216 resultados para modulo gestione messaggistica HL7 sanità


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Introduzione L’importanza clinica, sociale ed economica del trattamento dell’ipertensione arteriosa richiede la messa in opera di strumenti di monitoraggio dell’uso dei farmaci antiipertensivi che consentano di verificare la trasferibilità alla pratica clinica dei dati ottenuti nelle sperimentazioni. L’attuazione di una adatta strategia terapeutica non è un fenomeno semplice da realizzare perché le condizioni in cui opera il Medico di Medicina Generale sono profondamente differenti da quelle che si predispongono nell’esecuzione degli studi randomizzati e controllati. Emerge, pertanto, la necessità di conoscere le modalità con cui le evidenze scientifiche trovano reale applicazione nella pratica clinica routinaria, identificando quei fattori di disturbo che, nei contesti reali, limitano l’efficacia e l’appropriatezza clinica. Nell’ambito della terapia farmacologica antiipertensiva, uno di questi fattori di disturbo è costituito dalla ridotta aderenza al trattamento. Su questo tema, recenti studi osservazionali hanno individuato le caratteristiche del paziente associate a bassi livelli di compliance; altri hanno focalizzato l’attenzione sulle caratteristiche del medico e sulla sua capacità di comunicare ai propri assistiti l’importanza del trattamento farmacologico. Dalle attuali evidenze scientifiche, tuttavia, non emerge con chiarezza il peso relativo dei due diversi attori, paziente e medico, nel determinare i livelli di compliance nel trattamento delle patologie croniche. Obiettivi Gli obiettivi principali di questo lavoro sono: 1) valutare quanta parte della variabilità totale è attribuibile al livello-paziente e quanta parte della variabilità è attribuibile al livello-medico; 2) spiegare la variabilità totale in funzione delle caratteristiche del paziente e in funzione delle caratteristiche del medico. Materiale e metodi Un gruppo di Medici di Medicina Generale che dipendono dall’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ravenna si è volontariamente proposto di partecipare allo studio. Sono stati arruolati tutti i pazienti che presentavano almeno una misurazione di pressione arteriosa nel periodo compreso fra il 01/01/1997 e il 31/12/2002. A partire dalla prima prescrizione di farmaci antiipertensivi successiva o coincidente alla data di arruolamento, gli assistiti sono stati osservati per 365 giorni al fine di misurare la persistenza in trattamento. La durata del trattamento antiipertensivo è stata calcolata come segue: giorni intercorsi tra la prima e l’ultima prescrizione + proiezione, stimata sulla base delle Dosi Definite Giornaliere, dell’ultima prescrizione. Sono stati definiti persistenti i soggetti che presentavano una durata del trattamento maggiore di 273 giorni. Analisi statistica I dati utilizzati per questo lavoro presentano una struttura gerarchica nella quale i pazienti risultano “annidati” all’interno dei propri Medici di Medicina Generale. In questo contesto, le osservazioni individuali non sono del tutto indipendenti poiché i pazienti iscritti allo stesso Medico di Medicina Generale tenderanno ad essere tra loro simili a causa della “storia comune” che condividono. I test statistici tradizionali sono fortemente basati sull’assunto di indipendenza tra le osservazioni. Se questa ipotesi risulta violata, le stime degli errori standard prodotte dai test statistici convenzionali sono troppo piccole e, di conseguenza, i risultati che si ottengono appaiono “impropriamente” significativi. Al fine di gestire la non indipendenza delle osservazioni, valutare simultaneamente variabili che “provengono” da diversi livelli della gerarchia e al fine di stimare le componenti della varianza per i due livelli del sistema, la persistenza in trattamento antiipertensivo è stata analizzata attraverso modelli lineari generalizzati multilivello e attraverso modelli per l’analisi della sopravvivenza con effetti casuali (shared frailties model). Discussione dei risultati I risultati di questo studio mostrano che il 19% dei trattati con antiipertensivi ha interrotto la terapia farmacologica durante i 365 giorni di follow-up. Nei nuovi trattati, la percentuale di interruzione terapeutica ammontava al 28%. Le caratteristiche-paziente individuate dall’analisi multilivello indicano come la probabilità di interrompere il trattamento sia più elevata nei soggetti che presentano una situazione clinica generale migliore (giovane età, assenza di trattamenti concomitanti, bassi livelli di pressione arteriosa diastolica). Questi soggetti, oltre a non essere abituati ad assumere altre terapie croniche, percepiscono in minor misura i potenziali benefici del trattamento antiipertensivo e tenderanno a interrompere la terapia farmacologica alla comparsa dei primi effetti collaterali. Il modello ha inoltre evidenziato come i nuovi trattati presentino una più elevata probabilità di interruzione terapeutica, verosimilmente spiegata dalla difficoltà di abituarsi all’assunzione cronica del farmaco in una fase di assestamento della