310 resultados para Automotive, Design, Automobile, Linee di carattere


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Il presente lavoro di tesi mira a ricostruire lo scenario evolutivo della responsabilità patrimoniale del debitore, a partire dai principi generali sanciti dall'art. 2740 c.c. sino al diffondersi, sempre più dilagante negli anni più recenti, del fenomeno dei patrimoni separati, il quale ha contribuito a quella che è stata definita da autorevole dottrina l’“erosione” del carattere universale della responsabilità patrimoniale. In questa prospettiva, la ricerca condotta dall'autore si propone il duplice obiettivo di dimostrare, da un lato, l’ormai sostanziale ribaltamento del rapporto regola(garanzia generica)–eccezione(separazione patrimoniale) previsto dalla norma succitata, e, dall’altro, il ridimensionamento del valore della riserva di legge imposta dal secondo comma dell’art. 2740 c.c. con riguardo all’individuazione e alla disciplina dei patrimoni separati, dovuto all’affermarsi di forme di segregazione di carattere generale e flessibile ed al conseguente potenziamento del ruolo assunto dall’autonomia privata nel campo della separazione patrimoniale. Al perseguimento di tale obiettivo si aggiunge, inoltre, una valutazione dei nuovi orizzonti del fenomeno della separazione patrimoniale e, in particolare, dei segnali di apertura del nostro ordinamento all’adozione di una regolamentazione interna del trust, i cui vantaggi e la cui compatibilità con il nostro sistema giuridico vengono dimostrati attraverso il confronto con la disciplina dell'istituto in esame nell’ordinamento inglese.

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Il sistema comune europeo dell’imposta sul valore aggiunto privilegia caratteri e finalità economiche nel definire chi siano gli operatori economici soggetti all’IVA. Una disciplina particolare è, tuttavia, prevista per i soggetti di diritto pubblico che, oltre alla principale attività istituzionale, esercitano un’attività di carattere economico. Ai sensi dell’articolo 13 della Direttiva del 28 novembre 2006, 2006/112/CE, gli Stati, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti di diritto pubblico, in relazione alle attività ed operazioni che essi effettuano in quanto pubbliche autorità, non sono considerati soggetti passivi IVA anche se in relazione ad esse percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni. La vigente disciplina europea delle attività economiche esercitate dagli enti pubblici, oltre che inadeguata al contesto economico attuale, rischia di diventare un fattore che influenza negativamente l’efficacia del modello impositivo dell’IVA e l’agire degli enti pubblici. La tesi propone un modello alternativo che prevede l’inversione dell’impostazione attuale della Direttiva IVA al fine di considerare, di regola, soggetti passivi IVA gli organismi pubblici che svolgono - ancorché nella veste di pubblica autorità - attività oggettivamente economiche.

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Il lavoro si propone come un’indagine sulla letteratura italiana del primo decennio del XXI secolo, in una prospettiva non di semplice ricognizione ma di individuazione di linee interpretative capaci di ripercorrere un archivio di materiali molto vasto e non ancora chiuso. La prima parte affronta questioni relative a condizioni produttive, ricezione e valutazione critica della letteratura contemporanea. Il primo capitolo è dedicato alla discussione di problemi relativi allo studio della narrativa italiana del XXI secolo a partire dalla definizione utilizzata per riferirsi ad essa, quella di “anni zero”. Il secondo capitolo situa la narrativa contemporanea nelle linee di sviluppo della letteratura italiana degli ultimi trent’anni, a partire da un mutamento del rapporto dello scrittore con la tradizione umanistica che risale all’inizio degli anni ottanta. Il terzo capitolo approfondisce uno dei generi maggiormente praticati: il romanzo storico. Considerato negli anni ottanta e novanta un genere d'evasione e intrattenimento, negli anni zero è divenuto veicolo di punti di vista critici nei confronti delle narrazioni dominanti. La seconda parte è dedicata all’approfondimento di romanzi che raccontano, da un’ottica non testimoniale, gli anni settanta italiani, periodo complesso non solo sul piano evenemenziale, ma anche su quello della rielaborazione artistica. I romanzi su cui si concentra l’indagine offrono un racconto degli anni settanta italiani a partire da un’idea di storia plurale, ricostruita attraverso una molteplicità di voci, che muta a seconda della prospettiva da cui viene affrontata. Le storie false dei romanzi sugli anni settanta non chiedono di essere lette come vere, ma dicono comunque qualcosa di vero sulle modalità attraverso le quali si va costruendo il rapporto con il passato recente, nel più ampio contesto dei percorsi della letteratura italiana di inizio millennio, tra spinte che vanno nella direzione del mantenimento dell’autonomia da parte degli autori e pressioni del mercato editoriale.

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Ad oggi le città europee si configurano come i principali centri di cultura, innovazione e sviluppo economico. Tuttavia, ospitando circa il 75% della popolazione e consumando quasi l’80% dell’energia prodotta, a causa delle significative emissioni di gas serra esse contribuiscono in modo rilevante ai cambiamenti climatici e, allo stesso tempo, ne subiscono gli effetti più intensi. La Comunità Europea ha preso atto della necessità di intraprendere un’azione sinergica che adotti strategie di mitigazione climatica e preveda misure di adattamento per far fronte agli impatti climatici ormai inevitabili. L'orientamento dei Programmi europei di Ricerca e Innovazione sul tema delle città smart e clima-neutrali sposta l'attenzione dalla dimensione urbana verso la scala di distretto. In questa prospettiva, i Positive Energy Districts (PEDs) si configurano come distretti di nuova edificazione, ma anche come soluzioni ambiziose per la riqualificazione di quartieri esistenti che gestiscono in modo attivo il fabbisogno energetico con un bilancio nullo di emissioni e un surplus di energia prodotta da rinnovabili. La ricerca di dottorato focalizza l’indagine sul modello PEDs esplorandone il potenziale di applicabilità nel contesto urbano consolidato. Nello specifico, la tesi lavora allo sviluppo di due contributi di ricerca originali: il PED-Portfolio e il PED-Toolkit. Tali contributi propongono un approccio sistemico, attraverso il quale intraprendere un percorso di conoscenza e sperimentazione del modello PEDs in una prospettiva di riduzione del fabbisogno energetico, ma anche in un’ottica di migliore accessibilità, vivibilità e resilienza di questi distretti. Al fine di verificare l’applicabilità dei risultati della ricerca, gli strumenti sviluppati vengono testati su un’area pilota e gli esiti di tale sperimentazione sono poi messi a confronto con il quadro dello stato dell’arte e con le principali linee di ricerca internazionali sul tema PEDs, affinando gli esiti del progetto di dottorato in un processo di ricerca-sperimentazione-ricerca.

