372 resultados para diritto alla salute


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Lo studio mira ad individuare i passaggi salienti dell’evoluzione dello sport inteso come strumento di salute e benessere preventivo, per rinvenire le manifestazioni di questo concetto, con l’obiettivo precipuo di fare emergere l’ossatura legislativa in evoluzione su cui impostare la transizione del sistema delle attività motorie. Partendo dallo studio del dato normativo e giurisprudenziale e con un’ampia analisi dottrinale sullo sfondo, lo studio descrive l’evoluzione legislativa sul tema poggiandosi su considerazioni e risultati di indagini sociologiche e farmacologiche. La creazione della Società Sport e Salute S.p.a. e di un Dipartimento per lo sport ha permesso un’azione diretta al sostegno delle organizzazioni sportive di base e mirata alla promozione di piani per l’implementazione dei corretti stili di vita. Il d.lgs. 38/2021 contiene una serie di norme volte alla valorizzazione dell’importanza anche territoriale degli enti sportivi, che possono favorire questi e i loro partners privati nell’affidamento degli impianti. La nuova figura professionale del chinesiologo rappresenta lo strumento centrale per il rilancio degli enti sportivi, in quanto capace di organizzare nuovi servizi paralleli allo sport e fondamentali in ottica educativa preventiva. L’accresciuta rilevanza del concetto di work-life balance spinge le imprese alla creazione di nuove politiche di welfare per i lavoratori attraverso investimenti per la riqualificazione dell’impiantistica, in modo da favorire gli enti che li gestiscono collaborando per offrire maggiori servizi anche al territorio. Il legislatore ha creato uno strato normativo volto a permettere un’azione diretta dello Stato nella promozione dello sport sociale e volto all’implementazione dei corretti stili di vita. È ora possibile teorizzare un modello di ente che offra una nuova tipologia di servizi da erogare all’interno di moderni impianti, riqualificati grazie al supporto di imprese che vedono le associazioni sportive come presidi per la salute dei lavoratori, favorendo il benessere collettivo oltre che la propria immagine.

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La dissertazione, partendo dall’analisi dei dati particolari, dei quali approfondisce il concetto e le norme previste per la disciplina del trattamento, arriva ad una completa ed approfondita analisi dei dati genetici, partendo dal loro inquadramento storico e giungendo sino ad evidenziare la simmetria intercorrente tra gli stessi e il tessuto umano (il campione biologico) che, sotto un profilo squisitamente giuridico, è stato sottoposto al medesimo regime di tutela previsto per il dato genetico. La finalità della definizione dei dati genetici è quella di individuare la loro regolamentazione nell’ambito dell’ordinamento interno nonché ad evidenziare la genesi di tale normazione e, soprattutto, la tecnica utilizzata dall’autorità preposta, che ha inteso recepire (anche se il termine, per taluni atti, è improprio) nell’ambito dell’ordinamento italiano una moltitudine di atti normativi di rango internazione e sovranazionale, succedutisi sin dagli anni immediatamente successivi la fine del secondo conflitto mondiale. Mentre la prima parte della dissertazione commenta la normativa in materia di dati particolari, la seconda parte costituisce un corpo unico finalizzato a rappresentare la doppia faccia dei dati genetici, costituita, da un lato, dalla pericolosità -per i diritti della persona- del loro trattamento e, dall’altro, dalla indispensabilità del trattamento stesso per la tutela della salute dell’uomo, come singolo e come soggetto collettivo. Il lavoro pertanto si inserisce in un contesto in cui la regolamentazione nazionale dei dati genetici pare prima di tutto finalizzata anche alla codificazione di alcune libertà fondamentali fino al 2006 di creazione squisitamente e quasi esclusivamente dottrinale, al più con qualche accenno giurisprudenziale (v. sul punto il diritto di non sapere o, anche se si ritiene che lo stesso sia di fatto stato regolamentato dal Codice in materia di protezione dei dati personali, il diritto all’autodeterminazione informativa) dei quali la tesi in commento individua la chiave regolatrice nell’ambito delle norme contenute nell’Autorizzazione del Garante. L’esame della normativa nazionale, costituita appunto dall’Autorizzazione emanata dal Garante ai sensi dell’art. 90 del Codice è pertanto svolto mediante un commento e, in alcuni punti, una critica costruttiva finalizzata ad evidenziare l’estrema difficoltà nella normazione di un trattamento che, da un lato, rischia di aggredire irrimediabilmente i diritti della persona e dall’altro è indispensabile per la tutela degli stessi.

