93 resultados para Rhipicephalus sanguineus sensu lato


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Ferrara è tra le città con le quali Piero Bottoni (1903-1973) ha istaurato un rapporto proficuo e duraturo che gli permise di elaborare molti progetti e che fu costante lungo quasi tutta la parabola professionale dell’autore milanese. Giunto nella città estense nei primi anni Trenta, vi lavorò nei tre decenni successivi elaborando progetti che spaziavano dalla scala dell’arredamento d’interni fino a quella urbana; i diciannove progetti studiati, tutti situati all’interno del centro storico della città, hanno come tema comune la relazione tra nuova architettura e città esistente. Osservando un ampio spettro di interventi che abbracciava la progettazione sull'esistente come quella del nuovo, Bottoni propone una visione dell'architettura senza suddivisioni disciplinari intendendo il restauro e la costruzione del nuovo come parti di un processo progettuale unitario. Sullo sfondo di questa vicenda, la cultura ferrarese tra le due guerre e nel Dopoguerra si caratterizza per il continuo tentativo di rendere attuale la propria storia rinascimentale effettuando operazioni di riscoperta che con continuità, a discapito dei cambiamenti politici, contraddistinguono le esperienze culturali condotte nel corso del Novecento. Con la contemporanea presenza durante gli anni Cinquanta e Sessanta di Bottoni, Zevi, Pane, Michelucci, Piccinato, Samonà, Bassani e Ragghianti, tutti impegnati nella costruzione dell’immagine storiografica della Ferrara rinascimentale, i caratteri di questa stagione culturale si fondono con i temi centrali del dibattito architettonico italiano e con quello per la salvaguardia dei centri storici. L’analisi dell’opera ferrarese di Piero Bottoni è così l’occasione per mostrare da un lato un carattere peculiare della sua architettura e, dall’altro, di studiare un contesto cultuale provinciale al fine di mostrare i punti di contatto tra le personalità presenti a Ferrara in quegli anni, di osservarne le reciproche influenze e di distinguere gli scambi avvenuti tra i principali centri della cultura architettonica italiana e un ambito geografico solo apparentemente secondario.

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L’attuale rilevanza rappresentata dalla stretta relazione tra cambiamenti climatici e influenza antropogenica ha da tempo posto l’attenzione sull’effetto serra e sul surriscaldamento planetario così come sull’aumento delle concentrazioni atmosferiche dei gas climaticamente attivi, in primo luogo la CO2. Il radiocarbonio è attualmente il tracciante ambientale per eccellenza in grado di fornire mediante un approccio “top-down” un valido strumento di controllo per discriminare e quantificare il diossido di carbonio presente in atmosfera di provenienza fossile o biogenica. Ecco allora che ai settori applicativi tradizionali del 14C, quali le datazioni archeometriche, si affiancano nuovi ambiti legati da un lato al settore energetico per quanto riguarda le problematiche associate alle emissioni di impianti, ai combustibili, allo stoccaggio geologico della CO2, dall’altro al mercato in forte crescita dei cosiddetti prodotti biobased costituiti da materie prime rinnovabili. Nell’ambito del presente lavoro di tesi è stato quindi esplorato il mondo del radiocarbonio sia dal punto di vista strettamente tecnico e metodologico che dal punto di vista applicativo relativamente ai molteplici e diversificati campi d’indagine. E’ stato realizzato e validato un impianto di analisi basato sul metodo radiometrico mediante assorbimento diretto della CO2 ed analisi in scintillazione liquida apportando miglioramenti tecnologici ed accorgimenti procedurali volti a migliorare le performance del metodo in termini di semplicità, sensibilità e riproducibilità. Il metodo, pur rappresentando generalmente un buon compromesso rispetto alle metodologie tradizionalmente usate per l’analisi del 14C, risulta allo stato attuale ancora inadeguato a quei settori applicativi laddove è richiesta una precisione molto puntuale, ma competitivo per l’analisi di campioni moderni ad elevata concentrazione di 14C. La sperimentazione condotta su alcuni liquidi ionici, seppur preliminare e non conclusiva, apre infine nuove linee di ricerca sulla possibilità di utilizzare questa nuova classe di composti come mezzi per la cattura della CO2 e l’analisi del 14C in LSC.

