288 resultados para utilizzo dei sensori multispettrali nel monitoraggio degli incendi, sensore ASTER, telerilevamento


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I materiali zirconiferi, in particolare i silicati di zirconio e l’ossido di zirconio, vengono ampiamente utilizzati in diverse applicazioni industriali: fra queste, l’industria delle piastrelle ceramiche e di produzione dei materiali refrattari ne consuma quantitativi consistenti. Misure di spettrometria gamma condotte su diversi campioni di materiale zirconifero (farine di zirconio e sabbie zirconifere) utilizzati nell’industria ceramica per la produzione del gres porcellanato e delle piastrelle smaltate, hanno messo in evidenza valori di concentrazione di attività superiori a quelli presenti mediamente sulla crosta terrestre (35, 30 Bqkg-1 per il 238U e il 232Th, rispettivamente [Unscear, 2000]). L’aggiunta del materiale zirconifero nella preparazione delle piastrelle ceramiche in particolare di quelle smaltate (in una percentuale in peso pari al 10-20%) del gres porcellanato (in una percentuale in peso di 1-10%) e delle lamine di gres porcellanato “sottile” (in una percentuale in peso dell’ordine del 30%), conferisce al prodotto finale un alto grado di bianco, buone caratteristiche meccaniche ed un elevato effetto opacizzante, ma comporta anche un arricchimento in radionuclidi naturali. L’obiettivo principale di questo lavoro di tesi è stato quello di mettere a punto una metodologia (teorica e sperimentale) per valutare l’incremento di esposizione che possono ricevere un lavoratore standard di una industria ceramica ed una persona del pubblico che soggiorna in un ambiente rivestito con piastrelle. Da un lato, la presenza di radioattività nelle sabbie zirconifere, utilizzate come materie prime per la produzione di piastrelle, porta a considerare il problema dell’incremento di esposizione che può subire un lavoratore impiegato in ambiente di lavoro dove sono stoccati e manipolati consistenti quantitativi di materiale, dall’altro il contenuto di radioattività nel prodotto finito porta a considerare l’esposizione per una persona della popolazione che soggiorna in una stanza rivestita con materiale ceramico. Le numerose misure effettuate, unitamente allo sviluppo dei modelli necessari per valutare le dosi di esposizione per le persone del pubblico e dei lavoratori impiegati nel processo di produzione di piastrelle ceramiche, hanno permesso di mettere a punto una procedura che fornisce le garanzie necessarie per dichiarare accettabili le condizioni di lavoro nelle industrie ceramiche e più in generale il rispetto delle norme radioprotezionistiche per gli occupanti di ambienti rivestiti con piastrelle italiane.

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La trattazione inizia con l’analisi del concetto di “servizio” per focalizzarsi quindi sulla categoria dei “servizi pubblici”, nell’evoluzione dell’interpretazione dottrinale, fra concezione soggettiva e oggettiva, e sulle tipologie di servizio, con specifico riguardo a quelli aventi rilevanza nazionale. L’esposizione si suddivide dunque in due sezioni, rispettando la ripartizione del titolo. La prima parte è dedicata all’esame dei “ruoli”, ovvero delle parti coinvolte, a diverso titolo, in un rapporto di pubblico servizio: il “ruolo contrattuale”, rispetto al quale è stata esaminata la posizione dell’erogatore del servizio, da un lato, e dell’utente, dall’altro lato; il “ruolo di controllo”, esercitato dalle autorità amministrative indipendenti (Authorities); infine il “ruolo giurisdizionale”, dedicato alla complessa questione del riparto di giurisdizione in materia di servizi pubblici, fra giudice ordinario e giudice amministrativo, alla luce della nota sentenza della Corte Costituzionale, n. 204/2004. La seconda parte della tesi riguarda, invece, l’analisi dei “modelli contrattuali”, ovvero delle tipologie di contratto che vengono in rilievo in materia di servizi pubblici, astrattamente ascrivibili a tre distinti “gradi”. Il primo grado è rappresentato dal “contratto di servizio”, stipulato fra l’autorità pubblica che affida in gestione il servizio ed il soggetto, pubblico o privato, che se ne fa carico; l’affidamento può avere forma “diretta”, cioè prescindere da una procedura di gara (ipotesi della cd. “gestione diretta in economia” o del cd. “affidamento in house providing”) o “indiretta” (nel qual caso trova applicazione la normativa sugli appalti pubblici e le concessioni). Al secondo grado vi è il “codice di rete”, figura contrattuale che presuppone un la presenza di un servizio “a rete”. Il servizio a rete implica la presenza di una struttura o infrastruttura, concreta o astratta, ed una relazione reciproca fra gli elementi della stessa che convergono in vista della realizzazione di uno scopo e coinvolge tradizionalmente i servizi rispetto ai quali sussiste una situazione di monopolio naturale (trasporti, energia elettrica, gas, telecomunicazioni), caratterizzati dall’inopportunità pratica ed economica di creare una nuova rete. Di conseguenza, la possibilità di erogare il servizio, per gli operatori non titolari della rete, è rimessa alla stipulazione di un contratto (cd. “codice di rete) con il titolare della stessa, avente per oggetto la regolazione dello sfruttamento della rete, dietro pagamento di un corrispettivo economico. Il terzo grado è rappresentato dal “contratto di utenza”, le cui parti sono erogatore del servizio ed utente e la cui analisi è stata necessariamente preceduta dall’analisi del “rapporto di utenza”: quest’ultimo ha subito infatti una radicale trasformazione, nel corso degli ultimi decenni, soprattutto in seguito ai processi di liberalizzazione e privatizzazione che hanno coinvolto il settore de quo e condotto alla ricerca di nuovi strumenti di tutela dell’interesse generale, sotteso ad ogni pubblico servizio, contribuendo a conferire nuovo e preponderante interesse per l’utente, anche attraverso l’introduzione e l’applicazione di normative specifiche (in primis, quella in tema di clausole vessatorie e quella relativa alle azioni a tutela del consumatore-utente, oggi confluite nel codice del consumo). Per l’esame di ciascun argomento si è fatto costante riferimento alla normativa ed agli orientamenti comunitari; inoltre, si è scelto di prendere in considerazione, dopo l’esame generale delle principali tematiche sopramenzionate, il caso specifico del servizio radiotelevisivo.

