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Resumo:
Il primo capitolo della tesi verte sull’ultimo anno di vita del Partito d’Azione, sulle modalità di partecipazione di Lombardi allo scontro elettorale del 1948 nelle liste del Fronte democratico popolare, e sul breve periodo di direzione ‘centrista’ del Psi a cavallo tra il 1948 e il 1949, quando Lombardi, appena entratovi, fu magna pars nel gruppo dirigente del partito. Il secondo capitolo abbraccia il periodo in cui Lombardi agì all’interno del Psi ‘morandiano’, o frontista: si è cercato di dare ragione sia dell’inserimento di Lombardi nelle logiche del frontismo socialista, sia della peculiarità di quell’inserimento negli ambiti privilegiati della politica economica e della politica estera. Oggetto del terzo capitolo è il ruolo giocato da Lombardi nella definizione delle linee guida dell’autonomismo socialista, un ruolo fattosi via via più pregnante a partire dal 1956, che ebbe la sua massima consacrazione col XXXIV Congresso del Psi, celebrato a Milano nel 1961: centrale in questo periodo la riflessione lombardiana sulle «riforme di struttura», un argomento che ci si è sforzati di inquadrare storicamente, sfuggendo dai luoghi comuni storiografici di cui spesso – con lodevoli eccezioni – è caduto vittima. Tali «riforme di struttura» Lombardi avrebbe voluto alla base dei governi di centro-sinistra. La tesi si chiude con un ultimo capitolo dedicato ad illustrare l’apporto di Lombardi al quarto Governo Fanfani e al primo Governo Moro, il ruolo da lui giocato nella loro nascita e il suo progressivo allontanamento da quell’esperimento che era stato, in gran parte, sua creatura.
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L’oggetto di studio dela tesi sono proprio le relazioni esistenti tra la Politica e la Pubblica Amministrazione dalla prospettiva dei dirigenti pubblici. Ancora più concretamente, l’analisi proposta si basa sull’articolazione di tale rapporto nel modello di funzione pubblica adottato in Italia e in Spagna. La tesi è strutturata in tre grandi capitoli. Il primo di essi verte, in generale, sullo studio delle relazioni tra la Politica e la Pubblica Amministrazione in Spagna. Il secondo capitolo, sarà destinato allo studio del rapporto tra politica e pubblica amministrazione in Italia, affrontato secondo una prospettiva storica. Nel terzo ed ultimo capitolo viene affrontato in modo dettagliato il regime giuridico del personale dirigente in vigore, così come appare delineato dopo la riforma realizzata dalla legge n. 15/2009, sviluppata attraverso il d.lgs. n. 150/2009, ovvero la cosiddetta riforma “Brunetta”.
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Nei processi di progettazione e produzione tramite tecnologie di colata di componenti in alluminio ad elevate prestazioni, risulta fondamentale poter prevedere la presenza e la quantità di difetti correlabili a design non corretti e a determinate condizioni di processo. Fra le difettologie più comuni di un getto in alluminio, le porosità con dimensioni di decine o centinaia di m, note come microporosità, hanno un impatto estremamente negativo sulle caratteristiche meccaniche, sia statiche che a fatica. In questo lavoro, dopo un’adeguata analisi bibliografica, sono state progettate e messe a punto attrezzature e procedure sperimentali che permettessero la produzione di materiale a difettologia e microstruttura differenziata, a partire da condizioni di processo note ed accuratamente misurabili, che riproducessero la variabilità delle stesse nell’ambito della reale produzione di componenti fusi. Tutte le attività di progettazione delle sperimentazioni, sono state coadiuvate dall’ausilio di software di simulazione del processo fusorio che hanno a loro volta beneficiato di tarature e validazioni sperimentali ad hoc. L’apparato sperimentale ha dimostrato la propria efficacia nella produzione di materiale a microstruttura e difettologia differenziata, in maniera robusta e ripetibile. Utilizzando i risultati sperimentali ottenuti, si è svolta la validazione di un modello numerico di previsione delle porosità da ritiro e gas, ritenuto ad oggi allo stato dell’arte e già implementato in alcuni codici commerciali di simulazione del processo fusorio. I risultati numerici e sperimentali, una volta comparati, hanno evidenziato una buona accuratezza del modello numerico nella previsione delle difettologie sia in termini di ordini di grandezza che di gradienti della porosità nei getti realizzati.