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Il presente lavoro di tesi mira a ricostruire lo scenario evolutivo della responsabilità patrimoniale del debitore, a partire dai principi generali sanciti dall'art. 2740 c.c. sino al diffondersi, sempre più dilagante negli anni più recenti, del fenomeno dei patrimoni separati, il quale ha contribuito a quella che è stata definita da autorevole dottrina l’“erosione” del carattere universale della responsabilità patrimoniale. In questa prospettiva, la ricerca condotta dall'autore si propone il duplice obiettivo di dimostrare, da un lato, l’ormai sostanziale ribaltamento del rapporto regola(garanzia generica)–eccezione(separazione patrimoniale) previsto dalla norma succitata, e, dall’altro, il ridimensionamento del valore della riserva di legge imposta dal secondo comma dell’art. 2740 c.c. con riguardo all’individuazione e alla disciplina dei patrimoni separati, dovuto all’affermarsi di forme di segregazione di carattere generale e flessibile ed al conseguente potenziamento del ruolo assunto dall’autonomia privata nel campo della separazione patrimoniale. Al perseguimento di tale obiettivo si aggiunge, inoltre, una valutazione dei nuovi orizzonti del fenomeno della separazione patrimoniale e, in particolare, dei segnali di apertura del nostro ordinamento all’adozione di una regolamentazione interna del trust, i cui vantaggi e la cui compatibilità con il nostro sistema giuridico vengono dimostrati attraverso il confronto con la disciplina dell'istituto in esame nell’ordinamento inglese.

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Questa ricerca indaga la prospettiva investigativa di Carlos Martí Arís. È stato assunto il campo d’azione da lui prediletto, ovvero l’articolato rapporto che in architettura si instaura tra teoria e pratica, comprensivo delle svariate ricadute nel mondo dell’arte e della produzione umana in genere, che fanno del progetto architettonico un campo disciplinare complesso. La sua figura è però assunta in modo strumentale, come grimaldello per addentrarsi in un articolato ambito culturale, che se da un lato coincide con la sua città, Barcellona, dall’altro la trascende grazie a quei “ponti della conoscenza” che CMA interrottamente ha teso al suo intorno. Ci riferiamo alla sua costruzione teorica destinata a consolidare la storica reciprocità tra Italia e Spagna, le cui tematiche urbane e tipologiche ne sono la base, Milano e Barcellona ne sono gli estremi. Ci riferiamo al suo sguardo sull’esperienza del Movimento Moderno e il relativo tema della residenza. Ci riferiamo alla sua naturale vocazione al silenzio, che si oppone al fragoroso rumore della contemporaneità e affianca la discreta parola del mestiere: un modo per porsi all’ascolto. All’ascolto dell’altro e del mondo. Ci riferiamo, insomma, alla sua idea di architettura intesa come «territorio dissodato da tempi remoti»; come trama di corrispondenze sincroniche tra terre, tempi, fatti, uomini, vicini e lontani: condizione ideale per chi voglia disciogliere il proprio lavoro nei labirintici sentieri del mondo, indifferente al rischio di perdersi nell’oblio. Oggi, in cui il progetto architettonico risulta sempre più spesso veicolo di soggettive e arbitrarie sperimentazioni formali, la lezione di CMA indica una via d’uscita: un mo(n)do condiviso che all’arroganza opponga la discrezione, che persuada a celarsi nella tradizione e a porsi umilmente all’ombra dei maestri. Tradizione e Maestri, Eteronimi e Nomi, complementarità a cui CMA affida il suo progetto di anonimato, sovrapersonale e ostinatamente teso a rilevarne le relazioni inedite.