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La tesi della candidata presenta - attraverso lo studio della normativa e della giurisprudenza rilevanti in Italia, Francia e Germania – un’analisi dell'ambito soggettivo di applicazione del diritto costituzionale d'asilo e del suo rapporto con il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, nonchè della sua interazione con le altre forme di protezione della persona previste dal diritto comunitario e dal sistema CEDU di salvaguardia dei diritti fondamentali. Dal breve itinerario comparatistico percorso, emerge una forte tendenza alla neutralizzazione dell’asilo costituzionale ed alla sua sovrapposizione con la fattispecie del rifugio convenzionale quale carattere comune agli ordinamenti presi in esame, espressione di una consapevole scelta di politica del diritto altresì volta ad assimilare la materia alla disciplina generale dell’immigrazione al fine di ridimensionarne le potenzialità espansive (si pensi alla latitudine delle formule costituzionali di cui agli artt. 10, co. 3 Cost. it. e 16a, co. 1 Grundgesetz) e di ricondurre l'asilo entro i tradizionali confini della discrezionalità amministrativa quale sovrana concessione dello Stato ospitante. L'esame delle fonti comunitarie di recente introduzione illumina l’indagine: in particolare, la stessa Direttiva 2004/83CE sulla qualifica di rifugiato e sulla protezione sussidiaria consolida quanto stabilito dalle disposizioni convenzionali, ma ne estende la portata in modo significativo, recependo gli esiti della lunga evoluzione giurisprudenziale compiuta dalle corti nazionali e dal Giudice di Strasburgo nell’interpretazione del concetto di “persecuzione” (specialmente, in relazione all’individuazione delle azioni e degli agenti persecutori). Con riferimento al sistema giuridico italiano, la tesi si interroga sulle prospettive di attuazione del dettato dell’art. 10, terzo comma della Costituzione, ed inoltre propone la disamina di alcuni istituti chiave dell’attuale normativa in materia di asilo, attraverso cui si riscontrano importanti profili di incompatibilità con la natura di diritto fondamentale costituzionalmente tutelato, conferita al diritto di asilo dalla volontà dei Costituenti e radicata nella ratio della norma stessa (il trattenimento del richiedente asilo; la procedura di esame della domanda, l’onere probatorio e le cause ostative al suo accoglimento; l’effettività della tutela giurisdizionale). Le questioni più problematiche ancora irrisolte investono proprio tali aspetti del procedimento - previsto per ottenere quello che alcuni atti europei, tra cui l'art. 18 della Carta di Nizza, definiscono right to asylum - come rivela la disciplina contenuta nella Direttiva 2005/85CE, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. Infine, il fenomeno della esternalizzazione dei controlli compromette lo stesso accesso alle procedure, nella misura in cui rende "mobile" il confine territoriale dell’area Schengen (attraverso l'introduzione del criterio dello "Stato terzo sicuro", degli strumenti dell'esame preliminare delle domande e della detenzione amministrativa nei Paesi di transito, nonché per mezzo del presidio delle frontiere esterne), relegando il trattamento dei richiedenti asilo ad uno spazio in cui non sempre è monitorabile l'effettivo rispetto del principio del non refoulement, degli obblighi internazionali relativi all’accoglienza dei profughi e delle clausole di determinazione dello Stato competente all'esame delle domande ai sensi del Regolamento n. 343/03, c.d. Dublino II (emblematico il caso del pattugliamento delle acque internazionali e dell'intercettazione delle navi prima del superamento dei confini territoriali). Questi delicati aspetti di criticità della disciplina procedimentale limitano il carattere innovativo delle recenti acquisizioni comunitarie sull’ambito di operatività delle nuove categorie definitorie introdotte (le qualifiche di rifugiato e di titolare di protezione sussidiaria e la complessa nozione di persecuzione, innanzitutto), richiedendo, pertanto, l’adozione di un approccio sistemico – piuttosto che analitico – per poter rappresentare in modo consapevole le dinamiche che concretamente si producono a livello applicativo ed affrontare la questione nodale dell'efficienza dell'attuale sistema multilivello di protezione del richiedente asilo.