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Il presupposto della ricerca consiste nel riconosciuto valore storico-testimoniale e identitario e in un significativo potenziale d’indicazione pianificatoria e progettuale che detengono in sé i segni del paesaggio rurale tradizionale. Allo stato attuale, sebbene tali valori vengano ampiamente affermati sia nell’ambiente normativo-amministrativo che in quello scientifico, è tuttora riscontrabile una carenza di appropriati metodi e tecniche idonei a creare opportuni quadri conoscitivi per il riconoscimento, la catalogazione e il monitoraggio dei paesaggi rurali tradizionali a supporto di politiche, di piani e di progetti che interessano il territorio extraurbano. La ricerca si prefigge l’obiettivo generale della messa a punto di un set articolato ed originale di strumenti analitici e interpretativi di carattere quantitativo idonei per lo studio delle trasformazioni fisiche dei segni del paesaggio rurale tradizionale e per la valutazione del loro grado di integrità e rilevanza alla scala dell’azienda agricola. Tale obiettivo primario si è tradotto in obiettivi specifici, il cui conseguimento implica il ricorso ad un caso studio territoriale. A tal proposito è stato individuato un campione di 11 aziende agricole assunte quali aree studio, per una superficie complessiva pari all’incirca 200 ha, localizzate nel territorio dell’alta pianura imolese (Emilia-Romagna). L’analisi e l’interpretazione quantitativa delle trasformazioni fisiche avvenute a carico dei sopraccitati segni sono state condotte a decorrere da prima dell’industrializzazione all’attualità e per numerosi istanti temporali. Lo studio si presenta sia come contributo di metodo concernente la lettura diacronica dei caratteri tradizionali spaziali e compositivi del territorio rurale, sia come contributo conoscitivo relativo alle dinamiche evolutive dei paesaggi tradizionali rurali dell’area indagata.
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La micosi fungoide (MF) è un linfoma a cellule T primitivo della cute usualmente indolente negli stadi iniziali, ma con prognosi decisamente peggiore nelle fasi avanzate, ove attualmente non sono presenti strategie terapeutiche tali da indurre remissioni durature. Recenti osservazioni indicano che alti livelli di espressione del vascular endothelial growth factor (VEGF) nelle cellule della MF sembrano correlare con una prognosi peggiore. Nel presente studio, sono state vagliate le eventuali differenze di espressione di VEGF nella MF e nei linfociti T normali. In primo luogo sono stati raffrontati 63 casi di MF con 20 campioni corrispondenti alle diverse sottopopolazioni di linfociti T normali, per stabilire quale fra questi esprimesse maggiori livelli di VEGF. Tale esperimento ha dimostrato che il gene è notevolmente più espresso nella MF. Si è provveduto a stabilire se tale dato sia da correlarsi ad un fenomeno patologico o fisiologico. Quindi sono state eseguite indagini di gene expression profiling (GEP) allo scopo di vagliare i livelli di VEGF nella popolazione linfocitaria T normale (CD4+, CD8+, HLA-DR+ e HLA-DR-): da ciò è risultato che i linfociti T attivati esprimono maggiormente VEGF e che il loro GEP è globalmente paragonabile a quello della MF. Pertanto, i linfociti T attivati sono stati considerati la controparte normale delle cellule della MF. Successivamente si è confrontata l’espressione quantitativa di VEGF nei linfociti T attivati e nelle cellule della MF, evidenziando come questa sia maggiore nella popolazione neoplastica indipendentemente dallo stadio della malattia. Le indagini immunoistochimiche condotte su 18 casi di MF, hanno confermato quanto evidenziato attraverso il GEP. Concludendo, la ricerca ha dimostrato per la prima volta l’espressione di VEGF negli elementi della MF. Ciò porta a supporre che la de-regolazione genica della via di VEGF sia correlata nella patogenesi della MF e che tale molecola possa considerarsi un potenziale bersaglio terapeutico.
