114 resultados para Caratterizzazione costruttiva architettura storica palazzo Mauruzi Gherardi urbino


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The genetic control of flowering time has been addressed by many quantitative trait locus (QTL) studies. A survey of the results from 29 independent studies reporting information on 441 QTLs led to the production of a QTL consensus map, which enabled the identification of 59 chromosome regions distributed on all chromosomes and shown to be frequently involved in the genetic control of flowering time and related traits. One of the major QTLs for flowering time, the Vegetative to generative transition 1 (Vgt1) locus , corresponds to an upstream (70 kb) non-coding regulatory element of ZmRap2.7, a repressor of flowering. A transposon (MITE) insertion was identified as a major allelic difference within Vgt1. One of the hypotheses is that Vgt1 might function by modifying ZmRap2.7 chromatin through an epigenetic mechanism. Therefore, the methylation state at Vgt1 was investigated using an approach that combines digestion with McrBc, an endonuclease that acts upon methylated DNA, and quantitative PCR. The analyses were performed on genomic DNA from leaves of six different maize lines at four stages of development. The results showed a trend of reduction of methylation from the first to the last stage with the exception of a short genomic region flanking the MITE insertion, which showed a constant and very dense methylation throughout leaf development and for both alleles. Preliminary results from bisulfite sequencing of a small portion of Vgt1 revealed differential methylation of a single cytosine residue between the two alleles. ZmRap2.7 expression was assayed in the four developmental stages afore mentioned for the six genotypes, in order to establish a link between methylation at Vgt1 and ZmRap2.7 transcription. To assess the role of Vgt1 as a transcriptional enhancer, two reporter vectors for stable transformation of plants have been developed.

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Lo svolgimento della tesi segue la falsariga del discorso tenuto da Pier Luigi Nervi a Torino nel maggio 1961 al momento dell’inaugurazione del Palazzo del Lavoro. In quell’occasione egli illustra la concezione strutturale del suo edificio, realizzato attraverso l’accostamento di 16 elementi autoportanti e indipendenti (ciascuno costituito da un grande pilastro in cemento armato a sezione variabile - da cruciforme a circolare - e da una piastra metallica di copertura) che gli permettono di coprire uno spazio di 25.000 mq come richiesto dal bando di concorso. Nel descrivere le varie parti dell’edificio e le modalità con cui si sono susseguite le differenti lavorazioni (attraverso fasi di cantiere attentamente pianificate), Nervi omette un particolare interessante. Esaminando i disegni esecutivi dell’opera si rileva che all’interno di ogni pilastro è presente una cavità che permette di percorrerlo dalla base fino alla sommità. Ad una prima osservazione questi ‘cunicoli nascosti’ ricordano quelli ricavati nelle spesse murature delle cattedrali romaniche o gotiche, all’interno delle quali si trovano scale a chiocciola che collegano la cripta alla copertura o alle intercapedini del sottotetto. Come per le cattedrali del passato, anche nel Palazzo del Lavoro la creazione di uno spazio praticabile interno alla struttura risponde a più requisiti: funzionale (la manutenzione dei pluviali e delle coperture), costruttivo (la riduzione del peso proprio della struttura) ed economico (il risparmio del materiale). Nervi considera probabilmente questo dettaglio costruttivo un aspetto tecnico di minore importanza, appartenente cioè ad una dimensione ordinaria del proprio lavoro. Eppure, lo spazio ricavato all’interno del pilastro non coinvolge aspetti esclusivamente tecnici, ma sembra piuttosto nascere da una chiara visione progettuale che insegue un’idea di architettura, di unità, di organicità, di ‘servizio’ e di etica del mestiere. Dall’osservazione dell’edificio e della documentazione di progetto se ne ricava infatti una differente considerazione: lo scavo del pilastro non costituisce un aspetto secondario e, viste le implicazioni di carattere spaziale che introduce, merita di essere compreso e approfondito alla luce dell’intera opera di Nervi.

