265 resultados para Gestione della risorsa idrica,Piano SIMPO,Regime dei deflussi di magra,Sbarramento in alveo Po,Rubber dum


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Le sostanze perfluoralchiliche (PFAS), composti fluorurati ampiamente utilizzati negli ultimi anni in diverse applicazioni industriali e commerciali, sono ritrovati diffusamente nell’ambiente e in diverse specie animali. Recentemente i PFAS hanno destato preoccupazione anche per la salute umana. Il rischio di esposizione è principalmente legato alla dieta (i prodotti ittici sembrano essere gli alimenti più contaminati). Lo scopo di questo lavoro è stato quello di valutare la presenza del perfluorottanosulfonato (PFOS) e dell’acido perfluorottanoico (PFOA), in diverse matrici alimentari: latte vaccino commercialmente disponibile in Italia, latte materno italiano, diverse specie di pesce commercialmente disponibili in Italia e 140 branzini di diverse aree (principalmente Mediterraneo). I campioni di latte sono stati trattati con estrazione liquido-liquido seguita da due fasi di purificazione mediante cartucce SPE prima dell’iniezione nell’UPLC-MS/MS. L’analisi del latte vaccino ha evidenziato una contaminazione diffusa di PFOS, ma a basse concentrazioni (fino a 97 ng/L), mentre il PFOA è stato ritrovato raramente. In questo studio, in grado di individuare anche i livelli delle ultra-tracce, sono state osservate nel latte materno concentrazioni di 15-288 ng/L per il PFOS e di 24-241 ng/LPFOA. Le concentrazioni e le frequenze più alte, per entrambi i PFAS, sono stati ritrovate in campioni di latte forniti da donne primipare, suggerendo un rischio di esposizione per i primogeniti. Il metodo utilizzato per i campioni di pesce era basato su un’estrazione con solvente organico seguita da due fasi di purificazione: una con i sali e una con fase solida dispersiva. L’estratto, analizzato in UPLC-MS/MS, ha confermato la contaminazione di questa matrice a livelli significativi, ma anche l’alta variabilità delle concentrazioni misurate. Il monitoraggio monospecie ha mostrato una contaminazione rilevante (PFOS 11,1- > 10000 ng/L; PFOA < 9-487 ng/L), soprattutto nei branzini pescati, rispetto a quelli allevati.

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Anche se la politica editoriale comunista rappresenta un campo di indagine fondamentale nella ricerca sul Pci, la sua attività editoriale è caduta in un oblio storico. Assumendo il libro come supporto materiale e veicolo della cultura politica comunista, e la casa editrice come canale di socializzazione, questa ricerca s’interroga sui suoi processi di costruzione e di diffusione. La ricerca si muove in due direzioni. Nel primo capitolo si è tentato di dare conto delle ragioni metodologiche dell’indagine e della messa a punto delle ipotesi di ricerca sul “partito editore”, raccogliendo alcune sfide poste alla storia politica da altri ambiti disciplinari, come la sociologia e la scienza politica, che rappresentano una vena feconda per la nostra indagine. La seconda direzione, empirica, ha riguardato la ricognizione delle fonti e degli strumenti di analisi per ricostruire le vicende del “partito editore” dal 1944 al 1956. La suddivisione della ricerca in due parti – 1944-1947 e 1947-1956 – segue a grandi linee la periodizzazione classica individuata dalla storiografia sulla politica culturale del Pci, ed è costruita su quattro fratture storiche – il 1944, con la “svolta di Salerno”; il 1947, con la “svolta cominformista”; il 1953, con la morte di Stalin e il disgelo; il 1956, con il XX Congresso e i fatti d’Ungheria – che sono risultate significative anche per la nostra ricerca sull’editoria comunista. Infine, il presente lavoro si basa su tre livelli di analisi: l’individuazione dei meccanismi di decisione politica e dell’organizzazione assunta dall’editoria comunista, esaminando gli scopi e i mutamenti organizzativi interni al partito per capire come i mutamenti strategici e tattici si sono riflessi sull’attività editoriale; la ricostruzione della produzione editoriale comunista; infine, l’identificazione dei processi di distribuzione e delle politiche per la lettura promosse dal Pci.

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Ogni anno in Europa milioni di tonnellate di cibo vengono gettate via. Una stima pubblicata dalla Commissione europea afferma che, nei 27 Stati membri, 89 milioni di tonnellate di cibo, o di 179 kg pro capite, vengono scartati. Lo spreco si verifica lungo tutta la catena di agro alimentare; la riduzione dei rifiuti alimentari è diventata una delle priorità dell'agenda europea. La ricerca si concentra su un caso studio, Last Minute Market, un progetto di recupero di sprechi alimentari. L'impatto di questo progetto dal punto di vista economico e ambientale è già stato calcolato. Quello che verrà analizzato è l'impatto di questa iniziativa sulla comunità e in particolare sul capitale sociale, definito come "l'insieme di norme e reti che consentono l'azione collettiva". Obiettivo del presente lavoro è, quindi, quello di eseguire, attraverso la somministrazione di un questionario a diversi stakeholder del progetto, un’analisi confrontabile con quella del 2009 e di verificare a distanza di cinque anni, se l'iniziativa Last Minute Market abbia prodotto una crescita di capitale sociale nella comunità interessata da questa iniziativa. Per riassumere l’influenza del progetto sul capitale sociale in un indice sintetico, viene calcolato quello che verrà chiamato indice di "affidabilità del progetto" (definito in statistica, la "capacità di un prodotto, un sistema o un servizio di fornire le prestazioni richieste, per un certo periodo di tempo in condizioni predeterminate").

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Nel Comune di Ravenna, oltre 6.800 ettari di terreni agricoli sono a rischio salinizzazione, a causa dell’alta salinità delle acque sotterranee presenti all’interno dell’acquifero freatico costiero. L'area è interessata da subsidenza naturale, per compattazione dei sedimenti alluvionali e antropica, causata dall’estrazione di gas e dall’eccessivo sfruttamento delle acque sotterranee. Ne deriva che la maggior parte di questo territorio è sotto il livello medio del mare e l'agricoltura, così come ogni altra attività umana, è possibile grazie ad una fitta rete di canali di drenaggio che garantiscono il franco di coltivazione. L’agricoltura è una risorsa importante per la zona, ma a causa della scarsa disponibilità di acque dolci e per l’aumento dei processi di salinizzazione dei suoli, necessita di un cambiamento. Servono pratiche agricole sostenibili, con idonei requisiti irrigui, di drenaggio del suolo, di resistenza alla salinizzazione e di controllo del suolo. Dopo un’analisi generale sulle condizioni dell’acquifero, è stato monitorato un transetto di 10km rappresentativo della parte costiera di Ravenna. Infine, con l'obiettivo di comprendere l'interazione tra un canale d'irrigazione e le acque sotterranee, una piccola area agricola (12 ettari), è stata monitorata nel corso del 2011 utilizzando metodi idrologici, geochimici e geofisici. I risultati di questo lavoro mostrano una diffusa salinizzazione della falda freatica, ma anche la presenza di una lente d'acqua dolce spessa 5m, a 400m dalla linea di riva, con caratteristiche chimiche (hydrofacies) tipici di acque continentali e con dimensioni variabili stagionalmente. Questa bolla di acqua dolce si è originata esclusivamente dalle infiltrazioni dal canale d’irrigazione presente, in quanto, il contributo dell’irrigazione superficiale è stato nullo. Sfruttando la rete di canali di drenaggio già presente sarebbe possibile estendere questo processo d’infiltrazione da canale in altre porzioni dell’acquifero allo scopo di ricaricare l’acquifero stesso e limitare la salinizzazione dei suoli.