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In quest’ultimi decenni si è assistito ad un notevole miglioramento nella terapia delle Leucemie Acute (LA) pediatriche, nonostante tutto si assiste oggi ad una fase di plateau della curva di sopravvivenza e le leucemie continuano a costituire la principale causa di morte pediatrica per malattia. Ulteriori progressi nel trattamento delle LA potrebbero essere ottenuti mediante studi di farmacogenomica che, identificando le componenti genetiche associate alla risposta individuale ai trattamenti farmacologici, consentono il disegno di terapie personalizzate e tumore-specifiche, ad alta efficacia e bassa tossicità per ciascun paziente. Il lavoro svolto è stato, dunque, finalizzato allo studio della farmacogenomica del farmaco antitumorale Clofarabina (CLO) nel trattamento delle LA pediatriche al fine di identificare marcatori genetici predittivi di risposta delle cellule leucemiche al farmaco, delucidare i meccanismi di resistenza cellulare ed individuare nuovi bersagli verso cui indirizzare terapie più mirate ed efficaci. L’analisi in vitro della sensibilità alla CLO di blasti provenienti da pazienti pediatrici affetti da Leucemia Acuta Linfoblastica (LAL) e Mieloide (LAM) ha consentito l’identificazione di due sottopopolazioni di cellule LAL ad immunofenotipo T a diversa sensibilità alla CLO. Mediante DNA-microarrays, si è identificata la “signature” genetica specificamente associata alla diversa risposta delle cellule LAL-T al farmaco. Successivamente, la caratterizzazione funzionale dei geni differenziali e l’analisi dei pathways hanno consentito l’identificazione specifica di potenziali biomarcatori di risposta terapeutica aprendo nuove prospettive per la comprensione dei meccanismi di resistenza cellulare alla CLO e suggerendo un nuovo bersaglio terapeutico per le forme LAL-T a bassa sensibilità al farmaco. In conclusione, nel lavoro svolto si sono identificati set di geni e pathways di rilievo biologico per la risposta delle cellule LAL-T alla CLO suggerendo marcatori genetici in grado di identificare i soggetti eleggibili per il trattamento o verso cui disegnare terapie innovative. Il lavoro è paradigma per l’applicazione della farmacogenomica in altre neoplasie.
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Self-assembly relies on the association of pre-programmed building blocks through non-covalent interactions to give complex supramolecular architectures. Previous studies provided evidence for the unique self-assembly properties of semi-synthetic lipophilic guanosine derivatives which can sequestrate ions from an aqueous phase, carry them into an organic phase where they promote the generation of well-defined supramolecular assemblies. In the presence of cations lipophilic guanosines form columnar aggregates while in their absence they generate supramolecular ribbons. The aim of this thesis has been the synthesis of guanine derivatives, in particular N9-alkylated guanines and a guanosine functionalized as a perchlorotriphenylmetil moiety (Gace-a-HPTM) in order to observe their supramolecular behaviour in the absence of sugar (ribose or deoxyribose) and in the presence of a bulky and chiral substituent respectively. By using guanine instead of guanosine, while maintaining all the hydrogen bond acceptor and donor groups required for supramolecular aggregation, the steric hindrance to supramolecular aggregation is notably reduced because (i.e. guanines with groups in N9 different from sugar are expected to have a greatest conformational freedom even in presence of bulky groups in C8). Supramolecular self-assembly of these derivatives has been accomplished in solutions by NMR and CD spectroscopy and on surface by STM technique. In analogy with other guanosine derivatives, also N9-substituted guanines and GAceHPTM form either ribbon-like aggregates or cation-templated G-quartet based columnar structures.
