59 resultados para carbon footprint, sostenibilità ambientale, impatto climatico degli aeroporti
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Life Cycle Assessment (LCA) is a chain-oriented tool to evaluate the environment performance of products focussing on the entire life cycle of these products: from the extraction of resources, via manufacturing and use, to the final processing of the disposed products. Through all these stages consumption of resources and pollutant releases to air, water, soil are identified and quantified in Life Cycle Inventory (LCI) analysis. Subsequently to the LCI phase follows the Life Cycle Impact Assessment (LCIA) phase; that has the purpose to convert resource consumptions and pollutant releases in environmental impacts. The LCIA aims to model and to evaluate environmental issues, called impact categories. Several reports emphasises the importance of LCA in the field of ENMs. The ENMs offer enormous potential for the development of new products and application. There are however unanswered questions about the impacts of ENMs on human health and the environment. In the last decade the increasing production, use and consumption of nanoproducts, with a consequent release into the environment, has accentuated the obligation to ensure that potential risks are adequately understood to protect both human health and environment. Due to its holistic and comprehensive assessment, LCA is an essential tool evaluate, understand and manage the environmental and health effects of nanotechnology. The evaluation of health and environmental impacts of nanotechnologies, throughout the whole of their life-cycle by using LCA methodology. This is due to the lack of knowledge in relation to risk assessment. In fact, to date, the knowledge on human and environmental exposure to nanomaterials, such ENPs is limited. This bottleneck is reflected into LCA where characterisation models and consequently characterisation factors for ENPs are missed. The PhD project aims to assess limitations and challenges of the freshwater aquatic ecotoxicity potential evaluation in LCIA phase for ENPs and in particular nanoparticles as n-TiO2.
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This Ph.D. thesis focuses on the investigation of some chemical and sensorial analytical parameters linked to the quality and purity of different categories of oils obtained by olives: extra virgin olive oils, both those that are sold in the large retail trade (supermarkets and discounts) and those directly collected at some Italian mills, and lower-quality oils (refined, lampante and “repaso”). Concurrently with the adoption of traditional and well-known analytical procedures such as gas chromatography and high-performance liquid chromatography, I carried out a set-up of innovative, fast and environmentally-friend methods. For example, I developed some analytical approaches based on Fourier transform medium infrared spectroscopy (FT-MIR) and time domain reflectometry (TDR), coupled with a robust chemometric elaboration of the results. I investigated some other freshness and quality markers that are not included in official parameters (in Italian and European regulations): the adoption of such a full chemical and sensorial analytical plan allowed me to obtain interesting information about the degree of quality of the EVOOs, mostly within the Italian market. Here the range of quality of EVOOs resulted very wide, in terms of sensory attributes, price classes and chemical parameters. Thanks to the collaboration with other Italian and foreign research groups, I carried out several applicative studies, especially focusing on the shelf-life of oils obtained by olives and on the effects of thermal stresses on the quality of the products. I also studied some innovative technological treatments, such as the clarification by using inert gases, as an alternative to the traditional filtration. Moreover, during a three-and-a-half months research stay at the University of Applied Sciences in Zurich, I also carried out a study related to the application of statistical methods for the elaboration of sensory results, obtained thanks to the official Swiss Panel and to some consumer tests.
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Il siero di latte e la scotta sono effluenti provenienti rispettivamente dal processo di trasformazione del latte in formaggio e ricotta. Il siero di latte contiene minerali, lipidi, lattosio e proteine; la scotta contiene principalmente lattosio. Il siero può essere riutilizzato in diversi modi, come l'estrazione di proteine o per l’alimentazione animale, mentre la scotta è considerata solamente un rifiuto. Inoltre, a causa degli ingenti volumi di siero prodotti nel mondo, vengono a crearsi seri problemi ambientali e di smaltimento. Destinazioni alternative di questi effluenti, come le trasformazioni biotecnologiche, possono essere un modo per raggiungere il duplice obiettivo di migliorare il valore aggiunto dei processi agroindustriali e di ridurre il loro impatto ambientale. In questo lavoro sono state studiate le condizioni migliori per produrre bioetanolo dal lattosio del siero e della scotta. Kluyveromyces marxianus è stato scelto come lievito lattosio-fermentante. Sono state effettuate fermentazioni su scala di laboratorio aerobiche e anaerobiche in batch, fermentazioni semicontinue in fase dispersa e con cellule immobilizzate in alginato di calcio,. Diverse temperature sono state testate per migliorare la produzione di etanolo. Le migliori prestazioni, per entrambe le matrici, sono state raggiunte a basse temperature (28°C). Anche le alte temperature sono compatibili con buone rese di etanolo nelle fermentazioni con siero. Ottimi risultati si sono ottenuti anche con la scotta a 37°C e a 28°C. Le fermentazioni semicontinue in fase dispersa danno le migliori produzioni di etanolo, in particolare con la scotta. Invece, l'uso di cellule di lievito intrappolate in alginato di calcio non ha migliorato i risultati di processo. In conclusione, entrambi gli effluenti possono essere considerati adatti per la produzione di etanolo. Le buone rese ottenute dalla scotta permettono di trasformare questo rifiuto in una risorsa.