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Il tema di ricerca sul Segretariato Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri si colloca su di un terreno che potremmo definire, genericamente, giuspubblicistico, posto al confine tra il diritto costituzionale ed il diritto amministrativo. Tale visione sistematica trae fondamento alla apparente vocazione del Segretariato, di soggetto istituzionale dalla doppia attitudine: da un lato, infatti, è preposto alla traduzione - in termini strettamente operativi - dell’indirizzo politico governativo e dall’altro svolge un’attività di monitoraggio e di raccolta di informazioni generali necessarie per il migliore svolgimento dell’azione governativa. Pertanto, per l’inquadramento e l’analisi delle differenti problematiche che avvolgono l’istituto sono state recuperate, per i profili d’interesse, diverse categorie giuridiche, alcune di stampo marcatamente costituzionalistico (a titolo esemplificativo, la funzione, l’indirizzo politico, il rapporto di fiducia, la posizione costituzionale del Presidente del Consiglio, dei Ministri e del Consiglio dei Ministri, categorie cui è stata aggiunta, per alcuni aspetti, la disciplina elettorale e, in particolare, la stessa formula elettorale, suscettibile di apportare una spiccata “mobilità decisionale” tra i diversi organi di cui si compone il Governo), accostate ad altre di specifico interesse amministrativistico (il coordinamento, l’atto politico, l’atto di alta amministrazione, la direzione, le strutture in cui si dipana l’organizzazione, l’azione amministrativa, la gestione finanziaria). Lo sviluppo del tema è proposto, in via preliminare, facendo riferimento all’inquadramento generale dell’istituto, attraverso l’esame della genesi e dello sviluppo della struttura burocratica oggetto dello studio, tenendo conto della versatilità operativa, sia sul versante strutturale, sia funzionale, dimostrata nel corso degli decenni di storia costituzionale del Paese, spesso costellata da avvenimenti politici e sociali controversi e, a volte, non privi di accadimenti drammatici. La dottrina non ha dedicato specifici studi ma si è occupata dell’argomento in via incidentale, nell’ambito di trattazioni di più ampio respiro dedicate alla funzione di governo nelle sue varie “declinazioni”, legando “a doppio filo” il Segretariato Generale della Presidenza del Consiglio al Presidente del Consiglio soprattutto nella misura in cui afferma che il Segretariato è struttura meramente servente del premier di cui sembrerebbe condividerne le sorti specie con riferimento alla conformazione strutturale e funzionale direttamente collegata alla maggiore o minore espansione dei suoi poteri (reali) di coordinamento e di direzione della compagine governativa, ponendo in secondo piano le funzioni “di continuità” istituzionale e di servizio al cittadino che pure sono assolte dall’organo. Ciò premesso, si è tentato di fornire una visione generale del Segretariato nella sua dimensione ordinamentale ed operativa, attraverso la ricognizione, scomposizione e ricomposizione delle sue numerose attribuzioni per saggiare il suo reale natura giuridica. In conclusione, anche a fronte della posizione netta della giurisprudenza, si è optato per ritenere che il Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri sia attratto tra gli organi amministrativi.

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Il progetto propone uno studio per verificare la fattibilita' di un piano territoriale (ideato per il bacino del Po ma di fatto estendibile a tutti i bacini fluviali) per la creazione di una filiera di colture bioenergetiche (biomasse) che, trasportate per mezzo della navigazione fluviale (uno dei mezzi di trasporto a minore emissione di CO2), alimentino una o piu' centrali a nuova tecnologia che associno alla produzione di calore (teleriscaldamento e raffreddamento) e di energia la separazione dei fumi. La CO2 catturata dalla crescita delle biomasse e recuperata dalla combustione, puo' quindi essere segregata nel sottosuolo di aree costiere subsidenti contrastando il fenomeno dell’abbassamento del suolo. Ricavando benefici in tutti i passaggi di attuazione del piano territoriale (lancio dell'agricoltura bioenergetica, rilancio della navigazione a corrente libera, avvio di una economia legata alla logistica del trasporto e dello stoccaggio delle biomasse, generazione di energia pulita, lotta alla subsidenza) il progetto, di fatto, consente di catturare ingenti quantitativi di CO2 dall'atmosfera e di segregarli nel sottosuolo, riducendo l'effetto serra. Nel corso del Dottorato e' stata sviluppata una metodologia di valutazione della sostenibilita' economica ed ambientale del progetto ad un bacino fluviale, che consta di una modulistica di raccolta dei dati di base e di una procedura informatizzata di analisi.

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Il territorio italiano presenta una grandissima ricchezza nel campo dei Beni Culturali, sia mobili che immobili; si tratta di un patrimonio di grande importanza che va gestito e tutelato nel migliore dei modi e con strumenti adeguati, anche in relazione ai problemi ad esso legati in termini di manutenzione e di salvaguardia dai fattori di rischio a cui può essere esposto. Per una buona conoscenza del Patrimonio Culturale, è fondamentale un’acquisizione preliminare di informazioni condotte in modo sistematico e unitario, che siano diffuse ed organiche, ma anche utili ad una valutazione preventiva e ad una successiva programmazione degli interventi di restauro di tipo conservativo. In questo ambito, l'impiego delle tecniche e tecnologie geomatiche nel campo dei Beni Culturali, può fornire un valido contributo, che va dalla catalogazione e documentazione del bene culturale al suo controllo e monitoraggio. Oggigiorno il crescente sviluppo di nuove tecnologie digitali, accompagnato dai notevoli passi avanti compiuti dalle discipline della geomatica (in primo luogo topografiche e fotogrammetriche), rende possibile una efficace integrazione tra varie tecniche, favorita anche dalla diffusione di soluzioni per l’interscambio dati e per la comunicazione tra differenti dispositivi. Lo studio oggetto della presente tesi si propone, di approfondire gli aspetti legati all’uso delle tecniche e tecnologie della Geomatica, per mettere in risalto le condizioni di un bene ed il suo stato di degrado. Per la gestione e la salvaguardia di un bene culturale , si presenta il SIT Carta del Rischio che evidenzia le pericolosità legate al patrimonio, e come esse sommate alla vulnerabilità di un singolo bene, contribuiscano all’individuazione del grado di rischio. di approfondire gli aspetti legati all’uso delle tecniche e tecnologie delle Geomatica, per mettere in risalto le condizioni di un bene ed il suo stato di degrado.

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La tesi approfondisce i profili processuale della responsabilità medica allo scopo di elaborare una proposta alternativa di gestione del contenzioso. Si esamina, altresì, il tema dei limiti di utilizzo della mediazione nelle controversie in cui vengono in gioco interessi di rilievo pubblicistico.