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A pesquisa-intervenção pretendeu cartografar e analisar os processos de trabalho e a produção de cuidados nos Hospitais Comunitários, enquanto dispositivos de cuidados intermediários da Região Emilia-Romagna, Itália. Nos diferentes encontros do percurso cartográfico, foram-se tecendo sentidos e contextos para aproximação do campo micropolítico, que na organização do estudo compõem as “pausas”, adensamentos que construíram ferramentas de intervenção e leituras. Estas “pausas” apresentaram os processos de aproximação cultural, de construção metodológica, de invenção e reinvenção dos modos de investigar cartografando encontros e afetos; além da construção de sentidos que impactaram nas intervenções produzidas pelo estudo. As interferências produzidas durante o percurso da pesquisa formação, a partir da realização do projeto de cooperação internacional - RERSUS, relevaram o campo micropolítico do cotidiano do Hospitais Comunitários e estão apresentadas pelos “platôs” nesta tese. São estas zonas de intensidades, que a partir coletivo marcaram os agenciamentos enquanto dispositivos presentes que disputam novos modos de fazer. Tais dispositivos, linhas de fugas visibilizados no percurso da pesquisa, são lançados à luz do contexto da pandemia Covid-19, em transposição atual e necessária aos sistemas de saúde, reapresentando à discussão recolocação das cogentes demandas de transição tecnológica e completa reestruturação produtiva da saúde.

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Attraverso questa tesi, si intente centrare l'attenzione del mondo accademico e di quello teatrale sugli apporti delle pratiche performative al posizionamento sociale e la qualità della vita delle persone cieche e ipovedenti. Questa tesi tenta di fornire strumenti che avvicinino le persone con disabilità visive alla pratica delle attività teatrali basate su teorie scientifiche. Innanzitutto, a questo fine, ho reperito, sintetizzato e messo in reciproca relazione contributi di taglio psicologico, fisiologico e sociologico. Da questo lavoro esplorativo è risultato un quadro compressivo delle condizioni psicofisiche delle persone con disabilità visive. I loro aspetti psicologici presentano disturbi depressivi, ansie, problematiche circa la concezione di sé e l’autostima, rischi di suicidio, mentre quelli fisici includono stabilità posturale, coordinamento bilaterale e diverse forme di attività. A questi elementi vanno inoltre associati controllo dell'espressione, socialità e memoria. Combinando questi insiemi di caratteristiche alle possibilità e alle dinamiche del laboratorio teatrale, si sono quindi elaborate, progettate e sperimentate diverse serie di esercizi teatrali per non vedenti e ipovedenti. Tuttavia, a causa degli impedimenti oggettivi causati dalla pandemia del Covid, questa parte sperimentale della ricerca è in gran parte restata allo stato embrionale. Infine, sono stati documentati con descrizioni e interviste due laboratori teatrali per non vedenti rappresentativi della realtà italiana. A questi ho aggiunto riferimenti su iniziative e istituzioni di carattere teatrale: New Life, Teatro Ciego, XINMU Laboratorio teatrale, EXTANT, Theater Breaking, CRE Outreach. Si spera che, attraverso questo ricerca, non solo le persone con disabilità visive si famigliarizzino con le risorse offerte dalle pratiche formative, ma anche gli studiosi interessati possano sinteticamente accedere ad una complessiva e preliminare delle attività teatrali per i non vedenti, contribuendo, così, allo sviluppo sistematico della ricerca in questo campo.

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La ricerca indaga il ruolo del designer nella transizione sostenibile e circolare all’uso di materiali polimerici. Nel contesto contemporaneo la plastica è utilizzata in quasi ogni settore merceologico ma la sua futura applicazione è messa in forte discussione a causa dei visibili impatti ambientali del suo uso irresponsabile. Un passaggio netto dalla totale dipendenza alla liberazione dei polimeri è difficile; è necessario un periodo di transizione che permetta di coesistere responsabilmente con i polimeri in attesa di trovare dei validi sostituti. L’obiettivo della ricerca è lavorare su questo periodo ponendo il designer e le sue competenze come soggetti chiave del movimento. La tesi di ricerca propone un approccio per calare le pratiche del Transition Design nella progettazione di sistemi-prodotto, nutrendosi degli attributi anticipatori dell’Advanced Design e puntando agli obiettivi del Circular Design, lavorando a partire dalle merci più critiche nel contesto contemporaneo: quelle in polimero fossile non riciclabile. Contributo della tesi è la figura del Transition Matter Designer, un progettista di transizioni dei materiali che prevede metamorfosi di sistemi-prodotto nel tempo grazie alle sue competenze a diverse scale del progetto: forma l’utente agli atteggiamenti circolari e sostenibili, caratterizza i materiali per individuarne nuovi usi, seleziona i processi produttivi adatti a prevenire scarti e ne anticipa i cicli di vita nei prodotti. I Knitted Fasteners sono il risultato della simulazione del lavoro del Transition Matter Designer nel tessile: un sistema di elementi di fissaggio, personalizzabili dallo stilista e integrati negli abiti a maglia, che permettono di eliminare l’uso di fashion fasteners in plastica e metallo, elementi che rendono difficile il riciclo dei capi. Dalla sperimentazione è emerso il modello concettuale della Transindustrial Production: un lavoro di collaborazione fra Transition Matter Designer e creativo per dare identità ai materiali polimerici circolari attraverso l’ibridazione fra artigianato e industria, tipico del Made in Italy.

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The present dissertation relates to methodologies and technics about industrial and mechanical design. The author intends to give a complete idea about the world of design, showing the theories of Quality Function Deployment and TRIZ, of other methods just like planning, budgeting, Value Analysis and Engineering, Concurrent Engineering, Design for Assembly and Manufactoring, etc., and their applications to five concrete cases. In these cases there are also illustrated design technics as CAD, CAS, CAM; Rendering, which are ways to transform an idea into reality. The most important object of the work is, however, the birth of a new methodology, coming up from a comparison between QFD and TRIZ and their integration through other methodologies, just like Time and Cost Analysis, learned and skilled during an important experience in a very famous Italian automotive factory.

