211 resultados para Aliante, Crashworthiness, Materiali compositi


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Composite porcelain enamels are inorganic coatings for metallic components based on a special ceramic-vitreous matrix in which specific additives are randomly dispersed. The ceramic-vitreous matrix is made by a mixture of various raw materials and elements and in particular it is based on boron-silicate glass added with metal oxides(1) of titanium, zinc, tin, zirconia, alumina, ecc. These additions are often used to improve and enhance some important performances such as corrosion(2) and wear resistance, mechanical strength, fracture toughness and also aesthetic functions. The coating process, called enamelling, depends on the nature of the surface, but also on the kind of the used porcelain enamel. For metal sheets coatings two industrial processes are actually used: one based on a wet porcelain enamel and another based on a dry-silicone porcelain enamel. During the firing process, that is performed at about 870°C in the case of a steel substrate, the enamel raw material melts and interacts with the metal substrate so enabling the formation of a continuous varying structure. The interface domain between the substrate and the external layer is made of a complex material system where the ceramic vitreous and the metal constituents are mixed. In particular four main regions can be identified, (i) the pure metal region, (ii) the region where the metal constituents are dominant compared with the ceramic vitreous components, (iii) the region where the ceramic vitreous constituents are dominant compared with the metal ones, and the fourth region (iv) composed by the pure ceramic vitreous material. It has also to be noticed the presence of metallic dendrites that hinder the substrate and the external layer passing through the interphase region. Each region of the final composite structure plays a specific role: the metal substrate has mainly the structural function, the interphase region and the embedded dendrites guarantee the adhesion of the external vitreous layer to the substrate and the external vitreous layer is characterized by an high tribological, corrosion and thermal shock resistance. Such material, due to its internal composition, functionalization and architecture can be considered as a functionally graded composite material. The knowledge of the mechanical, tribological and chemical behavior of such composites is not well established and the research is still in progress. In particular the mechanical performances data about the composite coating are not jet established. In the present work the Residual Stresses, the Young modulus and the First Crack Failure of the composite porcelain enamel coating are studied. Due to the differences of the porcelain composite enamel and steel thermal properties the enamelled steel sheets have residual stresses: compressive residual stress acts on the coating and tensile residual stress acts on the steel sheet. The residual stresses estimation has been performed by measuring the curvature of rectangular one-side coated specimens. The Young modulus and the First Crack Failure (FCF) of the coating have been estimated by four point bending tests (3-7) monitored by means of the Acoustic Emission (AE) technique(5,6). In particular the AE information has been used to identify, during the bending tests, the displacement domain over which no coating failure occurs (Free Failure Zone, FFZ). In the FFZ domain, the Young modulus has been estimated according to ASTM D6272-02. The FCF has been calculated as the ratio between the displacement at the first crack of the coating and the coating thickness on the cracked side. The mechanical performances of the tested coated specimens have also been related and discussed to respective microstructure and surface characteristics by double entry charts.

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A Machining Centre is nowadays a complex mechanical, electronic, electrical system that needs integrated design capabilities which very often require a high time-consuming effort. Numerical techniques for designing and dimensioning the machine structure and components usually requires different knowledge according to the system that have to be designed. This Ph. D Thesis is related about the efforts of the Authors to develop a system that allows to perform the complete project of a new machine optimized in its dynamic behaviour. An integration of the different systems developed, each of which respond to specific necessities of designer, is here presented. In particular a dynamic analysis system, based on a lumped mass approach, that rapidly allows to setup the drives of the machine and an Integrated Dynamic Simulation System, based on a FEM approach, that permit a dynamic optimization, are shown. A multilevel Data Base, and an operator interface module provide to complete the designing platform. The proposed approach represents a significant step toward the virtual machining for the prediction of the quality of the worked surface.

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Premessa: nell’aprile 2006, l’American Heart Association ha approvato la nuova definizione e classificazione delle cardiomiopatie (B. J. Maron e coll. 2006), riconoscendole come un eterogeneo gruppo di malattie associate a disfunzione meccanica e/o elettrica riconducibili ad un ampia variabilità di cause. La distinzione tra le varie forme si basa non più sui processi etiopatogenetici che ne sono alla base, ma sulla modalità di presentazione clinica della malattia. Si distinguono così le forme primarie, a prevalente od esclusivo interessamento cardiaco, dalle forme secondarie in cui la cardiomiopatia rientra nell’ambito di un disordine sistemico dove sono evidenziabili anche disturbi extracardiaci. La nostra attenzione è, nel presente studio, focalizzata sull’analisi delle cardiomiopatie diagnosticate nei primi anni di vita in cui si registra una più alta incidenza di forme secondarie rispetto all’adulto, riservando un particolare riguardo verso quelle forme associate a disordini metabolici. Nello specifico, il nostro obiettivo è quello di sottolineare l’influenza di una diagnosi precoce sull’evoluzione della malattia. Materiali e metodi: abbiamo eseguito uno studio descrittivo in base ad un’analisi retrospettiva di tutti i pazienti giunti all’osservazione del Centro di Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica e dell’ Età Evolutiva del Policlinico S. Orsola- Malpighi di Bologna, dal 1990 al 2006, con diagnosi di cardiomiopatia riscontrata nei primi due anni di vita. Complessivamente sono stati studiati 40 pazienti di cui 20 con cardiomiopatia ipertrofica, 18 con cardiomiopatia dilatativa e 2 con cardiomiopatia restrittiva con un’età media alla diagnosi di 4,5 mesi (range:0-24 mesi). Per i pazienti descritti a partire dal 2002, 23 in totale, sono state eseguite le seguenti indagini metaboliche: emogasanalisi, dosaggio della carnitina, metabolismo degli acidi grassi liberi (pre e post pasto), aminoacidemia quantitativa (pre e post pasto), acidi organici, mucopolisaccaridi ed oligosaccaridi urinari, acilcarnitine. Gli stessi pazienti sono stati inoltre sottoposti a prelievo bioptico di muscolo scheletrico per l’analisi ultrastrutturale, e per l’analisi dell’attività enzimatica della catena respiratoria mitocondriale. Nella stessa seduta veniva effettuata la biopsia cutanea per l’eventuale valutazione di deficit enzimatici nei fibroblasti. Risultati: l’età media alla diagnosi era di 132 giorni (range: 0-540 giorni) per le cardiomiopatie ipertrofiche, 90 giorni per le dilatative (range: 0-210 giorni) mentre le 2 bambine con cardiomiopatia restrittiva avevano 18 e 24 mesi al momento della diagnosi. Le indagini metaboliche eseguite sui 23 pazienti ci hanno permesso di individuare 5 bambini con malattia metabolica (di cui 2 deficit severi della catena respiratoria mitocondriale, 1 con insufficienza della β- ossidazione per alterazione delle acilcarnitine , 1 con sindrome di Barth e 1 con malattia di Pompe) e un caso di cardiomiopatia dilatativa associata a rachitismo carenziale. Di questi, 4 sono deceduti e uno è stato perduto al follow-up mentre la forma associata a rachitismo ha mostrato un netto miglioramento della funzionalità cardiaca dopo appropriata terapia con vitamina D e calcio. In tutti la malattia era stata diagnosticata entro l’anno di vita. Ciò concorda con gli studi documentati in letteratura che associano le malattie metaboliche ad un esordio precoce e ad una prognosi infausta. Da un punto di vista morfologico, un’evoluzione severa si associava alla forma dilatativa, ed in particolare a quella con aspetto non compaction del ventricolo sinistro, rispetto alla ipertrofica e, tra le ipertrofiche, alle forme con ostruzione all’efflusso ventricolare. Conclusioni: in accordo con quanto riscontrato in letteratura, abbiamo visto come le cardiomiopatie associate a forme secondarie, ed in particolare a disordini metabolici, sono di più frequente riscontro nella prima infanzia rispetto alle età successive e, per questo, l’esordio molto precoce di una cardiomiopatia deve essere sempre sospettata come l’espressione di una malattia sistemica. Abbiamo osservato, inoltre, una stretta correlazione tra l’età del bambino alla diagnosi e l’evoluzione della cardiomiopatia, registrando un peggioramento della prognosi in funzione della precocità della manifestazione clinica. In particolare la diagnosi eseguita in epoca prenatale si associava, nella maggior parte dei casi, ad un’evoluzione severa, comportandosi come una variabile indipendente da altri fattori prognostici. Riteniamo, quindi, opportuno sottoporre tutti i bambini con diagnosi di cardiomiopatia effettuata nei primi anni di vita ad uno screening metabolico completo volto ad individuare quelle forme per le quali sia possibile intraprendere una terapia specifica o, al contrario, escludere disordini che possano controindicare, o meno, l’esecuzione di un trapianto cardiaco qualora se ne presenti la necessità clinica.