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Il lavoro intende dimostrare che lo sviluppo giurisprudenziale del principio di equilibrio istituzionale, il rapporto tra detto principio e il principio di leale cooperazione, il riconoscimento istituzionale e giurisprudenziale dell’importanza della scelta della base giuridica nella tutela dell’equilibrio istituzionale hanno concorso a determinare la dinamicità dell’evoluzione dell’assetto interistituzionale della Comunità e dell’Unione. Focalizzata l’attenzione sulle nuove basi giuridiche introdotte dal Trattato di Lisbona, sono stati definiti gli assetti del nuovo equilibrio istituzionale analizzando, da un lato, il nuovo quadro istituzionale definito dal titolo III del Trattato sull’Unione europea e, in particolare la “costituzionalizzazione” del principio orizzontale di leale cooperazione. In conclusione, si rileva che con l´entrata in vigore del Trattato di Lisbona le dimensioni politica e giuridica dell’equilibrio istituzionale sono state interessate da due mutamenti di ampia portata. In primo luogo, il completamento del processo di revisione dei trattati apertosi con la dichiarazione di Laeken ha definito un nuovo quadro istituzionale, che si è riflesso in rinnovati meccanismi di funzionamento dell’architettura istituzionale. In secondo luogo, la risposta dell’Unione alla crisi economica e finanziaria ha messo al centro dell’agenda il suo bilancio, la programmazione pluriennale e l’Unione economica. Nel primo caso un’analisi dell’articolo 295 TFUE ha costituito la base di una riflessione sulle modalità di codificazione delle relazioni istituzionali attraverso accordi e sul rapporto tra questi ultimi e il titolo III TUE. Si è rilevata, in particolare, un’incongruenza tra gli obblighi di leale cooperazione orizzontale sanciti dall’articolo 13(2) TUE e gli strumenti finalizzati alla loro istituzionalizzazione. Nel secondo caso, invece, è stato evidenziato come il preminente ruolo del Consiglio europeo, al quale il Trattato di Lisbona ha riconosciuto lo status d'istituzione, abbia modificato gli equilibri, determinando un ritorno del ricorso all’integrazione differenziata rispetto a politiche disciplinate dai Trattati.

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L’armonizzazione fiscale è una importante sfida che l’Unione Europea si trova ad affrontare per la completa realizzazione del mercato interno. Le istituzioni comunitarie, tuttavia, non dispongono delle competenze legislative per intervenire direttamente negli ordinamenti tributari degli Stati membri. Svolgendo una analisi del contesto legislativo vigente, ed esaminando le prospettive de iure condendo della materia fiscale dell’Unione, il presente lavoro cerca di comprendere le prospettive di evoluzione del sistema, sia dal punto di vista della normativa fiscale sostanziale, che procedimentale. Mediante la disciplina elaborata a livello comunitario che regola la cooperazione amministrativa in materia fiscale, con particolare riferimento alle direttive relative allo scambio di informazioni e all’assistenza alla riscossione (dir. 2011/16/UE e dir. 2010/24/UE) si permette alle Amministrazioni degli Stati membri di avere accesso ai reciproci ordinamenti giuridici, e conoscerne i meccanismi. L’attuazione di tali norme fa sì che ciascun ordinamento abbia l’opportunità di importare le best practices implementate dagli altri Stati. L’obiettivo sarà quello di migliorare il proprio procedimento amministrativo tributario, da un lato, e di rendere più immediati gli scambi di informazione e la cooperazione alla riscossione, dall’altro. L’armonizzazione fiscale all’interno dell’Unione verrebbe perseguita, anziché mediante un intervento a livello europeo, attraverso un coordinamento “dal basso” degli ordinamenti fiscali, realizzato attraverso l’attività di cooperazione delle amministrazioni che opereranno su un substrato di regole condivise. La maggiore apertura delle amministrazioni fiscali dei Paesi membri e la maggiore spontaneità degli scambi di informazioni, ha una efficacia deterrente di fenomeni di evasione e di sottrazione di imposta posti in essere al fine di avvantaggiarsi delle differenze dei sistemi impositivi dei vari paesi. Nel lungo periodo ciò porterà verosimilmente, gli Stati membri a livellare i sistemi impositivi, dal momento che i medesimi non avranno più interesse ad utilizzare la leva fiscale per generare una concorrenza tra gli ordinamenti.