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Il problema della sicurezza/insicurezza delle città, dalle grandi metropoli sino ai più piccoli centri urbani, ha sollecitato negli ultimi anni un’attenzione crescente da parte degli studiosi, degli analisti, degli organi di informazione, delle singole comunità. La delinquenza metropolitana viene oggi diffusamente considerata «un aspetto usuale della società moderna»: «un fatto – o meglio un insieme di fatti – che non richiede nessuna speciale motivazione o predisposizione, nessuna patologia o anormalità, e che è iscritto nella routine della vita economica e sociale». Svincolata dagli schemi positivistici, la dottrina criminologica ha maturato una nuova «cultura del controllo sociale» che ha messo in risalto, rispetto ad ogni visione enfatizzante del reo, l’esigenza di pianificare adeguate politiche e pratiche di prevenzione della devianza urbana attraverso «tutto l’insieme di istituzioni sociali, di strategie e di sanzioni, che mirano a ottenere la conformità di comportamento nella sfera normativa penalmente tutelata». Tale obiettivo viene generalmente perseguito dagli organismi istituzionali, locali e centrali, con diverse modalità annoverabili nel quadro degli interventi di: prevenzione sociale in cui si includono iniziative volte ad arginare la valenza dei fattori criminogeni, incidendo sulle circostanze sociali ed economiche che determinano l’insorgenza e la proliferazione delle condotte delittuose negli ambienti urbani; prevenzione giovanile con cui si tende a migliorare le capacità cognitive e relazionali del minore, in maniera tale da controllare un suo eventuale comportamento aggressivo, e ad insegnare a genitori e docenti come gestire, senza traumi ed ulteriori motivi di tensione, eventuali situazioni di crisi e di conflittualità interpersonale ed interfamiliare che coinvolgano adolescenti; prevenzione situazionale con cui si mira a disincentivare la propensione al delitto, aumentando le difficoltà pratiche ed il rischio di essere scoperti e sanzionati che – ovviamente – viene ponderato dal reo. Nella loro quotidianità, le “politiche di controllo sociale” si sono tuttavia espresse in diversi contesti – ed anche nel nostro Paese - in maniera a tratti assai discutibile e, comunque, con risultati non sempre apprezzabili quando non - addirittura – controproducenti. La violenta repressione dei soggetti ritenuti “devianti” (zero tolerance policy), l’ulteriore ghettizzazione di individui di per sé già emarginati dal contesto sociale, l’edificazione di interi quartieri fortificati, chiusi anche simbolicamente dal resto della comunità urbana, si sono rivelate, più che misure efficaci nel contrasto alla criminalità, come dei «cortocircuiti semplificatori in rapporto alla complessità dell’insieme dei problemi posti dall’insicurezza». L’apologia della paura è venuta così a riflettersi, anche fisicamente, nelle forme architettoniche delle nuove città fortificate ed ipersorvegliate; in quelle gated-communities in cui l’individuo non esita a sacrificare una componente essenziale della propria libertà, della propria privacy, delle proprie possibilità di contatto diretto con l’altro da sé, sull’altare di un sistema di controllo che malcela, a sua volta, implacabili contraddizioni. Nei pressanti interrogativi circa la percezione, la diffusione e la padronanza del rischio nella società contemporanea - glocale, postmoderna, tardomoderna, surmoderna o della “seconda modernità”, a seconda del punto di vista al quale si aderisce – va colto l’eco delle diverse concezioni della sicurezza urbana, intesa sia in senso oggettivo, quale «situazione che, in modo obiettivo e verificabile, non comporta l’esposizione a fattori di rischio», che in senso soggettivo, quale «risultante psicologica di un complesso insieme di fattori, tra cui anche indicatori oggettivi di sicurezza ma soprattutto modelli culturali, stili di vita, caratteristiche di personalità, pregiudizi, e così via». Le amministrazioni locali sono direttamente chiamate a garantire questo bisogno primario di sicurezza che promana dagli individui, assumendo un ruolo di primo piano nell’adozione di innovative politiche per la sicurezza urbana che siano fra loro complementari, funzionalmente differenziate, integrali (in quanto parte della politica di protezione integrale di tutti i diritti), integrate (perché rivolte a soggetti e responsabilità diverse), sussidiarie (perché non valgono a sostituire i meccanismi spontanei di prevenzione e controllo della devianza che si sviluppano nella società), partecipative e multidimensionali (perché attuate con il concorso di organismi comunali, regionali, provinciali, nazionali e sovranazionali). Questa nuova assunzione di responsabilità da parte delle Amministrazioni di prossimità contribuisce a sancire il passaggio epocale «da una tradizionale attività di governo a una di governance» che deriva «da un’azione integrata di una molteplicità di soggetti e si esercita tanto secondo procedure precostituite, quanto per una libera scelta di dar vita a una coalizione che vada a vantaggio di ciascuno degli attori e della società urbana nel suo complesso». All’analisi dei diversi sistemi di governance della sicurezza urbana che hanno trovato applicazione e sperimentazione in Italia, negli ultimi anni, e in particolare negli ambienti territoriali e comunitari di Roma e del Lazio che appaiono, per molti versi, esemplificativi della complessa realtà metropolitana del nostro tempo, è dedicata questa ricerca. Risulterà immediatamente chiaro come il paradigma teorico entro il quale si dipana il percorso di questo studio sia riconducibile agli orientamenti della psicologia topologica di Kurt Lewin, introdotti nella letteratura sociocriminologica dall’opera di Augusto Balloni. Il provvidenziale crollo di antichi steccati di divisione, l’avvento di internet e, quindi, la deflagrante estensione delle frontiere degli «ambienti psicologici» in cui è destinata a svilupparsi, nel bene ma anche nel male, la personalità umana non hanno scalfito, a nostro sommesso avviso, l’attualità e la validità della «teoria del campo» lewiniana per cui il comportamento degli individui (C) appare anche a noi, oggi, condizionato dalla stretta interrelazione che sussiste fra le proprie connotazioni soggettive (P) e il proprio ambiente di riferimento (A), all’interno di un particolare «spazio di vita». Su queste basi, il nostro itinerario concettuale prende avvio dall’analisi dell’ambiente urbano, quale componente essenziale del più ampio «ambiente psicologico» e quale cornice straordinariamente ricca di elementi di “con-formazione” dei comportamenti sociali, per poi soffermarsi sulla disamina delle pulsioni e dei sentimenti soggettivi che agitano le persone nei controversi spazi di vita del nostro tempo. Particolare attenzione viene inoltre riservata all’approfondimento, a tratti anche critico, della normativa vigente in materia di «sicurezza urbana», nella ferma convinzione che proprio nel diritto – ed in special modo nell’ordinamento penale – vada colto il riflesso e la misura del grado di civiltà ma anche delle tensioni e delle contraddizioni sociali che tormentano la nostra epoca. Notevoli spunti ed un contributo essenziale per l’elaborazione della parte di ricerca empirica sono derivati dall’intensa attività di analisi sociale espletata (in collaborazione con l’ANCI) nell’ambito dell’Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio, un organismo di supporto della Presidenza della Giunta Regionale del Lazio al quale compete, ai sensi dell’art. 8 della legge regionale n. 15 del 2001, la funzione specifica di provvedere al monitoraggio costante dei fenomeni criminali nel Lazio.