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La tesi è il frutto di un lavoro di ricerca sul rapporto tra educazione e politica sviluppato considerando letteratura, studi e ricerche in ambito pedagogico, sociologico e delle scienze politiche. I nuclei tematici oggetto delle letture preliminari e degli approfondimenti successivi che sono diventati il corpo della tesi sono i seguenti: • la crisi del ruolo dei partiti politici in Italia e in Europa: diminuiscono gli iscritti e la capacità di dare corpo a proposte politiche credibili che provengano dalla “base”dei partiti; • la crisi del sistema formativo1 in Italia e il fatto che l’educazione alla cittadinanza sia poco promossa e praticata nelle scuole e nelle istituzioni; • la diffusa mancanza di fiducia degli adolescenti e dei giovani nei confronti delle istituzioni (scuola inclusa) e della politica in molti Paesi del mondo2; i giovani sono in linea con il mondo adulto nel dimostrare i sintomi di “apatia politica” che si manifesta anche come avversione verso la politica; • il fatto che le teorie e gli studi sulla democrazia non siano stati in grado di prevenire la sistematica esclusione di larghi segmenti di cittadinanza dalle dinamiche decisionali dimostrando che la democrazia formale sia drasticamente differente da quella sostanziale. Una categoria tra le più escluse dalle decisioni è quella dei minori in età. Queste tematiche, se poste in relazione, ci inducono a riflettere sullo stato della democrazia e ci invitano a cercare nuovi orizzonti in cui inserire riflessioni sulla cittadinanza partendo dall’interesse centrale delle scienze pedagogiche: il ruolo dell’educazione. Essenziale è il tema dei diritti umani: per cominciare, rileviamo che sebbene la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia sia stata approvata da quasi vent’anni (nel 1989) e malgrado numerose istituzioni nazionali e internazionali (Onu, Consiglio d’Europa, Banca Mondiale, Unesco) continuino ad impegnarsi nella promozione dei diritti sanciti e ratificati con leggi da quasi tutti i Paesi del mondo, questi diritti sono spesso trascurati: in particolare i diritti di bambini, adolescenti e giovani fino a 18 anni ad essere ascoltati, ad esprimersi liberamente, a ricevere informazioni adeguate nonché il diritto ad associarsi. L’effetto di tale trascuratezza, ossia la scarsa partecipazione di adolescenti e giovani alla vita sociale e politica in ogni parte del mondo (Italia inclusa) è un problema su cui cercheremo di riflettere e trovare soluzioni. Dalle più recenti ricerche svolte sul rapporto tra giovani e politica3, risulta che sono in particolare i giovani tra i quindici e i diciassette anni a provare “disgusto” per la politica e a non avere alcune fiducia né nei confronti dei politici, né delle istituzioni. Il disgusto è strettamente legato alla sfiducia, alla delusione , alla disillusione che oltretutto porta al rifiuto per la politica e quindi anche a non informarsi volutamente, a tenere ciò che riguarda la politica lontano dalla propria sfera personale. In Italia, ciò non è una novità. Né i governi che si sono succeduti dagli anni dell’Unità ad oggi, né le teorie democratiche italiane e internazionali sono riusciti a cambiare l’approccio degli italiani alla politica: “fissità della cultura politica, indolenza di fronte alla mancanza di cultura della legalità, livelli bassi di informazione, di competenza, di fiducia nella democrazia”4. Tra i numerosi fattori presi in analisi nelle ricerche internazionali (cfr. Cap. I par.65) ve ne sono due che si è scoperto influenzano notevolmente la partecipazione politica della popolazione e che vedono l’Italia distante dalle altre democrazie europee: 1) la vicinanza alla religione istituzionale , 2) i caratteri della morale6. Religione istituzionale Non c’è studio o ricerca che non documenti la progressiva secolarizzazione degli stati. Eppure, dividendo la popolazione dei Paesi in: 1) non credenti, 2) credenti non praticanti e 3) credenti praticanti, fatto salvo per la Francia, si assiste ad una crescita dei “credenti non praticanti” in Europa e dei “credenti praticanti” in particolare in Italia (risultavano da un’indagine del 2005, il 42% della popolazione italiana). La spiegazione di questa “controtendenza” dell’Italia, spiega la Sciolla, “potrebbe essere il crescente ruolo pubblico assunto dalla Chiesa italiana e della sua sempre più pervasiva presenza su temi di interesse pubblico o direttamente politico (dalla fecondazione assistita alle unioni tra omosessuali) oltreché alla sua visibilità mediatica che, insieme al generale e diffuso disorientamento, potrebbe aver esercitato un autorevole richiamo”. Pluralismo morale Frutto innanzitutto del processo di individualizzazione che erode le forme assolute di autorità e le strutture gerarchiche e dell’affermarsi dei diritti umani con l’ampliamento degli spazi di libertà di coscienza dei singoli. Una conferma sul piano empirico di questo quadro è data dal monitoraggio di due configurazioni valoriali che più hanno a che vedere con la partecipazione politica: 1) Grado di civismo (in inglese civicness) che raggruppa giudizi sui comportamenti lesivi dell’interesse pubblico (non pagare le tasse, anteporre il proprio interesse e vantaggio personale all’interesse pubblico). 2) Libertarismo morale o cultura dei diritti ovvero difesa dei diritti della persona e della sua liberà di scelta (riguarda la sessualità, il corpo e in generale la possibilità di disporre di sé) In Italia, il civismo ha subito negli anni novanta un drastico calo e non è più tornato ai livelli precedenti. Il libertarismo è invece aumentato in tutti i Paesi ma Italia e Stati Uniti hanno tutt’ora un livello basso rispetto agli altri Stati. I più libertari sono gli strati giovani ed istruiti della popolazione. Queste caratteristiche degli italiani sono riconducibili alla storia del nostro Paese, alla sua identità fragile, mai compatta ed unitaria. Non è possibile tralasciare l’influenza che la Chiesa ha sempre avuto nelle scelte politiche e culturali del nostro Paese. Limitando il campo al secolo scorso, dobbiamo considerare che la Chiesa cattolica ha avuto continuativamente un ruolo di forte ingerenza nei confronti delle scelte dei governi (scelte che, come vedremo nel Cap. I, par.2 hanno influenzato le scelte sulla scuola e sull’educazione) che si sono succeduti dal 1948 ad oggi7. Ciò ha influito nei costumi della nostra società caratterizzandoci come Stato sui generis nel panorama europeo Inoltre possiamo definire l’Italia uno "Stato nazionale ed unitario" ma la sua identità resta plurinazionale: vi sono nazionalità, trasformate in minoranze, comprese e compresse nel suo territorio; lo Stato affermò la sua unità con le armi dell'esercito piemontese e questa unità è ancora da conquistare pienamente. Lo stesso Salvemini fu tra quanti invocarono un garante per le minoranze constatando che di fronte a leggi applicate da maggioranze senza controllo superiore, le minoranze non hanno sicurezza. Riteniamo queste riflessioni sull’identità dello Stato Italiano doverose per dare a questa ricerca sulla promozione della partecipazione politica di adolescenti e giovani, sull’educazione alla cittadinanza e sul ruolo degli enti locali una opportuna cornice culturale e di contesto. Educazione alla cittadinanza In questo scritto “consideriamo che lo stimolo al cambiamento e al controllo di ciò che succede nelle sfere della politica, la difesa stessa della democrazia, è più facile che avvenga se i membri di una comunità, singolarmente o associandosi, si tengono bene informati, possiedono capacità riflessive e argomentative, sono dunque adeguatamente competenti e in grado di formarsi un’opinione autonoma e di esprimerla pubblicamente. In questo senso potremmo dire che proprio l’educazione alla democrazia, di chi nella democrazia vive, godendone i vantaggi, è stata rappresentata da Montiesquieu e da J.S Mill come uno dei caratteri basilari della democrazia stessa e la sua assenza come uno dei peggiori rischi in cui si può incorrere”8 L’educazione alla cittadinanza - considerata come cornice di un ampio spettro di competenze, complessivamente legate alla partecipazione e pienamente consapevole alla vita politica e sociale - e in particolare la formazione alla cittadinanza attiva sono da tempo riconosciute come elementi indispensabili per il miglioramento delle condizioni di benessere dei singoli e delle società e sono elementi imprescindibili per costituire un credibile patto sociale democratico. Ma che tipo di sistema formativo meglio si adatta ad un Paese dove - decennio dopo decennio - i decisori politici (la classe politica) sembrano progressivamente allontanarsi dalla vita dei cittadini e non propongono un’idea credibile di stato, un progetto lungimirante per l’Italia, dove la politica viene vissuta come distante dalla vita quotidiana e dove sfiducia e disgusto per la politica sono sentimenti provati in particolare da adolescenti e giovani? Dove la religione e il mercato hanno un potere concorrente a quello dei principi democratici ? La pedagogia può in questo momento storico ricoprire un ruolo di grande importanza. Ma non è possibile formulare risposte e proposte educative prendendo in analisi una sola istituzione nel suo rapporto con adolescenti e giovani. Famiglia, scuola, enti locali, terzo settore, devono essere prese in considerazione nella loro interdipendenza. Certo, rispetto all’educazione alla cittadinanza, la scuola ha avuto, almeno sulla carta, un ruolo preminente avendo da sempre l’obiettivo di formare “l’uomo e il cittadino” e prevedendo l’insegnamento dell’educazione civica. Ma oggi, demandare il ruolo della “formazione del cittadino” unicamente alla scuola, non è una scelta saggia. La comunità, il territorio e quindi le istituzioni devono avere un ruolo forte e collaborare con la scuola. Educazione formale, non formale e informale devono compenetrarsi. Gli studi e le riflessioni della scrivente hanno portato all’ individuazione degli enti locali come potenziali luoghi privilegiati della formazione politica dei giovani e dell’educazione alla cittadinanza. Gli enti locali I Comuni, essendo le Istituzioni più vicine ai cittadini, possono essere il primo luogo dove praticare cittadinanza attiva traducendo in pratiche anche le politiche elaborate a livello regionale e nazionale. Sostiene la Carta riveduta della partecipazione dei giovani9 “La partecipazione attiva dei giovani alle decisioni e alle attività a livello locale e regionale è essenziale se si vogliono costruire società più democratiche, solidali e prospere. Partecipare alla vita politica di una comunità, qualunque essa sia, non implica però unicamente il fatto di votare e presentarsi alle elezioni, per quanto importanti siano tali elementi. Partecipare ed essere