terapia in cui i principi attivi di prima scelta potrebbero non adattarsi pienamente, in termini di tollerabilità, alle caratteristiche del paziente. Anche la classe di farmaco di prima scelta riveste un ruolo essenziale nella determinazione dei livelli di compliance. Il fenomeno è probabilmente legato ai diversi profili di tollerabilità delle numerose alternative terapeutiche. L’appropriato riconoscimento dei predittori-paziente di discontinuità (risk profiling) e la loro valutazione globale nella pratica clinica quotidiana potrebbe contribuire a migliorare il rapporto medico-paziente e incrementare i livelli di compliance al trattamento. L’analisi delle componenti della varianza ha evidenziato come il 18% della variabilità nella persistenza in trattamento antiipertensivo sia attribuibile al livello Medico di Medicina Generale. Controllando per le differenze demografiche e cliniche tra gli assistiti dei diversi medici, la quota di variabilità attribuibile al livello medico risultava pari al 13%. La capacità empatica dei prescrittori nel comunicare ai propri pazienti l’importanza della terapia farmacologica riveste un ruolo importante nel determinare i livelli di compliance al trattamento. La crescente presenza, nella formazione dei medici, di corsi di carattere psicologico finalizzati a migliorare il rapporto medico-paziente potrebbe, inoltre, spiegare la relazione inversa, particolarmente evidente nella sottoanalisi effettuata sui nuovi trattati, tra età del medico e persistenza in trattamento. La proporzione non trascurabile di variabilità spiegata dalla struttura in gruppi degli assistiti evidenzia l’opportunità e la necessità di investire nella formazione dei Medici di Medicina Generale con l’obiettivo di sensibilizzare ed “educare” i medici alla motivazione ma anche al monitoraggio dei soggetti trattati, alla sistematica valutazione in pratica clinica dei predittori-paziente di discontinuità e a un appropriato utilizzo della classe di farmaco di prima scelta. Limiti dello studio Uno dei possibili limiti di questo studio risiede nella ridotta rappresentatività del campione di medici (la partecipazione al progetto era su base volontaria) e di pazienti (la presenza di almeno una misurazione di pressione arteriosa, dettata dai criteri di arruolamento, potrebbe aver distorto il campione analizzato, selezionando i pazienti che si recano dal proprio medico con maggior frequenza). Questo potrebbe spiegare la minore incidenza di interruzioni terapeutiche rispetto a studi condotti, nella stessa area geografica, mediante database amministrativi di popolazione. Conclusioni L’analisi dei dati contenuti nei database della medicina generale ha consentito di valutare l’impiego dei farmaci antiipertensivi nella pratica clinica e di stabilire la necessità di porre una maggiore attenzione nella pianificazione e nell’ottenimento dell’obiettivo che il trattamento si prefigge. Alla luce dei risultati emersi da questa valutazione, sarebbe di grande utilità la conduzione di ulteriori studi osservazionali volti a sostenere il progressivo miglioramento della gestione e del trattamento dei pazienti a rischio cardiovascolare nell’ambito della medicina generale.

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L’elaborato svolge in 4 capitoli un percorso di analisi multidisciplinare volto a fondare teoricamente e a sviluppare operativamente la costituzione di una associazione di co-sviluppo italotunisina. Nel primo capitolo viene approfondita, sotto il profilo della teoria economica, la relazione fra emigrazione e sviluppo, prendendo in esame le recenti teorie sull’argomento e indirizzando l’interesse verso il ruolo dei network di migranti come elemento di continuità socio-economica e di interazione fra il paese di origine e il paese ospitante. Nel secondo capitolo il network viene approfondito sotto gli aspetti connessi alla sua natura di intermediario sociale, politico ed economico, soprattutto in presenza di migrazione di ritorno. Il terzo capitolo si concentra sulle associazioni degli immigrati e non solo Hometown Associations quali strumenti elaborati all’interno dei network di migranti per mettere in pratica le loro capacità di agente economico e di attore sociale nel processo di co-sviluppo dei paesi di provenienza e di destinazione. Infine, nel quarto capitolo viene descritto l’iter istituzionale previsto per la costituzione di una specifica associazione (El-Hiwar Atiir, Associazione Tunisina per l’Integrazione e l’Investimento di Ritorno) e le caratteristiche della medesima. Il lavoro di tesi, coordinato e sviluppato, pur approfondendo tematiche e modelli economici si muove anche su altri piani (sociale e istituzionale), mostrando la molteplicità delle sfaccettature del problema. Inoltre riesce a radicare in campo teorico uno strumento operativo molto interessante per la gestione economica e politica del fenomeno migratorio, mostrando come la cooperazione allo sviluppo, oltre che tema di modellazione economica e di dichiarazioni di principio nei documenti ufficiali, possa divenire processo operativo attraverso strumenti giuridici consolidati.