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Il progresso tecnologico nel campo della biologia molecolare, pone la comunità scientifica di fronte all’esigenza di dare un’interpretazione all’enormità di sequenze biologiche che a mano a mano vanno a costituire le banche dati, siano esse proteine o acidi nucleici. In questo contesto la bioinformatica gioca un ruolo di primaria importanza. Un nuovo livello di possibilità conoscitive è stato introdotto con le tecnologie di Next Generation Sequencing (NGS), per mezzo delle quali è possibile ottenere interi genomi o trascrittomi in poco tempo e con bassi costi. Tra le applicazioni del NGS più rilevanti ci sono senza dubbio quelle oncologiche che prevedono la caratterizzazione genomica di tessuti tumorali e lo sviluppo di nuovi approcci diagnostici e terapeutici per il trattamento del cancro. Con l’analisi NGS è possibile individuare il set completo di variazioni che esistono nel genoma tumorale come varianti a singolo nucleotide, riarrangiamenti cromosomici, inserzioni e delezioni. Va però sottolineato che le variazioni trovate nei geni vanno in ultima battuta osservate dal punto di vista degli effetti a livello delle proteine in quanto esse sono le responsabili più dirette dei fenotipi alterati riscontrabili nella cellula tumorale. L’expertise bioinformatica va quindi collocata sia a livello dell’analisi del dato prodotto per mezzo di NGS ma anche nelle fasi successive ove è necessario effettuare l’annotazione dei geni contenuti nel genoma sequenziato e delle relative strutture proteiche che da esso sono espresse, o, come nel caso dello studio mutazionale, la valutazione dell’effetto della variazione genomica. È in questo contesto che si colloca il lavoro presentato: da un lato lo sviluppo di metodologie computazionali per l’annotazione di sequenze proteiche e dall’altro la messa a punto di una pipeline di analisi di dati prodotti con tecnologie NGS in applicazioni oncologiche avente come scopo finale quello della individuazione e caratterizzazione delle mutazioni genetiche tumorali a livello proteico.

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Riconosciuto il problema dell’accesso ai farmaci come un problema di giustizia globale, la dissertazione, da un lato, è incentrata sullo studio dei diritti umani e sul diritto alla salute da una prospettiva giusfilosofica e, dall’altro, è finalizzata ad analizzare la disciplina brevettuale internazionale, sia approfondendo gli interessi realmente in gioco, sia studiando la struttura economica del brevetto stesso. Si è cercato quindi di guardare a tali interessi da una nuova prospettiva, ipotizzando una gerarchia di valori che sia completa e coerente con gli obiettivi che la dottrina, la giurisprudenza, nonché il diritto internazionale formalmente enunciano. Il progetto di ricerca vuole, in definitiva, arrivare a proporre nuove soluzioni giuridiche al problema dell’accesso ai farmaci. La dissertazione svolge pertanto uno studio critico della proposta di Thomas Pogge, di natura politica e giuridica e sorretta da istanze filosofiche, volta alla soluzione del problema dell’accesso ai farmaci, i.e. l’Health Impact Fund (HIF). Proposta che pone radicalmente in discussione, anche concretamente, il dogma del monopolio concesso con la privativa quale ricompensa per i costi di R&D sostenuti dai titolari dei brevetti e che pone, invece, l’accento sull’effettivo impatto sulla salute globale di ogni singola invenzione. Analizzandone approfonditamente gli aspetti più rilevanti, si passano poi in rassegna, criticamente, le proposte, alternative o di riforma, del sistema di proprietà intellettuale, volte al miglioramento dell’accesso ai farmaci; a tal proposito, si propone quindi una riforma transitoria della disciplina brevettuale, c.d. Trading Time for Space (TTS), che prevede un allungamento temporale dell’esclusiva brevettuale (Time) in cambio della vendita da parte del titolare della privativa del farmaco ad un prezzo accessibile nei Paesi in via di sviluppo (Space).