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This thesis focuses on the ceramic process for the production of optical grade transparent materials to be used as laser hosts. In order to be transparent a ceramic material must exhibit a very low concentration of defects. Defects are mainly represented by secondary or grain boundary phases and by residual pores. The strict control of the stoichiometry is mandatory to avoid the formation of secondary phases, whereas residual pores need to be below 150 ppm. In order to fulfill these requirements specific experimental conditions must be combined together. In addition powders need to be nanometric or at least sub-micrometric and extremely pure. On the other hand, nanometric powders aggregate easily and this leads to a poor, not homogeneous packing during shaping by pressing and to the formation of residual pores during sintering. Very fine powders are also difficult to handle and tend to absorb water on the surface. Finally, the powder manipulation (weighting operations, solvent removal, spray drying, shaping, etc), easily introduces impurities. All these features must be fully controlled in order to avoid the formation of defects that work as scattering sources thus decreasing the transparency of the material. The important role played by the processing on the transparency of ceramic materials is often underestimated. In the literature a high level of transparency has been reported by many authors but the description of the experimental process, in particular of the powder treatment and shaping, is seldom extensively described and important information that are necessary to reproduce the described results are often missing. The main goal of the present study therefore is to give additional information on the way the experimental features affect the microstructural evolution of YAG-based ceramics and thus the final properties, in particular transparency. Commercial powders are used to prepare YAG materials doped with Nd or Yb by reactive sintering under high vacuum. These dopants have been selected as the more appropriate for high energy and high peak power lasers. As far as it concerns the powder treatment, the thesis focuses on the influence of the solvent removal technique (rotavapor versus spray drying of suspensions in ethanol), the ball milling duration and speed, suspension concentration, solvent ratio, type and amount of dispersant. The influence of the powder type and process on the powder packing as well as the pressure conditions during shaping by pressing are also described. Finally calcination, sintering under high vacuum and in clean atmosphere, and post sintering cycles are studied and related to the final microstructure analyzed by SEM-EDS and HR-TEM, and to the optical and laser properties.

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L’evoluzione dei sensori multispettrali e la prospettiva di sviluppo dei sensori iperspettrali nel campo del telerilevamento ottico offrono nuovi strumenti per l’indagine del territorio e rinnovano la necessità di ridefinire potenzialità, limiti e accuratezza delle metodologie tradizionali. Nel caso delle immagini iperspettrali, in particolare, l’elevatissima risoluzione spettrale apre nuove possibilità di sviluppo di modelli fisicamente basati per correlare grandezze radiometriche con indicatori fisico-chimici caratteristici delle superfici osservate, a prezzo però di maggiori oneri nella gestione del dato. Il presente lavoro mira appunto ad esaminare, per alcune applicazioni di carattere ambientale e attraverso casi di studio specifici, le criticità del problema del rilevamento da remoto nel suo complesso: dai problemi di correzione radiometrica delle immagini, all'acquisizione di dati di calibrazione sul campo, infine all'estrazione delle informazioni di interesse dal dato telerilevato. A tal fine sono stati sperimentati diversi modelli di trasferimento radiativo ed è stata sviluppata un’interfaccia per la gestione del modello 6SV. Per quest’ultimo sono state inoltre sviluppate routine specifiche per il supporto dei sensori Hyperion e World View 2. La ricerca svolta intende quindi offrire un contributo alla definizione di procedure operative ripetibili, per alcune applicazioni intimamente connesse all’indagine conoscitiva ed al monitoraggio dei processi in atto sul territorio. Nello specifico, si è scelto il caso di studio dell’oasi del Fayyum, in Egitto, per valutare il contenuto informativo delle immagini satellitari sotto tre diversi profili, soltanto in apparenza distinti: la classificazione della litologia superficiale, la valutazione dello stato di qualità delle acque ed il monitoraggio delle opere di bonifica. Trattandosi di un’oasi, le aree coltivate del Fayyum sono circondate dai suoli aridi del deserto libico. La mancanza di copertura vegetale rappresenta una condizione privilegiata per l’osservazione della litologia superficiale da remoto, auspicabile anche per la scarsa accessibilità di alcune aree. Il fabbisogno idrico dell’oasi è garantito dall’apporto di acque del fiume Nilo attraverso una rete di irrigazione che ha, come recettore finale, il lago Qarun, situato nella porzione più depressa dell’oasi. Questo lago, privo di emissari, soffre enormi problemi di salinizzazione, visto il clima iper-arido in cui si trova, e di inquinamento da fertilizzanti agricoli. Il problema della sostenibilità ambientale dello sfruttamento agricolo intensivo dell’oasi è un problema di deterioramento della qualità dell’acqua e della qualità dei suoli. È un problema che richiede una adeguata conoscenza del contesto geologico in cui questi terreni sono inseriti ed una capacità di monitoraggio degli interventi di bonifica ed estensione delle coltivazioni in atto; entrambe conoscenze necessarie alla definizione di un piano di sviluppo economico sostenibile. Con l’intento di contribuire ad una valutazione delle effettive potenzialità del telerilevamento come strumento di informazione territoriale, sono state sperimentate tecniche di classificazione di immagini multispettrali ASTER ed iperspettrali Hyperion di archivio per discriminare la litologia superficiale sulle aree adiacenti al lago Qarun nell’oasi del Fayyum. Le stesse immagini Hyperion di archivio più altre appositamente acquisite sono state utilizzate, assieme ad immagini multispettrali ALI, per la valutazione qualitativa e quantitativa di parametri di qualità delle acque, attraverso l’applicazione di modelli empirici di correlazione. Infine, per valutare l’ipotesi che il deterioramento della qualità delle acque possa essere correlato ai processi di bonifica ed estensione delle coltivazioni in atto negli ultimi decenni, le immagini dell’archivio Landsat sono state utilizzate per analisi di change detection. Per quanto riguarda il problema della validazione dei risultati, si è fatto uso di alcuni dati di verità a terra acquisiti nel corso di un survey preliminare effettuato nell’Ottobre 2010. I campioni di roccia prelevati e le misure di conducibilità elettrica delle acque del lago, benché in numero estremamente limitato per la brevità della missione e le ovvie difficoltà logistiche, consentono alcune valutazioni preliminari sui prodotti ottenuti dalle elaborazioni. Sui campioni di roccia e sabbie sciolte, in particolare, sono state effettuate misure di riflettività in laboratorio ed analisi mineralogiche dettagliate. Per la valutazione della qualità delle acque, più precisamente delle concentrazioni di clorofilla, la metodologia utilizzata per il caso di studio egiziano è stata applicata anche sul tratto costiero adriatico antistante le foci dei fiumi Tronto e Salinello. In questo sito sono state effettuate misure in situ di conducibilità elettrica ed il prelievo di campioni di acqua per la determinazione in laboratorio delle concentrazioni di clorofilla. I risultati ottenuti hanno evidenziato le potenzialità offerte dall’informazione spettrale contenuta nelle immagini satellitari e consentono l’individuazione di alcune pratiche operative. D’altro canto hanno anche messo in luce le carenze dei modelli attualmente esistenti, nonché le criticità legate alla correzione atmosferica delle grandezze radiometriche rilevate.