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Il tema di ricerca sul Segretariato Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri si colloca su di un terreno che potremmo definire, genericamente, giuspubblicistico, posto al confine tra il diritto costituzionale ed il diritto amministrativo. Tale visione sistematica trae fondamento alla apparente vocazione del Segretariato, di soggetto istituzionale dalla doppia attitudine: da un lato, infatti, è preposto alla traduzione - in termini strettamente operativi - dell’indirizzo politico governativo e dall’altro svolge un’attività di monitoraggio e di raccolta di informazioni generali necessarie per il migliore svolgimento dell’azione governativa. Pertanto, per l’inquadramento e l’analisi delle differenti problematiche che avvolgono l’istituto sono state recuperate, per i profili d’interesse, diverse categorie giuridiche, alcune di stampo marcatamente costituzionalistico (a titolo esemplificativo, la funzione, l’indirizzo politico, il rapporto di fiducia, la posizione costituzionale del Presidente del Consiglio, dei Ministri e del Consiglio dei Ministri, categorie cui è stata aggiunta, per alcuni aspetti, la disciplina elettorale e, in particolare, la stessa formula elettorale, suscettibile di apportare una spiccata “mobilità decisionale” tra i diversi organi di cui si compone il Governo), accostate ad altre di specifico interesse amministrativistico (il coordinamento, l’atto politico, l’atto di alta amministrazione, la direzione, le strutture in cui si dipana l’organizzazione, l’azione amministrativa, la gestione finanziaria). Lo sviluppo del tema è proposto, in via preliminare, facendo riferimento all’inquadramento generale dell’istituto, attraverso l’esame della genesi e dello sviluppo della struttura burocratica oggetto dello studio, tenendo conto della versatilità operativa, sia sul versante strutturale, sia funzionale, dimostrata nel corso degli decenni di storia costituzionale del Paese, spesso costellata da avvenimenti politici e sociali controversi e, a volte, non privi di accadimenti drammatici. La dottrina non ha dedicato specifici studi ma si è occupata dell’argomento in via incidentale, nell’ambito di trattazioni di più ampio respiro dedicate alla funzione di governo nelle sue varie “declinazioni”, legando “a doppio filo” il Segretariato Generale della Presidenza del Consiglio al Presidente del Consiglio soprattutto nella misura in cui afferma che il Segretariato è struttura meramente servente del premier di cui sembrerebbe condividerne le sorti specie con riferimento alla conformazione strutturale e funzionale direttamente collegata alla maggiore o minore espansione dei suoi poteri (reali) di coordinamento e di direzione della compagine governativa, ponendo in secondo piano le funzioni “di continuità” istituzionale e di servizio al cittadino che pure sono assolte dall’organo. Ciò premesso, si è tentato di fornire una visione generale del Segretariato nella sua dimensione ordinamentale ed operativa, attraverso la ricognizione, scomposizione e ricomposizione delle sue numerose attribuzioni per saggiare il suo reale natura giuridica. In conclusione, anche a fronte della posizione netta della giurisprudenza, si è optato per ritenere che il Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri sia attratto tra gli organi amministrativi.

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La ricerca consiste nell’analisi degli elementi normativi che caratterizzano l’azione della Comunità in materia di alimenti. L’obiettivo è quello di verificare l’esistenza di un nucleo di principi comuni cui il legislatore comunitario si ispira nella ricerca di un equilibrio tra le esigenze di tutela della salute e quelle relative alla libera circolazione degli alimenti. Lo studio si apre con la ricostruzione storica delle principali fasi che hanno condotto alla definizione della politica comunitaria di sicurezza alimentare. Durante i primi anni del processo di integrazione europea, l’attenzione del legislatore comunitario si è concentrata sugli alimenti, esclusivamente in virtù della loro qualità di merci. La tutela della salute rimaneva nella sfera di competenza nazionale e le incursioni del legislatore comunitario in tale settore erano volte ad eliminare le divergenze normative suscettibili di rappresentare un ostacolo al commercio. Nella trattazione sono illustrati i limiti che un approccio normativo essenzialmente orientato alla realizzazione del mercato interno era in grado potenzialmente di creare sul sistema e che le vicende legate alle crisi alimentari degli anni Novanta hanno contribuito a rendere evidenti. Dall’urgenza di un coinvolgimento qualitativamente diverso della Comunità nelle tematiche alimentari, si è sviluppata progressivamente la necessità di una politica che fosse in grado di determinare un punto di equilibrio tra le esigenze di sicurezza alimentare e quelle della libera circolazione degli alimenti. Il risultato di tale processo di riflessione è stata l’adozione del Regolamento 178/2002 CE che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare ed istituisce l’Autorità per la sicurezza alimentare. Nei capitoli successivi, è svolta un’analisi dettagliata delle innovazioni normative introdotte nell’ambito dell’azione comunitaria in materia di alimenti, con l’obiettivo di verificare se tale riforma abbia impresso alla formazione delle regole in materia di alimenti caratteristiche e specificità proprie. In particolare, vengono esaminate le finalità della politica alimentare comunitaria, evidenziando il ruolo centrale ormai assunto dalla tutela della salute rispetto al principio fondamentale della libera circolazione. Inoltre, l’analisi si concentra nell’identificazione del campo di applicazione materiale – la definizione di alimento – e personale – la definizione di impresa alimentare e di consumatore – della legislazione alimentare. Successivamente, l'analisi si concentra s sui principi destinati ad orientare l’attività normativa della Comunità e degli Stati membri nell’ambito del settore in precedenza individuato. Particolare attenzione viene dedicata allo studio dell’interazione tra l’attività di consulenza scientifica e la fase politico-decisionale, attraverso l’approfondimento del principio dell’analisi dei rischi, del principio di precauzione e del principio di trasparenza. Infine, l’analisi si conclude con lo studio di alcuni requisiti innovativi introdotti dal Regolamento 178 come la rintracciabilità degli alimenti, l’affermazione generale dell’esigenza di garantire la sicurezza dei prodotti e la responsabilità primaria degli operatori del settore alimentare. Il risultato del profondo ripensamento del sistema attuato con il Regolamento 178 é la progressiva individuazione di un quadro di principi e requisiti orizzontali destinati ad imprimere coerenza ed organicità all’azione della Comunità in materia di alimenti. Tale tendenza è inoltre confermata dalla giurisprudenza comunitaria che utilizza tali principi in chiave interpretativa ed analogica. Lo studio si conclude con alcune considerazioni di carattere generale, mettendo in luce la difficoltà di bilanciare le esigenze di protezione della salute con gli imperativi della libera di circolazione degli alimenti. Tale difficoltà dipende dalla natura di merce “complessa” dei prodotti alimentari nel senso che, accanto alla dimensione economica e commerciale, essi sono caratterizzati da un’importante dimensione sociale e culturale. L'indagine svolta mostra come nel settore considerato la ricerca di un equilibrio tra esigenze contrapposte ha prodotto una sostanziale centralizzazione della gestione della politica alimentare a livello europeo.