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La ricerca consiste nell’analisi degli elementi normativi che caratterizzano l’azione della Comunità in materia di alimenti. L’obiettivo è quello di verificare l’esistenza di un nucleo di principi comuni cui il legislatore comunitario si ispira nella ricerca di un equilibrio tra le esigenze di tutela della salute e quelle relative alla libera circolazione degli alimenti. Lo studio si apre con la ricostruzione storica delle principali fasi che hanno condotto alla definizione della politica comunitaria di sicurezza alimentare. Durante i primi anni del processo di integrazione europea, l’attenzione del legislatore comunitario si è concentrata sugli alimenti, esclusivamente in virtù della loro qualità di merci. La tutela della salute rimaneva nella sfera di competenza nazionale e le incursioni del legislatore comunitario in tale settore erano volte ad eliminare le divergenze normative suscettibili di rappresentare un ostacolo al commercio. Nella trattazione sono illustrati i limiti che un approccio normativo essenzialmente orientato alla realizzazione del mercato interno era in grado potenzialmente di creare sul sistema e che le vicende legate alle crisi alimentari degli anni Novanta hanno contribuito a rendere evidenti. Dall’urgenza di un coinvolgimento qualitativamente diverso della Comunità nelle tematiche alimentari, si è sviluppata progressivamente la necessità di una politica che fosse in grado di determinare un punto di equilibrio tra le esigenze di sicurezza alimentare e quelle della libera circolazione degli alimenti. Il risultato di tale processo di riflessione è stata l’adozione del Regolamento 178/2002 CE che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare ed istituisce l’Autorità per la sicurezza alimentare. Nei capitoli successivi, è svolta un’analisi dettagliata delle innovazioni normative introdotte nell’ambito dell’azione comunitaria in materia di alimenti, con l’obiettivo di verificare se tale riforma abbia impresso alla formazione delle regole in materia di alimenti caratteristiche e specificità proprie. In particolare, vengono esaminate le finalità della politica alimentare comunitaria, evidenziando il ruolo centrale ormai assunto dalla tutela della salute rispetto al principio fondamentale della libera circolazione. Inoltre, l’analisi si concentra nell’identificazione del campo di applicazione materiale – la definizione di alimento – e personale – la definizione di impresa alimentare e di consumatore – della legislazione alimentare. Successivamente, l'analisi si concentra s sui principi destinati ad orientare l’attività normativa della Comunità e degli Stati membri nell’ambito del settore in precedenza individuato. Particolare attenzione viene dedicata allo studio dell’interazione tra l’attività di consulenza scientifica e la fase politico-decisionale, attraverso l’approfondimento del principio dell’analisi dei rischi, del principio di precauzione e del principio di trasparenza. Infine, l’analisi si conclude con lo studio di alcuni requisiti innovativi introdotti dal Regolamento 178 come la rintracciabilità degli alimenti, l’affermazione generale dell’esigenza di garantire la sicurezza dei prodotti e la responsabilità primaria degli operatori del settore alimentare. Il risultato del profondo ripensamento del sistema attuato con il Regolamento 178 é la progressiva individuazione di un quadro di principi e requisiti orizzontali destinati ad imprimere coerenza ed organicità all’azione della Comunità in materia di alimenti. Tale tendenza è inoltre confermata dalla giurisprudenza comunitaria che utilizza tali principi in chiave interpretativa ed analogica. Lo studio si conclude con alcune considerazioni di carattere generale, mettendo in luce la difficoltà di bilanciare le esigenze di protezione della salute con gli imperativi della libera di circolazione degli alimenti. Tale difficoltà dipende dalla natura di merce “complessa” dei prodotti alimentari nel senso che, accanto alla dimensione economica e commerciale, essi sono caratterizzati da un’importante dimensione sociale e culturale. L'indagine svolta mostra come nel settore considerato la ricerca di un equilibrio tra esigenze contrapposte ha prodotto una sostanziale centralizzazione della gestione della politica alimentare a livello europeo.