un cittadino attivo vuol dire avere i diritti, gli strumenti intellettuali e materiali, il luogo, la possibilità, e, se del caso, il necessario sostegno per intervenire nelle decisioni, influenzarle ed impegnarsi in attività e iniziative che possano determinare la costruzione di una società migliore”. In Italia, il ruolo degli enti locali è stato per lo più dominante nella definizione delle politiche sociali, sanitarie ed educative ma è divenuto centrale soprattutto in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione italiana operata nel 2001. Sono gli enti locali – le Regioni in primis – ad avere la funzione istituzionale di legiferare rispetto ai temi inerenti il sociale. Le proposte e le azioni di Province e Comuni dovrebbero ispirarsi al “principio di sussidiarietà” espresso nell’art. 118 della Costituzione: «Stato, Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà»10 e nei Trattati dell’Unione Europea. Il Trattato istitutivo della Comunità europea accoglie il principio nell’art.5 “La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario (…)”. Il principio di sussidiarietà può dunque essere recepito anche prevedendo, promuovendo e accogliendo la partecipazione dei cittadini alla vita della città in molteplici forme. Conseguentemente, facilitare l’avvicinamento degli adolescenti e dei giovani (in quanto cittadini) alla vita collettiva, al bene pubblico, alla politica considerandoli una risorsa e mettendoli nelle condizioni di essere socialmente e politicamente attivi rientra nelle possibili applicazioni del principio di sussidiarietà. L’oggetto della ricerca La ricerca condotta dalla scrivente prende le mosse dal paradigma ecologico e si ispira allo stile fenomenologico prendendo in analisi un contesto determinato da numerosi soggetti tra loro interrelati. La domanda di ricerca: “gli enti locali possono promuovere di progetti e interventi di educazione alla cittadinanza di cui adolescenti e giovani siano protagonisti? Se si, in che modo?”. Gli studi preliminari alla ricerca hanno mostrato uno scenario complesso che non era mai stato preso in analisi da chi si occupa di educazione. E’ stato dunque necessario comprendere: 1) Il ruolo e le funzioni degli enti locali rispetto alle politiche educative e di welfare in generale in Italia 2) La condizione di adolescenti e giovani in Italia e nel mondo 3) Che cos’è l’educazione alla cittadinanza 4) Che cosa si può intendere per partecipazione giovanile Per questo il lavoro di ricerca empirica svolto dalla scrivente è basato sulla realizzazione di due indagini esplorative (“Enti locali, giovani e politica (2005/2006)11 e “Nuovi cittadini di pace” (2006/2007)12) tramite le quali è stato possibile esaminare progetti e servizi di promozione della partecipazione degli adolescenti e dei giovani alla vita dei Comuni di quattro regioni italiane e in particolare della Regione Emilia-Romagna. L’oggetto dell’interesse delle due indagini è (attraverso l’analisi di progetti e servizi e di testimonianze di amministratori, tecnici e politici) esplorare le modalità con cui gli enti locali (i Comuni in particolare) esplicano la loro funzione formativa rivolta ad adolescenti e giovani in relazione all’educazione alla cittadinanza democratica. Ai fini delle nostre riflessioni ci siamo interessati di progetti, sevizi permanenti e iniziative rivolti alla fascia d’età che va dagli 11 ai 20/22 anni ossia quegli anni in cui si giocano molte delle sfide che portano i giovani ad accedere al mondo degli adulti in maniera “piena e autentica” o meno. Dall’analisi dei dati, emergono osservazioni su come gli enti locali possano educare alla cittadinanza in rete con altre istituzioni (la scuola, le associazioni), promuovendo servizi e progetti che diano ad adolescenti e giovani la possibilità di mettersi all’opera, di avere un ruolo attivo, realizzare qualche cosa ed esserne responsabili (e nel frattempo apprendere come funziona e che cos’è il governo di una città, di un territorio), intrecciare relazioni, lavorare in gruppo, in una cornice che va al di là delle politiche giovanili e che propone politiche integrate. In questo contesto il ruolo degli adulti (genitori, insegnanti, educatori, politici) è centrale: è dunque essenziale che le famiglie, il mondo della scuola, gli attivisti dei partiti politici, le istituzioni e il mondo dell’informazione attraverso l’agire quotidiano, dimostrino ad adolescenti e giovani coerenza tra azioni e idee dimostrando fiducia nelle istituzioni, tenendo comportamenti coerenti e autorevoli improntati sul rispetto assoluto della legalità, per esempio. Per questo, la prima fase di approfondimento qualitativo delle indagini è avvenuta tramite interviste in profondità a decisori politici e amministratori tecnici. Il primo capitolo affronta il tema della crisi della democrazia ossia il fatto che le democrazie odierne stiano vivendo una fase di dibattito interno e di riflessione verso una prospettiva di cambiamento necessaria. Il tema dell’inserimento dei diritti umani nel panorama del dibattito sulle società democratiche e sulla cittadinanza si intreccia con i temi della globalizzazione, della crisi dei partiti politici (fenomeno molto accentuato in Italia). In questa situazione di smarrimento e di incertezza, un’operazione politica e culturale che metta al primo posto l’educazione e i diritti umani potrebbe essere l’ancora di salvezza da gettare in un oceano di incoerenza e di speranze perdute. E’ necessario riformare il sistema formativo italiano investendo risorse sull’educazione alla cittadinanza in particolare per adolescenti e giovani ma anche per coloro che lavorano con e per i giovani: insegnanti, educatori, amministratori. La scolarizzazione, la formazione per tutto l’arco della vita sono alcuni dei criteri su cui oggi nuovi approcci misurano il benessere dei Paesi e sono diritti inalienabili sanciti, per bambini e ragazzi dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.13 La pedagogia e la politica devono avere in questo momento storico un ruolo di primo piano; gli obiettivi a cui dovrebbero tendere sono la diffusione di una cultura dei diritti, una cultura del rispetto dell’infanzia e di attenzione prioritaria ai temi del’educazione alla cittadinanza. “Rimuovere gli ostacoli sociali ed economici”14 a che questi diritti vengano rispettati è compito dello Stato e anche degli enti locali. Il secondo capitolo descrive la condizione dei giovani nel mondo e in Italia in rapporto ai diritti di partecipazione. Il contesto mondiale che la Banca Mondiale (organismo dell’Onu)15 dipinge è potenzialmente positivo: “il numero di giovani tra i 12 e i 24 anni è intorno a 1, 3 miliardi ossia il livello più elevato della storia; questo gruppo è in migliore salute e meglio istruito di sempre. I Paesi ricchi come quelli poveri devono approfittare di questa opportunità prima che l’invecchiamento della società metta fine a questo periodo potenzialmente assai fruttuoso per il mondo intero. In Italia invece “Viene dipinto un quadro deprimente in cui “gli adulti mandano segnali incerti, ambigui, contraddittori. Se si può dunque imputare qualcosa alle generazioni dei giovani oggi è di essere, per certi versi, troppo simili ai loro padri e alle loro madri”16 Nel capitolo vengono mostrati e commentati i dati emersi da rapporti e ricerche di organizzazioni internazionali che dimostrano come anche dal livello di istruzione, di accesso alla cultura, ma in particolare dal livello di partecipazione attiva alla vita civica dei giovani, dipenda il futuro del globo intero e dunque anche del nostro Paese . Viene inoltre descritto l’evolversi delle politiche giovanili in Italia anche in rapporto al mutare del significato del concetto controverso di “partecipazione”: il termine è presente in numerose carte e documenti internazionali nonché utilizzato nei programmi politici delle amministrazioni comunali ma sviscerarne il significato e collocarlo al di fuori dei luoghi comuni e dell’utilizzo demagogico obbliga ad un’analisi approfondita e multidimensionale della sua traduzione in azioni. Gli enti locali continuano ad essere l’oggetto principale del nostro interesse. Per questo vengono riportati i risultati di un’indagine nazionale sui servizi pubblici per adolescenti che sono utili per contestualizzare le indagini regionali svolte dalla scrivente. Nel terzo capitolo si esamina l’ “educazione alla cittadinanza” a partire dalla definizione del Consiglio d’Europa (EDC) cercando di fornire un quadro accurato sui contenuti che le pertengono ma soprattutto sulle metodologie da intraprendere per mettere autenticamente in pratica l’EDC. La partecipazione di adolescenti e giovani risulta essere un elemento fondamentale per promuovere e realizzare l’educazione alla cittadinanza in contesti formali, non formali e informali. Il quarto capitolo riporta alcune riflessioni sulla ricerca pedagogica in Italia e nel panorama internazionale e pone le basi ontologiche ed epistemologiche della ricerca svolta dalla scrivente. Nel quinto capitolo vengono descritte dettagliatamente le due indagini svolte dalla scrivente per raccogliere dati e materiali di documentazione sui progetti di promozione della partecipazione dei giovani promossi dagli Enti locali emiliano-romagnoli ai fini dell’educazione alla cittadinanza. “Enti locali, giovani e politica” indagine sui progetti di promozione della partecipazione sociale e politica che coinvolgono ragazzi tra i 15 e i 20 anni. E “Nuovi cittadini di pace”, un’indagine sui Consigli dei ragazzi nella Provincia di Bologna. Nel sesto capitolo la scrivente formula alcune conclusioni e proposte operative concentrando la propria attenzione in particolare sulle questione della formazione di educatori e facilitatori che operano in contesti di educazione non formale interistituzionale, sulla necessità di una ampia diffusione di una cultura dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nel mondo della politica e della scuola e su un utilizzo del dialogo autentico (in quanto principio democratico) per far sì che adolescenti, giovani e adulti possano collaborare e contribuire insieme alla formulazione di politiche e alla realizzazione di progetti comuni. Ci sembra infine che si debba riconoscere che è tempo di puntare con tutte le forze e in tutti i setting educativi disponibili su un impegno formativo in cui la dimensione politica non solo sia chiaramente e consapevolmente presente, ma sia considerata una delle sue caratteristiche principali. Il nostro tempo lo richiede con urgenza: l’alternativa rischia di essere la disfatta dell’intera umanità e dunque l’impossibilità per l’uomo di realizzarsi nel suo più elevato significato e nel suo autentico valore. I giovani sempre più lo chiedono anche se non sempre utilizzano linguaggi decifrabili dagli adulti.