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I comportamenti nutrizionali stanno assumendo sempre maggiore rilievo all’interno delle politiche comunitarie e questo sottolinea che la dieta sta avendo, negli ultimi anni, una maggiore importanza come fattore di causa e allo stesso tempo prevenzione nella diffusione di malattie croniche come il cancro, malattie cardiovascolari, diabete, osteoporosi e disturbi dentali. Numerosi studi mostrano infatti che i tassi di obesità sono triplicati nelle ultime due decadi e si è stimato che, se i livelli di obesità continueranno a crescere allo stesso tasso del 1990, nel 2010 il numero di persone obese raggiungerà i 150 milioni tra gli adulti e i 15 milioni tra bambini e adolescenti. I governi nazionali stanno quindi cercando di risolvere questo problema, a cui sono inoltre legati alti costi nazionali, tramite l’implementazione di politiche nutrizionali. Analisi di tipo cross-section sono già state evidenziate da studiosi come Schmidhuber e Traill (2006), i quali hanno effettuato un’analisi di convergenza a livello europeo per esaminare la distanza tra le calorie immesse da 426 prodotti diversi. In quest’analisi hanno così dimostrato la presenza di una similarità distinta e crescente tra i paesi europei per quanto riguarda la composizione della dieta. Srinivasan et al. invece hanno osservato la relazione esistente tra ogni singolo prodotto alimentare consumato e le norme nutrizionali dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, WHO) Lo scopo di questa tesi è quello di evidenziare il problema a livello di aggregati nutritivi e di specifiche componenti nutrizionali come zucchero, frutta e verdura e non relativamente ad ogni singolo prodotto consumato. A questo proposito ci si è basati sulla costruzione di un indicatore (Recommendation Compliance Index) in modo da poter misurare le distanze tra la dieta media e le raccomandazioni del WHO. Lo scopo è quindi quello di riuscire a quantificare il fenomeno del peggioramento della dieta in diverse aree del mondo negli ultimi quattro decenni, tramite un’analisi panel, basandosi sui dati sui nutrienti consumati, provenienti dal database della FAO (e precisamente dal dataset Food Balance Sheets – FBS). Nella prima fase si introduce il problema dell’obesità e delle malattie croniche correlate, evidenziando dati statistici in diversi paesi europei e mondiali. Si sottolineano inoltre le diverse azioni dei governi e del WHO, tramite l’attuazione di campagne contro l’obesità e in favore di una vita più salutare e di una maggiore attività fisica. Nella seconda fase si è costruito un indicatore aggregato (Recommendation Compliance Index) in modo da analizzare le caratteristiche nella dieta dei diversi Paesi a livello mondiale rispetto alle norme del WHO. L’indicatore si basa sui dati ottenuti da FAOSTAT ed è calcolato per 149 paesi del database dell’FBS per il periodo 1961-2002. Nell’analisi si sono utilizzati i dati sulle percentuali di energia prodotta dalle varie componenti nutritive, quali grassi, grassi saturi e transaturi, zuccheri, carboidrati, proteine e le quantità di frutta e verdura consumate. Inoltre si è applicato un test statistico per testare se il valore del RCI è significativamente cambiato nel tempo, prendendo in considerazione gruppi di Paesi (Paesi OECD, Paesi in via di sviluppo e sottosviluppati). Si è voluto poi valutare la presenza o meno di un processo di convergenza, applicando l’analisi di σ-convergenza per osservare ad esempio se la variabilità è diminuita nel tempo in modo significativo. Infine si è applicato l’indicatore ad un livello micro, utilizzando il database del National Diet and Nutrition Survey, che raccoglie dati di macrocomponenti nutritive e misure antropometriche della popolazione inglese dai 16 ai 64 anni per il periodo 2000-2001. Si sono quindi effettuate analisi descrittive nonché analisi di correlazione, regressione lineare e ordinale per osservare le relazioni tra l’indicatore, i macronutrienti, il reddito e le misure antropometriche dell’ Indice di Massa Corporea (Body Mass Index, BMI) e del rapporto vita-fianchi (Waist-hip ratio, WHR).