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La famiglia rappresenta un micro sistema all’interno del macro sistema società, che vive, si riproduce, rimane in equilibrio o cade in situazioni di squilibrio, implode e si rigenera, attraverso gli infiniti feedback comunicativi con l’ambiente esterno. I suoi componenti sono i medium di tale processo interattivo. Quindi: tutti gli eventi all’interno del nucleo familiare, compreso il conflitto, non possono considerarsi slegati dalla società circostante. La famiglia possiede una dimensione politica che si esplicita nella distribuzione di potere fra i suoi componenti. Tale distribuzione può assumere sia forme democratiche, che dispotiche. A forme di distribuzione del potere non democratiche si associano livelli elevati di conflitto. Quest’ultimo, tuttavia, è una dimensione inevitabile delle associazioni umane. Ciò che distingue le relazioni – familiari e non – non è tanto la presenza o assenza del conflitto, quanto piuttosto la modalità di espressione e di gestione di tale conflittualità. In tal senso, infatti, l’antagonismo relazionale si può tradurre in aggressione e violenza, prevaricazione, lesione della integrità e della libertà, oppure divenire occasione di crescita, di confronto, di mediazione e di negoziazione. La ricerca svolta all’interno del Dottorato in Criminologia dell’ Università di Bologna è finalizzata, attraverso un’integrazione teorica, ad individuare le variabili intervenienti nel contesto e nell’esperienza dei conflitti violenti in ambito di coppia, per accertare il loro eventuale ruolo predittivo del fenomeno. In particolare, s’indagano le modalità attraverso le quali la condizione socio-strutturale dei partner di coppia e la costruzione sociale dei ruoli di genere - con la relativa attribuzione di potere – e le condizioni lavorative, interagiscono nell’ espressione violenta della conflittualità. Il collettivo di riferimento - individuato grazie alla collaborazione di associazioni del privato sociale e di istituzioni pubbliche presenti e operanti nel territorio della Provincia di Trento eroganti prestazioni eterogenee alle famiglie - è composto da coppie sposate/conviventi alle quali è stato somministrato un questionario strutturato.

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L’elaborato è dedicato all’esame della forma di emanazione e del sistema d’impugnazione degli atti del CSM circa la carriera giuridica dei magistrati, con particolare attenzione alle numerose implicazioni di livello costituzionale ed amministrativo sollevate dalla problematica. I principali obiettivi perseguiti sono: a) la verifica della costituzionalità del sistema predisposto dalla legge 24 marzo 1958, n. 195, la quale stabilisce che i provvedimenti consiliari siano emanati con decreto presidenziale o ministeriale e che possano essere sindacati dai giudici amministrativi; b) l’individuazione e la risoluzione delle ambiguità interpretative e dei dubbi applicativi che sono emersi fin dall’introduzione della legge in parola e che tutt’ora continuano costantemente a riproporsi, non avendo trovato compiuta sistemazione né in dottrina né in giurisprudenza; c) la ricognizione e l’esame critico della prassi giurisprudenziale, specialmente in ordine alle decisioni più recenti, tenuto conto della mancanza di studi aggiornati in merito pur a fronte dell’ampio numero di pronunce. Sulla base dell’ipotesi di partenza dell’irrinunciabilità, per la piena comprensione della portata precettiva della legge sopra citata, di un’esaustiva analisi delle premesse teoriche necessarie per una piena comprensione dello stessa, lo svolgimento è sostanzialmente articolato in due parti fondamentali. La prima incentrata sulla ricostruzione del perimetro costituzionale dell’indagine, con specifico riferimento all’assetto costituzionale della Magistratura. La seconda, riconducibile nell’alveo proprio del “diritto amministrativo”, concernente a) il significato e la funzione da attribuire alla forma di emanazione degli atti consiliari; b) i poteri ministeriali e presidenziali nella fase di esternazione; c) la tipologia degli atti impugnabili e dei vizi sindacabili in sede giurisdizionale. Con la consapevolezza che lo sviluppo dell’argomento prescelto rappresenta un’angolazione di visuale privilegiata relativamente allo svolgersi dei rapporti tra Potere Esecutivo ed Ordine giudiziario, la tesi affronta complesse questioni di carattere generale quali il principio di separazione dei poteri, il concetto di organo costituzionale e quello di autodichìa, la nozione di autonomia pubblica, i princìpi di imparzialità ed uguaglianza. Il vaglio della giurisprudenza costituzionale ed amministrativa, ampiamente richiamata, è condotto trattando a fondo, sia aspetti connotati da un elevato tasso di tecnicità, come la disciplina del conferimento d’incarichi direttivi, sia interrogativi concernenti diversi aspetti problematici. Segnatamente, l’indagine ha riguardato – tra l’altro – l’ammissibilità del sindacato del giudice amministrativo sugli atti “amministrativi” delle autorità non incardinate nella P.A.; la compatibilità dell’interpretazione evolutiva con l’art. 138 Cost.; la definizione di atto amministrativo; la stessa nozione costituzionale di pubblica amministrazione. La presa d’atto della tendenza giurisprudenziale ad estendere il sindacato al vizio di eccesso di potere conduce infine ad alcune riflessioni conclusive in merito alla conciliabilità del ruolo assunto dal giudice amministrativo col quadro normativo delineato dai Costituenti.