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Gli spermatozoi di suino sottoposti alla procedura di sessaggio mediante citofluorimetria presentano una serie di modificazioni morfo-funzionali che compromettono nel tempo la loro sopravvivenza e la capacità fecondante. Questi spermatozoi, inoltre, a causa della sensibilità ai danni indotti dalla crioconservazione, vengono solitamente conservati allo stato liquido a 15-17°C, con conseguente ulteriore peggioramento nel tempo della qualità delle cellule spermatiche sessate. Lo scopo della ricerca è stato quello di valutare le modificazioni di alcune caratteristiche morfo-funzionali degli spermatozoi in seguito a sex-sorting e conseguente conservazione. Successivamente si è cercato di migliorare i parametri qualitativi del seme sessato mediante l’aggiunta di sostanze antiossidanti e la messa a punto di una nuova metodica di conservazione. I risultati ottenuti hanno evidenziato che la procedura di sessaggio e la conseguente conservazione per 24-26 ore a 15°C hanno indotto un peggioramento significativo delle caratteristiche morfo-funzionali (vitalità, integrità acrosomiale, quantità e distribuzione dell’Hsp70, capacità fecondante). Mentre l’azione degli antiossidanti non si è rivelata efficace nel miglioramento della qualità degli spermatozoi durante le fasi di colorazione e passaggio attraverso il citofluorimetro, l’azione congiunta del plasma seminale e degli antiossidanti superossido-dismutasi ed epigallocatechina-3-gallato ha indotto un miglioramento significativo della vitalità degli spermatozoi. Per la conservazione del seme di suino è stata testata la tecnica di incapsulazione in membrane di alginato di bario che permette, durante l’inseminazione artificiale, un rilascio graduale degli spermatozoi e l’utilizzo di un quantitativo inferiore di materiale seminale. L’applicazione di tale tecnica per la conservazione degli spermatozoi di suino sessati non sembra provocare un calo significativo della vitalità, dell’integrità acrosomiale e dell’efficienza totale di fecondazione rispetto al seme sortato e conservato diluito suggerendo futuri studi in vivo. Una migliore conoscenza dei danni indotti da queste tecnologie e la loro minimizzazione potrà stimolare in futuro l’utilizzo su vasta scala del seme sessato nel suino.
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Photovoltaic (PV) conversion is the direct production of electrical energy from sun without involving the emission of polluting substances. In order to be competitive with other energy sources, cost of the PV technology must be reduced ensuring adequate conversion efficiencies. These goals have motivated the interest of researchers in investigating advanced designs of crystalline silicon solar (c-Si) cells. Since lowering the cost of PV devices involves the reduction of the volume of semiconductor, an effective light trapping strategy aimed at increasing the photon absorption is required. Modeling of solar cells by electro-optical numerical simulation is helpful to predict the performance of future generations devices exhibiting advanced light-trapping schemes and to provide new and more specific guidelines to industry. The approaches to optical simulation commonly adopted for c-Si solar cells may lead to inaccurate results in case of thin film and nano-stuctured solar cells. On the other hand, rigorous solvers of Maxwell equations are really cpu- and memory-intensive. Recently, in optical simulation of solar cells, the RCWA method has gained relevance, providing a good trade-off between accuracy and computational resources requirement. This thesis is a contribution to the numerical simulation of advanced silicon solar cells by means of a state-of-the-art numerical 2-D/3-D device simulator, that has been successfully applied to the simulation of selective emitter and the rear point contact solar cells, for which the multi-dimensionality of the transport model is required in order to properly account for all physical competing mechanisms. In the second part of the thesis, the optical problems is discussed. Two novel and computationally efficient RCWA implementations for 2-D simulation domains as well as a third RCWA for 3-D structures based on an eigenvalues calculation approach have been presented. The proposed simulators have been validated in terms of accuracy, numerical convergence, computation time and correctness of results.