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La definizione di “benessere animale” e le modalità di determinazione di tale parametro sono ancora ampiamente dibattute. C’è, però, una generale concordanza sul fatto che una condizione di malessere dia origine a variazioni fisiologiche e comportamentali che possono essere rilevate e misurate. Tra i parametri endocrini, il più studiato è, senza dubbio, il cortisolo, in quanto connesso con l’attivazione dell’asse ipotalamico-pituitario-surrenale in condizioni di stress e quindi ritenuto indicatore ideale di benessere, benché debba essere utilizzato con cautela in quanto un aumento dei livelli di questo ormone non si verifica con ogni tipo di stressor. Inoltre, si deve considerare che la raccolta del campione per effettuare le analisi, spesso implica il confinamento ed il contenimento degli animali e può essere, quindi, essa stessa un fattore stressante andando ad alterare i risultati. Alla luce delle suddette conoscenze gli obiettivi scientifici di questa ricerca, condotta sul gatto e sul cane, sono stati innanzitutto validare il metodo di dosaggio di cortisolo dal pelo e stabilire se tale dosaggio può rappresentare un indicatore, non invasivo, di benessere dell’animale (indice di “stress cronico”). In seguito, abbiamo voluto individuare i fattori di stress psico-sociale in gatti che vivono in gattile, in condizioni di alta densità, analizzando i correlati comportamentali ed ormonali dello stress e del benessere in questa condizione socio-ecologica, ricercando, in particolare, l’evidenza ormonale di uno stato di stress prolungato e la messa in atto di strategie comportamentali di contenimento dello stesso e il ruolo della marcatura visivo-feromonale, inoltre abbiamo effettuato un confronto tra oasi feline di diversa estensione spaziale per valutare come varia lo stress in rapporto allo spazio disponibile. Invece, nel cane abbiamo voluto evidenziare eventuali differenze dei livelli ormonali tra cani di proprietà e cani di canili, tra cani ospitati in diversi canili e tra cani che vivono in diverse realtà familiari; abbiamo voluto valutare gli effetti di alcuni arricchimenti sui cani di canile ed, infine, abbiamo analizzato cani sottoposti a specifici programmi si addestramento. Il primo importante ed originale risultato raggiunto, che risponde al primo obiettivo della ricerca, è stato la validazione del dosaggio radioimmunologico di cortisolo in campioni di pelo. Questo risultato, a nostro avviso, apre una nuova finestra sul campo della diagnostica endocrinologica metabolica. Attualmente, infatti, il monitoraggio ormonale viene effettuato su campioni ematici la cui raccolta prevede un elevato stress (stress da prelievo) per l’animale data l'invasività dell'operazione che modifica l’attività di ipotalamo-ipofisi-surrene e, dunque, provoca repentine alterazioni delle concentrazioni ormonali. Questa metodica offre, quindi, il vantaggio dell’estrema semplicità di raccolta del campione e, in più, il bassissimo costo del materiale utilizzato. Dalle ricerche condotte sui gatti di gattile sono scaturite preziose indicazioni per future indagini sullo stress e sul comportamento sociale felino. I risultati dell’analisi congiunta del comportamento e delle concentrazioni ormonali hanno evidenziato che la disponibilità di postazioni di marcatura visivo-feromonale ha un effetto positivo sia sugli indicatori comportamentali, sia su quelli ormonali di stress. I risultati dell’analisi delle concentrazioni di cortisolo, derivanti dal confronto tra sette oasi feline di diversa estensione spaziale hanno permesso di evidenziare un aumento dei livelli dell’ormone inversamente proporzionale allo spazio disponibile. Lo spazio disponibile, però, non è l’unico fattore da prendere in considerazione al fine di assicurare il benessere dell’animale infatti, nelle colonie che presentavano instabilità sociale e variabilità territoriale il cortisolo aveva valori elevati nonostante le notevoli disponibilità di spazio. Infine, si è potuto costatare come anche lo stare appartati, aumenti proporzionalmente con l’aumentare dello spazio. Questo comportamento risulta essere molto importante in quanto mitiga lo stress ed è da prendere in considerazione nell’allestimento di colonie feline. Infatti, nelle colonie di dimensioni ridotte dove lo stress è già alto, l’impossibilità dei soggetti di appartarsi può contribuire a peggiorare la situazione; ecco perché si dovrebbero creare luoghi artificiali per fornire ai gatti la possibilità di appartarsi, magari sfruttando gli spazi sopraelevati (tetti, alberi, ecc.). Per quanto riguarda il confronto tra cani di proprietà e cani di canile non sono state evidenziate differenze significative nei livelli di cortisolo nel pelo mentre abbiamo rilevato che quest’ultimi sono influenzati dalla disponibilità di spazio: infatti sia i cani di proprietà che vivevano in giardino, sia i cani dei canili che praticavano lo sgambamento presentavano livelli di cortisolo nel pelo più bassi rispetto, rispettivamente, ai cani di proprietà che vivevano in appartamento o appartamento/giardino e a quelli di canile che non praticavano lo sgambamento. L’arricchimento ambientale fornito ai cani di canile ha esercitato un’influenza positiva riducendo i livelli di cortisolo e migliorando la docilità dei soggetti, favorendone un’eventuale adozione. Si è inoltre messo in luce che i programmi di addestramento, eseguiti con tecniche “gentili”, non comportano situazioni stressanti per l’animale e aiutano i cani ad esprimere doti di equilibrio che rimarrebbero altrimenti celate dagli aspetti più istintivi del carattere. D’altra parte, l’impegno agonistico prima di una competizione e il livello di addestramento raggiunto dai cani, influenzano le concentrazioni di cortisolo a riposo e durante l’esercizio fisico. Questi risultati possono sicuramente dare utili suggerimenti per la gestione e la cura di gatti e cani al fine di migliorarne le condizioni di benessere.