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La tesi si pone come finalità quella di analizzare un comprensorio territoriale dal punto di vista insediativo, cercando di coglierne le peculiarità e i mutamenti nel lungo periodo attraverso un uso incrociato di fonti scritte e archeologiche. La ricerca ha preso avvio dall’analisi del Saltopiano, uno dei distretti di ambito rurale che si ritrova nelle fonti tra IX-XII secolo, in passato già affrontato dalla storiografia specialmente in relazione all’organizzazione istituzionale delle aree rurali tra Longobardia e Romania durante i secoli altomedievali. Attraverso l’esame delle fonti scritte edite si è cercato di ricostruire il quadro dell’organizzazione territoriale, partendo dalla disamina dei centri di potere laici ed ecclesiastici che a questa area avevano rivolto il proprio interesse patrimoniale e politico, ma proponendo in modo analitico i dati che forniscono indicazioni dirette in relazione all’organizzazione insediativa e quindi alla gestione del territorio dal punto di vista socioeconomico. E’ stato posto in risalto il carattere di un insediamento rurale a maglie larghe, secondo la scansione in fundi e la presenza di poli di accentramento importanti come pievi, castra, vici e con una compresenza, per quanto ristretta a pochi esempi significativi, di altre forme di organizzazione come la curtis e la massa. Con la prosecuzione dello studio del territorio in senso diacronico, prima la scomparsa del riferimento al Saltopiano, poi la progressiva conquista del contado da parte del Comune di Bologna ha determinato un vero e proprio mutamento nell’approccio di analisi. E’ stato dato spazio all’analisi di fondi inediti (conservati principalmente all’Archivio di Stato di Bologna) e specificamente legati alla realtà territoriale studiata. In primo luogo, sono stati esaminati gli estimi del contado (Galliera e Massumatico), una fonte già frequentata in passato da altri studiosi, soprattutto con un interesse dal punto di vista demografico e economico. Nel caso specifico, sono stati estrapolati dalle prime rilevazioni fiscali del 1235 e del 1245 e poi da quelle di primo Trecento i dati che restituiscono l’organizzazione del territorio in modo concreto. Partendo dalle riflessioni di studi svolti in passato, che avevano considerato il fondamentale inserimento di importanti famiglie cittadine nella gestione sempre più ampia dei beni agricoli nel contado è stata avviata l’analisi di un altro fondo inedito, quello dei registri del Vicariato di Galliera (in particolare quelli concernenti la denuncia dei “danni dati” sulle proprietà agricole), da cui emerge in modo evidente la presenza di famiglie come i Guastavillani, i Caccianemici, i Lambertini. Tali dati, in associazione a quelli tratti dagli estimi, hanno fornito elementi essenziali per la comprensione del territorio rurale nel suo complesso e nei rapporti di interdipendenza tra le diverse componenti sociali. Una terza parte della tesi è dedicata nella sua totalità all’analisi delle fonti materiali che forniscono dati per lo studio dell’insediamento medievale nel territorio compreso tra gli attuali comuni di S. Pietro in Casale e Galliera. Partendo da alcune ricerche preliminari compiute negli anni ’90 del secolo scorso, è stato impostato un progetto di ricerca archeologica articolatosi in due campagne di ricognizione di superficie e in una prima campagna di scavo tramite sondaggio presso la torre di Galliera, al fine di ricavare dati di prima mano in un’area pressoché inesplorata dal punto di vista archeologico. Nonostante i limiti riscontrati dal punto di vista pratico, a causa del terreno fortemente alluvionato, si sono raccolti dati specifici che aiutano a inquadrare questo comprensorio e a confrontarlo con altre aree della regione e in particolare del comitato bolognese studiate in ricerche analoghe, mettendone in evidenza le specificità e le caratterizzazioni. Inoltre, alcune importanti persistenze materiali (un sistema di torri di cui rimangono alcuni esempi ancora conservati in alzato) hanno permesso di gettare luce sul valore commerciale e quindi strategico dell’area, soprattutto in funzione del passaggio delle merci lungo una via fluviale fondamentale tra XIII-XIV secolo nel collegare Ferrara a Bologna.

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Questa tesi di dottorato di ricerca ha come oggetto la nozione di fatto urbano elaborata e presentata da Aldo Rossi nel libro L’architettura della città edito nel 1966. Ne L’architettura della città sono molteplici le definizioni e le forme con cui è enunciata la nozione di fatto urbano. Nel corso della tesi si è indagato come la costruzione nel tempo di questo concetto è stata preceduta da diversi studi giovanili intrapresi dal 1953, poi riorganizzati e sintetizzati a partire dal 1963 in un quaderno manoscritto dal titolo “Manuale di urbanistica”, in diversi appunti e in due quaderni manoscritti. Il lavoro di ricerca ha ricostruito la formulazione della nozione di fatto urbano attraverso gli scritti di Rossi. In questa direzione la rilevazione della partecipazione di Rossi a dibattiti, seminari, riviste, corsi universitari o ricerche accademiche è apparsa di fondamentale importanza, per comprendere la complessità di un lavoro non riconducibile a dei concetti disciplinari, ma alla formazione di una teoria trasmissibile. Il tentativo di comprendere e spiegare la nozione di fatto urbano ha condotto ad esaminare l’accezione con cui Rossi compone L’architettura della città, che egli stesso assimila ad un trattato. L’analisi ha identificato come la composizione del libro non è direttamente riferibile ad un uso classico della stesura editoriale del trattato, la quale ha tra i riferimenti più noti nel passato la promozione di una pratica corretta come nel caso vitruviano o un’impalcatura instauratrice di una nuova categoria come nel caso dell’Alberti. La mancanza di un sistema globale e prescrittivo a differenza dei due libri fondativi e il rimando non immediato alla stesura di un trattato classico è evidente ne L’architettura della città. Tuttavia la possibilità di condurre la ricerca su una serie di documenti inediti ha permesso di rilevare come negli scritti a partire dal 1953, sia maturata una trattazione delle questioni centrali alla nozione di fatto urbano ricca di intuizioni, che aspirano ad un’autonomia, sintetizzate, seppure in modo non sistematico, nella stesura del celebre libro. Si è così cercato di mettere in luce la precisazione nel tempo della nozione di fatto urbano e della sua elaborazione nei molteplici scritti antecedenti la pubblicazione de L’architettura della città, precisando come Rossi, pur costruendo su basi teoriche la nozione di fatto urbano, ne indichi una visione progressiva, ossia un uso operativo sulla città. La ricerca si è proposta come obiettivo di comprendere le radici culturali della nozione di fatto urbano sia tramite un’esplorazione degli interessi di Rossi nel suo percorso formativo sia rispetto alla definizione della struttura materiale del fatto urbano che Rossi individua nelle permanenze e che alimenta nella sua definizione con differenti apporti derivanti da altre discipline. Compito di questa ricerca è stato rileggere criticamente il percorso formativo compiuto da Rossi, a partire dal 1953, sottolinearne gli ambiti innovativi e precisarne i limiti descrittivi che non vedranno mai la determinazione di una nozione esatta, ma piuttosto la strutturazione di una sintesi complessa e ricca di riferimenti ad altri studi. In sintesi la tesi si compone di tre parti: 1. la prima parte, dal titolo “La teoria dei fatti urbani ne L’architettura della città”, analizza il concetto di fatto urbano inserendolo all’interno del più generale contesto teorico contenuto nel libro L’architettura della città. Questo avviene tramite la scomposizione del libro, la concatenazione delle sue argomentazioni e la molteplicità delle fonti esplicitamente citate da Rossi. In questo ambito si precisa la struttura del libro attraverso la rilettura dei riferimenti serviti a Rossi per comporre il suo progetto teorico. Inoltre si ripercorre la sua vita attraverso le varie edizioni, le ristampe, le introduzioni e le illustrazioni. Infine si analizza il ruolo del concetto di fatto urbano nel libro rilevando come sia posto in un rapporto paritetico con il titolo del libro, conseguendone un’accezione di «fatto da osservare» assimilabile all’uso proposto dalla geografia urbana francese dei primi del Novecento. 2. la seconda parte, dal titolo “La formazione della nozione di fatto urbano 1953-66”, è dedicata alla presentazione dell’elaborazione teorica negli scritti di Rossi prima de L’architettura della città, ossia dal 1953 al 1966. Questa parte cerca di descrivere le radici culturali di Rossi, le sue collaborazioni e i suoi interessi ripercorrendo la progressiva definizione della concezione di città nel tempo. Si è analizzato il percorso maturato da Rossi e i documenti scritti fin dagli anni in cui era studente alla Facoltà di Architettura Politecnico di Milano. Emerge un quadro complesso in cui i primi saggi, gli articoli e gli appunti testimoniano una ricerca intellettuale tesa alla costruzione di un sapere sullo sfondo del realismo degli anni Cinquanta. Rossi matura infatti un impegno culturale che lo porta dopo la laurea ad affrontare discorsi più generali sulla città. In particolare la sua importante collaborazione con la rivista Casabella-continuità, con il suo direttore Ernesto Nathan Rogers e tutto il gruppo redazionale segnano il periodo successivo in cui compare l’interesse per la letteratura urbanistica, l’arte, la sociologia, la geografia, l’economia e la filosofia. Seguono poi dal 1963 gli anni di lavoro insieme al gruppo diretto da Carlo Aymonino all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, e in particolare le ricerche sulla tipologia edilizia e la morfologia urbana, che portano Rossi a compiere una sintesi analitica per la fondazione di una teoria della città. Dall’indagine si rileva infatti come gli scritti antecedenti L’architettura della città sviluppano lo studio dei fatti urbani fino ad andare a costituire il nucleo teorico di diversi capitoli del libro. Si racconta così la genesi del libro, la cui scrittura si è svolta nell’arco di due anni, e le aspirazioni che hanno portato quello che era stato concepito come un “manuale d’urbanistica” a divenire quello che Rossi definirà “l’abbozzo di un trattato” per la formulazione di una scienza urbana. 3. la terza parte, dal titolo “La struttura materiale dei fatti urbani: la teoria della permanenza”, indaga monograficamente lo studio della città come un fatto materiale, un manufatto, la cui costruzione è avvenuta nel tempo e del tempo mantiene le tracce. Sul tema della teoria della permanenza è stato importante impostare un confronto con il dibattito vivo negli anni della ricostruzione dopo la guerra intorno ai temi delle preesistenze ambientali nella ricostruzione negli ambienti storici. Sono emersi fin da subito importanti la relazione con Ernesto Nathan Rogers, le discussioni sulle pagine di Casabella-Continuità, la partecipazione ad alcuni dibatti e ricerche. Si è inoltre Rilevato l’uso di diversi termini mutuati dalle tesi filosofiche di alcune personalità come Antonio Banfi e Enzo Paci, poi elaborati dal nucleo redazionale di Casabella-Continuità, di cui faceva parte anche Rossi. Sono così emersi alcuni spostamenti di senso e la formulazione di un vocabolario di termini all’interno della complessa vicenda della cultura architettonica degli anni Cinquanta e Sessanta. 1. Si è poi affrontato questo tema analizzando le forme con cui Rossi presenta la definizione della teoria della permanenza e i contributi desunti da alcuni autori per la costruzione scientifica di una teoria dell’architettura, il cui fine è quello di essere trasmissibile e di offrire strumenti di indagine concreti. Questa ricerca ha permesso di ipotizzare come il lavoro dei geografi francesi della prima metà del XX secolo, e in particolare il contributo più rilevante di Marcel Poëte e di Pierre Lavedan, costituiscono le fonti principali e il campo d’indagine maggiormente esplorato da Rossi per definire la teoria della permanenza e i monumenti. Le permanenze non sono dunque presentate ne L’architettura della città come il “tutto”, ma emergono da un metodo che sceglie di isolare i fatti urbani permanenti, consentendo così di compiere un’ipotesi su “ciò che resta” dopo le trasformazioni continue che operano nella città. Le fonti su cui ho lavorato sono state quelle annunciate da Rossi ne L’architettura della città, e più precisamente i testi nelle edizioni da lui consultate. Anche questo lavoro ha permesso un confronto dei testi che ha fatto emergere ne L’architettura della città l’uso di termini mutuati da linguaggi appartenenti ad altre discipline e quale sia l’uso di concetti estrapolati nella loro interezza. Presupposti metodologici Della formulazione della nozione di fatto urbano si sono indagate l’originalità dell’espressione, le connessioni presunte o contenute negli studi di Rossi sulla città attraverso la raccolta di fonti dirette e indirette che sono andate a formare un notevole corpus di scritti. Le fonti dirette più rilevanti sono state trovare nelle collezioni speciali del Getty Research Institute di Los Angeles in cui sono conservati gli Aldo Rossi Papers, questo archivio comprende materiali inediti dal 1954 al 1988. La natura dei materiali si presenta sotto forma di manoscritti, dattiloscritti, quaderni, documenti ciclostilati, appunti sparsi e una notevole quantità di corrispondenza. Negli Aldo Rossi Papers si trovano anche 32 dei 47 Quaderni Azzurri, le bozze de L’architettura della città e dell’ Autobiografia Scientifica. Per quanto riguarda in particolare L’architettura della città negli Aldo Rossi Papers sono conservati: un quaderno con il titolo “Manuale