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Additive Manufacturing (AM) is nowadays considered an important alternative to traditional manufacturing processes. AM technology shows several advantages in literature as design flexibility, and its use increases in automotive, aerospace and biomedical applications. As a systematic literature review suggests, AM is sometimes coupled with voxelization, mainly for representation and simulation purposes. Voxelization can be defined as a volumetric representation technique based on the model’s discretization with hexahedral elements, as occurs with pixels in the 2D image. Voxels are used to simplify geometric representation, store intricated details of the interior and speed-up geometric and algebraic manipulation. Compared to boundary representation used in common CAD software, voxel’s inherent advantages are magnified in specific applications such as lattice or topologically structures for visualization or simulation purposes. Those structures can only be manufactured with AM employment due to their complex topology. After an accurate review of the existent literature, this project aims to exploit the potential of the voxelization algorithm to develop optimized Design for Additive Manufacturing (DfAM) tools. The final aim is to manipulate and support mechanical simulations of lightweight and optimized structures that should be ready to be manufactured with AM with particular attention to automotive applications. A voxel-based methodology is developed for efficient structural simulation of lattice structures. Moreover, thanks to an optimized smoothing algorithm specific for voxel-based geometries, a topological optimized and voxelized structure can be transformed into a surface triangulated mesh file ready for the AM process. Moreover, a modified panel code is developed for simple CFD simulations using the voxels as a discretization unit to understand the fluid-dynamics performances of industrial components for preliminary aerodynamic performance evaluation. The developed design tools and methodologies perfectly fit the automotive industry’s needs to accelerate and increase the efficiency of the design workflow from the conceptual idea to the final product.

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The research project aims to improve the Design for Additive Manufacturing of metal components. Firstly, the scenario of Additive Manufacturing is depicted, describing its role in Industry 4.0 and in particular focusing on Metal Additive Manufacturing technologies and the Automotive sector applications. Secondly, the state of the art in Design for Additive Manufacturing is described, contextualizing the methodologies, and classifying guidelines, rules, and approaches. The key phases of product design and process design to achieve lightweight functional designs and reliable processes are deepened together with the Computer-Aided Technologies to support the approaches implementation. Therefore, a general Design for Additive Manufacturing workflow based on product and process optimization has been systematically defined. From the analysis of the state of the art, the use of a holistic approach has been considered fundamental and thus the use of integrated product-process design platforms has been evaluated as a key element for its development. Indeed, a computer-based methodology exploiting integrated tools and numerical simulations to drive the product and process optimization has been proposed. A validation of CAD platform-based approaches has been performed, as well as potentials offered by integrated tools have been evaluated. Concerning product optimization, systematic approaches to integrate topology optimization in the design have been proposed and validated through product optimization of an automotive case study. Concerning process optimization, the use of process simulation techniques to prevent manufacturing flaws related to the high thermal gradients of metal processes is developed, providing case studies to validate results compared to experimental data, and application to process optimization of an automotive case study. Finally, an example of the product and process design through the proposed simulation-driven integrated approach is provided to prove the method's suitability for effective redesigns of Additive Manufacturing based high-performance metal products. The results are then outlined, and further developments are discussed.

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E’ stato in primo luogo definito il criterio di efficienza dal punto di vista economico (con una accenno anche ai parametri elaborati dagli studiosi di discipline aziendali), nelle sue varie accezioni, ponendo altresì ciascuna di queste in relazione alle condizioni di concorrenza perfetta. Le nozioni di efficienza che sono state definite a tal fine sono quelle di efficienza allocativa, efficienza tecnica, efficienza dinamica ed efficienza distributiva. Ciascuna di esse é stata inquadrata a livello teorico secondo le definizioni fornite dalla letteratura, esaminandone le ipotesi sottostanti. E’ stata altresì descritta, contestualizzandola temporalmente, l’evoluzione della nozione, e ne sono state evidenziate le implicazioni ai fini della ricerca della forma di mercato più “efficiente”. Sotto quest’ultimo aspetto l’attenzione dello scrivente si é incentrata sul rapporto tra le diverse accezioni di efficienza economica oggetto di analisi e la desiderabilità o meno di un regime di concorrenza perfetta. Il capitolo si conclude con una breve panoramica sulle metodologie di misurazione finalizzata ad individuare i principali parametri utilizzati per determinare il livello di efficienza, di un mercato, di un’attività produttiva o di un’impresa, posto che, come verrà specificato nel prosieguo della tesi, la valutazione di efficienza in ambito antitrust deve essere verificata, ove possibile, anche basandosi sull’evidenza empirica delle singole imprese esaminate, come richiede il criterio della rule of reason. Capitolo 2 Presupposto per avere una regolazione che persegua l’obiettivo di avere una regolazione efficiente ed efficace, è, a parere di chi scrive, anche l’esistenza di autorità pubbliche deputate a esercitare la funzione regolatoria che rispettino al proprio interno e nel proprio agire la condizione di efficienza definita rispetto ai pubblici poteri. Lo sviluppo di questa affermazione ha richiesto in via preliminare, di definire il criterio di efficienza in ambito pubblicistico individuandone in particolare l’ambito di applicazione, il suo rapporto con gli altri principi che reggono l’azione amministrativa (con particolare riferimento al criterio di efficacia). Successivamente é stato collocato nel