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Il tema della casa, e più in generale dell’abitare, è argomento tornato al centro del dibattito sociale più di quanto non sia avvenuto in campo tecnico‐architettonico. Sono infatti abbastanza evidenti i limiti delle proposte che nel recente passato sono state, di norma, elaborate nelle nostre città, proposte molto spesso incapaci di tener conto delle molteplici dimensioni che l’evoluzione dei costumi e della struttura urbana e sociale ha indotto anche nella sfera della residenza e che sono legate a mutate condizioni lavorative, alla diversità di cultura e di religione di nuovi gruppi etnici insediati, alla struttura dei nuclei familiari (ove ancora esistano) ed a molti altri fattori; cambiate le esigenze, un tempo composte nella struttura della famiglia, sono cambiati desideri e richieste mentre l’apparato normativo è rimasto strutturato su modelli sociali ed economici superati. Il tema dunque assume, oggi più che mai, connotazioni con forti relazioni fra problematiche funzionali, tecnologiche e simboliche. Stimolata da queste osservazioni generali, la ricerca si è mossa partendo da un’analisi di casi realizzati nel periodo storico in cui si è esaurita, in Italia, l’emergenza abitativa post‐bellica, nell’intento di riconsiderare l’approccio vitale che era stato messo in campo in quella drammatica circostanza, ma già consapevole che lo sviluppo che avrebbe poi avuto sarebbe stato molto più circoscritto. La tesi infatti, dopo aver osservato rapidamente la consistenza tipologica ed architettonica di quegli interventi, per trarne suggestioni capaci di suggerire un credibile e nuovo prototipo da indagare, attraverso un’analisi comparativa sugli strumenti oggi disponibili per la comunicazione e gestione del progetto, si è soffermata sulla potenzialità delle nuove tecnologie dell'informazione (IT). Non si può infatti non osservare che esse hanno modificato non solo il modo di vivere, di lavorare, di produrre documenti e di scambiare informazioni, ma anche quello di controllare il processo di progetto. Il fenomeno è tuttora in corso ma è del tutto evidente che anche l'attività progettuale, seppure in un settore quale è quello dell'industria edilizia, caratterizzato da una notevole inerzia al cambiamento e restio all'innovazione, grazie alle nuove tecnologie ha conosciuto profonde trasformazioni (già iniziate con l’avvento del CAD) che hanno accelerato il progressivo mutamento delle procedure di rappresentazione e documentazione digitale del progetto. Su questo tema quindi si è concentrata la ricerca e la sperimentazione, valutando che l'”archivio di progetto integrato”, (ovvero IPDB ‐ Integrated Project Database) è, probabilmente, destinato a sostituire il concetto di CAD (utilizzato fino ad ora per il settore edilizio ed inteso quale strumento di elaborazione digitale, principalmente grafica ma non solo). Si è esplorata quindi, in una prima esperienza di progetto, la potenzialità e le caratteristiche del BIM (Building Information Model) per verificare se esso si dimostra realmente capace di formulare un archivio informativo, di sostegno al progetto per tutto il ciclo di vita del fabbricato, ed in grado di definirne il modello tridimensionale virtuale a partire dai suoi componenti ed a collezionare informazioni delle geometrie, delle caratteristiche fisiche dei materiali, della stima dei costi di costruzione, delle valutazioni sulle performance di materiali e componenti, delle scadenze manutentive, delle informazioni relative a contratti e procedure di appalto. La ricerca analizza la strutturazione del progetto di un edificio residenziale e presenta una costruzione teorica di modello finalizzata alla comunicazione e gestione della pianificazione, aperta a tutti i soggetti coinvolti nel processo edilizio e basata sulle potenzialità dell’approccio parametrico.

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La ricerca si pone come obbiettivo principale quello di individuare gli strumenti in grado di controllare la qualità di una progettazione specifica che risponde alle forti richieste della domanda turistica di un territorio. Parte dalle più semplici teorie che inquadrano una costante condizione dell’uomo, “il VIAGGIARE”. La ricerca si pone come primo interrogativo quello definire una “dimensione” in cui le persone viaggiano, dove il concetto fisico di spazio dedicato alla vita si è spostato come e quanto si sposta la gente. Esiste una sorta di macroluogo (destinazione) che comprende tutti gli spazi dove la gente arriva e da cui spesso riparte. Pensare all'architettura dell’ospitalità significa indagare e comprendere come la casa non è più il solo luogo dove la gente abita. La ricerca affonda le proprie tesi sull’importanza dei “luoghi” appartenenti ad un territorio e come essi debbano riappropriarsi, attraverso un percorso progettuale, della loro più stretta vocazione attrattiva. Così come si sviluppa un’architettura dello stare, si manifesta un’architettura dello spostarsi e tali architetture si confondono e si integrano ad un territorio che per sua natura è esso stesso attrattivo. L’origine terminologica di nomadismo è passaggio necessario per la comprensione di una nuova dimensione architettonica legata a concetti quali mobilità e abitare. Si indaga