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L'Autore opera una ricostruzione teorica del concetto di unità della successione, apprezzandone diverse sfumature: un significato più ristretto, per cui esso si lega al concetto di universitas ed individua appunto come unico il complesso delle situazioni giuridiche soggettive riferibili al de cuius; un secondo concetto più ampio, per cui unitarietà della successione mortis causa è il fenomeno per cui la successione nella somma delle posizioni giuridiche spettanti al defunto riceve una unica regolazione legislativa; un terzo profilo, che abbandona il concetto di successione mortis causa in senso giuridico, per accostarsi ad un concetto (piuttosto di natura economica)di unità della vicenda successoria. Se il concetto di unità della successione possiede un triplice, valore, anche la deroga ad esso potrà assumere diverse vesti, a seconda che incida sul primo, sul secondo o sul terzo di questi significati. Se il terzo profilo riguarda piuttosto un concetto economico e non tecnico di successione, ed importa conseguentemente deroghe solo indirette all’unità della successione, l’anomalia può essere di due tipi: possono essere dettate regole particolari per singoli beni, che però rimangono entro l’unica massa ereditaria, pur avendo una destinazione loro propria, e può invece essere creata dal legislatore una separata massa per cui si fa luogo ad una distinta regolazione successoria. Procedendo nella classificazione, le ipotesi di una deroga del primo tipo possono essere definite successioni speciali, riservando alla seconda classe di anomalie il nome di successioni separate. Conclusivamente, l'autore rileva che la disciplina della vicenda successoria, così come consegnata dalla tradizione e sancita ancora nelle norme della codificazione del 1942, non è più caratterizzata dall’assoluto dominio del principio di unità della successione, anche perché non si è rivelata, nella esperienza giuridica successiva alla codificazione, del tutto adeguata, in relazione a determinate categorie di beni e ad alcune categorie di soggetti coinvolti. Il legislatore ha infatti ritenuto di introdurre deroghe, via via maggiori al principio, con riferimento sia ai beni d’impresa sia alla particolare posizione – ed agli interessi tutelati – dei soggetti più vicini al de cuius, come il coniuge ed i parenti che vivessero a suo carico.

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L’oggetto della tesi di dottorato è costituito, nel quadro delle reciproche relazioni tra assetti territoriali e sviluppo economico, dalla dimensione giuridica del governo del territorio. Il diritto del governo del territorio, infatti, sta attraversando, con un ritmo ed una intensità crescenti, una fase di profonde e non sempre lineari trasformazioni. Questi mutamenti, lungi dal limitarsi ad aspetti specifici e particolari, incidono sui «fondamentali» stessi della «materia», arrivando a mettere in discussione le ricostruzioni teoriche più accreditate e le prassi applicative maggiormente consolidate. A dispetto della rilevanza delle innovazioni, però, la dimensione giuridica del governo del territorio seguita ad essere un campo segnato da una notevole continuità ed ambiguità di fondo, dove le innovazioni stesse procedono di pari passo con le contraddizioni. Un’ambiguità che, fatalmente, si riflette sull’azione delle pubbliche amministrazioni cui sono attribuiti compiti in materia. Queste, infatti, trovandosi spesso tra l’«incudine» (delle innovazioni) ed il «martello» (delle contraddizioni), sono costrette ad operare in un contesto fortemente disomogeneo e disarticolato già sul piano normativo. Da qui deriva, altresì, la difficoltà di restituirne una cifra complessiva che non sia la riproposizione di piatte descrizioni del processo di progressivo, ma costante incremento della «complessità» - normativa, organizzativa e funzionale - del sistema giuridico di disciplina del territorio, a cui corrisponde ciò che appare sempre di più come una forma implicita di «rinuncia» a logiche e moduli d’azione più o meno unitari nella definizione degli assetti territoriali: in questo senso, pertanto, vanno lette le ricorrenti affermazioni relative allo stato di crisi che, anche prescindendo dai difetti congeniti della disciplina per come si è venuta giuridicamente a configurare, caratterizza il sistema di pianificazione territoriale ed urbanistica. Si spiega così perché, nonostante il profluvio di interventi da parte dei diversi legislatori, specialmente regionali, si sia ancora ben lontani dal fornire una risposta adeguata ai molteplici profili di criticità del sistema giuridico di disciplina del territorio: tra i quali, su tutti, va sicuramente menzionata la sempre più marcata asimmetria tra la configurazione «ontologicamente» territoriale e spaziale degli strumenti cui si tende a riconoscere la funzione di «motore immobile» dei processi di governo del territorio - i piani - e la componente temporale degli stessi in relazione alle vorticose modificazioni del contesto socio-economico di riferimento. Né, a dire il vero, gli «antidoti» alla complessità, via via introdotti in sede regionale, sembrano aver sortito - almeno fino ad ora - gli effetti sperati. L’esito di tutto