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Il lavoro presentato si propone di fornire un contributo all'implementazione di indagini finalizzate a misurare l'evoluzione delle intenzioni d'acquisto del consumatore italiano nei confronti degli OGM, data anche l'impossibilità  al momento di avere indicazioni e dati sul comportamento (vista la quasi totale assenza dei prodotti OGM nella distribuzione, se si eccettuano i prodotti d'allevamento di animali alimentati con OGM per cui non è previsto nessun obbligo di etichettatura). Le coltivazioni transgeniche (Organismi Geneticamente Modificati) si stanno diffondendo abbastanza rapidamente nel contesto mondiale, dal 1996, primo anno in cui sono uscite dalla fase sperimentale, ad oggi. Nel 2008 la superficie globale delle colture biotech è stata di 125 milioni di ettari, circa il 9% in più rispetto ai 114 milioni del 2007, mentre il numero dei Paesi che hanno adottato varietà  GM è giunto a 25. Di questi sono soprattutto Usa, Canada, Argentina, Brasile, Cina e India a trainare la crescita; le colture più diffuse sono soia, mais, cotone e colza, prodotti destinati principalmente al segmento feed e al segmento no-food e solo in minima parte al segmento food (cioè all'alimentazione diretta umana). Molte più resistenze ha incontrato tale sviluppo nei Paesi dell'Unione europea. A tutt'oggi le coltivazioni GM hanno raggiunto estensioni significative solamente in Spagna, con alcune decine di migliaia di ettari di mais GM. Mais che peraltro è l'unica produzione per cui è stata autorizzata una varietà  GM alla coltivazione. Si intuisce in sostanza come in Europa si sia assunto un atteggiamento molto più prudente verso l'utilizzo su larga scala di tale innovazione scientifica, rispetto a quanto accaduto nei grandi Paesi citati in precedenza. Una prudenza dettata dal serrato dibattito, tuttora in corso, tra possibilisti e contrari, con contrapposizioni anche radicali, al limite dell'ideologia. D'altro canto, le indagini di Eurobarometro hanno messo in luce un miglioramento negli ultimi anni nella percezione dei cittadini europei verso le biotecnologie: dopo aver raggiunto un livello minimo di fiducia nel 1999, si è manifestata una lenta risalita verso i livelli di inizio anni '90, con percentuali di "fiduciosi" intorno al 55-60% sul totale della popolazione. Tuttavia, sebbene sulle biotecnologie in genere (l'Eurobarometro individua quattro filoni: alimenti contenenti OGM, terapie geniche, nanotecnologie e farmaci contenenti OGM), il giudizio sia abbastanza positivo, sugli alimenti permane un certo scetticismo legato soprattutto a considerazioni di inutilità  della tecnologia, di rischio percepito e di accettabilità morale: per citare il caso italiano, che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, è tra i più elevati nel contesto europeo, solamente un cittadino su tre valuta positivamente gli alimenti contenenti OGM. Se si analizza, inoltre, il sentiment del settore agricolo, nel quale il tema riveste anche un'importanza di natura economico-produttiva, in quanto incidente sui comportamenti e sulla strategie aziendali, sembra emergere un'apertura significativamente più elevata, se non una vera e propria frattura rispetto all'opinione pubblica. Infatti, circa due maiscoltori lombardi su tre (Demoskopea, 2008), cioè la tipologia di agricoltori che potrebbe beneficiare di tale innovazione, coltiverebbero mais GM se la normativa lo consentisse. Ebbene, in tale contesto diventa d'estremo interesse, sebbene di non facile praticabilità , lo studio e l'implementazione di modelli volti a monitorare le componenti che concorrono a formare l'intenzione e, in ultima analisi, il comportamento, dei consumatori verso gli OGM. Un esercizio da attuare per lo più tramite una serie di misurazioni indirette che devono fermarsi necessariamente all'intenzione nel caso italiano, mentre in altri Paesi che hanno avuto legislazioni più favorevoli all'introduzione degli OGM stessi nella produzione food può perseguire approcci d'analisi field, focalizzati non solo sull'intenzione, ma anche sul legame tra intenzione ed effettivo comportamento. Esiste una vasta letteratura che studia l'intenzione del consumatore verso l'acquisto di determinati beni. Uno degli approcci teorici che negli ultimi anni ha avuto più seguito è stato quello della Teoria del Comportamento Pianificato (Ajzen, 1991). Tale teoria prevede che l'atteggiamento (cioè l'insieme delle convinzioni, credenze, opinioni del soggetto), la norma soggettiva (cioè l'influenza dell'opinione delle persone importanti per l'individuo) e il controllo comportamentale percepito (ovvero la capacità , auto-percepita dal soggetto, di riuscire a compiere un determinato comportamento, in presenza di un'intenzione di ugual segno) siano variabili sufficienti a spiegare l'intenzione del consumatore. Tuttavia, vari ricercatori hanno e stanno cercando di verificare la correlazione di altre variabili: per esempio la norma morale, l'esperienza, l'attitudine al rischio, le caratteristiche socio-demografiche, la cosiddetta self-identity, la conoscenza razionale, la fiducia nelle fonti d'informazione e via discorrendo. In tale lavoro si è cercato, quindi, di esplorare, in un'indagine "pilota" quali-quantitativa su un campione ragionato e non probabilistico, l'influenza sull'intenzione d'acquisto di prodotti alimentari contenenti OGM delle variabili tipiche della Teoria del Comportamento Pianificato e di alcune altre variabili, che, nel caso degli OGM, appaiono particolarmente rilevanti, cioè conoscenza, fiducia nelle fonti d'informazione ed elementi socio-demografici. Tra i principali risultati da porre come indicazioni di lavoro per successive analisi su campioni rappresentativi sono emersi: - La conoscenza, soprattutto se tecnica, sembra un fattore, relativamente al campione ragionato analizzato, che conduce ad una maggiore accettazione degli OGM; le stesse statistiche descrittive mettono in luce una netta differenza in termini di intenzione d'acquisto dei prodotti contenenti OGM da parte del sub-campione più preparato sull'argomento; - L'esplorazione della fiducia nelle fonti d'informazione è sicuramente da approfondire ulteriormente. Dall'indagine effettuata risulta come l'unica fonte che influenza con le sue informazioni la decisione d'acquisto sugli OGM è la filiera agroalimentare. Dato che tali attori si caratterizzano per lo più con indicazioni contrarie all'introduzione degli OGM nei loro processi produttivi, è chiaro che se il consumatore dichiara di avere fiducia in loro, sarà  anche portato a non acquistare gli OGM; - Per quanto riguarda le variabili della Teoria del Comportamento Pianificato, l'atteggiamento mette in luce una netta preponderanza nella spiegazione dell'intenzione rispetto alla norma soggettiva e al controllo comportamentale percepito. Al contrario, queste ultime appaiono variabili deboli, forse perchè a tutt'oggi la possibilità  concreta di acquistare OGM è praticamente ridotta a zero ; - Tra le variabili socio-demografiche, l'influenza positiva del titolo di studio sulla decisione d'acquisto sembra confermare almeno in parte quanto emerso rispetto alla variabile "conoscenza"; - Infine, il fatto che il livello di reddito non influisca sull'intenzione d'acquisto appare abbastanza scontato, se si pensa, ancora una volta, come a tutt'oggi gli OGM non siano presenti sugli scaffali. Il consumatore non ha al momento nessuna idea sul loro prezzo. Decisamente interessante sarà  indagare l'incidenza di tale variabile quando il "fattore OGM" sarà  prezzato, presumibilmente al ribasso rispetto ai prodotti non OGM.