pertanto all’interno della letteratura “diasporica”, in cui compaiono le prime configurazioni legate alla provvisorietà e alle costruzioni “erranti”. In sintesi, dopo aver posizionato e classificato il fenomeno turistico come nuova forma dell’abitare, senza il quale non si potrebbe svolgere una completa programmazione territoriale in quanto fenomeno oramai imprescindibile, la ricerca procede con l’individuazione di un ambito inteso come strumento di indagine sulle relazioni tra le diverse categorie e “tipologie” turistiche. La Riviera Romagnola è sicuramente molto famosa per la sua ospitalità e per le imponenti infrastrutture turistiche ma a livello industriale non è meno famosa per il porto di Ravenna che costituisce un punto di riferimento logistico per lo scambio di merci e materie prime via mare, oltre che essere, in tutta la sua estensione, caso di eccellenza. La provincia di Ravenna mette insieme tutti i fattori che servono a soddisfare le Total Leisure Experience, cioè esperienze di totale appagamento durante la vacanza. Quello che emerge dalle considerazioni svolte sul territorio ravennate è che il turista moderno non va più in cerca di una vacanza monotematica, in cui stare solo in spiaggia o occuparsi esclusivamente di monumenti e cultura. La richiesta è quella di un piacere procurato da una molteplicità di elementi. Pensiamo ad un distretto turistico dove l’offerta, oltre alla spiaggia o gli itinerari culturali, è anche occasione per fare sport o fitness, per rilassarsi in luoghi sereni, per gustare o acquistare cibi tipici e, allo stesso tempo, godere degli stessi servizi che una persona può avere a disposizione nella propria casa. Il percorso, finalizzato a definire un metodo di progettazione dell’ospitalità, parte dalla acquisizione delle esperienze nazionali ed internazionali avvenute negli ultimi dieci anni. La suddetta fase di ricerca “tipologica” si è conclusa in una valutazione critica che mette in evidenza punti di forza e punti di debolezza delle esperienze prese in esame. La conclusione di questa esplorazione ha prodotto una prima stesura degli “obbiettivi concettuali” legati alla elaborazione di un modello architettonico. Il progetto di ricerca in oggetto converge sul percorso tracciato dai Fiumi Uniti in Ravenna. Tale scelta consente di prendere in considerazione un parametro che mostri fattori di continuità tra costa e città, tra turismo balneare e turismo culturale, considerato quindi come potenziale strumento di connessione tra realtà spesso omologhe o complementari, in vista di una implementazione turistica che il progetto di ricerca ha come primo tra i suoi obiettivi. Il tema dell’architettura dell’ospitalità, che in questo caso si concretizza nell’idea di sperimentare l’ALBERGO DIFFUSO, è quello che permette di evidenziare al meglio la forma specifica della cultura locale, salvandone la vocazione universale. La proposta progettuale si articola in uno studio consequenziale ed organico in grado di promuovere una riflessione originale sul tema del modulo “abitativo” nei luoghi di prossimità delle emergenze territoriali di specifico interesse, attorno alle quali la crescente affluenza di un’utenza fortemente differenziata evidenzia la necessità di nodi singolari che si prestino a soddisfare una molteplicità di usi in contesti di grande pregio.

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Nella prima parte di questa tesi di dottorato sono presentate le attività svolte, di carattere numerico, ai fini della modellizzazione di macchine volumetriche ad ingranaggi esterni. In particolare viene dapprima presentato un modello a parametri concentrati utilizzato per l’analisi dei fenomeni che coinvolgono l’area di ingranamento della macchina; un codice di calcolo associato al modello è stato sviluppato ed utilizzato per la determinazione dell’influenza delle condizioni di funzionamento e delle caratteristiche geometriche della macchina sulle sovra-pressioni e sull’eventuale instaurarsi della cavitazione nei volumi tra i denti che si trovano nell’area di ingranamento. In seguito vengono presentati i risultati ottenuti dall’analisi del bilanciamento assiale di diverse unità commerciali, evidenziando l’influenza delle caratteristiche geometriche delle fiancate di bilanciamento; a questo proposito, viene presentato anche un semplice modello a parametri concentrati per valutare il rendimento volumetrico della macchina ad ingranaggi esterni, con l’intenzione di usare tale parametro quale indice qualitativo della bontà del bilanciamento assiale. Infine, viene presentato un modello completo della macchina ad ingranaggi esterni, realizzato in un software commerciale a parametri concentrati, che permette di analizzare nel dettaglio il funzionamento della macchina e di studiare anche l’interazione della stessa con il circuito idraulico in cui è inserita. Nella seconda parte della tesi si presentano le attività legate alla messa in funzione di due banchi prova idraulici per la caratterizzazione sperimentale di macchine volumetriche e componenti di regolazione, con particolare attenzione dedicata alla messa a punto del sistema di acquisizione e gestione dei dati sperimentali; si presentano infine i risultati di alcune prove eseguite su componenti di regolazione e macchine volumetriche.

