sono indagate le problematiche riguardanti la traduzione e la ricezione della letteratura cinese in Italia e le tendenze che tale letteratura ha avuto sia in ambito editoriale che nel campo della traduzione letteraria.

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Dans l’Antiquité, la recherche sur la technique permet les premières réalisations de dispositifs ingénieux, tels que des appareils qui accomplissent une série d’actions par le biais de stimulus externes et de mécanismes cachés. Les organismes politiques et religieux saisissent rapidement la puissance communicative de ces machines, en devenant les promoteurs et patrons privilégiés de leur production. L’Empire sassanide (224-650) ne constitue pas une exception. En effet, les souverains perses consacrent, au moins à l’époque tardive, une grande attention à la conception et au déploiement de dispositifs savants. De même, un siècle plus tard, dans le milieu du califat islamique, les Abbassides (750-1258) semblent s’entourer de tels dispositifs. La continuité entre les deux empires dans plusieurs domaines, de la théorie politique à l’administration, est bien connue. Cependant, la question de la réutilisation du patrimoine technique et scientifique ancien, et notamment sassanide, par la cour abbasside, demeure encore largement inexplorée. L’étude d’un corpus de sources, aussi vaste qu’hétérogène, rassemblant des ouvrages historiographiques, géographiques, poétiques et d’adab, ainsi que des traités scientifiques et techniques en plusieurs langues, permet d’analyser différents aspects de la production et de l’usage politique des machines. Au sein de la cour sassanide, comme de la cour abbasside, la machine s’avère constituer un véhicule préférentiel de représentation et de diffusion de l’idéologie politique. À travers sa mise en scène publique, elle contribue de manière substantielle à la définition de l’espace du pouvoir, en participant à la création d’une image de la cour comme un microcosme au cœur duquel le Roi des rois, et plus tard le calife, occupaient le rôle cardinal de maître incontesté du monde. La continuité entre les empires sassanide et abbasside dans le domaine technique ne se limite donc pas à une récupération de savoirs, mais s’opère aussi sous la forme d’une véritable réactivation d’un patrimoine symbolique

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The development of bipedal locomotion was gradual during evolution, and with the increase in discoveries of fossils and, in particular, in discoveries of pedal bones, the attention to this problematic has grown in the last decades. Moreover, the discoveries of juveniles fossil foot bones has led the attention to the evolution and the development of bipedal locomotion. The study of the development of human gait in children may help in shedding light to the development of human locomotion. The human talus plays a pivotal role, linking the leg to the foot and receiving and distributing the weight, while permitting a wide range of foot movements. It is also present at birth, and this makes a perfect bone to study to disentangle how the bone structure acts to cope with the changes in locomotion and body weight. Here, I analyze the external and internal morphology of the human talus from the perinatal period to adolescence, to investigate how the different phases of the acquisition of bipedal gait affect talar morphology, and how the bone copes with the weight gain during growth. Results show that the talar internal and external morphologies change in line with the different activities and loading of the foot. Initially, at around birth, the talus has a very globular and immature external shape, with a very dense trabecular architecture, composed of thin, numerous, and densely packed trabeculae, with a rather isotropic structure. External and internal morphologies change in relation to the different loading patterns which follow during growth, showing a more specialized structure, both in the external and internal morphology, linked to the maturation of bipedal locomotion, until the adult-like pattern is reached, during adolescence.