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The research work was aimed at studying, with a deterministic approach, the relationships between the rock’s texture and its mechanical properties determined at the laboratory scale. The experimentation was performed on a monomineralic crystalline rock, varying in texture, i.e. grains shape. Multi-scale analysis has been adopted to determine the elasto-mechanical properties of the crystals composing the rock and its strength and deformability at the macro-scale. This let us to understand how the structural variability of the investigated rock affects its macromechanical behaviour. Investigations have been performed on three different scales: nano-scale (order of nm), micro-scale (tens of m) and macro-scale (cm). Innovative techniques for rock mechanics, i.e. Depth Sensing Indentation (DSI), have been applied, in order to determine the elasto-mechanical properties of the calcite grains. These techniques have also allowed to study the influence of grain boundaries on the mechanical response of calcite grains by varying the indents’ sizes and to quantify the effect of the applied load on the hardness and elastic modulus of the grain (indentation size effect, ISE). The secondary effects of static indentation Berkovich, Vickers and Knoop were analyzed by SEM, and some considerations on the rock’s brittle behaviour and the effect of microcracks can be made.

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La salute orale dei soggetti affetti da patologie sistemiche responsabili di disabilità fisiche e/o psichiche, in particolare in età evolutiva, è un obiettivo da perseguire di primaria importanza al fine di migliorare la qualità della vita del bambino e garantirgli un buon inserimento nel contesto sociale. Ricerche sperimentali e cliniche hanno individuato i momenti eziopatogenetici delle diverse problematiche che si riscontrano a carico del cavo orale, con una frequenza superiore nei pazienti disabili rispetto alla restante popolazione, attribuendo ai batteri formanti la placca e a quelli con la capacità di indurre un danno parodontale un ruolo chiave. Diversi sono stati i protocolli di prevenzione e terapia proposti nel tempo, costruiti proprio in relazione all’età del soggetto ed alla tipologia della disabilità; tuttavia risulta di fondamentale importanza chiarire il complesso rapporto tra la popolazione microbica orale e l'ospite nello stato di malattia. In un contesto del genere, intento del lavoro di ricerca è proprio quello di portare a termine un progetto di bonifica dentaria su un gruppo di pazienti in età compresa tra i 2 e i 17 anni, affetti da patologie sistemiche e patologie del cavo orale, sulla base di un profilo microbiologico, a partire da tamponi salivari e prelievi parodontali. Stilando il profilo microbiologico del “gruppo campione” e confrontandolo con quello di un gruppo di pazienti di controllo, lo studio si propone di riuscire a delineare i miglioramenti, qualora ci fossero, post terapia odontostomatologica e di riuscire a trovare una base microbiologica alle patologie extra -orali annesse.