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Il lavoro propone un’analisi critica delle disciplina italiana ed europea della consulenza in materia di investimenti. Si considerano innanzitutto le problematiche generali del rapporto tra cliente e intermediario nella prestazione della consulenza, con particolare riferimento ad asimmetrie informative e conflitti di interesse. Si discute, in particolare, il tradizionale paradigma regolamentare fondato sulla trasparenza: le indicazioni della finanza comportamentale suggeriscono, infatti, un intervento normativo più deciso, volto a caratterizzare in maniera fiduciaria la relazione tra cliente e intermediario. Dopo aver analizzato, alla stregua dei modelli teorici illustrati in precedenza, l’evoluzione storica della disciplina della consulenza nell’ordinamento italiano, si sottolinea il ruolo svolto dall’autorità di vigilanza nella sistematizzazione dell’istituto, nel contempo rilevando, tuttavia, la complessiva insufficienza delle norme vigenti al fine di un’adeguata tutela dell’investitore. Si esamina poi la disciplina introdotta dalla MiFID, con specifica attenzione alle implicazioni sistematiche dell’estensione della nozione di consulenza operata dalle autorità di vigilanza: la nuova configurazione del servizio ha determinato un’intensificazione dei doveri fiduciari imposti agli intermediari, testimoniando un superamento del paradigma di trasparenza e un percorso indirizzato verso un approccio maggiormente interventista sul lato dell’offerta. Le conclusioni sono, peraltro, nel senso di uno sviluppo solo parziale di tale processo, risultando dubbio il valore per il cliente di una consulenza non indipendente e potenzialmente esposta, soprattutto negli intermediari polifunzionali, al conflitto di interessi. Particolare enfasi viene posta sulla necessità di introdurre un’effettiva consulenza indipendente, pur nelle difficoltà che la relativa disciplina incontra, anche in ragione delle caratteristiche specifiche del mercato, nell’ordinamento italiano.

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Il ritrovamento della Casa dei due peristili a Phoinike ha aperto la strada a un’intensa opera di revisione di tutti i dati relativi all’edilizia domestica nella regione, con studi comparativi verso nord (Illiria meridionale) e verso sud (il resto dell’Epiro, ovvero Tesprozia e Molossia). Tutta quest’area della Grecia nord-occidentale è stata caratterizzata nell’antichità da un’urbanizzazione scarsa numericamente e tardiva cronologicamente (non prima del IV sec. a.C.), a parte ovviamente le colonie corinzio-corciresi di area Adriatico- Ionica d’età arcaica (come Ambracia, Apollonia, Epidamnos). A un’urbanistica di tipo razionale e programmato (ad es. Cassope, Orraon, Gitani in Tesprozia, Antigonea in Caonia) si associano numerosi casi di abitati cresciuti soprattutto in rapporto alla natura del suolo, spesso diseguale e montagnoso (ad es. Dymokastro/Elina in Tesprozia, Çuka e Aitoit nella Kestrine), talora semplici villaggi fortificati, privi di una vera fisionomia urbana. D’altro canto il concetto classico di polis così come lo impieghiamo normalmente per la Grecia centro-meridionale non ha valore qui, in uno stato di tipo federale e dominato dall’economia del pascolo e della selva. In questo contesto l’edilizia domestica assume caratteri differenti fra IV e I sec. a.C.: da un lato le città ortogonali ripetono schemi egualitari con poche eccezioni, soprattutto alle origini (IV sec. a.C., come a Cassope e forse a Gitani), dall’altro si delinea una spiccata differenziazione a partire dal III sec., quando si adottano modelli architettonici differenti, come i peristili, indizio di una più forte differenziazione sociale (esemplari i casi di Antigonea e anche di Byllis in Illiria meridionale). I centri minori e fortificati d’altura impiegano formule abitative più semplici, che sfruttano l’articolazione del terreno roccioso per realizzare abitazioni a quote differenti, utilizzando la roccia naturale anche come pareti o pavimenti dei vani.