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Oggetto di indagine del lavoro è il movimento ambientalista e culturale delle Città in Transizione che rappresentano esperimenti di ri-localizzazione delle risorse volte a preparare le comunità (paesi, città, quartieri) ad affrontare la duplice sfida del cambiamento climatico e del picco del petrolio. A partire dal Regno Unito, la rete delle Transition Towns si è in pochi anni estesa significativamente e conta oggi più di mille iniziative. L’indagine di tale movimento ha richiesto in prima battuta di focalizzare l’attenzione sul campo disciplinare della sociologia dell’ambiente. L’attenzione si è concentrata sul percorso di riconoscimento che ha reso la sociologia dell’ambiente una branca autonoma e sul percorso teorico-concettuale che ha caratterizzato la profonda spaccatura paradigmatica proposta da Catton e Dunlap, che hanno introdotto nel dibattito sociologico il Nuovo Paradigma Ecologico, prendendo le distanze dalla tradizionale visione antropocentrica della sociologia classica. Vengono poi presentate due delle più influenti prospettive teoriche della disciplina, quella del Treadmill of Production e la più attuale teoria della modernizzazione ecologica. La visione che viene adottata nel lavoro di tesi è quella proposta da Spaargaren, fautore della teoria della modernizzazione ecologica, secondo il quale la sociologia dell’ambiente può essere collocata in uno spazio intermedio che sta tra le scienze ambientali e la sociologia generale, evidenziando una vocazione interdisciplinare richiamata anche dal dibattito odierno sulla sostenibilità. Ma le evidenze empiriche progressivamente scaturite dallo studio di questo movimento che si autodefinisce culturale ed ambientalista hanno richiesto una cornice teorica più ampia, quella della modernità riflessiva e della società del rischio, in grado di fornire categorie concettuali spendibili nella descrizione dei problemi ambientali e nell’indagine del mutamento socio-culturale e dei suoi attori. I riferimenti empirici dello studio sono tre specifiche realtà locali in Transizione: York in Transition per il Regno Unito, Monteveglio (Bo) e Scandiano (Re) in Transizione per l’Italia.
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Gonocerus acuteangulatus (Hemiptera: Coreidae) è considerato uno dei principali fitofagi del nocciolo, in grado di causare con l’attività trofica pesanti perdite quali-quantitative di produzione. Nel triennio sono state quindi condotte indagini sulla bioetologia di G. acuteangulatus volte a: I) studiare comportamento alimentare ed effetti sulla produzione corilicola, II) identificare i feromoni e valutarne l’attività mediante biosaggi fisiologici e comportamentali in laboratorio, semi-campo e campo, III) rilevare le piante ospiti alternative al nocciolo. Mediante isolamento di adulti del coreide su rami di nocciolo con frutti è stata confermata l’assenza di correlazione fra entità del danno e numerosità degli individui presenti in corileto. Dalle analisi sensoriali su nocciole sane e danneggiate è emerso che le alterazioni causate delle punture di nutrizione sono rese più evidenti da conservazione e tostatura. Variazioni di tempi e temperature di tostatura potrebbero mitigare gli effetti del cimiciato. Nello studio dei feromoni, G. acuteangulatus, molto mobile nell’ambiente, è risultato poco adatto ai biosaggi in condizioni artificiali, come quelle in olfattometro e semi-campo. Le femmine sono tuttavia apparse attrattive per adulti di entrambi i sessi, mentre la miscela feromonale sintetizzata ha mostrato un’azione attrattiva, seppure non costante. Pertanto, ulteriori ripetizioni sono necessarie per convalidare questi risultati preliminari, modificando le condizioni di saggio in relazione alle caratteristiche della specie. Infine è stata accertata la preferenza del fitofago per alcune specie vegetali rispetto al nocciolo. Nel corso del triennio, popolazioni molto consistenti di G. acuteangulatus sono state rilevate su bosso, ciliegio di Santa Lucia, rosa selvatica, sanguinello, spino cervino, in corrispondenza del periodo di comparsa e maturazione dei frutti. Nell’impostazione di una strategia di difesa a basso impatto ambientale, l’attrattività di queste piante, in sinergia con eventuali feromoni di aggregazione, potrebbe essere utilmente sfruttata, per mantenere il coreide lontano dalla coltura.