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L’utilizzo del reservoir geotermico superficiale a scopi termici / frigoriferi è una tecnica consolidata che permette di sfruttare, tramite appositi “geoscambiatori”, un’energia presente ovunque ed inesauribile, ad un ridotto prezzo in termini di emissioni climalteranti. Pertanto, il pieno sfruttamento di questa risorsa è in linea con gli obiettivi del Protocollo di Kyoto ed è descritto nella Direttiva Europea 2009/28/CE (Comunemente detta: Direttiva Rinnovabili). Considerato il notevole potenziale a fronte di costi sostenibili di installazione ed esercizio, la geotermia superficiale è stata sfruttata già dalla metà del ventesimo secolo in diversi contesti (geografici, geologici e climatici) e per diverse applicazioni (residenziali, commerciali, industriali, infrastrutturali). Ciononostante, solo a partire dagli anni 2000 la comunità scientifica e il mercato si sono realmente interessati ed affacciati all’argomento, a seguito di sopraggiunte condizioni economiche e tecniche. Una semplice ed immediata dimostrazione di ciò si ritrova nel fatto che al 2012 non esiste ancora un chiaro riferimento tecnico condiviso a livello internazionale, né per la progettazione, né per l’installazione, né per il testing delle diverse applicazioni della geotermia superficiale, questo a fronte di una moltitudine di articoli scientifici pubblicati, impianti realizzati ed associazioni di categoria coinvolte nel primo decennio del ventunesimo secolo. Il presente lavoro di ricerca si colloca all’interno di questo quadro. In particolare verranno mostrati i progressi della ricerca svolta all’interno del Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e dei Materiali nei settori della progettazione e del testing dei sistemi geotermici, nonché verranno descritte alcune tipologie di geoscambiatori innovative studiate, analizzate e testate nel periodo di ricerca.

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Le pietre artificiali ed i cementi artistici utilizzati durante la stagione Liberty rappresentano tutt’oggi un patrimonio artistico non ancora sufficientemente studiato. In seguito ad una ricerca bibliografica su testi e riviste dei primi anni del Novecento, è stata eseguita una ricognizione del patrimonio architettonico emiliano-romagnolo, al fine di valutarne i materiali e le tipologie di degrado più diffuse. Le città e le zone oggetto di studio sono state: Bologna, Ferrara, Modena e provincia, Reggio Emilia, Parma, Firenze, la Romagna e le Marche settentrionali. Tra gli edifici individuati sono state analizzate le decorazioni e gli intonaci di tre edifici ritenuti particolarmente significativi: il villino Pennazzi (noto anche come Villa Gina) a Borgo Panigale (Bologna), villa Verde a Bologna e l’ex-albergo Dorando Pietri a Carpi. Da tali edifici sono stati selezionati campioni rappresentativi delle diverse tipologie di decorazioni in pietra artificiale e successivamente sono stati caratterizzati in laboratorio tramite diffrattometria a raggi x (XRD), termogravimetria (TGA), microscopio ottico in sezioni lucide, microscopio elettronico a scansione (SEM) e porosimetria ad intrusione di mercurio (MIP). In particolare per Villa Verde sono state formulate e caratterizzate diverse tipologie di malte variando il tipo di legante ed il rapporto acqua/cemento, al fine di garantire la compatibilità fisico-meccanica con il supporto negli interventi di risarcimento delle lacune previsti nel restauro. L’attività sperimentale svolta ha permesso di mettere a punto un vero e proprio protocollo diagnostico per il restauro di questo tipo di decorazioni che potrà essere utilizzato sia nei casi di studio analizzati che per ogni futuro intervento.