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Benessere delle popolazioni, gestione sostenibile delle risorse, povertà e degrado ambientale sono dei concetti fortemente connessi in un mondo in cui il 20% della popolazione mondiale consuma più del 75% delle risorse naturali. Sin dal 1992 al Summit della Terra a Rio de Janeiro si è affermato il forte legame tra tutela dell’ambiente e riduzione della povertà, ed è anche stata riconosciuta l’importanza di un ecosistema sano per condurre una vita dignitosa, specialmente nelle zone rurali povere dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. La natura infatti, soprattutto per le popolazioni rurali, rappresenta un bene quotidiano e prezioso, una forma essenziale per la sussistenza ed una fonte primaria di reddito. Accanto a questa constatazione vi è anche la consapevolezza che negli ultimi decenni gli ecosistemi naturali si stanno degradando ad un ritmo impressionate, senza precedenti nella storia della specie umana: consumiamo le risorse più velocemente di quanto la Terra sia capace di rigenerarle e di “metabolizzare” i nostri scarti. Allo stesso modo aumenta la povertà: attualmente ci sono 1,2 miliardi di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno, mentre circa metà della popolazione mondiale sopravvive con meno di due dollari al giorno (UN). La connessione tra povertà ed ambiente non dipende solamente dalla scarsità di risorse che rende più difficili le condizioni di vita, ma anche dalla gestione delle stesse risorse naturali. Infatti in molti paesi o luoghi dove le risorse non sono carenti la popolazione più povera non vi ha accesso per motivi politici, economici e sociali. Inoltre se si paragona l’impronta ecologica con una misura riconosciuta dello “sviluppo umano”, l’Indice dello Sviluppo Umano (HDI) delle Nazioni Unite (Cfr. Cap 2), il rapporto dimostra chiaramente che ciò che noi accettiamo generalmente come “alto sviluppo” è molto lontano dal concetto di sviluppo sostenibile accettato universalmente, in quanto i paesi cosiddetti “sviluppati” sono quelli con una maggior impronta ecologica. Se allora lo “sviluppo” mette sotto pressione gli ecosistemi, dal cui benessere dipende direttamente il benessere dell’uomo, allora vuol dire che il concetto di “sviluppo” deve essere rivisitato, perché ha come conseguenza non il benessere del pianeta e delle popolazioni, ma il degrado ambientale e l’accrescimento delle disuguaglianze sociali. Quindi da una parte vi è la “società occidentale”, che promuove l’avanzamento della tecnologia e dell’industrializzazione per la crescita economica, spremendo un ecosistema sempre più stanco ed esausto al fine di ottenere dei benefici solo per una ristretta fetta della popolazione mondiale che segue un modello di vita consumistico degradando l’ambiente e sommergendolo di rifiuti; dall’altra parte ci sono le famiglie di contadini rurali, i “moradores” delle favelas o delle periferie delle grandi metropoli del Sud del Mondo, i senza terra, gli immigrati delle baraccopoli, i “waste pickers” delle periferie di Bombay che sopravvivono raccattando rifiuti, i profughi di guerre fatte per il controllo delle risorse, gli sfollati ambientali, gli eco-rifugiati, che vivono sotto la soglia di povertà, senza accesso alle risorse primarie per la sopravvivenza. La gestione sostenibile dell’ambiente, il produrre reddito dalla valorizzazione diretta dell’ecosistema e l’accesso alle risorse naturali sono tra gli strumenti più efficaci per migliorare le condizioni di vita degli individui, strumenti che possono anche garantire la distribuzione della ricchezza costruendo una società più equa, in quanto le merci ed i servizi dell’ecosistema fungono da beni per le comunità. La corretta gestione dell’ambiente e delle risorse quindi è di estrema importanza per la lotta alla povertà ed in questo caso il ruolo e la responsabilità dei tecnici ambientali è cruciale. Il lavoro di ricerca qui presentato, partendo dall’analisi del problema della gestione delle risorse naturali e dal suo stretto legame con la povertà, rivisitando il concetto tradizionale di “sviluppo” secondo i nuovi filoni di pensiero, vuole suggerire soluzioni e tecnologie per la gestione sostenibile delle risorse naturali che abbiano come obiettivo il benessere delle popolazioni più povere e degli ecosistemi, proponendo inoltre un metodo valutativo per la scelta delle alternative, soluzioni o tecnologie più adeguate al contesto di intervento. Dopo l’analisi dello “stato del Pianeta” (Capitolo 1) e delle risorse, sia a livello globale che a livello regionale, il secondo Capitolo prende in esame il concetto di povertà, di Paese in Via di Sviluppo (PVS), il concetto di “sviluppo sostenibile” e i nuovi filoni di pensiero: dalla teoria della Decrescita, al concetto di Sviluppo Umano. Dalla presa di coscienza dei reali fabbisogni umani, dall’analisi dello stato dell’ambiente, della povertà e delle sue diverse facce nei vari paesi, e dalla presa di coscienza del fallimento dell’economia della crescita (oggi visibile più che mai) si può comprendere che la soluzione per sconfiggere la povertà, il degrado dell’ambiente, e raggiungere lo sviluppo umano, non è il consumismo, la produzione, e nemmeno il trasferimento della tecnologia e l’industrializzazione; ma il “piccolo e bello” (F. Schumacher, 1982), ovvero gli stili di vita semplici, la tutela degli ecosistemi, e a livello tecnologico le “tecnologie appropriate”. Ed è proprio alle Tecnologie Appropriate a cui sono dedicati i Capitoli successivi (Capitolo 4 e Capitolo 5). Queste sono tecnologie semplici, a basso impatto ambientale, a basso costo, facilmente gestibili dalle comunità, tecnologie che permettono alle popolazioni più povere di avere accesso alle risorse naturali. Sono le tecnologie che meglio permettono, grazie alle loro caratteristiche, la tutela dei beni comuni naturali, quindi delle risorse e dell’ambiente, favorendo ed incentivando la partecipazione delle comunità locali e valorizzando i saperi tradizionali, grazie al coinvolgimento di tutti gli attori, al basso costo, alla sostenibilità ambientale, contribuendo all’affermazione dei diritti umani e alla salvaguardia dell’ambiente. Le Tecnologie Appropriate prese in esame sono quelle relative all’approvvigionamento idrico e alla depurazione dell’acqua tra cui: - la raccolta della nebbia, - metodi semplici per la perforazione di pozzi, - pompe a pedali e pompe manuali per l’approvvigionamento idrico, - la raccolta dell’acqua piovana, - il recupero delle sorgenti, - semplici metodi per la depurazione dell’acqua al punto d’uso (filtro in ceramica, filtro a sabbia, filtro in tessuto, disinfezione e distillazione solare). Il quinto Capitolo espone invece le Tecnolocie Appropriate per la gestione dei rifiuti nei PVS, in cui sono descritte: - soluzioni per la raccolta dei rifiuti nei PVS, - soluzioni per lo smaltimento dei rifiuti nei PVS, - semplici tecnologie per il riciclaggio dei rifiuti solidi. Il sesto Capitolo tratta tematiche riguardanti la Cooperazione Internazionale, la Cooperazione Decentrata e i progetti di Sviluppo Umano. Per progetti di sviluppo si intende, nell’ambito della Cooperazione, quei progetti che hanno come obiettivi la lotta alla povertà e il miglioramento delle condizioni di vita delle comunità beneficiarie dei PVS coinvolte nel progetto. All’interno dei progetti di cooperazione e di sviluppo umano gli interventi di tipo ambientale giocano un ruolo importante, visto che, come già detto, la povertà e il benessere delle popolazioni dipende dal benessere degli ecosistemi in cui vivono: favorire la tutela dell’ambiente, garantire l’accesso all’acqua potabile, la corretta gestione dei rifiuti e dei reflui nonché l’approvvigionamento energetico pulito sono aspetti necessari per permettere ad ogni individuo, soprattutto se vive in condizioni di “sviluppo”, di condurre una vita sana e produttiva. È importante quindi, negli interventi di sviluppo umano di carattere tecnico ed ambientale, scegliere soluzioni decentrate che prevedano l’adozione di Tecnologie Appropriate per contribuire a valorizzare l’ambiente e a tutelare la salute della comunità. I Capitoli 7 ed 8 prendono in esame i metodi per la valutazione degli interventi di sviluppo umano. Un altro aspetto fondamentale che rientra nel ruolo dei tecnici infatti è l’utilizzo di un corretto metodo valutativo per la scelta dei progetti possibili che tenga presente tutti gli aspetti, ovvero gli impatti sociali, ambientali, economici e che si cali bene alle realtà svantaggiate come quelle prese in considerazione in questo lavoro; un metodo cioè che consenta una valutazione specifica per i progetti di sviluppo umano e che possa permettere l’individuazione del progetto/intervento tecnologico e ambientale più appropriato ad ogni contesto specifico. Dall’analisi dei vari strumenti valutativi si è scelto di sviluppare un modello per la valutazione degli interventi di carattere ambientale nei progetti di Cooperazione Decentrata basato sull’Analisi Multi Criteria e sulla Analisi Gerarchica. L’oggetto di questa ricerca è stato quindi lo sviluppo di una metodologia, che tramite il supporto matematico e metodologico dell’Analisi Multi Criteria, permetta di valutare l’appropriatezza, la sostenibilità degli interventi di Sviluppo Umano di carattere ambientale, sviluppati all’interno di progetti di Cooperazione Internazionale e di Cooperazione Decentrata attraverso l’utilizzo di Tecnologie Appropriate. Nel Capitolo 9 viene proposta la metodologia, il modello di calcolo e i criteri su cui si basa la valutazione. I successivi capitoli (Capitolo 10 e Capitolo 11) sono invece dedicati alla sperimentazione della metodologia ai diversi casi studio: - “Progetto ambientale sulla gestione dei rifiuti presso i campi Profughi Saharawi”, Algeria, - “Programa 1 milhão de Cisternas, P1MC” e - “Programa Uma Terra e Duas Águas, P1+2”, Semi Arido brasiliano.