nostro ordinamento nazionale, ponendolo in relazione con il principio di buon andamnento della Pubblica Amministrazione, benchè l’ordinamento italiano, per la sua specificità non costituisca un esempio estendibile ad ordinamenti. Anche con riferimento al criterio di efficienza pubblica, un paragrafo é stato dedicato alle metodologie di misurazione di questa, e, nello specifico sull’Analisi Costi-Benefici e sull’Analisi di Impatto della Regolazione Una volta inquadrata la definizione di efficienza pubblica, questa é stata analizzata con specifico riferimento all’attività di regolazione dell’economia svolta dai soggetti pubblici, ambito nella quale rientra la funzione antitrust. Si é provato in particolare ad evidenziare, a livello generale, quali sono i requisiti necessari ad un’autorità amministrativa antitrust, costituita e dotata di poteri ad hoc, affinché essa agisca, nella sua attività di regolazione, secondo il principio di efficienza, Il capitolo si chiude allargando l’orizzonte della ricerca verso una possibile alternativa metodologica al criterio di efficienza precedentemente definito: vi si é infatti brevemente interrogati circa lo schema interpretativo nel quale ci muoviamo, affrontando la questione definitoria del criterio di efficienza, ponendolo in relazione con l’unico modello alternativo esistente, quello sviluppatosi nella cultura cinese. Non certo per elaborare un’applicazione in “salsa cinese” del criterio di efficienza alla tutela della concorrenza, compito al quale lo scrivente non sarebbe stato in grado di ottemperare, bensì, più semplicemente per dare conto di un diverso approccio alla questione che il futuro ruolo di superpotenza economica della Cina imporrà di prendere in considerazione. Capitolo 3 Nel terzo capitolo si passa a definire il concetto di concorrenza come istituto oggetto di tutela da parte della legge antitrust, per poi descrivere la nascita e l’evoluzione di tale legislazione negli Stati Uniti e della sua applicazione, posto che il diritto antitrust statunitense ancora oggi costituisce il necessario punto di riferimento per lo studioso di questa materia. L’evoluzione del diritto antitrust statunitense é stata analizzata parallelamente allo sviluppo delle principali teorie di law and economics che hanno interpretato il diritto della concorrenza quale possibile strumento per conseguire l’obiettivo dell’efficienza economica: la Scuola di Harvard e il paradigma strutturalista, la teoria evoluzionista della Scuola Austriaca, la Scuola di Chicago; le c.d. teorie “Post-Chicago”. Nel terzo capitolo, in altri termini, si é dato conto dell’evoluzione del pensiero economico con riferimento alla sua applicazione al diritto antitrust, focalizzando l’attenzione su quanto avvenuto negli Stati Uniti, paese nel quale sono nati sia l’istituto giuridico della tutela della concorrenza sia l’analisi economica del diritto. A conclusione di questa ricostruzione dottrinale ho brevemente esaminato quelle che sono le nuove tendenze dell’analisi economica del diritto, e specificatamente la teoria del comportamento irrazionale, benché esse non abbiano ancora ricevuto applicazione al diritto antitrust. Chi scrive ritiene infatti che queste teorie avranno ricadute anche in questa materia poiché essa costituisce uno dei principali ambiti applicativi della law and economics. Capitolo 4 Nel quarto capitolo é stata effettuata una disanima della disciplina comunitaria antitrust sottolineando come l’Unione Europea si proponga attraverso la sua applicazione, soprattutto in materia di intese, di perseguire fini eterogenei, sia economici che non economici, tra loro diversi e non di rado contrastanti, e analizzando come questa eterogeneità di obiettivi abbia influito sull’applicazione del criterio di efficienza. Attenendomi in questo capitolo al dato normativo, ho innanzitutto evidenziato l’ampiezza dell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria antitrust sia dal punto di vista soggettivo che territoriale (dottrina dell’effetto utile), sottolineando come la norma giustifichi esplicitamente il ricorso al criterio di efficienza solo nella valutazione delle intese: il comma 3 dell’art. 81 del Trattato include, infatti, tra i requisiti di una possibile esenzione dall’applicazione del divieto per le intese qualificate come restrittive della concorrenza, la possibilità di ottenere incrementi di efficienza tecnica e/o dinamica attraverso l’implementazione delle intese in questione. Tuttavia la previsione da parte dello stesso art. 81 (3) di altri requisiti che devono contemporaneamente essere soddisfatti affinché un intesa restrittiva della concorrenza possa beneficiare dell’esenzione, nonché la possibile diversa interpretazione della locuzione “progresso tecnico ed economico”, impone, o comunque ammette, il perseguimento di altri obiettivi, contestualmente a quello dell’efficienza, giustificando così quell’eterogeneità dei fini che contraddistingue la politica della concorrenza dell’Unione Europea. Se la disciplina delle intese aiuta a comprendere il ruolo del criterio di efficienza nell’applicazione dei precetti antitrust da parte degli organi comunitari, l’art. 82 del Trattato non contiene invece alcun riferimento alla possibilità di utilizzare il criterio di efficienza nella valutazione delle condotte unilaterali poste in essere da imprese in posizione dominante sul mercato rilevante. Si è peraltro dato conto della consultazione recentemente avviata dalla Commissione Europea finalizzata all’elaborazione di Linee Guida che definiscano i criteri di interpretazione che l’organo comunitario dovrà seguire nella valutazione dei comportamenti unilaterali. A parere dello scrivente, anzi, l’assenza di un preciso schema cui subordinare la possibilità di ricorrere al criterio di efficienza nella valutazione della fattispecie, attribuisce alle autorità competenti un più ampio margine di discrezionalità nell’utilizzo del suddetto criterio poiché manca il vincolo della contestuale sussistenza delle altre condizioni di cui all’art. 81(3). Per quanto concerne infine la disciplina delle concentrazioni, essa, come abbiamo visto, prevede un riferimento ai possibili incrementi di efficienza (tecnica e dinamica) derivanti da operazioni di fusione, utilizzando la nozione utilizzata per le intese, così come nel precedente Regolamento 4064/89. Si é infine analizzato il nuovo Regolamento in materia di concentrazioni che avrebbe potuto costituire l’occasione per recepire nella disciplina comunitaria l’attribuzione della facoltà di ricorrere all’efficiency defense in presenza di una fattispecie, quella della fusione tra imprese, suscettibile più di altre di essere valutata secondo il criterio di efficienza, ma che si é invece limitato a riprendere la medesima