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La ricerca si propone di definire le linee guida per la stesura di un Piano che si occupi di qualità della vita e di benessere. Il richiamo alla qualità e al benessere è positivamente innovativo, in quanto impone agli organi decisionali di sintonizzarsi con la soggettività attiva dei cittadini e, contemporaneamente, rende evidente la necessità di un approccio più ampio e trasversale al tema della città e di una più stretta relazione dei tecnici/esperti con i responsabili degli organismi politicoamministrativi. La ricerca vuole indagare i limiti dell’urbanistica moderna di fronte alla complessità di bisogni e di nuove necessità espresse dalle popolazioni urbane contemporanee. La domanda dei servizi è notevolmente cambiata rispetto a quella degli anni Sessanta, oltre che sul piano quantitativo anche e soprattutto sul piano qualitativo, a causa degli intervenuti cambiamenti sociali che hanno trasformato la città moderna non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista culturale: l’intermittenza della cittadinanza, per cui le città sono sempre più vissute e godute da cittadini del mondo (turisti e/o visitatori, temporaneamente presenti) e da cittadini diffusi (suburbani, provinciali, metropolitani); la radicale trasformazione della struttura familiare, per cui la famiglia-tipo costituita da una coppia con figli, solido riferimento per l’economia e la politica, è oggi minoritaria; l’irregolarità e flessibilità dei calendari, delle agende e dei ritmi di vita della popolazione attiva; la mobilità sociale, per cui gli individui hanno traiettorie di vita e pratiche quotidiane meno determinate dalle loro origini sociali di quanto avveniva nel passato; l’elevazione del livello di istruzione e quindi l’incremento della domanda di cultura; la crescita della popolazione anziana e la forte individualizzazione sociale hanno generato una domanda di città espressa dalla gente estremamente variegata ed eterogenea, frammentata e volatile, e per alcuni aspetti assolutamente nuova. Accanto a vecchie e consolidate richieste – la città efficiente, funzionale, produttiva, accessibile a tutti – sorgono nuove domande, ideali e bisogni che hanno come oggetto la bellezza, la varietà, la fruibilità, la sicurezza, la capacità di stupire e divertire, la sostenibilità, la ricerca di nuove identità, domande che esprimono il desiderio di vivere e di godere la città, di stare bene in città, domande che non possono essere più soddisfatte attraverso un’idea di welfare semplicemente basata sull’istruzione, la sanità, il sistema pensionistico e l’assistenza sociale. La città moderna ovvero l’idea moderna della città, organizzata solo sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata consegnata alla storia passata trasformandosi ora in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, a descrivere, a raccontare. La città contemporanea può essere rappresentata in molteplici modi, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale: nella letteratura recente è evidente la difficoltà di definire e di racchiudere entro limiti certi l’oggetto “città” e la mancanza di un convincimento forte nell’interpretazione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno investito la società e il mondo nel secolo scorso. La città contemporanea, al di là degli ambiti amministrativi, delle espansioni territoriali e degli assetti urbanistici, delle infrastrutture, della tecnologia, del funzionalismo e dei mercati globali, è anche luogo delle relazioni umane, rappresentazione dei rapporti tra gli individui e dello spazio urbano in cui queste relazioni si muovono. La città è sia concentrazione fisica di persone e di edifici, ma anche varietà di usi e di gruppi, densità di rapporti sociali; è il luogo in cui avvengono i processi di coesione o di esclusione sociale, luogo delle norme culturali che regolano i comportamenti, dell’identità che si esprime materialmente e simbolicamente nello spazio pubblico della vita cittadina. Per studiare la città contemporanea è necessario utilizzare un approccio nuovo, fatto di contaminazioni e saperi trasversali forniti da altre discipline, come la sociologia e le scienze umane, che pure contribuiscono a costruire l’immagine comunemente percepita della città e del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. La rappresentazione del sociale urbano varia in base all’idea di cosa è, in un dato momento storico e in un dato contesto, una situazione di benessere delle persone. L’urbanistica moderna mirava al massimo benessere del singolo e della collettività e a modellarsi sulle “effettive necessità delle persone”: nei vecchi manuali di urbanistica compare come appendice al piano regolatore il “Piano dei servizi”, che comprende i servizi distribuiti sul territorio circostante, una sorta di “piano regolatore sociale”, per evitare quartieri separati per fasce di popolazione o per classi. Nella città contemporanea la globalizzazione, le nuove forme di marginalizzazione e di esclusione, l’avvento della cosiddetta “new economy”, la ridefinizione della base produttiva e del mercato del lavoro urbani sono espressione di una complessità sociale che può essere definita sulla base delle transazioni e gli scambi simbolici piuttosto che sui processi di industrializzazione e di modernizzazione verso cui era orientata la città storica, definita moderna. Tutto ciò costituisce quel complesso di questioni che attualmente viene definito “nuovo welfare”, in contrapposizione a quello essenzialmente basato sull’istruzione, sulla sanità, sul sistema pensionistico e sull’assistenza sociale. La ricerca ha quindi analizzato gli strumenti tradizionali della pianificazione e programmazione territoriale, nella loro dimensione operativa e istituzionale: la destinazione principale di tali strumenti consiste nella classificazione e nella sistemazione dei servizi e dei contenitori urbanistici. E’ chiaro, tuttavia, che per poter rispondere alla molteplice complessità di domande, bisogni e desideri espressi dalla società contemporanea le dotazioni effettive per “fare città” devono necessariamente superare i concetti di “standard” e di “zonizzazione”, che risultano essere troppo rigidi e quindi incapaci di adattarsi all’evoluzione di una domanda crescente di qualità e di servizi e allo stesso tempo inadeguati nella gestione del rapporto tra lo spazio domestico e lo spazio collettivo. In questo senso è rilevante il rapporto tra le tipologie abitative e la morfologia urbana e quindi anche l’ambiente intorno alla casa, che stabilisce il rapporto “dalla casa alla città”, perché è in questa dualità che si definisce il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici e si contestualizzano i temi della strada, dei negozi, dei luoghi di incontro, degli accessi. Dopo la convergenza dalla scala urbana alla scala edilizia si passa quindi dalla scala edilizia a quella urbana, dal momento che il criterio del benessere attraversa le diverse scale dello spazio abitabile. Non solo, nei sistemi territoriali in cui si è raggiunto un benessere diffuso ed un alto livello di sviluppo economico è emersa la consapevolezza che il concetto stesso di benessere sia non più legato esclusivamente alla capacità di reddito collettiva e/o individuale: oggi la qualità della vita si misura in termini di qualità ambientale e sociale. Ecco dunque la necessità di uno strumento di conoscenza della città contemporanea, da allegare al Piano, in cui vengano definiti i criteri da osservare nella progettazione dello spazio urbano al fine di determinare la qualità e il benessere dell’ambiente costruito, inteso come benessere generalizzato, nel suo significato di “qualità dello star bene”. E’ evidente che per raggiungere tale livello di qualità e benessere è necessario provvedere al soddisfacimento da una parte degli aspetti macroscopici del funzionamento sociale e del tenore di vita attraverso gli indicatori di reddito, occupazione, povertà, criminalità, abitazione, istruzione, etc.; dall’altra dei bisogni primari, elementari e di base, e di quelli secondari, culturali e quindi mutevoli, trapassando dal welfare state allo star bene o well being personale, alla wellness in senso olistico, tutte espressioni di un desiderio di bellezza mentale e fisica e di un nuovo rapporto del corpo con l’ambiente, quindi manifestazione concreta di un’esigenza di ben-essere individuale e collettivo. Ed è questa esigenza, nuova e difficile, che crea la diffusa sensazione dell’inizio di una nuova stagione urbana, molto più di quanto facciano pensare le stesse modifiche fisiche della città.