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Il progetto di tesi dottorale qui presentato intende proporsi come il proseguimento e l’approfondimento del progetto di ricerca - svoltosi tra il e il 2006 e il 2008 grazie alla collaborazione tra l’Università di Bologna, la Cineteca del Comune e dalla Fondazione Istituto Gramsci Emilia-Romagna - dal titolo Analisi e catalogazione dell’Archivio audiovisivo del PCI dell’Emilia-Romagna di proprietà dell’Istituto Gramsci. La ricerca ha indagato la menzionata collezione che costituiva, in un arco temporale che va dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, una sorta di cineteca interna alla Federazione del Partito Comunista Italiano di Bologna, gestita da un gruppo di volontari denominato “Gruppo Audiovisivi della Federazione del PCI”. Il fondo, entrato in possesso dell’Istituto Gramsci nel 1993, è composto, oltre che da documenti cartacei, anche e sopratutto da un nutrito numero di film e documentari in grado di raccontare sia la storia dell’associazione (in particolare, delle sue relazioni con le sezioni e i circoli della regione) sia, in una prospettiva più ampia, di ricostruire il particolare rapporto che la sede centrale del partito intratteneva con una delle sue cellule regionali più importanti e rappresentative. Il lavoro svolto sul fondo Gramsci ha suscitato una serie di riflessioni che hanno costituito la base per il progetto della ricerca presentata in queste pagine: prima fra tutte, l’idea di realizzare un censimento, da effettuarsi su base regionale, per verificare quali e quanti audiovisivi di propaganda comunista fossero ancora conservati sul territorio. La ricerca, i cui esiti sono consultabili nell’appendice di questo scritto, si è concentrata prevalentemente sugli archivi e sui principali istituti di ricerca dell’Emilia-Romagna: sono questi i luoghi in cui, di fatto, le federazioni e le sezioni del PCI depositarono (o alle quali donarono) le proprie realizzazioni o le proprie collezioni audiovisive al momento della loro chiusura. Il risultato dell’indagine è un nutrito gruppo di film e documentari, registrati sui supporti più diversi e dalle provenienze più disparate: produzioni locali, regionali, nazionali (inviati dalla sede centrale del partito e dalle istituzioni addette alla propaganda), si mescolano a pellicole provenienti dall’estero - testimoni della rete di contatti, in particolare con i paesi comunisti, che il PCI aveva intessuto nel tempo - e a documenti realizzati all’interno dell’articolato contesto associazionistico italiano, composto sia da organizzazioni nazionali ben strutturate sul territorio 8 sia da entità più sporadiche, nate sull’onda di particolari avvenimenti di natura politica e sociale (per esempio i movimenti giovanili e studenteschi sorti durante il ’68). L’incontro con questa tipologia di documenti - così ricchi di informazioni differenti e capaci, per loro stessa natura, di offrire stimoli e spunti di ricerca assolutamente variegati - ha fatto sorgere una serie di domande di diversa natura, che fanno riferimento non solo all’audiovisivo in quanto tale (inteso in termini di contenuti, modalità espressive e narrative, contesto di produzione) ma anche e soprattutto alla natura e alle potenzialità dell’oggetto indagato, concepito in questo caso come una fonte. In altri termini, la raccolta e la catalogazione del materiale, insieme alle ricerche volte a ricostruirne le modalità produttive, gli argomenti, i tratti ricorrenti nell’ambito della comunicazione propagandistica, ha dato adito a una riflessione di carattere più generale, che guarda al rapporto tra mezzo cinematografico e storiografia e, più in dettaglio, all’utilizzo dell’immagine filmica come fonte per la ricerca. Il tutto inserito nel contesto della nostra epoca e, più in particolare, delle possibilità offerte dai mezzi di comunicazione contemporanei. Di fatti, il percorso di riflessione compiuto in queste pagine intende concludersi con una disamina del rapporto tra cinema e storia alla luce delle novità introdotte dalla tecnologia moderna, basata sui concetti chiave di riuso e di intermedialità. Processi di integrazione e rielaborazione mediale capaci di fornire nuove potenzialità anche ai documenti audiovisivi oggetto dei questa analisi: sia per ciò che riguarda il loro utilizzo come fonte storica, sia per quanto concerne un loro impiego nella didattica e nell’insegnamento - nel rispetto della necessaria interdisciplinarietà richiesta nell’utilizzo di questi documenti - all’interno di una più generale rivoluzione mediale che mette in discussione anche il classico concetto di “archivio”, di “fonte” e di “documento”. Nel tentativo di bilanciare i differenti aspetti che questa ricerca intende prendere in esame, la struttura del volume è stata pensata, in termini generali, come ad un percorso suddiviso in tre tappe: la prima, che guarda al passato, quando gli audiovisivi oggetto della ricerca vennero prodotti e distribuiti; una seconda sezione, che fa riferimento all’oggi, momento della riflessione e dell’analisi; per concludere in una terza area, dedicata alla disamina delle potenzialità di questi documenti alla luce delle nuove tecnologie multimediali. Un viaggio che è anche il percorso “ideale” condotto dal ricercatore: dalla scoperta all’analisi, fino alla rimessa in circolo (anche sotto un’altra forma) degli oggetti indagati, all’interno di un altrettanto ideale universo culturale capace di valorizzare qualsiasi tipo di fonte e documento. All’interno di questa struttura generale, la ricerca è stata compiuta cercando di conciliare diversi piani d’analisi, necessari per un adeguato studio dei documenti rintracciati i quali, come si è detto, si presentano estremamente articolati e sfaccettati. 9 Dal punto di vista dei contenuti, infatti, il corpus documentale presenta praticamente tutta la storia italiana del tentennio considerato: non solo storia del Partito Comunista e delle sue campagne di propaganda, ma anche storia sociale, culturale ed economica, in un percorso di crescita e di evoluzione che, dagli anni Cinquanta, portò la nazione ad assumere lo status di paese moderno. In secondo luogo, questi documenti audiovisivi sono prodotti di propaganda realizzati da un partito politico con il preciso scopo di convincere e coinvolgere le masse (degli iscritti e non). Osservarne le modalità produttive, il contesto di realizzazione e le dinamiche culturali interne alla compagine oggetto della ricerca assume un valore centrale per comprendere al meglio la natura dei documenti stessi. I quali, in ultima istanza, sono anche e soprattutto dei film, realizzati in un preciso contesto storico, che è anche storia della settima arte: più in particolare, di quella cinematografia che si propone come “alternativa” al circuito commerciale, strettamente collegata a quella “cultura di sinistra” sulla quale il PCI (almeno fino alla fine degli anni Sessanta) poté godere di un dominio incontrastato. Nel tentativo di condurre una ricerca che tenesse conto di questi differenti aspetti, il lavoro è stato suddiviso in tre sezioni distinte. La prima (che comprende i capitoli 1 e 2) sarà interamente dedicata alla ricostruzione del panorama storico all’interno del quale questi audiovisivi nacquero e vennero distribuiti. Una ricostruzione che intende osservare, in parallelo, i principali eventi della storia nazionale (siano essi di natura politica, sociale ed economica), la storia interna del Partito Comunista e, non da ultimo, la storia della cinematografia nazionale (interna ed esterna al partito). Questo non solo per fornire il contesto adeguato all’interno del quale inserire i documenti osservati, ma anche per spiegarne i contenuti: questi audiovisivi, infatti, non solo sono testimoni degli eventi salienti della storia politica nazionale, ma raccontano anche delle crisi e dei “boom” economici; della vita quotidiana della popolazione e dei suoi problemi, dell’emigrazione, della sanità e della speculazione edilizia; delle rivendicazioni sociali, del movimento delle donne, delle lotte dei giovani sessantottini. C’è, all’interno di questi materiali, tutta la storia del paese, che è contesto di produzione ma anche soggetto del racconto. Un racconto che, una volta spiegato nei contenuti, va indagato nella forma. In questo senso, il terzo capitolo di questo scritto si concentrerà sul concetto di “propaganda” e nella sua verifica pratica attraverso l’analisi dei documenti reperiti. Si cercherà quindi di realizzare una mappatura dei temi portanti della comunicazione politica comunista osservata nel suo evolversi e, in secondo luogo, di analizzare come questi stessi temi-chiave vengano di volta in volta declinati e 10 rappresentati tramite le immagini in movimento. L’alterità positiva del partito - concetto cardine che rappresenta il nucleo ideologico fondante la struttura stessa del Partito Comunista Italiano - verrà quindi osservato nelle sue variegate forme di rappresentazione, nel suo incarnare, di volta in volta, a seconda dei temi e degli argomenti rilevanti, la possibilità della pace; il buongoverno; la verità (contro la menzogna democristiana); la libertà (contro il bigottismo cattolico); la possibilità di un generale cambiamento. La realizzazione di alcuni percorsi d’analisi tra le pellicole reperite presso gli archivi della regione viene proposto, in questa sede, come l’ideale conclusione di un excursus storico che, all’interno dei capitoli precedenti, ha preso in considerazione la storia della cinematografia nazionale (in particolare del contesto produttivo alternativo a quello commerciale) e, in parallelo, l’analisi della produzione audiovisiva interna al PCI, dove si sono voluti osservare non solo gli enti e le istituzioni che internamente al partito si occupavano della cultura e della propaganda - in una distinzione terminologica non solo formale - ma anche le reti di relazioni e i contatti con il contesto cinematografico di cui si è detto. L’intenzione è duplice: da un lato, per inserire la storia del PCI e dei suoi prodotti di propaganda in un contesto socio-culturale reale, senza considerare queste produzioni - così come la vita stessa del partito - come avulsa da una realtà con la quale necessariamente entrava in contatto; in secondo luogo, per portare avanti un altro tipo di discorso, di carattere più speculativo, esplicitato all’interno del quarto capitolo. Ciò che si è voluto indagare, di fatto, non è solo la natura e i contenti di questi documenti audiovisivi, ma anche il loro ruolo nel sistema di comunicazione e di propaganda di partito, dove quest’ultima è identificata come il punto di contatto tra l’intellighenzia comunista (la cultura alta, legittima) e la cultura popolare (in termini gramsciani, subalterna). Il PCI, in questi termini, viene osservato come un microcosmo in grado di ripropone su scala ridotta le dinamiche e le problematiche tipiche della società moderna. L’analisi della storia della sua relazione con la società (cfr. capitolo 2) viene qui letta alla luce di alcune delle principali teorie della storia del consumi e delle interpretazioni circa l’avvento della società di massa. Lo scopo ultimo è quello di verificare se, con l’affermazione dell’industria culturale moderna si sia effettivamente verificata la rottura delle tradizionali divisioni di classe, della classica distinzione tra cultura alta e bassa, se esiste realmente una zona intermedia - nel caso del partito, identificata nella propaganda - in cui si attui concretamente questo rimescolamento, in cui si realizzi realmente la nascita di una “terza cultura” effettivamente nuova e dal carattere comunitario. Il quinto e ultimo capitolo di questo scritto fa invece riferimento a un altro ordine di problemi e argomenti, di cui in parte si è già detto. La ricerca, in questo caso, si è indirizzata verso una 11 riflessione circa l’oggetto stesso dello studio: l’audiovisivo come fonte. La rassegna delle diverse problematiche scaturite dal rapporto tra cinema e storia è corredata dall’analisi delle principali teorie che hanno permesso l’evoluzione di questa relazione, evidenziando di volta in volta le diverse potenzialità che essa può esprimere le sue possibilità d’impiego all’interno di ambiti di ricerca differenti. Il capitolo si completa con una panoramica circa le attuali possibilità di impiego e di riuso di queste fonti: la rassegna e l’analisi dei portali on-line aperti dai principali archivi storici nazionali (e la relativa messa a disposizione dei documenti); il progetto per la creazione di un “museo multimediale del lavoro” e, a seguire, il progetto didattico dei Learning Objects intendono fornire degli spunti per un futuro, possibile utilizzo di questi documenti audiovisivi, di cui questo scritto ha voluto porre in rilievo il valore e le numerose potenzialità.