locuzione presente nell’art. 81(3). Il capitolo attesta anche l’attenzione verso l’istanza di efficienza che ha riguardato il meccanismo di applicazione della norma antitrust e non il contenuto della norma stessa; a questo profilo attiene, infatti, l’innovazione apportata dal Regolamento 1/2003 che ha permesso, a parere dello scrivente, un’attribuzione più razionale della competenza nella valutazione dei casi tra la Commissione e le autorità nazionali degli Stati membri; tuttavia pone alcune questioni che investono direttamente il tema dei criteri di valutazione utilizzati dalle autorità competenti. Capitolo 5 L’analisi del quarto capitolo é stata condotta, sebbene in forma più sintetica, con riferimento alle normative antitrust dei principali Stati membri della Comunità Europea (Germania, Gran Bretagna, Spagna, Francia e Italia), rapportando anche queste al criterio di efficienza, ove possibile. Particolare attenzione é stata dedicata ai poteri e alle competenze attribuite alle autorità nazionali antitrust oggetto di studio dall’ordinamento giuridico cui appartengono e al contesto, in termini di sistema giuridico, nel quale esse operano. Capitolo 6 Si é provato ad effettuare una valutazione del livello di efficienza delle autorità prese in esame, la Commissione e le diverse autorità nazionali e ciò con particolare riferimento alla idoneità di queste a svolgere i compiti istituzionali loro affidati (criterio di efficienza dal punto di vista giuridico): affinchè un’autorità si possa ispirare al criterio di efficienza economica nell’adozione delle decisioni, infatti, è preliminarmente necessario che essa sia idonea a svolgere il compito che le è stato affidato dall’ordinamento. In questo senso si é osservata la difficoltà dei paesi di civil law a inquadrare le autorità indipendenti all’interno di un modello, quello appunto di civil law, ispirato a una rigida tripartizione dei poteri. Da qui la difficile collocazione di queste autorità che, al contrario, costituiscono un potere “ibrido” che esercita una funzione di vigilanza e garanzia non attribuibile integralmente né al potere esecutivo né a quello giurisdizionale. Si rileva inoltre una certa sovrapposizione delle competenze e dei poteri tra autorità antitrust e organi ministeriali, in particolare nel campo delle concentrazioni che ingenera un rischio di confusione e bassa efficienza del sistema. Mantenendo, infatti, un parziale controllo politico si rischia, oltre all’introduzione di criteri di valutazione politica che prescindono dagli effetti delle fattispecie concrete sul livello di concorrenza ed efficienza del mercato, anche di dare luogo a conflitti tra le diverse autorità del sistema che impediscano l’adozione e l’implementazione di decisioni definitive, incrementando altresì i costi dell’intervento pubblico. Un giudizio a parte è stato infine formulato con riguardo alla Commissione Europea, istituzione, in quanto avente caratteristiche e poteri peculiari. Da un lato l’assenza di vincolo di mandato dei Commissari e l’elevata preparazione tecnica dei funzionari costituiscono aspetti che avvicinano la Commissione al modello dell’autorità indipendenti, e l’ampiezza dei poteri in capo ad essa le permette di operare efficientemente grazie anche alla possibilità di valersi dell’assistenza delle autorità nazionali. Dall’altra parte, tuttavia la Commissione si caratterizza sempre di più come un organo politico svolgente funzioni esecutive, di indirizzo e di coordinamento che possono influenzare gli obiettivi che essa persegue attraverso l’attività antitrust, deviandola dal rispetto del criterio di efficienza. Capitolo 7 Una volta definito il contesto istituzionale di riferimento e la sua idoneità a svolgere la funzione affidatagli dall’ordinamento comunitario, nonché da quelli nazionali, si è proceduto quindi all’analisi delle decisioni adottate da alcune delle principali autorità nazionali europee competenti ad applicare la disciplina della concorrenza dal punto di vista dell’efficienza. A tal fine le fattispecie rilevanti a fini antitrust dal punto di vista giuridico sono state classificate utilizzando un criterio economico, individuando e definendo quelle condotte che presentano elementi comuni sotto il profilo economico e per ciascuna di esse sono state inquadrate le problematiche rilevanti ai fini dell’efficienza economica sulla scorta dei contributi teorici e delle analisi empiriche svolte dalla letteratura. 6 Con riferimento a ciascuna condotta rilevante ho esaminato il contenuto di alcune delle decisioni antitrust più significative e le ho interpretate in base al criterio di efficienza. verificando se e in quale misura le autorità antitrust prese in esame utilizzano tale criterio, cercando altresì di valutare l’evoluzione dei parametri di valutazione occorsa nel corso degli anni. Le decisioni analizzate sono soprattutto quelle adottate dalla Commissione e le eventuali relative sentenze della Corte di Giustizia Europea; ciò sia per la maggior rilevanza dei casi trattati a livello comunitario, sia in quanto le autorità nazionali, con qualche rara eccezione, si conformano generalmente ai criteri interpretativi della Commissione. Riferimenti a decisioni adottate dalle autorità nazionali sono stati collocati allorquando i loro criteri interpretativi si discostino da quelli utilizzati dagli organi comunitari. Ne è emerso un crescente, anche se ancora sporadico e incostante, ricorso al criterio di efficienza da parte degli organi europei preposti alla tutela della concorrenza. Il tuttora scarso utilizzo del criterio di efficienza nello svolgimento dell’attività antitrust è motivato, a parere di chi scrive, in parte dall’eterogeneità degli obiettivi che l’Unione Europea persegue attraverso la politica della concorrenza comunitaria (completamento del mercato unico, tutela del consumatore, politica industriale, sviluppo delle aree svantaggiate), in parte dall’incapacità (o dall’impossibilità) delle autorità di effettuare coerenti analisi economiche delle singole fattispecie concrete. Anche le principali autorità nazionali mostrano una crescente propensione a tendere conto dell’efficienza nella valutazione dei casi, soprattutto con riferimento agli accordi verticali e alle concentrazioni, sulla scia della prassi comunitaria. Più innovativa nell’applicazione del criterio di efficienza economica così come nella ricerca di uso ottimale delle risorse si è finora dimostrato l’OFT, come vedremo anche nel prossimo capitolo. Al contrario sembra più lenta l’evoluzione in questo senso dell’Ufficio dei Cartelli tedesco sia a causa delle già citate caratteristiche della legge antitrust tedesca, sia a causa del persistente principio ordoliberale della prevalenza del criterio della rule of law sulla rule of