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Il presente contributo intende ricostruire la vicenda storica delle associazioni caritative ebraiche attive a Modena durante l’età Moderna. Attraverso l’analisi dei registri, che si sono conservati nei più svariati archivi e che sono rimasti fino ad oggi per la maggior parte inesplorati, appartenuti alle diverse compagnie o confraternite modenesi, si è tentato di ricostruire non solo la vicenda storica di questi istituti, ma parte della storia della società ebraica, con le sue problematiche, rinchiusa all’interno del ghetto. Partendo dal concetto misnaico di Sedaqah, fino ad arrivare al concetto filantropico di beneficienza, attraverso il fondamentale il paragone con le confraternite cristiane, e l’analisi delle confraternite delle altre città italiane già ampiamente studiate, tramite lo studio di questi registri, in particolare gli statuti e le regole che queste associazioni si davano, è stato possibile ricostruire aspetti rilevanti della vita materiale e culturale che hanno caratterizzato la collettività ebraica di Modena durante l’età Modena. La comunità modenese era popolata da più di quindici confraternite, attive nello stesso periodo storico, che avevano scopi sia religiosi che di beneficienza verso quella parte della popolazione più bisognosa di aiuto, ed ha ospitato una confraternita tutta al femminile che è risultata essere un unicum in Europa, poiché si è conservata per intero la sua documentazione, cosa non avvenuta per altre confraternite femminili. Questo studio intende fornire una panoramica delle suddette fonti, per la maggior parte inedite, di estrema importanza per la ricostruzione di aspetti rilevanti della vita materiale e culturale della collettività ebraica modenese.

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La ricerca tenta di descrivere le fisionomie storico-archeologiche della colonizzazione romano-latina dell’Italia medio adriatica dalla prospettiva dei fenomeni religiosi e delle dinamiche attinenti al culto. Ci si interroga, in particolare, sui rapporti tra romanizzazione e sfera del “sacro” e su quali siano stati gli esiti e i riflessi sul piano religioso della dialettica culturale tra Tirreno e Adriatico in età repubblicana. Ovvero, su come le dinamiche proprie del culto e del rito fossero coinvolte, riflettendoli, nei più ampi processi di scambio e di interazione culturale correlati alla colonizzazione romano-latina del comparto medio adriatico della Penisola tra III e I secolo a.C. Partendo dalla sistematizzazione razionale di una base documentaria significativa e attraverso il riesame critico di un dossier storico-archeologico eterogeneo, la ricerca procede con taglio tematico verso la ricostruzione dei cd. “sacra coloniali” e dei principali aspetti che concorrono alla definizione di una fenomenologia del sacro della colonizzazione romano-latina dell’Italia medio adriatica.

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Il rapporto di Antonio Canova con la società e la cultura inglese è da sempre considerato di fondamentale importanza, ma solo negli ultimi anni è stato oggetto di studi più approfonditi, tuttavia per lo più limitati alle vicende della committenza artistica: una riflessione che ambisse a tenere insieme le fila delle molteplici sfaccettature del tema ricostruendo ed interconnettendo tra loro gli aspetti alla base di questa relazione di mutuo arricchimento mancava ancora nella pur ricchissima bibliografia canoviana. Per poter intraprendere una simile indagine, si è preso le mosse dalla quanto mai corposa documentazione archivistica e dalle molte fonti a stampa dell'epoca, integralmente trascritte nelle quattro appendici a corredo di questo studio. Se ne sono tratti un piccolo dizionario biografico di tutte le personalità britanniche in rapporto con l'artista nell'arco della sua intera carriera ed un catalogo di oltre sessanta opere in vario modo legate alla committenza ed al collezionismo inglese. Nel saggio, invece, la disamina del tema in oggetto è stata condotta affrontandone in ciascun capitolo singoli aspetti distintivi: la committenza e la mutua influenza culturale; le relazioni politiche e diplomatiche intercorse tra Canova ed il Regno Unito attraverso la sua arte; lo straordinario favore goduto dallo scultore in terra inglese e le ragioni profonde della sua precoce sforuna critica; infine il suo rapporto con le arti figurative e letterarie britanniche, un ambito di ricerca complesso e relativamente originale per il quale si è avviata un'indagine introduttiva utile, si spera, ad impostare la ricerca per futuri approfondimenti. L'obiettivo perseguito, pertanto, è quello di gettare uno sguardo finalmente generale su di un fenomeno che, osservato nella sua interezza, può ancora spiegare moltissimo sulla figura e la carriera di Antonio Canova, personalità che appare, oggi più che mai, di statura europea.