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Nel corso degli ultimi venti anni si è assistito ad un incremento generalizzato della disoccupazione in Europa in particolare di quella giovanile: nel 1997 in molti paesi europei il tasso di disoccupazione della classe 15-24 anni è doppio rispetto a quello degli adulti. Questo lavoro si propone di dare una descrizione realistica del fenomeno della disoccupazione giovanile in Italia come risultante dalle prime 4 waves dell’indagine European Household Community Panel indagando la probabilità di transizione dallo stato di disoccupazione a quello di occupazione. Nell’ambito di un’impostazione legata alla teoria dei processi stocastici e dei dati di durata si indagheranno gli effetti che episodi di disoccupazione precedenti possono avere sulla probabilità di trovare un lavoro, in particolare, nell’ambito di processi stocastici più generali si rilascerà l’ipotesi di semi-markovianità del processo per considerare l’effetto di una funzione della storia passata del processo sulla transizione attuale al lavoro. La stima della funzione di rischio a vari intervalli di durata si dimostra più appropriata quando si tiene conto della storia passata del processo, in particolare, si verifica l’ipotesi che la possibilità di avere successo nella ricerca di un lavoro è negativamente influenzata dall’aver avuto in passato molte transizioni disoccupazione-occupazione-disoccupazione.

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Le encefalopatie spongiformi trasmissibili (EST), o malattie da prioni, sono malattie neurodegenerative che colpiscono l'uomo e gli animali. Le più note tra le EST animali sono la scrapie della pecora e della capra, l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), la Sindrome del dimagrimento cronico (CWD) dei cervidi. Negli uomini ricordiamo la malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD) nelle sue diverse forme (sporadica, genetica, iatrogenica e variante). La dimostrazione che la variante della CJD (vCJD) sia causata dallo stesso agente eziologico della BSE, ha evidenziato il potenziale zoonotico di queste malattie. Le EST sono caratterizzate da tempi di incubazione estremamente lunghi ed esito invariabilmente fatale. Il momento patogenetico centrale comune a tutte queste malattie è rappresentato dalla modificazione conformazionale di una proteina cellulare denominata PrPC (proteina prionica cellulare) in una isoforma patologica denominata PrPSc, insolubile e caratterizzata da una parziale resistenza alle proteasi, che tende a depositarsi sotto forma di fibrille amiloidee nel SNC dei soggetti colpiti. La suscettibilità degli ovini alla scrapie è largamente influenzata dal genotipo del gene dell’ospite che codifica per la PrP (PRNP), e più precisamente da tre polimorfismi presenti ai codoni 136, 154 e 171. Questi si combinano in cinque principali alleli, ARQ, VRQ, AHQ, ARH e ARR, correlati a differenti gradi di suscettibilità alla malattia. Risultati ottenuti da un precedente studio d’infezione sperimentale di ovini di razza Sarda con scrapie classica (Vaccari G et al 2007), hanno suggeriscono l’ordine di suscettibilità ARQ>AHQ>ARH. L’allele ARR, è risultato invece associato ai più alti livelli di protezione dalla malattia. Dallo stesso studio di trasmissione sperimentale e da uno studio epidemiologico di tipo caso-controllo, è inoltre emerso che nella razza Sarda, ovini con l’allele ARQ, con sostituzione amminoacidica al codone 137 Metionina (M)/Treonina (T) (AT137RQ) o al 176 Asparagina (N)/Lisina (K) (ARQK176) in eterozigosi sono protetti dalla scrapie. Inoltre studi di trasmissione sperimentale della BSE in ovini della stessa razza con tre differenti genotipi (ARQ/ARQ, ARQ/ARR e ARR/ARR), hanno dimostrato come la BSE abbia un targeting genetico molto simile a quello della scrapie, evidenziando il genotipo ARQ/ARQ come il più suscettibile. L’obbiettivo della seguente tesi è stato quello di verificare se fosse possibile riprodurre in vitro la differente suscettibilità genetica degli ovini alle EST evidenziata in vivo, utilizzando il PMCA (Protein Misfolding Cyclic Amplification), la metodica ad oggi più promettente e di cui è stata dimostrata la capacità di riprodurre in vitro diverse proprietà biologiche dei prioni. La tecnica, attraverso cicli ripetuti di sonicazione/incubazione, permette la conversione in vitro della PrPC presente in un omogenato cerebrale (substrato), da parte di una quantità minima di PrPSc (inoculo) che funge da “innesco” della reazione. Si è voluto inoltre utilizzare il PMCA per indagare il livello di protezione in omozigosi di alleli rari per i quali, in vivo, si avevano evidenze di protezione dalla scrapie solo in eterozigosi, e per studiare la suscettibilità degli ovini alla BSE adattata in questa specie. È stata quindi testata in PMCA la capacità diversi substrati ovini recanti differenti genotipi, di amplificare la PrPSc dello stesso isolato di scrapie classica impiegato nel precedente studio in vivo o di un inoculo di BSE bovina. Inoltre sono stati saggiati in vitro due inoculi di BSE costituiti da omogenato cerebrale di due ovini sperimentalmente infettati con BSE (BSE ovina) e recanti due differenti genotipi (ARQ/ARQ e ARR/ARR). Per poter descrivere quantitativamente il grado di correlazione osservato i risultati ottenuti in vitro e i quelli riscontrati dallo studio di sperimentazione con scrapie, espressi rispettivamente come fattori di amplificazione e tempi d’incubazione registrati in vivo, sono stati analizzati con un modello di regressione lineare. Per quanto riguarda la scrapie, i risultati ottenuti hanno evidenziato come i genotipi associati in vivo a suscettibilità (ARQ/ARQ, ARQ/AHQ and AHQ/ARH) siano anche quelli in grado di sostenere in PMCA l’amplificazione della PrPSc, e come quelli associati a resistenza (ARQ/ARR and ARR/ARR) non mostrino invece nessuna capacità di conversione. Dall’analisi di regressione lineare è inoltre emerso come l’efficienza di amplificazione in vitro dei differenti genotipi testati sia inversamente proporzionale ai tempi d’incubazione registrati in vivo. Inoltre nessuna amplificazione è stata riscontrata utilizzando il substrato con genotipo raro ARQK176/ARQK176 suggerendo come anche questo possa essere associato a resistenza, almeno nei confronti dell’isolato di scrapie classica utilizzato. Utilizzando come inoculo in PMCA l’isolato di BSE bovina, è stato possibile riscontrare, nei tre genotipi analizzati (ARQ/ARQ, ARQ/ARR e ARR/ARR) un evidente amplificazione per il solo genotipo ARQ/ARQ, sottolineando anche in questo caso l’esistenza di una correlazione tra suscettibilità riscontrata in vivo e capacità di conversione in PMCA. I tre i substrati analizzati mostrano inoltre una buona efficienza di amplificazione, per altro simile, se si utilizza la PrPSc dell’inoculo di BSE sperimentalemente trasmessa agli ovini. Questi genotipi sembrerebbero dunque ugualmente suscettibili se esposti a BSE adattata alla specie ovina. I risultati di questa tesi indicano dunque una correlazione diretta tra la capacità di conversione della PrPC con il PMCA e la suscettibilità osservata in vivo per i differenti genotipi analizzati. Mostrano inoltre come il PMCA possa essere una valida alternativa agli studi di trasmissione in vivo e un rapido strumento utile non soltanto per testare, ma anche per predire la suscettibilità genetica degli ovini a diversi ceppi di EST, rappresentando un valido aiuto per l’individuazione di ulteriori genotipi resistenti, così da incrementare la variabilità genetica dei piani di selezione attuati per gli ovini per il controllo di queste malattie.