reason. Peraltro, anche nei casi in cui le Autorità siano propense ad utilizzare il criterio di efficienza nelle loro valutazioni, esse si limitano generalmente ad un’analisi teorica dell’esistenza di precondizioni che consentano alle imprese in questione di ottenere guadagni di efficienza. La sussistenza di tali pre-condizioni viene infatti rilevata sulla base della capacità potenziale della condotta dell’impresa (o delle imprese) di avere un effetto positivo in termini di efficienza, nonché sulla base delle caratteristiche del mercato rilevante. Raramente, invece, si tiene conto della capacità reale dei soggetti che pongono in essere la pratica suscettibile di essere restrittiva della concorrenza di cogliere effettivamente queste opportunità, ovvero se la struttura e l’organizzazione interna dell’impresa (o delle imprese) non è in grado di mettere in pratica ciò che la teoria suggerisce a causa di sue carenza interne o comunque in ragione delle strategie che persegue. Capitolo 8 Poiché l’approccio ispirato al criterio di efficienza economica non può prescindere dalle caratteristiche del settore e del mercato in cui operano l’impresa o le imprese che hanno posto in essere la condotta sotto esame, e poiché una valutazione approfondita di tutti i settori non era effettuabile per quantità di decisioni adottate dalle autorità, ho infine ritenuto di svolgere un’analisi dettagliata dell’attività delle autorità con riferimento ad uno specifico settore. La scelta è caduta sul settore dei trasporti in quanto esso presenta alcune problematiche che intrecciano l’esigenza di efficienza con la tutela della concorrenza, nonché per la sua importanza ai fini dello sviluppo economico. Tanto più alla luce del fenomeno della crescente apertura dei mercati che ha enfatizzato la triplice funzione dei trasporti di merci, di livellamento nello spazio dei prezzi di produzione, di redistribuzione nello spazio dell’impiego dei fattori della produzione, e soprattutto di sollecitazione al miglioramento delle tecnologie utilizzate nella produzione stessa in quanto contribuiscono alla divisione territoriale del lavoro e alla specializzazione produttiva. A loro volta, d’altra parte, i miglioramenti tecnici e organizzativi intervenuti nel settore negli ultimi trenta anni hanno reso possibile il fenomeno della globalizzazione nella misura in cui lo conosciamo. Così come le riduzioni di costo e di tempo conseguite nel trasporto di persone hanno consentito massicci spostamenti di lavoratori e più in generale di capitale umano da una parte all’altra del globo, e favorito altresì la spettacolare crescita del settore turistico. Ho quindi condotto un’analisi delle decisioni antitrust relative al settore dei trasporti, suddividendo la casistica in base al comparto al quale esse si riferivano, cercando sempre di non perdere di vista i crescenti legami che esistono tra i vari comparti alla luce dell’ormai affermato fenomeno del trasporto multimodale. Dall’analisi svolta emerge innanzitutto come l’assoggettamento del settore dei trasporti alla disciplina di tutela della concorrenza sia un fenomeno relativamente recente rispetto alle altre attività economiche, laddove la ragione di tale ritardo risiede nel fatto che tradizionalmente questo settore era caratterizzato da un intervento pubblico diretto e da una pervasiva regolamentazione, a sua volta giustificata da vari fattori economici: le caratteristiche di monopolio naturale delle infrastrutture; le esigenze di servizio pubblico connesse all’erogazione di molti servizi di trasporto; il ruolo strategico svolto dal trasporto sia di persone che di merci ai fini della crescita economica di un sistema. Si concretizza, inoltre, con riferimento ai trasporti marittimi e aerei, l’inadeguatezza della dimensione nazionale e comunitaria delle autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa che spesso hanno effetti letteralmente globali. Le imprese marittime e aeree coinvolte nelle fattispecie da noi esaminate, infatti, in molti casi predisponevano, direttamente o mediatamente, tramite “alleanze”, collegamenti tra tutte le aree del mondo, individuando nell’Europa solo un nodo di un network ben più ampio Da questa constatazione discende, a parere dello scrivente, l’impossibilità per l’autorità comunitaria e ancor più per quella nazionale di individuare tutti gli effetti in termini di efficienza che la fattispecie concreta può provocare, non includendo pertanto solo quelli evidenti sul mercato comunitario. Conseguentemente una reale applicazione del criterio di efficienza all’attività antitrust nel settore dei trasporti non può prescindere da una collaborazione tra autorità a livello mondiale sia a fini di indagine che a fini di individuazione di alcuni principi fondamentali cui ispirarsi nello svolgimento della loro missione istituzionale. Capitolo 9. Conclusioni L’opera si chiude con l’individuazione delle evidenze e degli elementi emersi dalla trattazione considerati dallo scrivente maggiormente rilevanti nell’ambito dell’attuale dibattito di economia positiva circa le principali problematiche che affiggono l’intervento antitrust con particolare riferimento al suo rispetto del criterio di efficienza. Sono state altresì proposte alcune soluzioni a quelle che sono, a parere dello scrivente, le principali carenze dell’attuale configurazione dell’intervento antitrust a livello europeo, sempre in una prospettiva di efficienza sia delle autorità competenti sia dei mercati in cui le autorità stesse cercano di mantenere o ripristinare condizioni di concorrenza effettiva. Da un lato il modello costituito dalla Commissione Europea, l’autorità antitrust comunitaria, non replicabile né esente da critiche: la Commissione, infatti, rappresenta il Governo dell’Unione Europea e come tale non può ovviamente costituire un esempio di autorità indipendente e neutrale recepibile da parte degli Stati membri. Ciò anche a prescindere dalla questione della sua legittimazione, che in questa sede non affrontiamo. Dall’altro in una prospettiva di efficienza dei mercati la crescente applicazione delle teorie economiche da parte delle autorità esaminate è rimasta a un livello astratto, senza porre la dovuta attenzione alle specificità dei mercati rilevanti né tantomeno alle dinamiche interne alle singole imprese, con particolare riferimento alla loro capacità di rendere effettivi i guadagni di efficienza individuabili a livello potenziale, così come prescrive la più recente teoria economica applicata al diritto antitrust. Sotto il profilo dell’applicazione del criterio di efficienza si può comunque affermare che l’evoluzione che ha avuto la prassi decisionale e la giurisprudenza, comunitaria e degli Stati membri, in materia antitrust è stata caratterizzata dal loro progressivo