ciò, però, non può che essere il progressivo venir meno di logiche unitarie e, soprattutto, «sistemiche» nella definizione degli assetti territoriali. Fenomeno, questo, che - paradossalmente - si manifesta con maggiore intensità proprio nel momento in cui, stante il legame sempre più stretto tra sviluppo socio-economico e competitività dei singoli sistemi territoriali, l’ordinamento dovrebbe muovere nella direzione opposta. Date le premesse, si è dunque strutturato il percorso di ricerca e analisi nel modo seguente. In primo luogo, si sono immaginati due capitoli nei quali sono trattati ed affrontati i temi generali dell’indagine e lo sfondo nel quale essa va collocata: le nozioni di governo del territorio e di urbanistica, nonché quella, eminentemente descrittiva, di governo degli assetti territoriali, i loro contenuti e le funzioni maggiormente rilevanti riconducibili a tali ambiti; la tematica della competitività e degli interessi, pubblici, privati e collettivi correlati allo sviluppo economico dei singoli sistemi territoriali; la presunta centralità riconosciuta, in questo quadro, al sistema di pianificazione territoriale ed urbanistica in una prospettiva promozionale dello sviluppo economico; ma, soprattutto, i riflessi ed i mutamenti indotti al sistema giuridico di disciplina del territorio dall’azione delle dinamiche cosiddette glocal: questo, sia per quanto concerne le modalità organizzative e procedimentali di esercizio delle funzioni da parte dei pubblici poteri, sia per quanto attiene, più in generale, alla composizione stessa degli interessi nella definizione degli assetti territoriali. In secondo luogo, si è reputato necessario sottoporre a vaglio critico il sistema pianificatorio, cercando di evidenziare i fattori strutturali e gli ulteriori elementi che hanno determinato il suo insuccesso come strumento per realizzare le condizioni ‘ottimali’ per lo sviluppo economico delle collettività che usano il territorio. In terzo luogo, poi, si è rivolto lo sguardo al quadro delle soluzioni individuate dalla normativa e, per certi versi, offerte dalla prassi alla crisi che ha investito il sistema di pianificazione del territorio, soffermandosi, specificatamente e con approccio critico, sull’urbanistica per progetti e sull’urbanistica consensuale nelle loro innumerevoli articolazioni e partizioni. Infine, si è provato a dar conto di quelle che potrebbero essere le linee evolutive dell’ordinamento, anche in un’ottica de jure condendo. Si è tentato, cioè, di rispondere, sulla base dei risultati raggiunti, alla domanda se e a quali condizioni il sistema di pianificazione territoriale ed urbanistica possa dirsi il modello preferibile per un governo degli assetti territoriali funzionale a realizzare le condizioni ottimali per lo sviluppo economico.

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L’oggetto della presente tesi di ricerca è l’analisi della situazione attuale della protezione degli interessi finanziari delle Comunità Europee, oltre che le sue prospettive di futuro. Il lavoro è suddiviso in due grandi parti. La prima studia il regime giuridico del Diritto sanzionatorio comunitario, cioè, la competenza sanzionatoria dell’Unione Europea. Questa sezione è stata ricostruita prendendo in considerazione i precetti normativi del Diritto originario e derivato, oltre che le principali sentenze della Corte di Giustizia, tra cui assumono particolare rilievo le sentenze di 27 ottobre 1992, Germania c. Commissione, affare C-240/90 e di 13 settembre 2005 e di 23 ottobre 2007, Commissione c. Consiglio, affari C-176/03 e C-440/05. A questo segue l’analisi del ruolo dei diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario, così come la rilevanza della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il secondo capitolo si sofferma particolarmente sullo studio delle sanzioni comunitarie, classificandole in ragione della loro natura giuridica alla luce anche dei principi generali di legalità, di proporzionalità, di colpevolezza e del non bis in idem. La seconda sezione sviluppa un’analisi dettagliata del regime giuridico della protezione degli interessi finanziari comunitari. Questa parte viene costruita indagando tutta l’evoluzione normativa e istituzionale, in considerazione anche delle novità più recenti (ad esempio, l’istituzione del Pubblico Ministero Europeo). In questo contesto si definisce il contenuto del concetto di interessi finanziari comunitari, dato che non esiste un’analoga definizione comunitaria della fattispecie. L’attenzione del dottorando si concentra poi sulla Convenzione avente ad oggetto la tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee e i regolamenti del Consiglio n. 2988/95 e 2185/96, che costituiscono la parte generale del Diritto sanzionatorio comunitario. Alla fine si esamina la ricezione della Convenzione PIF nel Codice Penale spagnolo e i principali problemi di cui derivano. L’originalità dell’approccio proposto deriva dell’assenza di un lavoro recente che, in modo esclusivo e concreto, analizzi la protezione amministrativa e penale degli interessi finanziari della Comunità. Inoltre, la Carta Europea di Diritti Fondamentali e il Trattato di Lisbona sono due grandi novità che diventeranno una realtà tra poco tempo.