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Lo scheletro è un tessuto dinamico, capace di adattarsi alle richieste funzionali grazie a fenomeni di rimodellamento ed alla peculiare proprietà rigenerativa. Tali processi avvengono attraverso l’azione coordinata di osteoclasti ed osteoblasti. Queste popolazioni cellulari cooperano allo scopo di mantenere l’ equilibrio indispensabile per garantire l’omeostasi dello scheletro. La perdita di tale equilibrio può portare ad una diminuzione della massa ossea e, ad una maggiore suscettibilità alle fratture, come avviene nel caso dell’osteoporosi. E’ noto che, nella fisiopatologia dell’osso, un ruolo cruciale è svolto da fattori endocrini e paracrini. Dati recenti suggeriscono che il rimodellamento osseo potrebbe essere influenzato dal sistema nervoso. L’ipotesi è supportata dalla presenza, nelle vicinanze dell’osso, di fibre nervose sensoriali responsabili del rilascio di alcuni neuro peptidi, tra i quali ricordiamo la sostanza P. Inoltre in modelli animali è stato dimostrato il diretto coinvolgimento del sistema nervoso nel mantenimento dell’omeostasi ossea, infatti ratti sottoposti a denervazione hanno mostrato una perdita dell’equilibrio esistente tra osteoblasti ed osteoclasti. Per tali ragioni negli ultimi anni si è andata intensificando la ricerca in questo campo cercando di comprendere il ruolo dei neuropeptidi nel processo di differenziamento dei precursori mesenchimali in senso osteogenico. Le cellule stromali mesenchimali adulte sono indifferenziate multipotenti che risiedono in maniera predominante nel midollo osseo, ma che possono anche essere isolate da tessuto adiposo, cordone ombelicale e polpa dentale. In questi distretti le MSC sono in uno stato non proliferativo fino a quando non sono richieste per processi locali di riparo e rigenerazione tessutale. MSC, opportunamente stimolate, possono differenziare in diversi tipi di tessuto connettivo quali, tessuto osseo, cartilagineo ed adiposo. L’attività di ricerca è stata finalizzata all’ottimizzazione di un protocollo di espansione ex vivo ed alla valutazione dell’influenza della sostanza P, neuropeptide presente a livello delle terminazioni sensoriali nelle vicinanze dell’osso, nel processo di commissionamento osteogenico.
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La trattazione cerca di delineare i confini teorici ed applicativi dell’istituto dell’interpretazione autentica, nella chiara consapevolezza che dietro tale tematica si celi il più complesso problema di una corretta delimitazione tra attività di legis-latio e attività di legis-executio. Il fenomeno delle leggi interpretative costituisce infatti nodo nevralgico e punto di intersezione di tre ambiti materiali distinti, ossia la teoria dell’interpretazione, la teoria delle fonti del diritto e la dottrina di matrice liberale della separazione dei poteri. All’interno del nostro ordinamento, nell’epoca più recente, si è assistito ad un aumento esponenziale di interventi legislativi interpretativi che, allo stato attuale, sono utilizzati per lo più come strumenti di legislazione ordinaria. Sotto questo profilo, il sempre più frequente ricorso alla fonte interpretativa può essere inquadrato nel più complesso fenomeno della “crisi della legge” i cui tradizionali requisiti di generalità, astrattezza ed irretroattività sono stati progressivamente abbandonati dal legislatore parallelamente con l’affermarsi dello Stato costituzionale. L’abuso dello strumento interpretativo da parte del legislatore, gravemente lesivo delle posizioni giuridiche soggettive, non è stato finora efficacemente contrastato all’interno dell’ordinamento nonostante l’elaborazione da parte della Corte costituzionale di una serie di limiti e requisiti di legittimità dell’esegesi legislativa. In tale prospettiva, diventano quindi di rilevanza fondamentale la ricerca e l’esame di strategie e rimedi, giurisdizionali ed istituzionali, tali da arginare l’“onnipotenza” del legislatore interprete. A seguito dell’analisi svolta, è maturata la consapevolezza delle potenzialità insite nella valorizzazione della giurisprudenza della Corte Edu, maggiormente incline a sanzionare l’abuso delle leggi interpretative.