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Il problema dell'antibiotico-resistenza è un problema di sanità pubblica per affrontare il quale è necessario un sistema di sorveglianza basato sulla raccolta e l'analisi dei dati epidemiologici di laboratorio. Il progetto di dottorato è consistito nello sviluppo di una applicazione web per la gestione di tali dati di antibiotico sensibilità di isolati clinici utilizzabile a livello di ospedale. Si è creata una piattaforma web associata a un database relazionale per avere un’applicazione dinamica che potesse essere aggiornata facilmente inserendo nuovi dati senza dover manualmente modificare le pagine HTML che compongono l’applicazione stessa. E’ stato utilizzato il database open-source MySQL in quanto presenta numerosi vantaggi: estremamente stabile, elevate prestazioni, supportato da una grande comunità online ed inoltre gratuito. Il contenuto dinamico dell’applicazione web deve essere generato da un linguaggio di programmazione tipo “scripting” che automatizzi operazioni di inserimento, modifica, cancellazione, visualizzazione di larghe quantità di dati. E’ stato scelto il PHP, linguaggio open-source sviluppato appositamente per la realizzazione di pagine web dinamiche, perfettamente utilizzabile con il database MySQL. E’ stata definita l’architettura del database creando le tabelle contenenti i dati e le relazioni tra di esse: le anagrafiche, i dati relativi ai campioni, microrganismi isolati e agli antibiogrammi con le categorie interpretative relative al dato antibiotico. Definite tabelle e relazioni del database è stato scritto il codice associato alle funzioni principali: inserimento manuale di antibiogrammi, importazione di antibiogrammi multipli provenienti da file esportati da strumenti automatizzati, modifica/eliminazione degli antibiogrammi precedenti inseriti nel sistema, analisi dei dati presenti nel database con tendenze e andamenti relativi alla prevalenza di specie microbiche e alla chemioresistenza degli stessi, corredate da grafici. Lo sviluppo ha incluso continui test delle funzioni via via implementate usando reali dati clinici e sono stati introdotti appositi controlli e l’introduzione di una semplice e pulita veste grafica.

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La tesi si è consolidata nell’analisi dell’impatto dei social networks nella costruzione dello spazio pubblico, nella sfera di osservazione che è la rete e il web2.0. Osservando che il paradigma della società civile si sia modificato. Ridefinendo immagini e immaginari e forme di autorappresentazione sui new media (Castells, 2010). Nel presupposto che lo spazio pubblico “non è mai una realtà precostituita” (Innerarity, 2008) ma si muove all’interno di reti che generano e garantiscono socievolezza. Nell’obiettivo di capire cosa è spazio pubblico. Civic engagement che si rafforza in spazi simbolici (Sassen, 2008), nodi d’incontro significativi. Ivi cittadini-consumatori avanzano corresponsabilmente le proprie istanze per la debacle nei governi.. Cultura partecipativa che prende mossa da un nuovo senso civico mediato che si esprime nelle “virtù” del consumo critico. Portando la politica sul mercato. Cultura civica autoattualizzata alla ricerca di soluzioni alle crisi degli ultimi anni. Potere di una comunicazione che riduce il mondo ad un “villaggio globale” e mettono in relazione i pubblici connessi in spazi e tempi differenti, dando origine ad azioni collettive come nel caso degli Indignados, di Occupy Wall Street o di Rai per una notte. Emerge un (ri)pensare la citizenship secondo due paradigmi (Bennett,2008): l’uno orientato al governo attraverso i partiti, modello “Dutiful Citizenship”; l’altro, modello “Self Actualizing Citizenship” per cui i pubblici attivi seguono news ed eventi, percepiscono un minor obbligo nel governo, il voto è meno significativo per (s)fiducia nei media e nei politici. Mercato e società civile si muovono per il bene comune e una nuova “felicità”. La partecipazione si costituisce in consumerismo politico all’interno di reti in cui si sviluppano azioni individuali attraverso il social networking e scelte di consumo responsabile. Partendo dall’etnografia digitale, si è definito il modello “4 C”: Conoscenza > Coadesione > Co-partecipazione > Corresposabilità (azioni collettive) > Cultura-bility.

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L’approccio innovativo di questa tesi alla pianificazione ciclabile consiste nell’integrare le linee guida per la redazione di un biciplan con aspetti, metodologie e strumenti nuovi, per rendere più efficace la programmazione di interventi. I limiti del biciplan risiedono nella fase di pianificazione e di monitoraggio, quindi, nel 1° capitolo, vengono esaminate le differenze esistenti tra la normativa americana (AASHTO) e quella italiana (D.P.R. 557/99). Nel 2° capitolo vengono analizzati gli indicatori usati nella fase di monitoraggio e la loro evoluzione fino alla definizione degli attuali indici per la determinazione del LOS delle infrastrutture ciclabili: BLOS e BCI. L’analisi è integrata con le nuove applicazioni di questi indici e con lo studio del LOS de HCM 2010. BCI e BISI sono stati applicati alla rete di Bologna per risolvere problemi di pianificazione e per capire se esistessero problemi di trasferibilità. Gli indici analizzati prendono in considerazione solo il lato offerta del sistema di trasporto ciclabile; manca un giudizio sui flussi, per verificare l’efficacia delle policy. Perciò il 3° capitolo è dedicato alla metodologia sul monitoraggio dei flussi, mediante l’utilizzo di comuni traffic counter per le rilevazioni dei flussi veicolari. Dal monitoraggio è possibile ricavare informazioni sul numero di passaggi, periodi di punta, esistenza di percorsi preferiti, influenza delle condizioni climatiche, utili ai progettisti; si possono creare serie storiche di dati per controllare l’evoluzione della mobilità ciclabile e determinare l’esistenza di criticità dell’infrastruttura. L’efficacia della pianificazione ciclabile è legata al grado di soddisfazione dell’utente e all’appetibilità delle infrastrutture, perciò il progettista deve conoscere degli elementi che influenzano le scelte del ciclista. Nel 4° capitolo sono analizzate le tecniche e gli studi sulle scelte dell’itinerario dei ciclisti, e lo studio pilota fatto a Bologna per definire le variabili che influenzano le scelte dei ciclisti e il loro peso.