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Il recupero dei materiali di scarto è un aspetto di grande attualità in campo stradale, così come negli altri ambiti dell’ingegneria civile. L’attenzione della ricerca e degli esperti del settore è rivolta all’affinamento di tecniche di riciclaggio che riducano l’impatto ambientale senza compromettere le prestazioni meccaniche finali. Tali indagini cercano di far corrispondere le necessità di smaltimento dei rifiuti con quelle dell’industria infrastrutturale, legate al reperimento di materiali da costruzione tecnicamente idonei ed economicamente vantaggiosi. Attualmente sono già diversi i tipi di prodotti rigenerati e riutilizzati nella realizzazione delle pavimentazioni stradali e numerosi sono anche quelli di nuova introduzione in fase di sperimentazione. In particolare, accanto ai materiali derivanti dalle operazioni di recupero della rete viaria, è opportuno considerare anche quelli provenienti dall’esercizio delle attività di trasporto, il quale comporta ogni anno il raggiungimento della fine della vita utile per centinaia di migliaia di tonnellate di pneumatici di gomma. L’obiettivo della presente analisi sperimentale è quello di fornire indicazioni e informazioni in merito alla tecnica di riciclaggio a freddo con emulsione bituminosa e cemento, valutando la possibilità di applicazione di tale metodologia in combinazione con il polverino di gomma, ottenuto dal recupero degli pneumatici fuori uso (PFU). La ricerca si distingue per una duplice valenza: la prima è quella di promuovere ulteriormente la tecnica di riciclaggio a freddo, che si sta imponendo per i suoi numerosi vantaggi economici ed ambientali, legati soprattutto alla temperatura d’esercizio; la seconda è quella di sperimentare l’utilizzo del polverino di gomma, nelle due forme di granulazione tradizionale e criogenica, additivato a miscele costituite interamente da materiale proveniente da scarifica di pavimentazioni esistenti e stabilizzate con diverse percentuali di emulsione di bitume e di legante cementizio.
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La Tesi analizza le relazioni tra i processi di sviluppo agricolo e l’uso delle risorse naturali, in particolare di quelle energetiche, a livello internazionale (paesi in via di sviluppo e sviluppati), nazionale (Italia), regionale (Emilia Romagna) e aziendale, con lo scopo di valutare l’eco-efficienza dei processi di sviluppo agricolo, la sua evoluzione nel tempo e le principali dinamiche in relazione anche ai problemi di dipendenza dalle risorse fossili, della sicurezza alimentare, della sostituzione tra superfici agricole dedicate all’alimentazione umana ed animale. Per i due casi studio a livello macroeconomico è stata adottata la metodologia denominata “SUMMA” SUstainability Multi-method, multi-scale Assessment (Ulgiati et al., 2006), che integra una serie di categorie d’impatto dell’analisi del ciclo di vita, LCA, valutazioni costi-benefici e la prospettiva di analisi globale della contabilità emergetica. L’analisi su larga scala è stata ulteriormente arricchita da un caso studio sulla scala locale, di una fattoria produttrice di latte e di energia elettrica rinnovabile (fotovoltaico e biogas). Lo studio condotto mediante LCA e valutazione contingente ha valutato gli effetti ambientali, economici e sociali di scenari di riduzione della dipendenza dalle fonti fossili. I casi studio a livello macroeconomico dimostrano che, nonostante le politiche di supporto all’aumento di efficienza e a forme di produzione “verdi”, l’agricoltura a livello globale continua ad evolvere con un aumento della sua dipendenza dalle fonti energetiche fossili. I primi effetti delle politiche agricole comunitarie verso una maggiore sostenibilità sembrano tuttavia intravedersi per i Paesi Europei. Nel complesso la energy footprint si mantiene alta poiché la meccanizzazione continua dei processi agricoli deve necessariamente attingere da fonti energetiche sostitutive al lavoro umano. Le terre agricole diminuiscono nei paesi europei analizzati e in Italia aumentando i rischi d’insicurezza alimentare giacché la popolazione nazionale sta invece aumentando.