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Questa ricerca, suddivisa in due parti, si concentra sulle problematiche connesse alla normazione della vita e dei corpi delle donne al tempo delle biotecnologie. La Parte I è una genealogia filosofico-politica che ripercorre le tappe analitico-concettuali del dibattito intorno a biopolitica e tecnoscienza, a partire dai contributi teorici di poststrutturalismo e femminismo neomaterialista, e risponde alle domande: Cosa sono diventati i corpi nell’attuale società bio-info-modificata? Qual'è il ruolo delle scienze nelle metamorfosi che interessano soggettività e rapporti di potere? La Parte II è una cartografia dei modi in cui le biotecnologie, riguardanti i corpi delle donne, si sono sviluppate e diffuse. Essa indaga in modo transdisciplinare come in Italia, e più in generale in Europa, sono state normate le tecniche di interruzione volontaria di gravidanza e fecondazione in vitro. Ampio spazio è dedicato ai modi in cui gli attori della bioetica, istituzionale e non, i medici, laici e cattolici, e le case farmaceutiche hanno affrontato questi temi e quello della contraccezione ormonale maschile. Medicina riproduttiva e rigenerativa sono tematizzate sempre in relazione al quadro normativo, per mostrare in che modo esso influenzi l’accesso ai diritti alla salute e all’autodeterminazione delle donne. Il quadro normativo è analizzato, a sua volta, alla luce dei fatti storici più rilevanti e delle culture più diffuse. L’obiettivo della ricerca è duplice: da un lato essa ha il fine di mostrare il modo in cui i corpi delle donne, e la relativa potenza generatrice, siano diventati uno snodo fondamentale nell’articolazione del biocontrollo e nell'apertura dei nuovi mercati legati a medicina riproduttiva e rigenerativa; dall’altro si propone di argomentare come un biodiritto flessibile, a contenuto storico variabile, condiviso e partecipato, sia un’ipotesi praticabile e virtuosa, utile all'eliminazione del gender gap ancora esistente in materia di diritti riproduttivi e sessuali.

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Lo studio delle Zone Franche Urbane all’interno del Diritto tributario europeo non ha potuto prescindere da una introduttiva delimitazione del lavoro, capace di distinguere le diverse tipologie di zone franche esistenti nei Paesi intra/extra Ue. Attraversando i casi-studio di Madeira, delle Azzorre, fino alla istituenda Zona Franca di Bruxelles, Zone d’Economie Urbaine stimulée (ZEUS), si è giunti alla constatazione dell’assenza di una definizione di Zona Franca Urbana: analizzando le esperienze normative vissute in Francia e in Italia, si è potuto tratteggiare il profilo territoriale, soggettivo e oggettivo del sistema agevolativo rivolto al recupero delle aree urbane degradate. La funzione strumentale della fiscalità, esplicitata per mezzo delle ZFU, ha condotto ad una verifica di diritto interno per controllare la legittimità delle scelte nazionali in ragione dei principi costituzionali nazionali, come anche una di diritto europeo per evitare che le scelte nazionali, anche se legittime sul piano interno, possano per gli stessi effetti incentivanti alle attività d'impresa presentarsi come una forma territoriale di aiuti di Stato fiscali. Evidenziando il rapporto tra le ZFU e il Mercato europeo si è voluto, da un lato, effettuare una ricostruzione sistemica necessaria per un’interpretazione delle ZFU che metta in luce le componenti di tale strumento orientate al perseguimento di un interesse socioeconomico, che in prima battuta generi una contraddizione, una deroga ai principi costituzionali e comunitari, per poi “sciogliersi” in una coerente applicazione degli stessi; dall’altro, tentare di elevare le ZFU a misura sistemica dell’Ordinamento europeo. Si è svolto, infine, un ragionamento in termini di federalismo fiscale con riferimento alle ZFU, trovando una adeguata collocazione nel percorso di devoluzione intrapreso dal legislatore nazionale, avendo quali interlocutori privilegiati le Regioni a Statuto Speciale.

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Basata sul reperimento di un’ampia mole di testi giornalistici (come cronache, interviste, elzeviri e articoli di “Terza”) dedicati alle pratiche coreiche e pubblicati in Italia nel corso del ventennio fascista, la tesi ricostruisce i lineamenti di quello che, seppure ancora embrionale e certo non specialistico, si può comunque ritenere una sorta di “pensiero italiano” sulla danza del Primo Novecento. A partire dalla ricognizione sistematica di numerose testate quotidiane e periodiche e, pertanto, dalla costruzione di un nutrito corpus di fonti primarie, si è proceduto all’analisi dei testi reperiti attraverso un approccio metodologico che, fondamentalmente storiografico, accoglie tuttavia alcuni rudimenti interpretativi elaborati in ambito semiotico (con particolare riferimento alle teorizzazioni di Jurij Lotman e Umberto Eco), il tutto al fine di cogliere, pur nell’estrema varietà formale e contenutistica offerta dal materiale documentario, alcune dinamiche culturali di fondo attraverso le quali disegnare, da un lato, il panorama delle tipologie di danza effettivamente praticate sulle scene italiane del Ventennio,e, dall’altro, quello dell’insieme di pensieri, opinioni e gusti orbitanti attorno ad esse Ne è scaturita una trattazione fondamentalmente tripartita in cui, dopo la messa in campo delle questioni metodologiche, si passa dapprima attraverso l’indagine dei tre principali generi di danza che, nella stampa del periodo fascista, si ritenevano caratteristici della scena coreica internazionale – qui definiti nei termini di “ballo teatrale”, “ballo russo” e “danze libere” – e, successivamente, si presenta un approfondimento su tre singolari figure di intellettuali che, ognuno con un’attitudine estremamente personale, hanno dedicato alla danza un’attenzione speciale: Anton Giulio Bragaglia, Paolo Fabbri e Marco Ramperti. Un’ampia antologia critica completa il lavoro ripercorrendone gli snodi principali.