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L’enzima IDO interviene nella via di degradazione del triptofano, essenziale per la vita cellulare; l’iperespressione di IDO favorisce la creazione di un microambiente immunotollerante. Nelle LAM IDO è funzionalmente attivo nelle cellule blastiche e determina l’acquisizione di un fenotipo regolatorio da parte delle cellule T alloreattive; l’espressione della proteina aumenta in modo consensuale con l’evoluzione clinica della patologia. Scopo della Tesi è indagare l’esistenza di una correlazione tra l’iperespressione di IDO da parte delle cellule leucemiche, le caratteristiche di rischio alla diagnosi e l’outcome dei pazienti. Sono stati esaminati 45 pazienti adulti affetti da LAM afferiti all’Istituto di Ematologia di Bologna. I pazienti sono stati stratificati a seconda di: età di insorgenza della leucemia, secondarietà a Mielodisplasia o radio chemioterapia, iperleucocitosi, citogenetica, biologia molecolare (sono state valutate le alterazioni a carico dei geni FLT3 ed NPM). I pazienti sono stati analizzati per l’espressione del gene IDO mediante RT-PCR, seguita da Western Blot, allo scopo di stabilire la presenza di una proteina attiva; successivamente si è proceduto a verificare l’esistenza di una correlazione tra l’espressione di IDO e le caratteristiche di rischio alla diagnosi per identificare una relazione tra l’espressione del gene ed un subset di pazienti a prognosi favorevole o sfavorevole. Dei 45 pazienti adulti affetti da LAM il 28,9% è risultato negativo per l’espressione di IDO, mentre il rimanente 71,1% è risultato positivo ed è stato suddiviso in tre ulteriori categorie, in base ai livelli di espressione. I dati non sembrano al momento suggerire l’esistenza di una correlazione tra l’espressione di IDO e le caratteristiche di rischio alla diagnosi. Nel gruppo di pazienti ad elevata espressione di IDO si riscontra un rate di resistenza alla chemioterapia di induzione più elevato, con una quota di pazienti resistenti pari al 71,4%, contro il 23,1% nel gruppo di pazienti IDO-negativi.
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The research activities described in the present thesis have been oriented to the design and development of components and technological processes aimed at optimizing the performance of plasma sources in advanced in material treatments. Consumables components for high definition plasma arc cutting (PAC) torches were studied and developed. Experimental activities have in particular focussed on the modifications of the emissive insert with respect to the standard electrode configuration, which comprises a press fit hafnium insert in a copper body holder, to improve its durability. Based on a deep analysis of both the scientific and patent literature, different solutions were proposed and tested. First, the behaviour of Hf cathodes when operating at high current levels (250A) in oxidizing atmosphere has been experimentally investigated optimizing, with respect to expected service life, the initial shape of the electrode emissive surface. Moreover, the microstructural modifications of the Hf insert in PAC electrodes were experimentally investigated during first cycles, in order to understand those phenomena occurring on and under the Hf emissive surface and involved in the electrode erosion process. Thereafter, the research activity focussed on producing, characterizing and testing prototypes of composite inserts, combining powders of a high thermal conductibility (Cu, Ag) and high thermionic emissivity (Hf, Zr) materials The complexity of the thermal plasma torch environment required and integrated approach also involving physical modelling. Accordingly, a detailed line-by-line method was developed to compute the net emission coefficient of Ar plasmas at temperatures ranging from 3000 K to 25000 K and pressure ranging from 50 kPa to 200 kPa, for optically thin and partially autoabsorbed plasmas. Finally, prototypal electrodes were studied and realized for a newly developed plasma source, based on the plasma needle concept and devoted to the generation of atmospheric pressure non-thermal plasmas for biomedical applications.