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La tesi è il frutto di un lavoro di ricerca sul rapporto tra educazione e politica sviluppato considerando letteratura, studi e ricerche in ambito pedagogico, sociologico e delle scienze politiche. I nuclei tematici oggetto delle letture preliminari e degli approfondimenti successivi che sono diventati il corpo della tesi sono i seguenti: • la crisi del ruolo dei partiti politici in Italia e in Europa: diminuiscono gli iscritti e la capacità di dare corpo a proposte politiche credibili che provengano dalla “base”dei partiti; • la crisi del sistema formativo1 in Italia e il fatto che l’educazione alla cittadinanza sia poco promossa e praticata nelle scuole e nelle istituzioni; • la diffusa mancanza di fiducia degli adolescenti e dei giovani nei confronti delle istituzioni (scuola inclusa) e della politica in molti Paesi del mondo2; i giovani sono in linea con il mondo adulto nel dimostrare i sintomi di “apatia politica” che si manifesta anche come avversione verso la politica; • il fatto che le teorie e gli studi sulla democrazia non siano stati in grado di prevenire la sistematica esclusione di larghi segmenti di cittadinanza dalle dinamiche decisionali dimostrando che la democrazia formale sia drasticamente differente da quella sostanziale. Una categoria tra le più escluse dalle decisioni è quella dei minori in età. Queste tematiche, se poste in relazione, ci inducono a riflettere sullo stato della democrazia e ci invitano a cercare nuovi orizzonti in cui inserire riflessioni sulla cittadinanza partendo dall’interesse centrale delle scienze pedagogiche: il ruolo dell’educazione. Essenziale è il tema dei diritti umani: per cominciare, rileviamo che sebbene la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia sia stata approvata da quasi vent’anni (nel 1989) e malgrado numerose istituzioni nazionali e internazionali (Onu, Consiglio d’Europa, Banca Mondiale, Unesco) continuino ad impegnarsi nella promozione dei diritti sanciti e ratificati con leggi da quasi tutti i Paesi del mondo, questi diritti sono spesso trascurati: in particolare i diritti di bambini, adolescenti e giovani fino a 18 anni ad essere ascoltati, ad esprimersi liberamente, a ricevere informazioni adeguate nonché il diritto ad associarsi. L’effetto di tale trascuratezza, ossia la scarsa partecipazione di adolescenti e giovani alla vita sociale e politica in ogni parte del mondo (Italia inclusa) è un problema su cui cercheremo di riflettere e trovare soluzioni. Dalle più recenti ricerche svolte sul rapporto tra giovani e politica3, risulta che sono in particolare i giovani tra i quindici e i diciassette anni a provare “disgusto” per la politica e a non avere alcune fiducia né nei confronti dei politici, né delle istituzioni. Il disgusto è strettamente legato alla sfiducia, alla delusione , alla disillusione che oltretutto porta al rifiuto per la politica e quindi anche a non informarsi volutamente, a tenere ciò che riguarda la politica lontano dalla propria sfera personale. In Italia, ciò non è una novità. Né i governi che si sono succeduti dagli anni dell’Unità ad oggi, né le teorie democratiche italiane e internazionali sono riusciti a cambiare l’approccio degli italiani alla politica: “fissità della cultura politica, indolenza di fronte alla mancanza di cultura della legalità, livelli bassi di informazione, di competenza, di fiducia nella democrazia”4. Tra i numerosi fattori presi in analisi nelle ricerche internazionali (cfr. Cap. I par.65) ve ne sono due che si è scoperto influenzano notevolmente la partecipazione politica della popolazione e che vedono l’Italia distante dalle altre democrazie europee: 1) la vicinanza alla religione istituzionale , 2) i caratteri della morale6. Religione istituzionale Non c’è studio o ricerca che non documenti la progressiva secolarizzazione degli stati. Eppure, dividendo la popolazione dei Paesi in: 1) non credenti, 2) credenti non praticanti e 3) credenti praticanti, fatto salvo per la Francia, si assiste ad una crescita dei “credenti non praticanti” in Europa e dei “credenti praticanti” in particolare in Italia (risultavano da un’indagine del 2005, il 42% della popolazione italiana). La spiegazione di questa “controtendenza” dell’Italia, spiega la Sciolla, “potrebbe essere il crescente ruolo pubblico assunto dalla Chiesa italiana e della sua sempre più pervasiva presenza su temi di interesse pubblico o direttamente politico (dalla fecondazione assistita alle unioni tra omosessuali) oltreché alla sua visibilità mediatica che, insieme al generale e diffuso disorientamento, potrebbe aver esercitato un autorevole richiamo”. Pluralismo morale Frutto innanzitutto del processo di individualizzazione che erode le forme assolute di autorità e le strutture gerarchiche e dell’affermarsi dei diritti umani con l’ampliamento degli spazi di libertà di coscienza dei singoli. Una conferma sul piano empirico di questo quadro è data dal monitoraggio di due configurazioni valoriali che più hanno a che vedere con la partecipazione politica: 1) Grado di civismo (in inglese civicness) che raggruppa giudizi sui comportamenti lesivi dell’interesse pubblico (non pagare le tasse, anteporre il proprio interesse e vantaggio personale all’interesse pubblico). 2) Libertarismo morale o cultura dei diritti ovvero difesa dei diritti della persona e della sua liberà di scelta (riguarda la sessualità, il corpo e in generale la possibilità di disporre di sé) In Italia, il civismo ha subito negli anni novanta un drastico calo e non è più tornato ai livelli precedenti. Il libertarismo è invece aumentato in tutti i Paesi ma Italia e Stati Uniti hanno tutt’ora un livello basso rispetto agli altri Stati. I più libertari sono gli strati giovani ed istruiti della popolazione. Queste caratteristiche degli italiani sono riconducibili alla storia del nostro Paese, alla sua identità fragile, mai compatta ed unitaria. Non è possibile tralasciare l’influenza che la Chiesa ha sempre avuto nelle scelte politiche e culturali del nostro Paese. Limitando il campo al secolo scorso, dobbiamo considerare che la Chiesa cattolica ha avuto continuativamente un ruolo di forte ingerenza nei confronti delle scelte dei governi (scelte che, come vedremo nel Cap. I, par.2 hanno influenzato le scelte sulla scuola e sull’educazione) che si sono succeduti dal 1948 ad oggi7. Ciò ha influito nei costumi della nostra società caratterizzandoci come Stato sui generis nel panorama europeo Inoltre possiamo definire l’Italia uno "Stato nazionale ed unitario" ma la sua identità resta plurinazionale: vi sono nazionalità, trasformate in minoranze, comprese e compresse nel suo territorio; lo Stato affermò la sua unità con le armi dell'esercito piemontese e questa unità è ancora da conquistare pienamente. Lo stesso Salvemini fu tra quanti invocarono un garante per le minoranze constatando che di fronte a leggi applicate da maggioranze senza controllo superiore, le minoranze non hanno sicurezza. Riteniamo queste riflessioni sull’identità dello Stato Italiano doverose per dare a questa ricerca sulla promozione della partecipazione politica di adolescenti e giovani, sull’educazione alla cittadinanza e sul ruolo degli enti locali una opportuna cornice culturale e di contesto. Educazione alla cittadinanza In questo scritto “consideriamo che lo stimolo al cambiamento e al controllo di ciò che succede nelle sfere della politica, la difesa stessa della democrazia, è più facile che avvenga se i membri di una comunità, singolarmente o associandosi, si tengono bene informati, possiedono capacità riflessive e argomentative, sono dunque adeguatamente competenti e in grado di formarsi un’opinione autonoma e di esprimerla pubblicamente. In questo senso potremmo dire che proprio l’educazione alla democrazia, di chi nella democrazia vive, godendone i vantaggi, è stata rappresentata da Montiesquieu e da J.S Mill come uno dei caratteri basilari della democrazia stessa e la sua assenza come uno dei peggiori rischi in cui si può incorrere”8 L’educazione alla cittadinanza - considerata come cornice di un ampio spettro di competenze, complessivamente legate alla partecipazione e pienamente consapevole alla vita politica e sociale - e in particolare la formazione alla cittadinanza attiva sono da tempo riconosciute come elementi indispensabili per il miglioramento delle condizioni di benessere dei singoli e delle società e sono elementi imprescindibili per costituire un credibile patto sociale democratico. Ma che tipo di sistema formativo meglio si adatta ad un Paese dove - decennio dopo decennio - i decisori politici (la classe politica) sembrano progressivamente allontanarsi dalla vita dei cittadini e non propongono un’idea credibile di stato, un progetto lungimirante per l’Italia, dove la politica viene vissuta come distante dalla vita quotidiana e dove sfiducia e disgusto per la politica sono sentimenti provati in particolare da adolescenti e giovani? Dove la religione e il mercato hanno un potere concorrente a quello dei principi democratici ? La pedagogia può in questo momento storico ricoprire un ruolo di grande importanza. Ma non è possibile formulare risposte e proposte educative prendendo in analisi una sola istituzione nel suo rapporto con adolescenti e giovani. Famiglia, scuola, enti locali, terzo settore, devono essere prese in considerazione nella loro interdipendenza. Certo, rispetto all’educazione alla cittadinanza, la scuola ha avuto, almeno sulla carta, un ruolo preminente avendo da sempre l’obiettivo di formare “l’uomo e il cittadino” e prevedendo l’insegnamento dell’educazione civica. Ma oggi, demandare il ruolo della “formazione del cittadino” unicamente alla scuola, non è una scelta saggia. La comunità, il territorio e quindi le istituzioni devono avere un ruolo forte e collaborare con la scuola. Educazione formale, non formale e informale devono compenetrarsi. Gli studi e le riflessioni della scrivente hanno portato all’ individuazione degli enti locali come potenziali luoghi privilegiati della formazione politica dei giovani e dell’educazione alla cittadinanza. Gli enti locali I Comuni, essendo le Istituzioni più vicine ai cittadini, possono essere il primo luogo dove praticare cittadinanza attiva traducendo in pratiche anche le politiche elaborate a livello regionale e nazionale. Sostiene la Carta riveduta della partecipazione dei giovani9 “La partecipazione attiva dei giovani alle decisioni e alle attività a livello locale e regionale è essenziale se si vogliono costruire società più democratiche, solidali e prospere. Partecipare alla vita politica di una comunità, qualunque essa sia, non implica però unicamente il fatto di votare e presentarsi alle elezioni, per quanto importanti siano tali elementi. Partecipare ed essere un cittadino attivo vuol dire avere i diritti, gli strumenti intellettuali e materiali, il luogo, la possibilità, e, se del caso, il necessario sostegno per intervenire nelle decisioni, influenzarle ed impegnarsi in attività e iniziative che possano determinare la costruzione di una società migliore”. In Italia, il ruolo degli enti locali è stato per lo più dominante nella definizione delle politiche sociali, sanitarie ed educative ma è divenuto centrale soprattutto in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione italiana operata nel 2001. Sono gli enti locali – le Regioni in primis – ad avere la funzione istituzionale di legiferare rispetto ai temi inerenti il sociale. Le proposte e le azioni di Province e Comuni dovrebbero ispirarsi al “principio di sussidiarietà” espresso nell’art. 118 della Costituzione: «Stato, Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà»10 e nei Trattati dell’Unione Europea. Il Trattato istitutivo della Comunità europea accoglie il principio nell’art.5 “La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario (…)”. Il principio di sussidiarietà può dunque essere recepito anche prevedendo, promuovendo e accogliendo la partecipazione dei cittadini alla vita della città in molteplici forme. Conseguentemente, facilitare l’avvicinamento degli adolescenti e dei giovani (in quanto cittadini) alla vita collettiva, al bene pubblico, alla politica considerandoli una risorsa e mettendoli nelle condizioni di essere socialmente e politicamente attivi rientra nelle possibili applicazioni del principio di sussidiarietà. L’oggetto della ricerca La ricerca condotta dalla scrivente prende le mosse dal paradigma ecologico e si ispira allo stile fenomenologico prendendo in analisi un contesto determinato da numerosi soggetti tra loro interrelati. La domanda di ricerca: “gli enti locali possono promuovere di progetti e interventi di educazione alla cittadinanza di cui adolescenti e giovani siano protagonisti? Se si, in che modo?”. Gli studi preliminari alla ricerca hanno mostrato uno scenario complesso che non era mai stato preso in analisi da chi si occupa di educazione. E’ stato dunque necessario comprendere: 1) Il ruolo e le funzioni degli enti locali rispetto alle politiche educative e di welfare in generale in Italia 2) La condizione di adolescenti e giovani in Italia e nel mondo 3) Che cos’è l’educazione alla cittadinanza 4) Che cosa si può intendere per partecipazione giovanile Per questo il lavoro di ricerca empirica svolto dalla scrivente è basato sulla realizzazione di due indagini esplorative (“Enti locali, giovani e politica (2005/2006)11 e “Nuovi cittadini di pace” (2006/2007)12) tramite le quali è stato possibile esaminare progetti e servizi di promozione della partecipazione degli adolescenti e dei giovani alla vita dei Comuni di quattro regioni italiane e in particolare della Regione Emilia-Romagna. L’oggetto dell’interesse delle due indagini è (attraverso l’analisi di progetti e servizi e di testimonianze di amministratori, tecnici e politici) esplorare le modalità con cui gli enti locali (i Comuni in particolare) esplicano la loro funzione formativa rivolta ad adolescenti e giovani in relazione all’educazione alla cittadinanza democratica. Ai fini delle nostre riflessioni ci siamo interessati di progetti, sevizi permanenti e iniziative rivolti alla fascia d’età che va dagli 11 ai 20/22 anni ossia quegli anni in cui si giocano molte delle sfide che portano i giovani ad accedere al mondo degli adulti in maniera “piena e autentica” o meno. Dall’analisi dei dati, emergono osservazioni su come gli enti locali possano educare alla cittadinanza in rete con altre istituzioni (la scuola, le associazioni), promuovendo servizi e progetti che diano ad adolescenti e giovani la possibilità di mettersi all’opera, di avere un ruolo attivo, realizzare qualche cosa ed esserne responsabili (e nel frattempo apprendere come funziona e che cos’è il governo di una città, di un territorio), intrecciare relazioni, lavorare in gruppo, in una cornice che va al di là delle politiche giovanili e che propone politiche integrate. In questo contesto il ruolo degli adulti (genitori, insegnanti, educatori, politici) è centrale: è dunque essenziale che le famiglie, il mondo della scuola, gli attivisti dei partiti politici, le istituzioni e il mondo dell’informazione attraverso l’agire quotidiano, dimostrino ad adolescenti e giovani coerenza tra azioni e idee dimostrando fiducia nelle istituzioni, tenendo comportamenti coerenti e autorevoli improntati sul rispetto assoluto della legalità, per esempio. Per questo, la prima fase di approfondimento qualitativo delle indagini è avvenuta tramite interviste in profondità a decisori politici e amministratori tecnici. Il primo capitolo affronta il tema della crisi della democrazia ossia il fatto che le democrazie odierne stiano vivendo una fase di dibattito interno e di riflessione verso una prospettiva di cambiamento necessaria. Il tema dell’inserimento dei diritti umani nel panorama del dibattito sulle società democratiche e sulla cittadinanza si intreccia con i temi della globalizzazione, della crisi dei partiti politici (fenomeno molto accentuato in Italia). In questa situazione di smarrimento e di incertezza, un’operazione politica e culturale che metta al primo posto l’educazione e i diritti umani potrebbe essere l’ancora di salvezza da gettare in un oceano di incoerenza e di speranze perdute. E’ necessario riformare il sistema formativo italiano investendo risorse sull’educazione alla cittadinanza in particolare per adolescenti e giovani ma anche per coloro che lavorano con e per i giovani: insegnanti, educatori, amministratori. La scolarizzazione, la formazione per tutto l’arco della vita sono alcuni dei criteri su cui oggi nuovi approcci misurano il benessere dei Paesi e sono diritti inalienabili sanciti, per bambini e ragazzi dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.13 La pedagogia e la politica devono avere in questo momento storico un ruolo di primo piano; gli obiettivi a cui dovrebbero tendere sono la diffusione di una cultura dei diritti, una cultura del rispetto dell’infanzia e di attenzione prioritaria ai temi del’educazione alla cittadinanza. “Rimuovere gli ostacoli sociali ed economici”14 a che questi diritti vengano rispettati è compito dello Stato e anche degli enti locali. Il secondo capitolo descrive la condizione dei giovani nel mondo e in Italia in rapporto ai diritti di partecipazione. Il contesto mondiale che la Banca Mondiale (organismo dell’Onu)15 dipinge è potenzialmente positivo: “il numero di giovani tra i 12 e i 24 anni è intorno a 1, 3 miliardi ossia il livello più elevato della storia; questo gruppo è in migliore salute e meglio istruito di sempre. I Paesi ricchi come quelli poveri devono approfittare di questa opportunità prima che l’invecchiamento della società metta fine a questo periodo potenzialmente assai fruttuoso per il mondo intero. In Italia invece “Viene dipinto un quadro deprimente in cui “gli adulti mandano segnali incerti, ambigui, contraddittori. Se si può dunque imputare qualcosa alle generazioni dei giovani oggi è di essere, per certi versi, troppo simili ai loro padri e alle loro madri”16 Nel capitolo vengono mostrati e commentati i dati emersi da rapporti e ricerche di organizzazioni internazionali che dimostrano come anche dal livello di istruzione, di accesso alla cultura, ma in particolare dal livello di partecipazione attiva alla vita civica dei giovani, dipenda il futuro del globo intero e dunque anche del nostro Paese . Viene inoltre descritto l’evolversi delle politiche giovanili in Italia anche in rapporto al mutare del significato del concetto controverso di “partecipazione”: il termine è presente in numerose carte e documenti internazionali nonché utilizzato nei programmi politici delle amministrazioni comunali ma sviscerarne il significato e collocarlo al di fuori dei luoghi comuni e dell’utilizzo demagogico obbliga ad un’analisi approfondita e multidimensionale della sua traduzione in azioni. Gli enti locali continuano ad essere l’oggetto principale del nostro interesse. Per questo vengono riportati i risultati di un’indagine nazionale sui servizi pubblici per adolescenti che sono utili per contestualizzare le indagini regionali svolte dalla scrivente. Nel terzo capitolo si esamina l’ “educazione alla cittadinanza” a partire dalla definizione del Consiglio d’Europa (EDC) cercando di fornire un quadro accurato sui contenuti che le pertengono ma soprattutto sulle metodologie da intraprendere per mettere autenticamente in pratica l’EDC. La partecipazione di adolescenti e giovani risulta essere un elemento fondamentale per promuovere e realizzare l’educazione alla cittadinanza in contesti formali, non formali e informali. Il quarto capitolo riporta alcune riflessioni sulla ricerca pedagogica in Italia e nel panorama internazionale e pone le basi ontologiche ed epistemologiche della ricerca svolta dalla scrivente. Nel quinto capitolo vengono descritte dettagliatamente le due indagini svolte dalla scrivente per raccogliere dati e materiali di documentazione sui progetti di promozione della partecipazione dei giovani promossi dagli Enti locali emiliano-romagnoli ai fini dell’educazione alla cittadinanza. “Enti locali, giovani e politica” indagine sui progetti di promozione della partecipazione sociale e politica che coinvolgono ragazzi tra i 15 e i 20 anni. E “Nuovi cittadini di pace”, un’indagine sui Consigli dei ragazzi nella Provincia di Bologna. Nel sesto capitolo la scrivente formula alcune conclusioni e proposte operative concentrando la propria attenzione in particolare sulle questione della formazione di educatori e facilitatori che operano in contesti di educazione non formale interistituzionale, sulla necessità di una ampia diffusione di una cultura dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nel mondo della politica e della scuola e su un utilizzo del dialogo autentico (in quanto principio democratico) per far sì che adolescenti, giovani e adulti possano collaborare e contribuire insieme alla formulazione di politiche e alla realizzazione di progetti comuni. Ci sembra infine che si debba riconoscere che è tempo di puntare con tutte le forze e in tutti i setting educativi disponibili su un impegno formativo in cui la dimensione politica non solo sia chiaramente e consapevolmente presente, ma sia considerata una delle sue caratteristiche principali. Il nostro tempo lo richiede con urgenza: l’alternativa rischia di essere la disfatta dell’intera umanità e dunque l’impossibilità per l’uomo di realizzarsi nel suo più elevato significato e nel suo autentico valore. I giovani sempre più lo chiedono anche se non sempre utilizzano linguaggi decifrabili dagli adulti.