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Le reti transeuropee sono uno dei vettori della competitività, dell’integrazione e dello sviluppo sostenibile dell’Unione. La tesi mette in luce la progressiva affermazione di una coerente politica infrastrutturale europea a carattere strumentale, esaminando tale evoluzione sotto tre profili: normativo, istituzionale e finanziario. In primo luogo, sotto il profilo normativo, la tesi evidenzia, da un lato, la progressiva emancipazione delle istituzioni dell’Unione dall’influenza degli Stati membri nell’esercizio delle proprie competenze in materia di reti transeuropee e, dall’altro, lo sviluppo di relazioni di complementarietà e specialità tra la politica di reti e altre politiche dell’Unione. L’elaborato sottolinea, in secondo luogo, sotto il profilo istituzionale, il ruolo del processo di «integrazione organica» dei regolatori nazionali e del processo di «agenzificazione» nel perseguimento degli obiettivi di interconnessione e accesso alle reti nazionali. La tesi osserva, infine, sotto il profilo finanziario, l’accresciuta importanza del sostegno finanziario dell’UE alla costituzione delle reti, che si è accompagnata al parziale superamento dei limiti derivanti dal diritto dell’UE alla politiche di spesa pubblica infrastrutturale degli Stati membri. Da un lato rispetto al diritto della concorrenza e, in particolare, al divieto di aiuti di stato, grazie al rapporto funzionale tra reti e prestazione di servizi di interesse economico generale, e dall’altro lato riguardo ai vincoli di bilancio, attraverso un’interpretazione evolutiva della cd. investment clause del Patto di stabilità e crescita. La tesi, in conclusione, rileva gli sviluppi decisivi della politica di reti europea, ma sottolinea il ruolo che gli Stati membri sono destinati a continuare ad esercitare nel suo sviluppo. Da questi ultimi, infatti, dipende la concreta attuazione di tale politica, ma anche il definitivo superamento, in occasione di una prossima revisione dei Trattati, dei retaggi intergovernativi che continuano a caratterizzare il diritto primario in materia.

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Questa tesi di dottorato, partendo dall’assunto teorico secondo cui lo sport, pur essendo un fenomeno periferico e non decisivo del sistema politico internazionale, debba considerarsi, in virtù della sua elevata visibilità, sia come un componente delle relazioni internazionali sia come uno strumento di politica estera, si pone l’obiettivo di investigare, con un approccio di tipo storico-politico, l’attività internazionale dello sport italiano nel decennio che va dal 1943 al 1953. Nello specifico viene dedicata una particolare attenzione agli attori e alle istituzioni della “politica estera sportiva”, al rientro dello sport italiano nel consesso internazionale e alla sua forza legittimante di attrazione culturale. Vengono approfonditi altresì alcuni casi relativi a «crisi politiche» che influirono sullo sport e a «crisi sportive» che influenzarono la politica. La ricerca viene portata avanti con lo scopo primario di far emergere, da un lato se e quanto coscientemente lo sport sia stato usato come strumento di politica estera da parte dei governi e della diplomazia dell’Italia repubblicana, dall’altro quanto e con quale intensità lo sviluppo dell’attività internazionale dello sport italiano abbia avuto significative ripercussioni sull’andamento e dai rapporti di forza della politica internazionale.