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Il lavoro persegue l’obiettivo generale di indagare sulle scelte di investimento dei fondi pensione italiani. Per giungere al suddetto obiettivo il lavoro si articola in quattro capitoli principali corredati da premessa e conclusioni. Il primo capitolo si preoccupa di analizzare in quale modo le scelte operate dal legislatore italiano abbiano influenzato e influenzino le politiche di investimento dei fondi pensione. E’ indubbio, infatti, che l’intervento del legislatore abbia un forte ascendente sull’operatività dei fondi e possa limitarne o, viceversa, agevolarne l’attività. Alla luce di queste considerazioni, il secondo capitolo mira ad analizzare nel concreto l’influenza delle scelte operate dal legislatore sullo sviluppo del mercato dei fondi pensione italiani. In sostanza, l’obiettivo è quello di fornire informazioni circa il mercato italiano dei fondi pensione sviluppatosi in conseguenza alla normativa testé presentata. Il successivo capitolo, il terzo, propone un’analisi della letteratura che, nel contesto nazionale ed internazionale, ha analizzato la tematica dei fondi pensione. Più nel dettaglio, si propone una disamina dei riferimenti letterari che, affrontando il problema della gestione finanziaria dei fondi pensione, trattano delle politiche e delle scelte di investimento operate da questi. Il quarto capitolo riguarda un’analisi empirica mirata ad analizzare le politiche di investimento dei fondi pensione, in particolare quelle relative agli investimenti alternativi e soprattutto, tra questi, quelli immobiliari. L’obiettivo generale perseguito è quello di analizzare la composizione del patrimonio dei fondi appartenenti al campione considerato e ricavarne indicazioni circa le scelte manageriali operate dai fondi, nonché trarre indicazioni circa lo spazio riservato e/o riservabile alle asset class alternative, soprattutto a quelle di tipo immobiliare. Si evidenzia, infatti, che la verifica presentata riguarda prevalentemente gli investimenti immobiliari che rappresentano nella realtà italiana l’alternative class maggiormente diffusa. L’analisi si concentra, anche se in modo inferiore e con un approccio quasi esclusivamente qualitativo, su altre asset class alternative (hedge fund e private equity). Si precisa, inoltre, che la volontà di focalizzare la verifica sugli alternative investment limita l’analisi ai soli fondi pensione preesistenti che, ad oggi, rappresentano l’unica categoria alla quale è consentito effettuare investimenti di tipo alternativo. A differenza dei fondi di nuova generazione, tali fondi, infatti, non sono sottoposti a limitazioni nell’attività di investimento e, almeno in linea teorica, essi possono optare senza alcuna restrizione per l’asset allocation ritenuta più appropriata Tre sono le domande di ricerca a cui l’analisi proposta mira a dare risposta: Quale è la dimensione e la composizione del portafoglio dei fondi pensione preesistenti? Quale è la dimensione e la tipologia di investimento immobiliare all’interno del portafoglio dei fondi pensione preesistenti? Esiste uno “spazio” ulteriore per gli investimenti immobiliari e/o per altri alternative investment nel portafoglio dei fondi pensione preesistenti? L’analisi è condotta su un campione di dieci fondi preesistenti, che rappresenta il 60% dell’universo di riferimento (dei 29 fondi pensione preesistenti che investono in immobiliare) e la metodologia utilizzata è quella della case study. Le dieci case study, una per ogni fondo preesistente analizzato, sono condotte e presentate secondo uno schema quanto più standard e si basano su varie tipologie di informazioni reperite da tre differenti fonti. 2 La prima fonte informativa utilizzata è rappresentata dai bilanci o rendiconti annuali dei fondi analizzati. A questi si aggiungono i risultati di un’intervista svolta nei mesi di gennaio e febbraio 2008, ai direttori generali o ai direttori dell’area investimento dei fondi. Le interviste aggiungono informazioni prevalentemente di tipo qualitativo, in grado di descrivere le scelte manageriali operate dai fondi in tema di politica di investimento. Infine, laddove presente, sono state reperite informazioni anche dai siti internet che in taluni casi i fondi possiedono. Dalle case study condotte è possibile estrapolare una serie di risultati, che consentono di dare risposta alle tre domande di ricerca poste in precedenza. Relativamente alla prima domanda, è stato possibile stabilire che il portafoglio dei fondi pensione preesistenti analizzati cresce nel tempo. Esso si compone per almeno un terzo di titoli di debito, prevalentemente titoli di stato, e per un altro terzo di investimenti immobiliari di vario tipo. Il restante terzo è composto da altre asset class, prevalentemente investimenti in quote di OICR. Per quanto riguarda la politica d’investimento, si rileva che mediamente essa è caratterizzata da un’alta avversione al rischio e pochissimi sono i casi in cui i fondi prevedono linee di investimento aggressive. Relativamente alla seconda domanda, si osserva che la dimensione dell’asset class immobiliare all’interno del portafoglio raggiunge una quota decrescente nell’arco di tempo considerato, seppur rilevante. Al suo interno prevalgono nettamente gli investimenti diretti in immobili. Seguono le partecipazioni in società immobiliari. L’analisi ha permesso, poi, di approfondire il tema degli investimenti immobiliari consentendo di trarre indicazioni circa le loro caratteristiche. Infine, relativamente all’ultima domanda di ricerca, i dati ottenuti, soprattutto per mezzo delle interviste, permettono di stabilire che, almeno con riferimento al campione analizzato, l’investimento immobiliare perde quota e in parte interesse. Questo risulta vero soprattutto relativamente agli investimenti immobiliari di tipo diretto. I fondi con patrimoni immobiliari rilevanti, infatti, sono per la totalità nel mezzo di processi di dismissione degli asset, mirati, non tanto all’eliminazione dell’asset class, ma piuttosto ad una riduzione della stessa, conformemente anche a quanto richiesto dalle recenti normative. Le interviste hanno messo in luce, tuttavia, che a fronte di un’esigenza generale di contentere la quota investita, l’asset immobiliare è considerato positivamente soprattutto in termini di opportunità di diversificazione di portafoglio e buoni rendimenti nel lungo periodo. I fondi appaiono interessati in modo particolare a diversificare il portafoglio immobiliare, dismettendo parte degli asset detenuti direttamente e aumentando al contrario le altre tipologie di investimento immobiliare, soprattutto quote di OICR immobiliari. Altrettanto positivi i giudizi relativi alle altre asset class alternative. Pur restando ancora limitato il totale delle risorse destinate, tali investimenti sono percepiti come una buona opportunità di diversificazione del portafoglio. In generale, si è rilevato che, anche laddove l’investimento non è presente o è molto ridotto, nel breve periodo è intenzione del management aumentare la quota impiegata.