avvicinamento alle tendenze sviluppatesi nelle agencies e nella giurisprudenza statunitense a partire dagli anni’70, caratterizzate dalla valutazione degli effetti, piuttosto che della forma giuridica, dal riconoscimento del criterio di efficienza e dalla rule of reason quale approccio metodologico. L’effetto è stato quello di determinare una significativa riduzione delle differenze inizialmente emerse tra le due esperienze, nate inizialmente sotto diverse prospettive politiche. Per quanto concerne specificatamente i trasporti sono emersi sotto il profilo economico due aspetti rilevanti, oltre al perdurante ritardo con cui il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario che limita fortemente l’intervento antitrust nel comparto, ma che esula dalla competenza delle stesse autorità antitrust. Il primo consiste nella spesso troppo rigida separazione tra comparti adottata dalle autorità. Il secondo è l’estensivo ricorso all’essential facility doctrine nelle fattispecie riguardanti infrastrutture portuali e aeroportuali: la massimizzazione dell’efficienza dinamica consiglierebbe in questi casi una maggiore cautela, in quanto si tratta di un paradigma che, una volta applicato, disincentiva la duplicazione e l’ampliamento di tali infrastrutture autoalimentandone il carattere di essenzialità. Ciò soprattutto laddove queste infrastrutture possono essere sostituite o duplicate piuttosto facilmente da un punto di vista tecnico (meno da un punto di vista economico e giuridico), essendo esse nodi e non reti. E’stata infine sottolineata l’inadeguatezza della dimensione nazionale e comunitaria delle autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa che con riferimento ai trasporti marittimi ed aerei hanno effetti letteralmente globali. E’ di tutta evidenza che le autorità comunitarie e tantomeno quelle nazionali non sono da sole in grado di condurre le analisi quantitative necessarie ad una valutazione di tali condotte ispirata a un criterio di efficienza che tenga conto degli effetti di lungo periodo della fattispecie concreta. Né tali autorità sono sufficientemente neutre rispetto alla nazionalità delle imprese indagate per poter giudicare sulla liceità o meno della condotta in questione senza considerare gli effetti della loro decisione sull’economia interna, rendendo così ancora più improbabile un corretto utilizzo del criterio di efficienza. Da ultimo ho constatato come l’applicazione del concetto di efficienza giuridica imporrebbe di concepire autorità antitrust del tutto nuove, sganciate quanto più possibile dall’elemento territoriale, in grado di elaborare regole e standards minimi comuni e di permettere il controllo dei comportamenti di impresa in un contesto ampliato rispetto al tradizionale mercato unico, nonchè ai singoli mercati nazionali. Il processo di armonizzazione a livello globale è difficile e il quadro che attualmente viene formato è ancora confuso e incompleto. Vi sono tuttavia sparsi segnali attraverso i quali é possibile intravedere i lineamenti di una futura global governance della concorrenza che permetterà, sperabilmente, di incrementare l’efficienza di un sistema, quello antitrust, che tanto più piccolo è l’ambito in cui opera quanto più si sta dimostrando inadeguato a svolgere il compito affidatogli. Solo il futuro, peraltro, ci consentirà di verificare la direzione di sviluppo di questi segnali.

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Recent developments in piston engine technology have increased performance in a very significant way. Diesel turbocharged/turbo compound engines, fuelled by jet fuels, have great performances. The focal point of this thesis is the transformation of the FIAT 1900 jtd diesel common rail engine for the installation on general aviation aircrafts like the CESSNA 172. All considerations about the diesel engine are supported by the studies that have taken place in the laboratories of the II Faculty of Engineering in Forlì. This work, mostly experimental, concerns the transformation of the automotive FIAT 1900 jtd – 4 cylinders – turbocharged – diesel common rail into an aircraft engine. The design philosophy of the aluminium alloy basement of the spark ignition engine have been transferred to the diesel version while the pistons and the head of the FIAT 1900 jtd are kept in the aircraft engine. Different solutions have been examined in this work. A first V 90° cylinders version that can develop up to 300 CV and whose weight is 30 kg, without auxiliaries and turbocharging group. The second version is a development of e original version of the diesel 1900 cc engine with an optimized crankshaft, that employ a special steel, 300M, and that is verified for the aircraft requirements. Another version with an augmented stroke and with a total displacement of 2500 cc has been examined; the result is a 30% engine heavier. The last version proposed is a 1600 cc diesel engine that work at 5000 rpm, with a reduced stroke and capable of more than 200 CV; it was inspired to the Yamaha R1 motorcycle engine. The diesel aircraft engine design keeps the bore of 82 mm, while the stroke is reduced to 64.6 mm, so the engine size is reduced along with weight. The basement weight, in GD AlSi 9 MgMn alloy, is 8,5 kg. Crankshaft, rods and accessories have been redesigned to comply to aircraft standards. The result is that the overall size is increased of only the 8% when referred to the Yamaha engine spark ignition version, while the basement weight increases of 53 %, even if the bore of the diesel version is 11% lager. The original FIAT 1900 jtd piston has been slightly modified with the combustion chamber reworked to the compression ratio of 15:1. The material adopted for the piston is the aluminium alloy A390.0-T5 commonly used in the automotive field. The piston weight is 0,5 kg for the diesel engine. The crankshaft is verified to torsional vibrations according to the Lloyd register of shipping requirements. The 300M special steel crankshaft total weight is of 14,5 kg. The result reached is a very small and light engine that may be certified for general aviation: the engine weight, without the supercharger, air inlet assembly, auxiliary generators and high pressure body, is 44,7 kg and the total engine weight, with enlightened HP pump body and the titanium alloy turbocharger is less than 100 kg, the total displacement is 1365 cm3 and the estimated output power is 220 CV. The direct conversion of automotive piston engine to aircrafts pays too huge weight penalties. In fact the main aircraft requirement is to optimize the power to weight ratio in order to obtain compact and fast engines for aeronautical use: this 1600 common rail diesel engine version demonstrates that these results can be reached.