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Oggetto della ricerca è lo studio del National Institute of Design (NID), progettato da Gautam Sarabhai e sua sorella Gira, ad Ahmedabad, assunta a paradigma del nuovo corso della politica che il Primo Ministro Nehru espresse nei primi decenni del governo postcoloniale. Obiettivo della tesi è di analizzare il fenomeno che unisce modernità e tradizione in architettura. La modernità indiana, infatti, nacque e si sviluppò con i caratteri di un Giano bifronte: da un lato, la politica del Primo Ministro Nehru favorì lo sviluppo dell’industria e della scienza; dall’altro, la visione di Gandhi mirava alla riscoperta del locale, delle tradizioni e dell’artigianato. Questi orientamenti influenzarono l’architettura postcoloniale. Negli anni ‘50 e ’60 Ahmedabad divenne la culla dell’architettura moderna indiana. Kanvinde, i Sarabhai, Correa, Doshi, Raje trovarono qui le condizioni per costruire la propria identità come progettisti e come intellettuali. I motori che resero possibile questo fermento furono principalmente due: una committenza di imprenditori illuminati, desiderosi di modernizzare la città; la presenza ad Ahmedabad, a partire dal 1951, dei maestri dell’architettura moderna, tra cui i più noti furono Le Corbusier e Kahn, invitati da quella stessa committenza, per la quale realizzarono edifici di notevole rilevanza. Ad Ahmedabad si confrontarono con forza entrambe le visioni dell’India moderna. Lo sforzo maggiore degli architetti indiani si espresse nel tentativo di conciliare i due aspetti, quelli che derivavano dalle influenze internazionali e quelli che provenivano dallo spirito della tradizione. Il progetto del NID è uno dei migliori esempi di questo esercizio di sintesi. Esso recupera nella composizione spaziale la lezione di Wright, Le Corbusier, Kahn, Eames ibridandola con elementi della tradizione indiana. Nell’uso sapiente della struttura modulare e a padiglione, della griglia ordinatrice a base quadrata, dell’integrazione costante fra spazi aperti, natura e architettura affiorano nell’edificio del NID echi di una cultura millenaria.

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Il Soprintendente Alfredo Barbacci fu uomo di poliedrica formazione, perito nell’uso di metodiche innovative di restauro ed esperto delle tecniche di ricomposizione delle forme architettoniche dei complessi monumentali, danneggiati dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Quel che, questo studio ha inteso indagare e comprendere, attraverso un approccio critico, sostanziato dalle carte d’archivio, è fondamentalmente il contributo, da egli ha offerto circa la valenza storica e architettonica del tessuto connettivo di base della città, da cui si originava - negli anni della sua attività - l’idea ancora inedita di un bene culturale e sociale nuovo: il centro storico tutto, con annessi monumenti, complessi architettonici nobili ed edilizia minore, di base. Dando avvio all’analisi sistematica delle teorie e della prassi di Alfredo Barbacci e alla lettura puntuale dei suoi scritti, sono stati razionalizzati il significato, le valenze e le implicazioni del termine edilizia minore all’interno del più ampio contesto del restauro dell’edilizia monumentale e alla luce degli elementi di tendenza, portati all’attenzione dal dibattito delle diverse scuole di pensiero sul restauro, a partire dai primi anni del sec. XX fino agli anni Settanta dello scorso secolo. Concretamente vi si evidenziano interessanti intuizioni e dichiarazioni, afferenti la necessità di un restauro del tipo integrato, da intendersi come strumento privilegiato di intervento sul tessuto nobile e meno nobile della città antica. Al termine della sua carriera, il contributo del Soprintendente Barbacci al dibattito scientifico si documenta da sé, nella compilazione a sua firma di quella parte della Relazione Franceschini, in cui si dava proposta di un corpo normativo alla necessità di guardare alla città storica come a un bene culturale e sociale, insistendo come al suo interno era d’uopo mantenere, nel corso di interventi restaurativi, un razionale equilibrio tra monumento ed edilizia minore già storicizzata e che non escludesse anche l’apparato paesaggistico di contorno.

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Lo scopo di questo lavoro di tesi è la caratterizzazione dei prodotti di ossidazione di diversi fenoli idrofili contenuti nell’olio vergine d’oliva come idrossitirosolo, tirosolo e la forma dialdeidica dell’acido decarbossimetil elenolico legato all’idrossitirosolo, e la loro identificazione nel prodotto durante la conservazione. L’obiettivo della ricerca è trovare degli indici analitici che possono essere usati sia come marker di “freschezza” dell’olio vergine di oliva sia nella valutazione della “shelf life” del prodotto stesso. Due sistemi di ossidazione sono stati usati per ossidare le molecole sopracitate: ossidazione enzimatica e ossidazione di Fenton. I prodotti di ossidazione sono stati identificati come chinoni, dimeri e acidi.