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I rifiuti come oggetti impegnano tutte le istituzioni umane in una lotta di definizione del posto che occupano e quindi del valore che assumono. In tale dinamica la gestione dei rifiuti diventa un fatto sociale totale che coinvolge tutte le istituzioni umane in una lotta di definizione territorializzata. La storia del movimento ambientalista ci mostra come partendo dal disagio nei confronti dell’oggetto si è passati ad un disagio nei confronti delle idee che lo generano. Modernizzazione ecologica e modernizzazione democratica sembrano andare per un certo periodo d’accordo. Nei casi di conflittualità recente, e nello studio di caso approfondito di un piano provinciale della gestione rifiuti, il carattere anticipatore dell’attivismo ambientalista, sta rendendo sempre più costosi e incerti, investimenti e risultati strategici . Anche i principi delle politiche sono messi in discussione. La sostenibilità è da ricercare in una relativizzazione dei principi di policy e degli strumenti tecnici di valutazione (e.g. LCA) verso una maggiore partecipazione di tutti gli attori. Si propone un modello di governance che parta da un coordinamento amministrativo territoriale sulle reti logistiche, quindi un adeguamento geografico degli ATO, e un loro maggior ruolo nella gestione del processo di coordinamento e pianificazione. Azioni queste che devono a loro volta aprirsi ai flussi (ecologici ed economici) e ai loro attori di riferimento: dalle aziende multiutility agli ambientalisti. Infine è necessario un momento di controllo democratico che può avere una funzione arbitrale nei conflitti tra gli attori o di verifica. La ricerca si muove tra la storia e la filosofia, la ricerca empirica e la riflessione teorica. Sono state utilizzate anche tecniche di indagine attiva, come il focus group e l’intervista.