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Numerosi studi mostrano che gli intervalli temporali sono rappresentati attraverso un codice spaziale che si estende da sinistra verso destra, dove gli intervalli brevi sono rappresentati a sinistra rispetto a quelli lunghi. Inoltre tale disposizione spaziale del tempo può essere influenzata dalla manipolazione dell’attenzione-spaziale. La presente tesi si inserisce nel dibattito attuale sulla relazione tra rappresentazione spaziale del tempo e attenzione-spaziale attraverso l’uso di una tecnica che modula l’attenzione-spaziale, ovvero, l’Adattamento Prismatico (AP). La prima parte è dedicata ai meccanismi sottostanti tale relazione. Abbiamo mostrato che spostando l’attenzione-spaziale con AP, verso un lato dello spazio, si ottiene una distorsione della rappresentazione di intervalli temporali, in accordo con il lato dello spostamento attenzionale. Questo avviene sia con stimoli visivi, sia con stimoli uditivi, nonostante la modalità uditiva non sia direttamente coinvolta nella procedura visuo-motoria di AP. Questo risultato ci ha suggerito che il codice spaziale utilizzato per rappresentare il tempo, è un meccanismo centrale che viene influenzato ad alti livelli della cognizione spaziale. La tesi prosegue con l’indagine delle aree corticali che mediano l’interazione spazio-tempo, attraverso metodi neuropsicologici, neurofisiologici e di neuroimmagine. In particolare abbiamo evidenziato che, le aree localizzate nell’emisfero destro, sono cruciali per l’elaborazione del tempo, mentre le aree localizzate nell’emisfero sinistro sono cruciali ai fini della procedura di AP e affinché AP abbia effetto sugli intervalli temporali. Infine, la tesi, è dedicata allo studio dei disturbi della rappresentazione spaziale del tempo. I risultati ci indicano che un deficit di attenzione-spaziale, dopo danno emisferico destro, provoca un deficit di rappresentazione spaziale del tempo, che si riflette negativamente sulla vita quotidiana dei pazienti. Particolarmente interessanti sono i risultati ottenuti mediante AP. Un trattamento con AP, efficace nel ridurre il deficit di attenzione-spaziale, riduce anche il deficit di rappresentazione spaziale del tempo, migliorando la qualità di vita dei pazienti.
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Il primo capitolo di questo lavoro è dedicato all’opera svolta dagli amministratori locali e da un ente governativo come la Camera di commercio per arrivare a decifrare le effettive caratteristiche del quadro locale dal punto di vista economico, sociale, della percezione e del significato che assumono i consumi e gli spazi urbani ad essi dedicati. La caratteristica più originale rilevata dagli amministratori (che contano tra le proprie fila studiosi come Ardigò, Zangheri e Bellettini) è quella di una notevole omogeneità politica e culturale del quadro sociale. E questo, nonostante le massicce immigrazioni che sono, in proporzione, seconde solo quelle di Milano, ma per la stragrande maggioranza provenienti dalla stessa provincia o, al massimo, dalla regione e da analoghi percorsi di socializzazione e di formazione. Fondando essenzialmente su questa omogeneità (capitolo secondo), gli enti bolognesi cercarono di governare la trasformazione della città e anche l’espansione dei consumi che appariva colpita da eccessi e distorsioni. Facendo leva sulle pesanti crisi del 1963-1965 e del 1973-1977, gli amministratori locali puntarono ad ottenere la propria legittimazione fondandola proprio sui consumi, sulla base di una precisa cognizione del nuovo che arrivava, ma schierandosi decisamente a contenerne gli effetti dirompenti sul tessuto locale e indirizzando gli sforzi acquisitivi dei bolognesi sulla base di una temperante razionalizzazione nutrita di pianificazione urbanistica. Ritardi, spinte dal basso, ostacoli burocratici e legislativi resero questi percorsi difficili, o comunque assai poco lineari; fino a che l’ingresso negli anni Ottanta non ne modificò sensibilmente il corso. Ma questo, allo stato attuale delle conoscenze, è già tema per nuova ricerca. Il terzo capitolo è dedicato alla visualizzazione cartografica (GIS) dell’espansione degli spazi commerciali urbani durante le fasi più significative del miracolo.