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Turfgrasses are ubiquitous in urban landscape and their role on carbon (C) cycle is increasing important also due to the considerable footprint related to their management practices. It is crucial to understand the mechanisms driving the C assimilation potential of these terrestrial ecosystems Several approaches have been proposed to assess C dynamics: micro-meteorological methods, small-chamber enclosure system (SC), chrono-sequence approach and various models. Natural and human-induced variables influence turfgrasses C fluxes. Species composition, environmental conditions, site characteristics, former land use and agronomic management are the most important factors considered in literature driving C sequestration potential. At the same time different approaches seem to influence C budget estimates. In order to study the effect of different management intensities on turfgrass, we estimated net ecosystem exchange (NEE) through a SC approach in a hole of a golf course in the province of Verona (Italy) for one year. The SC approach presented several advantages but also limits related to the measurement frequency, timing and duration overtime, and to the methodological errors connected to the measuring system. Daily CO2 fluxes changed according to the intensity of maintenance, likely due to different inputs and disturbances affecting biogeochemical cycles, combined also to the different leaf area index (LAI). The annual cumulative NEE decreased with the increase of the intensity of management. NEE was related to the seasonality of turfgrass, following temperatures and physiological activity. Generally on the growing season CO2 fluxes towards atmosphere exceeded C sequestered. The cumulative NEE showed a system near to a steady state for C dynamics. In the final part greenhouse gases (GHGs) emissions due to fossil fuel consumption for turfgrass upkeep were estimated, pinpointing that turfgrass may result a considerable C source. The C potential of trees and shrubs needs to be considered to obtain a complete budget.
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Il presente studio si colloca nell’ambito di una ricerca il cui obiettivo è la formulazione di criteri progettuali finalizzati alla ottimizzazione delle prestazioni energetiche delle cantine di aziende vitivinicole con dimensioni produttive medio-piccole. Nello specifico la ricerca si pone l’obiettivo di individuare degli indicatori che possano valutare l’influenza che le principali variabili progettuali hanno sul fabbisogno energetico dell’edificio e sull’andamento delle temperature all’interno dei locali di conservazione ed invecchiamento del vino. Tali indicatori forniscono informazioni sulla prestazione energetica dell’edificio e sull’idoneità dei locali non climatizzati finalizzata alla conservazione del vino Essendo la progettazione una complessa attività multidisciplinare, la ricerca ha previsto l’ideazione di un programma di calcolo in grado di gestire ed elaborare dati provenienti da diversi ambiti (ingegneristici, architettonici, delle produzioni agroindustriali, ecc.), e di restituire risultati sintetici attraverso indicatori allo scopo individuati. Il programma è stato applicato su un caso-studio aziendale rappresentativo del settore produttivo. Sono stati vagliati gli effetti di due modalità di vendemmia e di quattro soluzioni architettoniche differenti. Le soluzioni edilizie derivano dalla combinazione di diversi isolamenti termici e dalla presenza o meno di locali interrati. Per le analisi sul caso-studio ci si è avvalsi di simulazioni energetiche in regime dinamico, supportate e validate da campagne di monitoraggio termico e meteorologico all’interno dell’azienda oggetto di studio. I risultati ottenuti hanno evidenziato come il programma di calcolo concepito nell’ambito di questo studio individui le criticità dell’edificio in termini energetici e di “benessere termico” del vino e consenta una iterativa revisione delle variabili progettuale indagate. Esso quindi risulta essere uno strumento informatizzato di valutazione a supporto della progettazione, finalizzato ad una ottimizzazione del processo progettuale in grado di coniugare, in maniera integrata, gli obiettivi della qualità del prodotto, della efficienza produttiva e della sostenibilità economica ed ambientale.