d’urbanistica, giugno 1963”, chiara prima bozza del libro, degli “Appunti per libro urbanistica estate/inverno 1963”, un quaderno con la copertina rossa datato 20 settembre 1964-8 agosto 1965 e un quaderno con la copertina blu datato 30 agosto 1965-15 dicembre 1965. La possibilità di accedere a questo archivio ha permesso di incrementare la bibliografia relativa agli studi giovanili consentendo di rileggere il percorso culturale in cui Rossi si è formato. E’ così apparsa fondamentale la rivalutazione di alcune questioni relative al realismo socialista che hanno portato a formare un più preciso quadro dei primi scritti di Rossi sullo sfondo di un complesso scenario intellettuale. A questi testi si è affiancata la raccolta delle ricerche universitarie, degli articoli pubblicati su riviste specializzate e degli interventi a dibattiti e seminari. A proposito de L’architettura della città si è raccolta un’ampia letteratura critica riferita sia al testo in specifico che ad una sua collocazione nella storia dell’architettura, mettendo in discussione alcune osservazioni che pongono L’architettura della città come un libro risolutivo e definitivo. Per quanto riguarda il capitolo sulla teoria della permanenza l’analisi è stata svolta a partire dai testi che Rossi stesso indicava ne L’architettura della città rivelando i diversi apporti della letteratura urbanistica francese, e permettendo alla ricerca di precisare le relazioni con alcuni scritti centrali e al contempo colti da Rossi come opportunità per intraprendere l’elaborazione dell’idea di tipo. Per quest’ultima parte si può precisare come Rossi formuli la sua idea di tipo in un contesto culturale dove l’interesse per questo tema era fondamentale. Dunque le fonti che hanno assunto maggior rilievo in quest’ultima fase emergono da un ricco panorama in cui Rossi compie diverse ricerche sia con il gruppo redazionale di Casabella-continuità, sia all’interno della scuola veneziana negli anni Sessanta, ma anche negli studi per l’ILSES e per l’Istituto Nazionale d’Urbanistica. RESEARCH ON THE NOTION OF URBAN ARTIFACT IN THE ARCHITECTURE OF THE CITY BY ALDO ROSSI. Doctoral candidate: Letizia Biondi Tutor: Valter Balducci The present doctoral dissertation deals with the notion of urban artifact that was formulated and presented by Aldo Rossi in his book The Architecture of the City, published in 1966. In The Architecture of the City, the notion of urban artifact is enunciated through a wide range of definitions and forms. In this thesis, a research was done on how the construction of this concept over time was preceded by various studies started in 1953 during the author’s youth, then re-organized and synthesized since 1963 in a manuscript titled “Manual of urban planning” and in two more manuscripts later on. The work of research re-constructed the formulation of the notion of urban artifact through Rossi’s writings. In this sense, the examination of Rossi’s participation in debates, seminars, reviews, university courses or academic researches was of fundamental importance to understand the complexity of a work which is not to be attributed to disciplinary concepts, but to the formulation of a communicable theory. The effort to understand and to explain the notion of urban artifact led to an examination of the meaning used by Rossi to compose The Architecture of the City, which he defines as similar to a treatise. Through this analysis, it emerged that the composition of the book is not directly ascribable to the classical use of editorial writing of a treatise, whose most famous references in the past are the promotion of a correct practice as in the case of Vitruvio’s treatise, or the use of a structure that introduces a new category as in the Alberti case. Contrary to the two founding books, the lack of a global and prescriptive system and the not immediate reference to the writing of a classical treatise are evident in The Architecture of the City. However, the possibility of researching on some unpublished documents allowed to discover that in the writings starting from 1953 the analysis of the questions that are at the core of the notion of urban artifact is rich of intuitions, that aim to autonomy and that would be synthesized, even though not in a systematic way, in his famous book. The attempt was that of highlighting the specification over time of the notion of urban artifact and its elaboration in the various writings preceding the publication of The Architecture of the City. It was also specified that, despite building on theoretical grounds, Rossi indicates a progressive version of the notion of urban artifact, that is a performing use in the city. The present research aims to understand the cultural roots of the notion of urban artifact in two main directions: analyzing, firstly, Rossi’s interests along his formation path and, secondly, the definition of material structure of an urban artifact identified by Rossi in the permanences and enriched by various contributions from other disciplines. The purpose of the present research is to revise the formation path made by Rossi in a critical way, starting by 1953, underlining its innovative aspects and identifying its describing limits, which will never lead to the formulation of an exact notion, but rather to the elaboration of a complex synthesis, enriched by references to other studies. In brief, the thesis is composed of three parts: 1. The first part, titled “The Theory of urban artifacts in The Architecture of the City”, analyzes the concept of urban artifact in the more general theoretical context of the book The Architecture of the City. Such analysis is done by “disassembling” the book, and by linking together the argumentations and the multiplicity of the sources which are explicitly quoted by Rossi. In this context, the book’s structure is defined more precisely through the revision of the references used by Rossi to compose his theoretical project. Moreover, the author’s life is traced back through the various editions, re-printings, introductions and illustrations. Finally, it is specified which role the concept of urban artifact has in the book, pointing out that it is placed in an equal relation with the book’s title; by so doing, the concept of urban artifact gets the new meaning of “fact to be observed”, similar to the use that was suggested by the French urban geography at the beginning of the 20th century. 2. The second part, titled “The formation of the notion of urban artifact 1953-66”, introduces the theoretical elaboration in Rossi’s writings before The Architecture of the City, that is from 1953 to 1966. This part tries to describe Rossi’s cultural roots, his collaborations and his interests, tracing back the progressive definition of his conception of city over time. The analysis focuses on the path followed by Rossi and on the documents that he wrote since the years as a student at the Department of Architecture at the Politecnico in Milan. This leads to a complex scenario of first essays, articles and notes that bear witness to the intellectual research aiming to the construction of a knowledge on the background of the Realism of the 1950s. Rossi develops, in fact, a cultural engagement that leads him after his studies to deal with more general issues about the city. In particular, his important collaboration with the architecture magazine “Casabella-continuità”, with the director Ernesto Nathan Rogers and with the whole redaction staff mark the following period when he starts getting interested in city planning literature, art, sociology, geography, economics and philosophy. Since 1963, Rossi has worked with the group directed by Carlo Aymonino at the “Istituto Universitario di Architettura” (University Institute of Architecture) in Venice, especially researching on building typologies and urban morphology. During these years, Rossi elaborates an analytical synthesis for the formulation of a theory about the city. From the present research, it is evident that the writings preceding The Architecture of the City develop the studies on urban artifacts, which will become theoretical core of different chapters of the book. In conclusion, the genesis of the book is described; written in two years, what was conceived to be an “urban planning manual” became a “treatise draft” for the formulation of an urban science, as Rossi defines it. 3. The third part is titled “The material structure of urban artifacts: the theory of permanence”. This research is made on the study of the city as a material fact, a manufacture, whose construction was made over time, bearing the traces of time. As far as the topic of permanence is concerned, it was also important to draw a comparison with the debate about the issues of environmental pre-existence of re-construction in historical areas, which was very lively during the years of the Reconstruction. Right from the beginning, of fundamental importance were the relationship with Ernesto Nathan Rogers, the discussions on the pages of Casabella-Continuità and the participation to some debates and researches. It is to note that various terms were taken by the philosophical thesis by some personalities such as Antonio Banfi and Enzo Paci, and then re-elaborated by the redaction staff at Casabella-Continuità, which Rossi took part in as well. Through this analysis, it emerged that there were some shifts in meaning and the formulation of a vocabulary of terms within the complex area of the architectonic culture in the 1950s and 1960s. Then, I examined the shapes in which Rossi introduces the definition of the theory of permanence and the references by some authors for the scientific construction of an architecture theory whose aim is being communicable and offering concrete research tools. Such analysis allowed making a hypothesis about the significance for Rossi of the French geographers of the first half of the 20th century: in particular, the work by Marcel Poëte and by Pierre Lavedan is the main source and the research area which Rossi mostly explored to define the theory of permanence and monuments. Therefore, in The Architecture of the City, permanencies are not presented as the “whole”, but they emerge from a method which isolates permanent urban artifacts, in this way allowing making a hypothesis on “what remains” after the continuous transformations made in the city. The sources examined were quoted by Rossi in The Architecture of the City; in particular I analyzed them in the same edition which Rossi referred to. Through such an analysis, it was possible to make a comparison of the texts with one another, which let emerge the use of terms taken by languages belonging to other disciplines in The Architecture of the City and which the use of wholly extrapolated concepts is. Methodological premises As far as the formulation of the notion of urban artifact is concerned, the analysis focuses on the originality of the expression, the connections that are assumed or contained in Rossi’s writings about the city, by collecting direct and indirect sources which formed a significant corpus of writings. The most relevant direct sources were found in the special collections of the Getty Research Institute in Los Angeles, where the “Aldo Rossi Papers” are conserved. This archive contains unpublished material from 1954 to 1988, such as manuscripts, typescripts, notebooks, cyclostyled documents, scraps and notes, and several letters. In the Aldo Rossi Papers there are also 32 out of the 47 Light Blue Notebooks (Quaderni Azzurri), the rough drafts of The Architecture of the City and of the “A Scientific Autobiography”. As regards The Architecture of the City in particular, the Aldo Rossi Papers preserve: a notebook by the title of “Urban planning manual, June, 1963”, which is an explicit first draft of the book; “Notes for urban planning book summer/winter 1963”; a notebook with a red cover dated September 20th, 1964 – August 8th, 1965; and a notebook with a blue cover dated August 30th, 1965 – December 15th, 1965. The possibility of accessing this archive allowed to increase the bibliography related to the youth studies, enabling a revision of the cultural path followed by Rossi’s education. To that end, it was fundamental to re-evaluate some issues linked to the socialist realism which led to a more precise picture of the first writings by Rossi against the background of the intellectual scenario where he formed. In addition to these texts, the collection of university researches, the articles published on specialized reviews and the speeches at debates and seminars were also examined. About The Architecture of the City, a wide-ranging critical literature was collected, related both to the text specifics and to its collocation in the story of architecture, questioning some observations which define The Architecture of the City as a conclusive and definite book. As far as the chapter on the permanence theory is concerned, the analysis started by the texts that Rossi indicated in The Architecture of the City, revealing the different contributions from the French literature on urban planning. This allowed to the present research a more specific definition of the connections to some central writings which, at the same time, were seen by Rossi as an opportunity to start up the elaboration of the idea of type. For this last part, it can be specified that Rossi formulates his idea of type in a cultural context where the interest in this topic was fundamental. Therefore, the sources which played a central role in this final phase emerge from an extensive panorama in which Rossi researched not only with the redaction staff at Casablanca-continuità and within the School of Venice in the 1960s, but also in his studies for the ILSES (Institute of the Region Lombardia for Economics and Social Studies) and for the National Institute of Urban Planning.