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Affrontare il tema del conferimento di azienda, così come esaminare ogni aspetto inerente, più in generale, l'azienda, può apparire estremamente arduo e complicato, stante il rischio di ripetere, in modo quasi scontato, "cose già dette" nel corso degli anni, prendendo le mosse da contributi noti ed arcinoti, soprattutto con riferimento alla disciplina dell'imprenditore commerciale, ossia alla prima tematica che viene presa in considerazione da parte del neofita del diritto commerciale. Tuttavia, a ben vedere, l'esaustività e completezza di tali studi non impedisce di affrontare, nell'attualità, alcuni aspetti che, anche grazie ai continui interventi del legislatore, presentano elementi degni di approfondimento. In tale ottica, quindi, è stato impostato il presente lavoro di ricerca. Così, ad un primo capitolo prevalentemente compilativo e volto ad individuare, nell'ordinamento giuridico, tutte le disposizioni che possono assumere rilevanza nell'inquadramento della disciplina del conferimento di azienda, nonchè le nozioni base di tale operazione, ne seguono altri due che si caratterizzano, rispettivamente: a) l'uno (il secondo capitolo), quale concreta individuazione delle modalità di esecuzione dell'operazione di conferimento di azienda, dalla decisione di procedere in tal senso, alla concreta esecuzione dell'apporto; b) l'altro (il terzo capitolo), quale esame di alcuni aspetti problematici che emergono a seguito dell'esecuzione dell'apporto, sia con riferimento agli effetti prodotti nei rapporti ricompresi nell'oggetto dell'apporto, sia con riferimento al ruolo dei diversi soggetti che, direttamente e/o indirettamente, ne subiscono i riflessi. In entrambi i capitoli (due e tre), peraltro, si affrontano non solo aspetti connessi alla disciplina dell'impresa ancora in bonis, ma anche, data l'attualità degli interventi operati dal legislatore nell'ambito della risoluzione della crisi dell'impresa, le questioni inerenti l'utilizzo di tale operazione quale forma di liquidazione dell'attivo. Si chiude l'elaborato con alcune riflessioni inerenti le forme di reazione agli abusi che, sovente, caratterizzano l'apporto dell'azienda.

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Il presente lavoro si propone principalmente di fornire un’analisi delle declinazioni assunte dal principio di continuità nel diritto amministrativo, tentando di metterne in luce al contempo le basi fondanti che caratterizzano ogni principio generale e le sfumature più attuali emerse dall’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza più recenti. Partendo dal fondamentale presupposto secondo cui la maggior parte degli interpreti si è interessata al principio di continuità in campo amministrativo con prevalente riferimento all’ambito organizzativo-strutturale, si è tentato di estendere l’analisi sino a riconoscervi una manifestazione di principi chiave della funzione amministrativa complessivamente intesa quali efficienza, buon andamento, realizzazione di buoni risultati. La rilevanza centrale della continuità discende dalla sua infinita declinabilità, ma in questo lavoro si insiste particolarmente sul fatto che di essa possono darsi due fondamentali interpretazioni, tra loro fortemente connesse, che si influenzano reciprocamente: a quella che la intende come segno di stabilità perenne, capace di assicurare certezza sul modus operandi delle pubbliche amministrazioni e tutela degli affidamenti da esse ingenerati, si affianca una seconda visione che ne privilegia invece l’aspetto dinamico, interpretandola come il criterio che impone alla P.A. di assecondare la realtà che muta, evolvendo contestualmente ad essa, al fine di assicurare la permanenza del risultato utile per la collettività, in ossequio alla sua missione di cura. In questa prospettiva, il presente lavoro si propone di analizzare, nella sua prima parte, i risultati già raggiunti dall’elaborazione esegetica in materia di continuità amministrativa, con particolare riferimento alle sue manifestazioni nel campo dell’organizzazione e dell’attività amministrative, nonché ad alcune sue espressioni concrete nel settore degli appalti e dei servizi pubblici. La seconda parte è invece dedicata a fornire alcuni spunti ed ipotesi per nuove interpretazioni del principio in chiave sistematica, in relazione a concetti generali quali il tempo, lo spazio e il complessivo disegno progettuale della funzione amministrativa.

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Il lavoro di ricerca che si presenta è suddiviso in tre capitoli nei quali, da altrettanti punti di osservazione, è analizzato il tema della instabilità del lavoro. Nel primo capitolo, il candidato evidenzia le cause che hanno determinato il vorticoso aumento di utilizzo dei contratti di lavoro flessibili e, a tal proposito, da un prospettiva extra-nazionale, analizza le direttive europee e, i principi comuni e le guidelines che, nel percorso di sviluppo della strategia europea per l’occupazione, hanno posto la flexicurity come modello di mercato europeo tipico; dalla medesima prospettiva, prendendo spunto dai cambiamenti del mercato globale, si pone attenzione all’analisi economica del diritto del lavoro e, in particolare, alle conseguenze che le trasformazioni economiche generano sulla capacità di questa materia di tenere elevato il grado di sicurezza occupazionale connesso alla stipula dei contratti di lavoro. Il secondo capitolo è dedicato al ruolo svolto in Italia dai sindacati sul tema della flessibilità. In tal senso, l’autore evidenzia come la funzione “istituzionale” cui sono chiamate anche le organizzazioni dei lavoratori abbia caratterizzato le scelte di politica sindacale in materia di lavori temporanei; è così preso in esame il concetto di flessibilità “contrattata”, come già emerso in dottrina, e si teorizza la differenza tra rinvii “aperti” e rinvii “chiusi”, quali differenti forme di delega di potere normativo alle parti sociali in materia di flessibilità. Nel terzo ed ultimo capitolo l’autore tenta di evidenziare i vantaggi e le funzioni che derivano dall’utilizzo del contratto a termine, quale principale forma di impiego flessibile del nostro mercato del lavoro. Premessi tali benefici viene formulato un giudizio critico rispetto al grado di liberalizzazione che, con le ultime riforme, è stato ammesso per questo istituto sempre più strumento di arbitrio del datore di lavoro nella scelta della durata e delle condizioni di svolgimento della prestazione di lavoro.

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Il nucleo accumbens (NAc), il maggior componente del sistema mesocorticolimbico, è coinvolto nella mediazione delle proprietà di rinforzo e nella dipendenza da diverse sostanze d’abuso. Le sinapsi glutammatergiche del NAc possono esprimere plasticità, tra cui una forma di depressione a lungo termine (LTD) dipendente dagli endocannabinoidi (eCB). Recenti studi hanno dimostrato un’interazione tra le vie di segnalazione del sistema eCB e quelle di altri sistemi recettoriali, compreso quello serotoninergico (5-HT); la vasta colocalizzazione di recettori serotoninergici e CB1 nel NAc suggerisce la possibilità di un’interazione tra questi due sistemi. In questo studio abbiamo riscontrato che una stimolazione a 4 Hz per 20 minuti (LFS-4Hz) delle afferenze glutammatergiche in fettine cerebrali di ratto, induce una nuova forma di eCB-LTD nel core del NAc, che richiede l’attivazione dei recettori CB1 e 5-HT2 e l’apertura dei canali del Ca2+ voltaggio-dipendenti di tipo L. Inoltre abbiamo valutato che l’applicazione esogena di 5-HT (5 M, 20 min) induce una LTD analoga (5-HT-LTD) a livello delle stesse sinapsi, che richiede l’attivazione dei medesimi recettori e l’apertura degli stessi canali del Ca2+; LFS-4Hz-LTD e 5-HT-LTD sono reciprocamente saturanti. Questi risultati suggeriscono che la LFS-4Hz induce il rilascio di 5-HT, che si lega ai recettori 5-HT2 a livello postsinaptico incrementando l’influsso di Ca2+ attraverso i canali voltaggio-dipendenti di tipo L e la produzione e il rilascio di 2-arachidonoilglicerolo; l’eCB viaggia a ritroso e si lega al recettore CB1 a livello presinaptico, causando una diminuzione duratura del rilascio di glutammato, che risulta in una LTD. Queste osservazioni possono essere utili per comprendere i meccanismi neurofisiologici che sono alla base della dipendenza da sostanze d’abuso, della depressione maggiore e di altre malattie psichiatriche caratterizzate dalla disfunzione della neurotrasmissione di 5-HT nel NAc.