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La ricerca si propone di definire le linee guida per la stesura di un Piano che si occupi di qualità della vita e di benessere. Il richiamo alla qualità e al benessere è positivamente innovativo, in quanto impone agli organi decisionali di sintonizzarsi con la soggettività attiva dei cittadini e, contemporaneamente, rende evidente la necessità di un approccio più ampio e trasversale al tema della città e di una più stretta relazione dei tecnici/esperti con i responsabili degli organismi politicoamministrativi. La ricerca vuole indagare i limiti dell’urbanistica moderna di fronte alla complessità di bisogni e di nuove necessità espresse dalle popolazioni urbane contemporanee. La domanda dei servizi è notevolmente cambiata rispetto a quella degli anni Sessanta, oltre che sul piano quantitativo anche e soprattutto sul piano qualitativo, a causa degli intervenuti cambiamenti sociali che hanno trasformato la città moderna non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista culturale: l’intermittenza della cittadinanza, per cui le città sono sempre più vissute e godute da cittadini del mondo (turisti e/o visitatori, temporaneamente presenti) e da cittadini diffusi (suburbani, provinciali, metropolitani); la radicale trasformazione della struttura familiare, per cui la famiglia-tipo costituita da una coppia con figli, solido riferimento per l’economia e la politica, è oggi minoritaria; l’irregolarità e flessibilità dei calendari, delle agende e dei ritmi di vita della popolazione attiva; la mobilità sociale, per cui gli individui hanno traiettorie di vita e pratiche quotidiane meno determinate dalle loro origini sociali di quanto avveniva nel passato; l’elevazione del livello di istruzione e quindi l’incremento della domanda di cultura; la crescita della popolazione anziana e la forte individualizzazione sociale hanno generato una domanda di città espressa dalla gente estremamente variegata ed eterogenea, frammentata e volatile, e per alcuni aspetti assolutamente nuova. Accanto a vecchie e consolidate richieste – la città efficiente, funzionale, produttiva, accessibile a tutti – sorgono nuove domande, ideali e bisogni che hanno come oggetto la bellezza, la varietà, la fruibilità, la sicurezza, la capacità di stupire e divertire, la sostenibilità, la ricerca di nuove identità, domande che esprimono il desiderio di vivere e di godere la città, di stare bene in città, domande che non possono essere più soddisfatte attraverso un’idea di welfare semplicemente basata sull’istruzione, la sanità, il sistema pensionistico e l’assistenza sociale. La città moderna ovvero l’idea moderna della città, organizzata solo sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata consegnata alla storia passata trasformandosi ora in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, a descrivere, a raccontare. La città contemporanea può essere rappresentata in molteplici modi, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale: nella letteratura recente è evidente la difficoltà di definire e di racchiudere entro limiti certi l’oggetto “città” e la mancanza di un convincimento forte nell’interpretazione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno investito la società e il mondo nel secolo scorso. La città contemporanea, al di là degli ambiti amministrativi, delle espansioni territoriali e degli assetti urbanistici, delle infrastrutture, della tecnologia, del funzionalismo e dei mercati globali, è anche luogo delle relazioni umane, rappresentazione dei rapporti tra gli individui e dello spazio urbano in cui queste relazioni si muovono. La città è sia concentrazione fisica di persone e di edifici, ma anche varietà di usi e di gruppi, densità di rapporti sociali; è il luogo in cui avvengono i processi di coesione o di esclusione sociale, luogo delle norme culturali che regolano i comportamenti, dell’identità che si esprime materialmente e simbolicamente nello spazio pubblico della vita cittadina. Per studiare la città contemporanea è necessario utilizzare un approccio nuovo, fatto di contaminazioni e saperi trasversali forniti da altre discipline, come la sociologia e le scienze umane, che pure contribuiscono a costruire l’immagine comunemente percepita della città e del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. La rappresentazione del sociale urbano varia in base all’idea di cosa è, in un dato momento storico e in un dato contesto, una situazione di benessere delle persone. L’urbanistica moderna mirava al massimo benessere del singolo e della collettività e a modellarsi sulle “effettive necessità delle persone”: nei vecchi manuali di urbanistica compare come appendice al piano regolatore il “Piano dei servizi”, che comprende i servizi distribuiti sul territorio circostante, una sorta di “piano regolatore sociale”, per evitare quartieri separati per fasce di popolazione o per classi. Nella città contemporanea la globalizzazione, le nuove forme di marginalizzazione e di esclusione, l’avvento della cosiddetta “new economy”, la ridefinizione della base produttiva e del mercato del lavoro urbani sono espressione di una complessità sociale che può essere definita sulla base delle transazioni e gli scambi simbolici piuttosto che sui processi di industrializzazione e di modernizzazione verso cui era orientata la città storica, definita moderna. Tutto ciò costituisce quel complesso di questioni che attualmente viene definito “nuovo welfare”, in contrapposizione a quello essenzialmente basato sull’istruzione, sulla sanità, sul sistema pensionistico e sull’assistenza sociale. La ricerca ha quindi analizzato gli strumenti tradizionali della pianificazione e programmazione territoriale, nella loro dimensione operativa e istituzionale: la destinazione principale di tali strumenti consiste nella classificazione e nella sistemazione dei servizi e dei contenitori urbanistici. E’ chiaro, tuttavia, che per poter rispondere alla molteplice complessità di domande, bisogni e desideri espressi dalla società contemporanea le dotazioni effettive per “fare città” devono necessariamente superare i concetti di “standard” e di “zonizzazione”, che risultano essere troppo rigidi e quindi incapaci di adattarsi all’evoluzione di una domanda crescente di qualità e di servizi e allo stesso tempo inadeguati nella gestione del rapporto tra lo spazio domestico e lo spazio collettivo. In questo senso è rilevante il rapporto tra le tipologie abitative e la morfologia urbana e quindi anche l’ambiente intorno alla casa, che stabilisce il rapporto “dalla casa alla città”, perché è in questa dualità che si definisce il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici e si contestualizzano i temi della strada, dei negozi, dei luoghi di incontro, degli accessi. Dopo la convergenza dalla scala urbana alla scala edilizia si passa quindi dalla scala edilizia a quella urbana, dal momento che il criterio del benessere attraversa le diverse scale dello spazio abitabile. Non solo, nei sistemi territoriali in cui si è raggiunto un benessere diffuso ed un alto livello di sviluppo economico è emersa la consapevolezza che il concetto stesso di benessere sia non più legato esclusivamente alla capacità di reddito collettiva e/o individuale: oggi la qualità della vita si misura in termini di qualità ambientale e sociale. Ecco dunque la necessità di uno strumento di conoscenza della città contemporanea, da allegare al Piano, in cui vengano definiti i criteri da osservare nella progettazione dello spazio urbano al fine di determinare la qualità e il benessere dell’ambiente costruito, inteso come benessere generalizzato, nel suo significato di “qualità dello star bene”. E’ evidente che per raggiungere tale livello di qualità e benessere è necessario provvedere al soddisfacimento da una parte degli aspetti macroscopici del funzionamento sociale e del tenore di vita attraverso gli indicatori di reddito, occupazione, povertà, criminalità, abitazione, istruzione, etc.; dall’altra dei bisogni primari, elementari e di base, e di quelli secondari, culturali e quindi mutevoli, trapassando dal welfare state allo star bene o well being personale, alla wellness in senso olistico, tutte espressioni di un desiderio di bellezza mentale e fisica e di un nuovo rapporto del corpo con l’ambiente, quindi manifestazione concreta di un’esigenza di ben-essere individuale e collettivo. Ed è questa esigenza, nuova e difficile, che crea la diffusa sensazione dell’inizio di una nuova stagione urbana, molto più di quanto facciano pensare le stesse modifiche fisiche della città.