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Il tennis è uno sport molto diffuso che negli ultimi trent’anni ha subito molti cambiamenti. Con l’avvento di nuovi materiali più leggeri e maneggevoli la velocità della palla è aumentata notevolmente, rendendo così necessario una modifica a livello tecnico dei colpi fondamentali. Dalla ricerca bibliografica sono emerse interessanti indicazioni su angoli e posizioni corporee ideali da mantenere durante le varie fasi dei colpi, confrontando i giocatori di altissimo livello. Non vi sono invece indicazioni per i maestri di tennis su quali siano i parametri più importanti da allenare a seconda del livello di gioco del proprio atleta. Lo scopo di questa tesi è quello di individuare quali siano le variabili tecniche che influenzano i colpi del diritto e del servizio confrontando atleti di genere differente, giocatori di livello di gioco diverso (esperti, intermedi, principianti) e dopo un anno di attività programmata. Confrontando giocatori adulti di genere diverso, è emerso che le principali differenze sono legate alle variabili di prestazione (velocità della palla e della racchetta) per entrambi i colpi. Questi dati sono simili a quelli riscontrati nel test del lancio della palla, un gesto non influenzato dalla tecnica del colpo. Le differenze tecniche di genere sono poco rilevanti ed attribuibili alla diversa interpretazione dei soggetti. Nel confronto di atleti di vario livello di gioco le variabili di prestazione presentano evidenti differenze, che possono essere messe in relazione con alcune differenze tecniche rilevate nei gesti specifici. Nel servizio i principianti tendono a direzionare l’arto superiore dominante verso la zona bersaglio, abducendo maggiormente la spalla ed avendo il centro della racchetta più a destra rispetto al polso. Inoltre, effettuano un caricamento minore degli arti inferiori, del tronco e del gomito. Per quanto riguarda il diritto si possono evidenziare queste differenze: l’arto superiore è sempre maggiormente esteso per il gruppo dei principianti; il tronco, nei giocatori più abili viene utilizzato in maniera più marcata, durante la fase di caricamento, in movimenti di torsione e di inclinazione laterale. Gli altri due gruppi hanno maggior difficoltà nell’eseguire queste azioni preparatorie, in particolare gli atleti principianti. Dopo un anno di attività programmata sono stati evidenziati miglioramenti prestativi. Anche dal punto di vista tecnico sono state notate delle differenze che possono spiegare il miglioramento della performance nei colpi. Nel servizio l’arto superiore si estende maggiormente per colpire la palla più in alto possibile. Nel diritto sono da sottolineare soprattutto i miglioramenti dei movimenti del tronco in torsione ed in inclinazione laterale. Quindi l’atleta si avvicina progressivamente ad un’esecuzione tecnica corretta. In conclusione, dal punto di vista tecnico non sono state rilevate grosse differenze tra i due generi che possano spiegare le differenze di performance. Perciò questa è legata più ad un fattore di forza che dovrà essere allenata con un programma specifico. Nel confronto fra i vari livelli di gioco e gli effetti di un anno di pratica si possono individuare variabili tecniche che mostrano differenze significative tra i gruppi sperimentali. Gli evoluti utilizzano tutto il corpo per effettuare dei colpi più potenti, utilizzando in maniera tecnicamente più valida gli arti inferiori, il tronco e l’arto superiore. I principianti utilizzano prevalentemente l’arto superiore con contributi meno evidenti degli altri segmenti. Dopo un anno di attività i soggetti esaminati hanno dimostrato di saper utilizzare meglio il tronco e l’arto superiore e ciò può spiegare il miglioramento della performance. Si può ipotizzare che, per il corretto utilizzo degli arti inferiori, sia necessario un tempo più lungo di apprendimento oppure un allenamento più specifico.