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La ricerca ricostruisce e analizza la storia della raccolta d’arte appartenuta al ramo senatorio della famiglia Malvezzi della Ca’ Grande all’interno del variegato panorama collezionistico bolognese settecentesco. La volontà di indagarne lo sviluppo è motivata sia dalla sua esemplarità che dal suo carattere eccezionale. Fondata da Piriteo III (1658-1728) con l’acquisto e la commissione di una cinquantina di dipinti, sia di artisti contemporanei sia di maestri antichi, a cui si aggiungono le opere ereditate dagli antenati, la raccolta fu accresciuta nell’arco di sole tre generazioni. Il principale artefice dell’ampliamento del patrimonio pittorico del casato fu il figlio Sigismondo III (1703-1787), tramite il quale confluì nella quadreria anche l’importante collezione del marchese Paolo Magnani, suo zio materno. Compiendo scelte collezionistiche originali rispetto a quelle d’ordine marcatamente municipalistico, Sigismondo raccolse per la galleria della Ca’ Grande numerose opere di artisti stranieri, glorificati e ricercati in campo europeo, ma estranei di norma al gusto petroniano dell’epoca. Al marchese spetta, inoltre, l’acquisizione del celebre nucleo di opere tre-quattrocentesche, che andò a formare la Camera degli Antichi. Secondo principi illuministici, questi mirava a possedere una sorta di ideale museo privato, ove fosse possibile ammirare il progresso dell’arte petroniana dalle origini sino alla modernità e istituire paragoni fra le più importanti scuole pittoriche. Anche l’erede Piriteo IV (1734-1806) continuò ad ampliare la collezione, compiendo acquisti più limitati, ma non per questo meno significativi. Alla sua morte si estinse la linea maschile del ramo senatorio, per cui la prestigiosa quadreria fu divisa tra le figlie Maria (1780-1865) e Teresa (1782-1811). La raccolta Malvezzi non ebbe la fortuna di confluire entro collezioni durature, cosicché in cinquant’anni quella che fu una delle più importanti gallerie della Bologna settecentesca è stata irrimediabilmente dispersa.

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La ricerca aveva come obiettivo principale quello di esaminare i sinodi svoltisi nell’Impero Romano d'Oriente, in Italia e in Africa nel periodo compreso tra il 325 e 787. L’obiettivo era quello di porre particolare attenzione a tutti quei temi legati all’organizzazione, alla logistica, ai luoghi di svolgimento e agli aspetti cerimoniali collegati ai momenti di manifestazione dell’autorità ecclesiastica e civile, poco noti nella storiografia moderna. Poco, infatti, si conosce delle forme di convocazione dei presuli, degli itinerari e delle modalità di viaggio che essi affrontavano per raggiungere la sede conciliare; è inoltre particolarmente difficile ricostruire i regolamenti che caratterizzavano le discussioni del consesso riunito, le modalità di voto e la formulazione delle deliberazioni; poco si conosce ad oggi anche delle varie categorie di persone che prendevano parte attiva ai dibattiti con funzioni e ruoli differenti e le varie tipologie di luoghi e aule impiegate per le riunioni e per l’ospitalità dei partecipanti, delle modalità di sfruttamento degli spazi da loro occupati e del cerimoniale che doveva essere rigorosamente seguito dai presenti. Sulla base di una prima campionatura introduttiva basata sui primi tre volumi dell'opera di Hefele-Leclercq coniugati con la raccolta di atti conciliari del Mansi, sono stati censiti più di 300 sinodi di varia natura. Partendo da questo dato preliminare sono stati selezionati 80 casi per i quali è stato possibile risalire all’edificio in cui i dibattiti sinodali si svolsero e intorno ai quali è stata svolta l’intera ricerca.