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I materiali zirconiferi, in particolare i silicati di zirconio e l’ossido di zirconio, vengono ampiamente utilizzati in diverse applicazioni industriali: fra queste, l’industria delle piastrelle ceramiche e di produzione dei materiali refrattari ne consuma quantitativi consistenti. Misure di spettrometria gamma condotte su diversi campioni di materiale zirconifero (farine di zirconio e sabbie zirconifere) utilizzati nell’industria ceramica per la produzione del gres porcellanato e delle piastrelle smaltate, hanno messo in evidenza valori di concentrazione di attività superiori a quelli presenti mediamente sulla crosta terrestre (35, 30 Bqkg-1 per il 238U e il 232Th, rispettivamente [Unscear, 2000]). L’aggiunta del materiale zirconifero nella preparazione delle piastrelle ceramiche in particolare di quelle smaltate (in una percentuale in peso pari al 10-20%) del gres porcellanato (in una percentuale in peso di 1-10%) e delle lamine di gres porcellanato “sottile” (in una percentuale in peso dell’ordine del 30%), conferisce al prodotto finale un alto grado di bianco, buone caratteristiche meccaniche ed un elevato effetto opacizzante, ma comporta anche un arricchimento in radionuclidi naturali. L’obiettivo principale di questo lavoro di tesi è stato quello di mettere a punto una metodologia (teorica e sperimentale) per valutare l’incremento di esposizione che possono ricevere un lavoratore standard di una industria ceramica ed una persona del pubblico che soggiorna in un ambiente rivestito con piastrelle. Da un lato, la presenza di radioattività nelle sabbie zirconifere, utilizzate come materie prime per la produzione di piastrelle, porta a considerare il problema dell’incremento di esposizione che può subire un lavoratore impiegato in ambiente di lavoro dove sono stoccati e manipolati consistenti quantitativi di materiale, dall’altro il contenuto di radioattività nel prodotto finito porta a considerare l’esposizione per una persona della popolazione che soggiorna in una stanza rivestita con materiale ceramico. Le numerose misure effettuate, unitamente allo sviluppo dei modelli necessari per valutare le dosi di esposizione per le persone del pubblico e dei lavoratori impiegati nel processo di produzione di piastrelle ceramiche, hanno permesso di mettere a punto una procedura che fornisce le garanzie necessarie per dichiarare accettabili le condizioni di lavoro nelle industrie ceramiche e più in generale il rispetto delle norme radioprotezionistiche per gli occupanti di ambienti rivestiti con piastrelle italiane.

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Descrizione, tema e obiettivi della ricerca La ricerca si propone lo studio delle possibili influenze che la teoria di Aldo Rossi ha avuto sulla pratica progettuale nella Penisola Iberica, intende quindi affrontare i caratteri fondamentali della teoria che sta alla base di un metodo progettuale ed in particolar modo porre l'attenzione alle nuove costruzioni quando queste si confrontano con le città storiche. Ha come oggetto principale lo studio dei documenti, saggi e scritti riguardanti il tema della costruzione all'interno delle città storiche. Dallo studio di testi selezionati di Aldo Rossi sulla città si vuole concentrare l'attenzione sull'influenza che tale teoria ha avuto nei progetti della Penisola Iberica, studiare come è stata recepita e trasmessa successivamente, attraverso gli scritti di autori spagnoli e come ha visto un suo concretizzarsi poi nei progetti di nuove costruzioni all'interno delle città storiche. Si intende restringere il campo su un periodo ed un luogo precisi, Spagna e Portogallo a partire dagli anni Settanta, tramite la lettura di un importante evento che ha ufficializzato il contatto dell'architetto italiano con la Penisola Iberica, quale il Seminario di Santiago de Compostela tenutosi nel 1976. Al Seminario parteciparono numerosi architetti che si confrontarono su di un progetto per la città di Santiago e furono invitati personaggi di fama internazionale a tenere lezioni introduttive sul tema di dibattito in merito al progetto e alla città storica. Il Seminario di Santiago si colloca in un periodo storico cruciale per la Penisola Iberica, nel 1974 cade il regime salazarista in Portogallo e nel 1975 cade il regime franchista in Spagna ed è quindi di rilevante importanza capire il legame tra l'architettura e la nuova situazione politica. Dallo studio degli interventi, dei progetti che furono prodotti durante il Seminario, della relazione tra questo evento ed il periodo storico in cui esso va contestualizzato, si intende giungere alla individuazione delle tracce della reale presenza di tale eredità. Presupposti metodologici. Percorso e strumenti di ricerca La ricerca può quindi essere articolata in distinte fasi corrispondenti per lo più ai capitoli in cui si articola la tesi: una prima fase con carattere prevalentemente storica, di ricerca del materiale per poter definire il contesto in cui si sviluppano poi le vicende oggetto della tesi; una seconda fase di impronta teorica, ossia di ricerca bibliografica del materiale e delle testimonianze che provvedono alla definizione della reale presenza di effetti scaturiti dai contatti tra Rossi e la Penisola Iberica, per andare a costruire una eredità ; una terza fase che entra nel merito della composizione attraverso lo studio e la verifica delle prime due parti, tramite l'analisi grafica applicata ad uno specifico esempio architettonico selezionato; una quarta fase dove il punto di vista viene ribaltato e si indaga l'influenza dei luoghi visitati e dei contatti intrattenuti con alcuni personaggi della Penisola Iberica sull'architettura di Rossi, ricercandone i riferimenti. La ricerca è stata condotta attraverso lo studio di alcuni eventi selezionati nel corso degli anni che si sono mostrati significativi per l'indagine, per la risonanza che hanno avuto sulla storia dell'architettura della Penisola. A questo scopo si sono utilizzati principalmente tre strumenti: lo studio dei documenti, le pubblicazioni e le riviste prodotte in Spagna, gli scritti di Aldo Rossi in merito, e la testimonianza diretta attraverso interviste di personaggi chiave. La ricerca ha prodotto un testo suddiviso per capitoli che rispetta l'organizzazione in fasi di lavoro. A seguito di determinate condizioni storiche e politiche, studiate nella ricerca a supporto della tesi espressa, nella Penisola Iberica si è verificato il diffondersi della necessità e del desiderio di guardare e prendere a riferimento l'architettura europea e in particolar modo quella italiana. Il periodo sul quale viene focalizzata l'attenzione ha inizio negli anni Sessanta, gli ultimi prima della caduta delle dittature, scenario dei primi viaggi di Aldo Rossi nella Penisola Iberica. Questi primi contatti pongono le basi per intense e significative relazioni future. Attraverso l'approfondimento e la studio dei materiali relativi all'oggetto della tesi, si è cercato di mettere in luce il contesto culturale, l'attenzione e l'interesse per l'apertura di un dibattito intorno all'architettura, non solo a livello nazionale, ma europeo. Ciò ha evidenziato il desiderio di innescare un meccanismo di discussione e scambio di idee, facendo leva sull'importanza dello sviluppo e ricerca di una base teorica comune che rende coerente i lavori prodotti nel panorama architettonico iberico, seppur ottenendo risultati che si differenziano gli uni dagli altri. E' emerso un forte interesse per il discorso teorico sull'architettura, trasmissibile e comunicabile, che diventa punto di partenza per un metodo progettuale. Ciò ha reso palese una condivisione di intenti e l'assunzione della teoria di Aldo Rossi, acquisita, diffusa e discussa, attraverso la pubblicazione dei suoi saggi, la conoscenza diretta con l'architetto e la sua architettura, conferenze, seminari, come base teorica su cui fondare il proprio sapere architettonico ed il processo metodologico progettuale da applicare di volta in volta negli interventi concreti. Si è giunti così alla definizione di determinati eventi che hanno permesso di entrare nel profondo della questione e di sondare la relazione tra Rossi e la Penisola Iberica, il materiale fornito dallo studio di tali episodi, quali il I SIAC, la diffusione della rivista "2C. Construccion de la Ciudad", la Coleccion Arquitectura y Critica di Gustavo Gili, hanno poi dato impulso per il reperimento di una rete di ulteriori riferimenti. E' stato possibile quindi individuare un gruppo di architetti spagnoli, che si identificano come allievi del maestro Rossi, impegnato per altro in quegli anni nella formazione di una Scuola e di un insegnamento, che non viene recepito tanto nelle forme, piuttosto nei contenuti. I punti su cui si fondano le connessioni tra l'analisi urbana e il progetto architettonico si centrano attorno due temi di base che riprendono la teoria esposta da Rossi nel saggio L'architettura della città : - relazione tra l'area-studio e la città nella sua globalità, - relazione tra la tipologia edificatoria e gli aspetti morfologici. La ricerca presentata ha visto nelle sue successive fasi di approfondimento, come si è detto, lo sviluppo parallelo di più tematiche. Nell'affrontare ciascuna fase è stato