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La bonifica di acquiferi contaminati è una pratica che oggi dispone di diverse soluzioni a livello tecnologico, caratterizzate tuttavia da costi (ambientali ed economici) e problematiche tecniche di entità tale da rendere in alcuni casi poco conveniente la realizzazione dell’intervento stesso. Per questo motivo sempre maggiore interesse viene rivolto nell’ambito della ricerca alle tecnologie di bioremediation, ovvero sistemi in cui la degradazione degli inquinanti avviene ad opera di microorganismi e batteri opportunamente selezionati e coltivati. L’impiego di queste tecniche consente un minor utilizzo di risorse ed apparati tecnologici per il raggiungimento degli obiettivi di bonifica rispetto ai sistemi tradizionali. Il lavoro di ricerca presentato in questa tesi ha l’obiettivo di fornire, tramite l’utilizzo della metodologia LCA, una valutazione della performance ambientale di una tecnologia di bonifica innovativa (BEARD) e due tecnologie largamente usate nel settore, una di tipo passivo (Permeable Reactive Barrier) ed una di tipo attivo (Pump and Treat con Carboni Attivi).
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Introduzione:l’interferone (IFN) usato per l’eradicazione del virus dell’Epatite C, induce effetti collaterali anche riferibili alla sfera psichica. I dati sugli eventi avversi di tipo psichiatrico dei nuovi farmaci antivirali (DAA) sono limitati. Lo scopo di questo studio è di valutare lo sviluppo di effetti collaterali di tipo psichiatrico in corso di due distinti schemi di trattamento: IFN-peghilato e ribavirina [terapia duplice (standard o SOC)]; DAA in associazione a IFN-peghilato e ribavirina (terapia triplice). Metodi: pazienti HCV+ consecutivi seguiti presso l’Ambulatorio delle Epatiti Croniche della Semeiotica Medica del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna in procinto di intraprendere un trattamento antivirale a base di IFN, sottoposti ad esame psicodiagnostico composto da intervista clinica semistrutturata e test autosomministrati: BDI, STAXI-2, Hamilton Anxiety Scale, MMPI – 2. Risultati: Sono stati arruolati 84 pazienti, 57/84 (67.9%) nel gruppo in triplice e 27/84 nel gruppo SOC. Quasi tutti i pazienti arruolati hanno eseguito l’intervista clinica iniziale (82/84; 97.6%), mentre scarsa è stata l’aderenza ai test (valori missing>50%). Ad eccezione dell’ansia, la prevalenza di tutti gli altri disturbi (irritabilità, astenia, disfunzioni neurocognitive, dissonnia) aumentava in corso di trattamento. In corso di terapia antivirale 43/84 (51.2%) hanno avuto bisogno di usufruire del servizio di consulenza psichiatrica e 48/84 (57.1%) hanno ricevuto una psicofarmacoterapia di supporto, senza differenze significative fra i due gruppi di trattamento. Conclusioni : uno degli elementi più salienti dello studio è stata la scarsa aderenza ai test psicodiagnostici, nonostante l’elevata prevalenza di sintomi psichiatrici. I risultati di questo studio oltre ad evidenziare l’importanza dei sintomi psichiatrici in corso di trattamento e la rilevanza della consulenza psicologica e psichiatrica per consentire di portare a termine il ciclo terapeutico previsto (migliorandone l’efficacia), ha anche dimostrato che occorre ripensare gli strumenti diagnostici adattandoli probabilmente a questo specifico target.
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Ogni anno in Europa milioni di tonnellate di cibo vengono gettate via. Una stima pubblicata dalla Commissione europea afferma che, nei 27 Stati membri, 89 milioni di tonnellate di cibo, o di 179 kg pro capite, vengono scartati. Lo spreco si verifica lungo tutta la catena di agro alimentare; la riduzione dei rifiuti alimentari è diventata una delle priorità dell'agenda europea. La ricerca si concentra su un caso studio, Last Minute Market, un progetto di recupero di sprechi alimentari. L'impatto di questo progetto dal punto di vista economico e ambientale è già stato calcolato. Quello che verrà analizzato è l'impatto di questa iniziativa sulla comunità e in particolare sul capitale sociale, definito come "l'insieme di norme e reti che consentono l'azione collettiva". Obiettivo del presente lavoro è, quindi, quello di eseguire, attraverso la somministrazione di un questionario a diversi stakeholder del progetto, un’analisi confrontabile con quella del 2009 e di verificare a distanza di cinque anni, se l'iniziativa Last Minute Market abbia prodotto una crescita di capitale sociale nella comunità interessata da questa iniziativa. Per riassumere l’influenza del progetto sul capitale sociale in un indice sintetico, viene calcolato quello che verrà chiamato indice di "affidabilità del progetto" (definito in statistica, la "capacità di un prodotto, un sistema o un servizio di fornire le prestazioni richieste, per un certo periodo di tempo in condizioni predeterminate").