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L’Azienda USL di Bologna è la più grande della regione ed è una delle più grandi in Italia: serve una popolazione di 836.697 abitanti ed è distribuita su 50 comuni. E’ stata istituita il 1° gennaio 2004 con la Legge della Regione Emilia Romagna n. 21 del 20/10/2003 che ha unificato i Comuni di tre Aziende USL: “Città di Bologna”, “Bologna Sud” e “Bologna Nord” (ad eccezione del Comune di Medicina che dall’Area Nord è entrato a far parte dell’Azienda USL di Imola che ha mantenuto un’autonoma configurazione giuridica). Il territorio dell’Azienda USL di Bologna si estende per 2915,4 Kmq ed è caratterizzato dalla particolare ubicazione geografica dei suoi distretti. Al Distretto prettamente urbano, quale quello di Bologna Città si affiancano nell’Area Nord i Distretti di pianura quali Pianura Est e Pianura Ovest, mentre nell’Area Sud si collocano i Distretti con territorio più collinare, quali quelli di Casalecchio di Reno e San Lazzaro di Savena ed il Distretto di Porretta Terme che si caratterizza per l’alta percentuale di territorio montuoso. L’unificazione di territori diversi per caratteristiche orografiche, demografiche e socioeconomiche, ha comportato una maggiore complessità rispetto al passato in termini di governo delle condizioni di equità. La rimodulazione istituzionale ed organizzativa dell’offerta dei sevizi sanitari ha comportato il gravoso compito di razionalizzarne la distribuzione, tenendo conto delle peculiarità del contesto. Alcuni studi di fattibilità precedenti l’unificazione, avevano rilevato come attraverso la costituzione di un’Azienda USL unica si sarebbero potuti più agevolmente perseguire gli obiettivi collegati alle prospettive di sviluppo e di ulteriore qualificazione del sistema dei servizi delle Aziende USL dell’area bolognese, con benefici per il complessivo servizio sanitario regionale. Le tre Aziende precedentemente operanti nell’area bolognese erano percepite come inadeguate, per dimensioni, a supportare uno sviluppo dei servizi ritenuto indispensabile per la popolazione ma, che, se singolarmente realizzato, avrebbe condotto ad una inutile duplicazione di servizi già presenti. Attraverso l’integrazione delle attività di acquisizione dei fattori produttivi e di gestione dei servizi delle tre Aziende, si sarebbero potute ragionevolmente conseguire economie più consistenti rispetto a quanto in precedenza ottenuto attraverso il coordinamento volontario di tali processi da parte delle tre Direzioni. L’istituzione della nuova Azienda unica, conformemente al Piano sanitario regionale si proponeva di: o accelerare i processi di integrazione e di redistribuzione dell’offerta dei servizi territoriali, tenendo conto della progressiva divaricazione fra i cambiamenti demografici, che segnavano un crescente deflusso dal centro storico verso le periferie, ed i flussi legati alle attività lavorative, che si muovevano in senso contrario; o riorganizzare i servizi sanitari in una logica di rete e di sistema, condizione necessaria per assicurare l’equità di accesso ai servizi e alle cure, in stretta interlocuzione con gli Enti Locali titolari dei servizi sociali; o favorire il raggiungimento dell’equilibrio finanziario dell’Azienda e contribuire in modo significativo alla sostenibilità finanziaria dell’intero sistema sanitario regionale. L’entità delle risorse impegnate nell’Area bolognese e le dimensioni del bilancio della nuova Azienda unificata offrivano la possibilità di realizzare economie di scala e di scopo, attraverso la concentrazione e/o la creazione di sinergie fra funzioni e attività, sia in ambito ospedaliero, sia territoriale, con un chiaro effetto sull’equilibrio del bilancio dell’intero Servizio sanitario regionale. A cinque anni dalla sua costituzione, l’Azienda USL di Bologna, ha completato una significativa fase del complessivo processo riorganizzativo superando le principali difficoltà dovute alla fusione di tre Aziende diverse, non solo per collocazione geografica e sistemi di gestione, ma anche per la cultura dei propri componenti. La tesi affronta il tema dell’analisi dell’impatto della fusione sugli assetti organizzativi aziendali attraverso uno sviluppo così articolato: o la sistematizzazione delle principali teorie e modelli organizzativi con particolare attenzione alla loro contestualizzazione nella realtà delle organizzazioni professionali di tipo sanitario; o l’analisi principali aspetti della complessità del sistema tecnico, sociale, culturale e valoriale delle organizzazioni sanitarie; o l’esame dello sviluppo organizzativo dell’Azienda USL di Bologna attraverso la lettura combinata dell’Atto e del Regolamento Organizzativo Aziendali esaminati alla luce della normativa vigente, con particolare attenzione all’articolazione distrettuale e all’organizzazione Dipartimentale per cogliere gli aspetti di specificità che hanno caratterizzano il disegno organizzativo globalmente declinato. o l’esposizione degli esiti di un questionario progettato, in accordo con la Direzione Sanitaria Aziendale, allo scopo di raccogliere significativi elementi per valutare l’impatto della riorganizzazione dipartimentale rispetto ai tre ruoli designati in “staff “alle Direzioni degli otto Dipartimenti Ospedalieri dell’AUSL di Bologna, a tre anni dalla loro formale istituzione. La raccolta dei dati è stata attuata tramite la somministrazione diretta, ai soggetti indagati, di un questionario costituito da numerosi quesiti a risposta chiusa, integrati da domande aperte finalizzate all’approfondimento delle dimensioni di ruolo che più frequentemente possono presentare aspetti di criticità. Il progetto ha previsto la rielaborazione aggregata dei dati e la diffusione degli esiti della ricerca: alla Direzione Sanitaria Aziendale, alle Direzioni Dipartimentali ospedaliere ed a tutti i soggetti coinvolti nell’indagine stessa per poi riesaminare in una discussione allargata i temi di maggiore interesse e le criticità emersi. Gli esiti sono esposti in una serie di tabelle con i principali indicatori e vengono adeguatamente illustrati.