necessario, di volta in volta, operare una verifica delle tappe percorse precedentemente, per mantenere costante il filo del discorso col lavoro svolto e ritrovare, durante lo svolgimento stesso della ricerca, gli elementi di connessione tra i diversi episodi analizzati. Tale operazione ha messo in luce talvolta nodi della ricerca rimasti in sospeso che richiedevano un ulteriore approfondimento o talvolta solo una rivisitazione per renderne possibile un più proficuo collegamento con la rete di informazioni accumulate. La ricerca ha percorso strade diverse che corrono parallele, per quanto riguarda il periodo preso in analisi: - i testi sulla storia dell'architettura spagnola e la situazione contestuale agli anni Settanta - il materiale riguardante il I SIAC - le interviste ai partecipanti al I SIAC - le traduzioni di Gustavo Gili nella Coleccion Arquitectura y Critica - la rivista "2C. Construccion de la Ciudad" Esse hanno portato alla luce una notevole quantità di tematiche, attraverso le quali, queste strade vengono ad intrecciarsi e a coincidere, verificando l'una la veridicità dell'altra e rafforzandone il valore delle affermazioni. Esposizione sintetica dei principali contenuti esposti dalla ricerca Andiamo ora a vedere brevemente i contenuti dei singoli capitoli. Nel primo capitolo Anni Settanta. Periodo di transizione per la Penisola Iberica si è cercato di dare un contesto storico agli eventi studiati successivamente, andando ad evidenziare gli elementi chiave che permettono di rintracciare la presenza della predisposizione ad un cambiamento culturale. La fase di passaggio da una condizione di chiusura rispetto alle contaminazioni provenienti dall'esterno, che caratterizza Spagna e Portogallo negli anni Sessanta, lascia il posto ad un graduale abbandono della situazione di isolamento venutasi a creare intorno al Paese a causa del regime dittatoriale, fino a giungere all'apertura e all'interesse nei confronti degli apporti culturali esterni. E' in questo contesto che si gettano le basi per la realizzazione del I Seminario Internazionale di Architettura Contemporanea a Santiago de Compostela, del 1976, diretto da Aldo Rossi e organizzato da César Portela e Salvador Tarragó, di cui tratta il capitolo secondo. Questo è uno degli eventi rintracciati nella storia delle relazioni tra Rossi e la Penisola Iberica, attraverso il quale è stato possibile constatare la presenza di uno scambio culturale e l'importazione in Spagna delle teorie di Aldo Rossi. Organizzato all'indomani della caduta del franchismo, ne conserva una reminescenza formale. Il capitolo è organizzato in tre parti, la prima si occupa della ricostruzione dei momenti salienti del Seminario Proyecto y ciudad historica, dagli interventi di architetti di fama internazionale, quali lo stesso Aldo Rossi, Carlo Aymonino, James Stirling, Oswald Mathias Ungers e molti altri, che si confrontano sul tema delle città storiche, alle giornate seminariali dedicate all’elaborazione di un progetto per cinque aree individuate all’interno di Santiago de Compostela e quindi dell’applicazione alla pratica progettuale dell’inscindibile base teorica esposta. Segue la seconda parte dello stesso capitolo riguardante La selezione di interviste ai partecipanti al Seminario. Esso contiene la raccolta dei colloqui avuti con alcuni dei personaggi che presero parte al Seminario e attraverso le loro parole si è cercato di approfondire la materia, in particolar modo andando ad evidenziare l’ambiente culturale in cui nacque l’idea del Seminario, il ruolo avuto nella diffusione della teoria di Aldo Rossi in Spagna e la ripercussione che ebbe nella pratica costruttiva. Le diverse interviste, seppur rivolte a persone che oggi vivono in contesti distanti e che in seguito a questa esperienza collettiva hanno intrapreso strade diverse, hanno fatto emergere aspetti comuni, tale unanimità ha dato ancor più importanza al valore di testimonianza offerta. L’elemento che risulta più evidente è il lascito teorico, di molto prevalente rispetto a quello progettuale che si è andato mescolando di volta in volta con la tradizione e l’esperienza dei cosiddetti allievi di Aldo Rossi. Negli stessi anni comincia a farsi strada l’importanza del confronto e del dibattito circa i temi architettonici e nel capitolo La fortuna critica della teoria di Aldo Rossi nella Penisola Iberica è stato affrontato proprio questo rinnovato interesse per la teoria che in quegli anni si stava diffondendo. Si è portato avanti lo studio delle pubblicazioni di Gustavo Gili nella Coleccion Arquitectura y Critica che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, pubblica e traduce in lingua spagnola i più importanti saggi di architettura, tra i quali La arquitectura de la ciudad di Aldo Rossi, nel 1971, e Comlejidad y contradiccion en arquitectura di Robert Venturi nel 1972. Entrambi fondamentali per il modo di affrontare determinate tematiche di cui sempre più in quegli anni si stava interessando la cultura architettonica iberica, diventando così ¬ testi di riferimento anche nelle scuole. Le tracce dell’influenza di Rossi sulla Penisola Iberica si sono poi ricercate nella rivista “2C. Construccion de la Ciudad” individuata come strumento di espressione di una teoria condivisa. Con la nascita nel 1972 a Barcellona di questa rivista viene portato avanti l’impegno di promuovere la Tendenza, facendo riferimento all’opera e alle idee di Rossi ed altri architetti europei, mirando inoltre al recupero di un ruolo privilegiato dell’architettura catalana. A questo proposito sono emersi due fondamentali aspetti che hanno legittimato l’indagine e lo studio di questa fonte: - la diffusione della cultura architettonica, il controllo ideologico e di informazione operato dal lavoro compiuto dalla rivista; - la documentazione circa i criteri di scelta della redazione a proposito del materiale pubblicato. E’ infatti attraverso le pubblicazioni di “2C. Construccion de la Ciudad” che è stato possibile il ritrovamento delle notizie sulla mostra Arquitectura y razionalismo. Aldo Rossi + 21 arquitectos españoles, che accomuna in un’unica esposizione le opere del maestro e di ventuno giovani allievi che hanno recepito e condiviso la teoria espressa ne “L’architettura della città”. Tale mostra viene poi riproposta nella Sezione Internazionale di Architettura della XV Triennale di Milano, la quale dedica un Padiglione col titolo Barcelona, tres epocas tres propuestas. Dalla disamina dei progetti presentati è emerso un interessante caso di confronto tra le Viviendas para gitanos di César Portela e la Casa Bay di Borgo Ticino di Aldo Rossi, di cui si è occupato l’ultimo paragrafo di questo capitolo. Nel corso degli studi è poi emerso un interessante risvolto della ricerca che, capovolgendone l’oggetto stesso, ne ha approfondito gli aspetti cercando di scavare più in profondità nell’analisi della reciproca influenza tra la cultura iberica e Aldo Rossi, questa parte, sviscerata nell’ultimo capitolo, La Penisola Iberica nel “magazzino della memoria” di Aldo Rossi, ha preso il posto di quello che inizialmente doveva presentarsi come il risvolto progettuale della tesi. Era previsto infatti, al termine dello studio dell’influenza di Aldo Rossi sulla Penisola Iberica, un capitolo che concentrava l’attenzione sulla produzione progettuale. A seguito dell’emergere di un’influenza di carattere prettamente teorica, che ha sicuramente modificato la pratica dal punto di vista delle scelte architettoniche, senza però rendersi esplicita dal punto di vista formale, si è preferito, anche per la difficoltà di individuare un solo esempio rappresentativo di quanto espresso, sostituire quest’ultima parte con lo studio dell’altra faccia della medaglia, ossia l’importanza che a sua volta ha avuto la cultura iberica nella formazione della collezione dei riferimenti di Aldo Rossi. L’articolarsi della tesi in fasi distinte, strettamente connesse tra loro da un filo conduttore, ha reso necessari successivi aggiustamenti nel percorso intrapreso, dettati dall’emergere durante la ricerca di nuovi elementi di indagine. Si è pertanto resa esplicita la ricercata eredità di Aldo Rossi, configurandosi però prevalentemente come un’influenza teorica che ha preso le sfumature del contesto e dell’esperienza personale di chi se ne è fatto ricevente, diventandone così un continuatore attraverso il proprio percorso autonomo o collettivo intrapreso in seguito. Come suggerisce José Charters Monteiro, l’eredità di Rossi può essere letta attraverso tre aspetti su cui si basa la sua lezione: la biografia, la teoria dell’architettura, l’opera. In particolar modo per quanto riguarda la Penisola Iberica si può parlare dell’individuazione di un insegnamento riferito alla seconda categoria, i suoi libri di testo, le sue partecipazioni, le traduzioni. Questo è un lascito che rende possibile la continuazione di un dibattito in merito ai temi della teoria dell’architettura, della sue finalità e delle concrete applicazioni nelle opere, che ha permesso il verificarsi di una apertura mentale che mette in relazione l’architettura con altre discipline umanistiche e scientifiche, dalla politica, alla sociologia, comprendendo l’arte, le città la morfologia, la topografia, mediate e messe in relazione proprio attraverso l’architettura.