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Negli ultimi anni lo spreco alimentare ha assunto un’importanza crescente nel dibattito internazionale, politico ed accademico, nel contesto delle tematiche sulla sostenibilità dei modelli di produzione e consumo, sull’uso efficiente delle risorse e la gestione dei rifiuti. Nei prossimi anni gli Stati Membri dell’Unione Europea saranno chiamati ad adottare specifiche strategie di prevenzione degli sprechi alimentari all’interno di una cornice di riferimento comune. Tale cornice è quella che si va delineando nel corso del progetto Europeo di ricerca “FUSIONS” (7FP) che, nel 2014, ha elaborato un framework di riferimento per la definizione di “food waste” allo scopo di armonizzare le diverse metodologie di quantificazione adottate dai paesi membri. In questo scenario, ai fini della predisposizione di un Piano Nazionale di Prevenzione degli Sprechi Alimentari per l’Italia, il presente lavoro applica per la prima volta il “definitional framework” FUSIONS per l’analisi dei dati e l’identificazione dei principali flussi nei diversi anelli della filiera e svolge un estesa consultazione degli stakeholder (e della letteratura) per identificare le possibili misure di prevenzione e le priorità di azione. I risultati ottenuti evedenziano (tra le altre cose) la necessità di predisporre e promuovere a livello nazionale l’adozione di misure uniformi di quantificazione e reporting; l’importanza del coinvolgimento degli stakeholder nel contesto di una campagna nazionale di prevenzione degli sprechi alimentari; l’esigenza di garantire una adeguata copertura economica per le attività di pianificazione e implementazione delle misure di prevenzione da parte degli enti locali e di un coordinamento a livello nazionale della programmazione regionale; la necessità di una armonizzazione/semplificazione del quadro di riferimento normativo (fiscale, igienico-sanitario, procedurale) che disciplina la donazione delle eccedenze alimentari; l’urgenza di approfondire il fenomeno degli sprechi alimentari attraverso la realizzazione di studi di settore negli stadi a valle della filiera.
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La tesi ha per oggetto la cultura ebraica cretese nei secoli XIV-XVI e, in particolare, l’influsso esercitato su di essa dalla cultura e dalle tradizioni degli ebrei sefarditi e ashkenaziti che cominciarono a stabilirsi sull’isola a partire dalla metà del Trecento. La tesi si basa da un lato su fonti amministrative e notarili e, dall’altro, sui manoscritti ebraici prodotti o portati a Candia nel periodo considerato. Il primo capitolo tratta della comunità ebraica nel primo Cinquecento e porta nuove notizie a proposito della geografia della zudeca, delle sue sinagoghe, della sua composizione sociale, dell’entità della sua popolazione e della biografia del principale leader spirituale e culturale attivo a Candia a quell’epoca: Elia Capsali. Il secondo capitolo offre una panoramica sull’immigrazione ebraica a Candia nei secoli XIV-XV. Il terzo capitolo esplora alcune particolarità della liturgia sinagogale elaborata dagli ebrei candioti sotto l’influsso della tradizione ashkenazita. Il quarto capitolo tratta di due liste di libri databili alla seconda metà del Quattrocento (Bologna, Biblioteca Universitaria, ms. 3574 B) e suggerisce di considerarle come indicative del peso che ebbero alcuni immigrati ebrei catalani nella diffusione della cultura medica sefardita a Candia. Il quinto capitolo è dedicato al medico, filosofo e astronomo Mosheh ben Yehudah Galiano, il quale visse a Candia tra la seconda metà degli anni Venti del Cinquecento e il 1543. L’ultimo capitolo tratta degli effetti provocati dall’epidemia di peste del 1592-95 all’interno della zudeca di Candia.