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Il lavoro di ricerca esplora il panorama dell’efficienza energetica dei sistemi acquedottistici, soffermandosi a considerare possibili indicatori che possano valutarla in maniera corretta e completa, in particolare nei confronti della presenza di perdite in rete. Si prendono in considerazione con maggiore attenzione, tra tutte le strategie per aumentare l’efficienza energetica, quelle che contemporaneamente producono anche risparmi idrici, come la riduzione della pressione e la ricerca attiva delle perdite . Dopo un inquadramento internazionale, sono stati analizzati mediante mappe tematiche di intensità energetica, i consumi energetici specifici sui sistemi acquedottistici della regione Emilia Romagna per gli anni 2006 e 2007, si è passati ad una analisi critica degli indicatori attualmente in uso. Inoltre per casi di studio sintetici e tutti i casi di studio proposti, si sono valutate curve di relazione tra percentuale di perdita idrica e aumento del consumo energetico, in grado di dare indicazioni su come ciascun sistema reagisce, in termini di aumento dell’energia consumata, all’aumentare del livello di perdita. Questa relazione appare fortemente influenzata da fattori come la modalità di pompaggio, la posizione delle rotture sulla rete e la scabrezza delle condotte. E’ emersa la necessità solo poter analizzare separatamentel’influenza sull’efficienza energeticadei sistemi di pompaggio e della rete, mostrando il ruolo importante con cui questa contribuisce all’efficienza globale del sistema. Viene proposto uno sviluppo ulteriore dell’indicatore GEE Global Energy Efficiency (Abadia, 2008), che consente di distinguere l’impatto sull’efficienza energetica dovuto alle perdite idriche e alla struttura intrinseca della rete, in termini di collocazione reciproca tra risorsa idrica e domanda e schema impiantistico.Questa metodologia di analisi dell’efficienza energetica è stata applicata ai casi di studio, sia sintetici che reali, il distretto di Marzaglia (MO) e quello di Mirabello (FE), entrambi alimentati da pompe a giri variabili.. La ricerca ha consentito di mostrare inoltre il ruolo della modellazione numerica in particolare nell’analisi dell’effetto prodotto sull’efficienza energetica dalla presenza di perdite idriche. Nell’ultimo capitolo si completa la panoramica dei benefici ottenibili attraverso la riduzione della pressione, che nei casi citati viene conseguita tramite pompe asservite ad inverter, con il caso di studio del distretto Bolognina all’interno del sistema di distribuzione di Bologna, che vede l’utilizzo di valvole riduttrici di pressione. Oltre a stimare il risparmio energetico derivante dalla riduzione delle perdite ottenuta tramite le PRV, sono stati valutati su modello i benefici energetici conseguenti all’introduzione nel distretto di turbine per la produzione di energia