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Le celle a combustibile ad ossido solido (SOFC) sono dei sistemi elettrochimici in grado di trasformare direttamente l’energia chimica di un combustibile (generalmente H2) e di un comburente (O2) in energia elettrica, senza l’intervento intermedio di un ciclo termico. Le SOFCs rappresentano un sistema energetico pulito, efficiente e sicuro, tuttavia questa tecnologia presenta costi di produzione ancora elevati e necessita di un maggiore sviluppo. L’argomento della presente tesi si colloca nell’ambito dello studio e realizzazione di materiali per l’elettrolita di SOFCs ed il contributo scientifico che si propone di fornire trova spazio nella necessità di migliorare la sinterizzazione di tali materiali e nell’ottimizzazione dei processi di formatura per produzioni facilmente scalabili a livello industriale con costo contenuto ed ecocompatibili. L’approccio di ricerca adottato è stato quello di approfondire le conoscenze relative ad un ossido di cerio drogato con gadolinio (GDC), scelto come elettrolita, cercando di comprendere su quali parametri intervenire per promuovere la densificazione ed ottimizzare il seguente processo di formatura. La ricerca si è articolata nei seguenti punti: a) Studio del processo di sinterizzazione in relazione alle caratteristiche morfologiche delle polveri di GDC pura ed esaminando l’influenza dell’ossido di rame, aggiunto come drogante, sul comportamento in sinterizzazione e microstruttura finale. I risultati indicano che il processo di sinterizzazione è enormemente influenzato dalla presenza del CuO, dalla sua morfologia e dalla procedura usata per il drogaggio b) Realizzazione di un inchiostro serigrafico a base di GDC in matrice acquosa da depositare su anodi in verde. La serigrafia rappresenta un’importante tecnica di formatura, facilmente adattabile ad una produzione industriale, con cui è possibile ottenere film di GDC densi. L’ottimizzazione dei processi in matrice acquosa porta un enorme contributo per la diminuzione dei costi di produzione e per la realizzazione di un processo maggiormente ecocompatibile. Questo obiettivo è stato raggiunto con la corretta scelta e caratterizzazione di tutti gli additivi di formatura c) Assemblaggio della semicella SOFC anodo supportante e relativo trattamento in co-firing. La messa a punto di un idoneo ciclo di burn out degli organici ha contribuito a preservare l’integrità ed omogeneità dei film depositati che dopo sinterizzazione risultano perfettamente densi e privi di cricche.

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Porous materials are widely used in many fields of industrial applications, to achieve the requirements of noise reduction, that nowadays derive from strict regulations. The modeling of porous materials is still a problematic issue. Numerical simulations are often problematic in case of real complex geometries, especially in terms of computational times and convergence. At the same time, analytical models, even if partly limited by restrictive simplificative hypotheses, represent a powerful instrument to capture quickly the physics of the problem and general trends. In this context, a recently developed numerical method, called the Cell Method, is described, is presented in the case of the Biot's theory and applied for representative cases. The peculiarity of the Cell Method is that it allows for a direct algebraic and geometrical discretization of the field equations, without any reduction to a weak integral form. Then, the second part of the thesis presents the case of interaction between two poroelastic materials under the context of double porosity. The idea of using periodically repeated inclusions of a second porous material into a layer composed by an original material is described. In particular, the problem is addressed considering the efficiency of the analytical method. A analytical procedure for the simulation of heterogeneous layers based is described and validated considering both conditions of absorption and transmission; a comparison with the available numerical methods is performed. ---------------- I materiali porosi sono ampiamente utilizzati per diverse applicazioni industriali, al fine di raggiungere gli obiettivi di riduzione del rumore, che sono resi impegnativi da norme al giorno d'oggi sempre più stringenti. La modellazione dei materiali porori per applicazioni vibro-acustiche rapprensenta un aspetto di una certa complessità. Le simulazioni numeriche sono spesso problematiche quando siano coinvolte geometrie di pezzi reali, in particolare riguardo i tempi computazionali e la convergenza. Allo stesso tempo, i modelli analitici, anche se parzialmente limitati a causa di ipotesi semplificative che ne restringono l'ambito di utilizzo, rappresentano uno strumento molto utile per comprendere rapidamente la fisica del problema e individuare tendenze generali. In questo contesto, un metodo numerico recentemente sviluppato, il Metodo delle Celle, viene descritto, implementato nel caso della teoria di Biot per la poroelasticità e applicato a casi rappresentativi. La peculiarità del Metodo delle Celle consiste nella discretizzazione diretta algebrica e geometrica delle equazioni di campo, senza alcuna riduzione a forme integrali deboli. Successivamente, nella seconda parte della tesi viene presentato il caso delle interazioni tra due materiali poroelastici a contatto, nel contesto dei materiali a doppia porosità. Viene descritta l'idea di utilizzare inclusioni periodicamente ripetute di un secondo materiale poroso all'interno di un layer a sua volta poroso. In particolare, il problema è studiando il metodo analitico e la sua efficienza. Una procedura analitica per il calcolo di strati eterogenei di materiale viene descritta e validata considerando sia condizioni di assorbimento, sia di trasmissione; viene effettuata una comparazione con i metodi numerici a disposizione.

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La tesi affronta le problematiche relative ai nuovi scenari educativi nella cosiddetta Società della Conoscenza e alle sfide che essa richiede alla didattica nei nuovi “ambienti” formativi. Partendo dall’analisi della definizione della stessa come Società della Conoscenza si cerca di darne una lettura che ne metta in luce gli elementi principali che la caratterizzano aprendo alla riflessione sullo sguardo che essa dà al suo futuro e agli scenari verso i quali si orientano le sue sfide cognitive ed educative. In tale analisi non può mancare una riflessione sul legame tra la società contemporanea e le cosiddette nuove tecnologie (ICT: Information and Comunication Technologies). Le ICT, infatti, in misura sempre maggiore, hanno invaso la società e influenzato l’evoluzione della stessa assumendo un ruolo significativo nella vita quotidiana e nell’affermarsi della società della conoscenza. Il percorso di ricerca prende il via da questi interrogativi per ampliare la riflessione sulle nuove frontiere dell’educazione nella società della conoscenza. Quest’ultima, infatti, così come si caratterizza e come si evolve, identificando la sua priorità non solo nella diffusione dell’informazione, ma anche e soprattutto nella “costruzione” di conoscenza, impone un nuovo modo di pensare e approcciarsi all’educazione e alla formazione. Il longlife learning diventa l’elemento centrale ma non va inteso solo come possibilità date all’individuo adulto di riprendere percorsi formativi lasciati o intraprenderne di nuovi. Quello che cambia è la finalità stessa della formazione: è il concetto dell’apprendimento come potenzialità individuale (empowerment). Non basta avere accesso e acquisire un numero sempre maggiore di informazioni ma occorre sviluppare la capacità di acquisire strategicamente le informazioni per essere capaci di affrontare i continui cambiamenti e costruire nuove forme di sapere condiviso. Sul piano operativo le ICT permettono numerose nuove possibilità per la formazione, sia come strumenti a supporto della didattica, sia come mezzi di trasmissione delle informazioni e costruzione di conoscenza. L’e-learning si afferma con una sua impostazione e una sua metodologia, nonché con i suoi “oggetti” e i suoi “ambienti”. Nella tesi vengono illustrate le principali problematiche da considerare per la costruzione di percorsi formativi in rete (strumenti, contenuti, ruoli, comunicazione, valutazione) per presentare, infine, i materiali prodotti dall’autrice per l’erogazione on line di moduli didattici in due Unità Formative.

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Il tennis è uno sport molto diffuso che negli ultimi trent’anni ha subito molti cambiamenti. Con l’avvento di nuovi materiali più leggeri e maneggevoli la velocità della palla è aumentata notevolmente, rendendo così necessario una modifica a livello tecnico dei colpi fondamentali. Dalla ricerca bibliografica sono emerse interessanti indicazioni su angoli e posizioni corporee ideali da mantenere durante le varie fasi dei colpi, confrontando i giocatori di altissimo livello. Non vi sono invece indicazioni per i maestri di tennis su quali siano i parametri più importanti da allenare a seconda del livello di gioco del proprio atleta. Lo scopo di questa tesi è quello di individuare quali siano le variabili tecniche che influenzano i colpi del diritto e del servizio confrontando atleti di genere differente, giocatori di livello di gioco diverso (esperti, intermedi, principianti) e dopo un anno di attività programmata. Confrontando giocatori adulti di genere diverso, è emerso che le principali differenze sono legate alle variabili di prestazione (velocità della palla e della racchetta) per entrambi i colpi. Questi dati sono simili a quelli riscontrati nel test del lancio della palla, un gesto non influenzato dalla tecnica del colpo. Le differenze tecniche di genere sono poco rilevanti ed attribuibili alla diversa interpretazione dei soggetti. Nel confronto di atleti di vario livello di gioco le variabili di prestazione presentano evidenti differenze, che possono essere messe in relazione con alcune differenze tecniche rilevate nei gesti specifici. Nel servizio i principianti tendono a direzionare l’arto superiore dominante verso la zona bersaglio, abducendo maggiormente la spalla ed avendo il centro della racchetta più a destra rispetto al polso. Inoltre, effettuano un caricamento minore degli arti inferiori, del tronco e del gomito. Per quanto riguarda il diritto si possono evidenziare queste differenze: l’arto superiore è sempre maggiormente esteso per il gruppo dei principianti; il tronco, nei giocatori più abili viene utilizzato in maniera più marcata, durante la fase di caricamento, in movimenti di torsione e di inclinazione laterale. Gli altri due gruppi hanno maggior difficoltà nell’eseguire queste azioni preparatorie, in particolare gli atleti principianti. Dopo un anno di attività programmata sono stati evidenziati miglioramenti prestativi. Anche dal punto di vista tecnico sono state notate delle differenze che possono spiegare il miglioramento della performance nei colpi. Nel servizio l’arto superiore si estende maggiormente per colpire la palla più in alto possibile. Nel diritto sono da sottolineare soprattutto i miglioramenti dei movimenti del tronco in torsione ed in inclinazione laterale. Quindi l’atleta si avvicina progressivamente ad un’esecuzione tecnica corretta. In conclusione, dal punto di vista tecnico non sono state rilevate grosse differenze tra i due generi che possano spiegare le differenze di performance. Perciò questa è legata più ad un fattore di forza che dovrà essere allenata con un programma specifico. Nel confronto fra i vari livelli di gioco e gli effetti di un anno di pratica si possono individuare variabili tecniche che mostrano differenze significative tra i gruppi sperimentali. Gli evoluti utilizzano tutto il corpo per effettuare dei colpi più potenti, utilizzando in maniera tecnicamente più valida gli arti inferiori, il tronco e l’arto superiore. I principianti utilizzano prevalentemente l’arto superiore con contributi meno evidenti degli altri segmenti. Dopo un anno di attività i soggetti esaminati hanno dimostrato di saper utilizzare meglio il tronco e l’arto superiore e ciò può spiegare il miglioramento della performance. Si può ipotizzare che, per il corretto utilizzo degli arti inferiori, sia necessario un tempo più lungo di apprendimento oppure un allenamento più specifico.