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La definizione dell’ordinamento dell’Unione come ordinamento costituzionale è centrale, ma resta frammentata. Per restituirle sistematicità è importante individuare un principio sul quale poggiarne il consolidamento. Per questo si è scelto di esaminare il principio di non discriminazione attraverso l’analisi della giurisprudenza, con l’obiettivo di verificare se questo principio è parte fondamentale dell’identità costituzionale dell’Unione Europea. Nella prima parte della tesi si analizza la struttura del giudizio sulla discriminazione davanti alla CGUE e davanti alla CEDU, mettendo in evidenza come la struttura ricordi sempre di più quella del giudizio di costituzionalità. Nella seconda parte ci si concentra sul contributo dato dal principio di non discriminazione all’identità costituzionale dell’Unione Europea attraverso la lotta contro specifiche tipologie di discriminazione. Poiché i motivi di discriminazione sono molto numerosi, si è stabilito di esaminare quei motivi che sono regolati dal diritto derivato. Per questo la seconda parte dell’analisi si è concentrata sulle discriminazioni a motivo della nazionalità (dir. 2004/38/CE), della razza (dir. 2000/43/CE), del genere (dir. 2006/54/CE, dir. 2004/113/CE) dell’età, disabilità, religione ed orientamento sessuale (dir. 2000/78/CE). Dall’analisi della giurisprudenza e del diritto derivato che ne dà attuazione è possibile comprendere che questo principio, oltre ad essere sostenuto da un vero e proprio giudizio di legittimità costituzionale (il rinvio pregiudiziale), ha gli strumenti necessari a permetterne lo sviluppo tenendo conto delle identità costituzionali degli stati membri e può aiutare ad offrire delle risposte rispetto a uno dei problemi fondamentali inerenti all’efficacia del diritto dell’Unione Europea: la tensione fra il principio di attribuzione e la dottrina degli effetti diretti. Le conclusioni di questo lavoro portano a sostenere che è possibile individuare una giurisprudenza della Corte che, attraverso alcuni passaggi fondamentali (le sentenze Mangold, Kucukdeveci, Hay, Deckmyn e Zambrano), definisce il principio di non discriminazione come principio fondamentale, e costituzionale, del diritto dell’Unione Europea.
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L'elaborato, dopo aver esaminato le modifiche operate dalla legge n. 190 del 2012, svolge una dettagliata analisi della giurisprudenza intervenuta in seguito all'approvazione della riforma.
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La detenzione amministrativa degli stranieri, pur condividendo il carattere tipicamente afflittivo e stigmatizzante delle pene, non si fonda sulla commissione di un reato e non gode delle medesime garanzie previste dal sistema della giustizia penale. Nel nostro ordinamento l’inadeguatezza della legislazione, l’ampio margine di discrezionalità rimesso all’autorità di pubblica sicurezza, nonché il debole potere di sindacato giurisdizionale rimesso all’autorità giudiziaria, raggiungono il loro apice problematico nell’ambito delle pratiche di privazione della libertà personale che hanno per destinatari gli stranieri maggiormente vulnerabili, ossia quelli appena giunti sul territorio e il cui status giuridico non è ancora stato accertato (c.d. situazione di pre-admittance). E’ proprio sulla loro condizione che il presente lavoro si focalizza maggiormente. Le detenzioni de facto degli stranieri in condizione di pre-admittance sono analizzate, nel primo capitolo, a partire dal “caso Lampedusa”, descritto alla luce dell’indagine sul campo condotta dall’Autrice. Nel secondo capitolo viene ricostruito lo statuto della libertà personale dello straniero sulla base dei principi costituzionali e, nel terzo capitolo, sono analizzati i principi che informano il diritto alla libertà personale nell’ambito delle fonti sovranazionali, con particolare riferimento al diritto dell’Unione Europea e al sistema della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Sulla scorta dei principi indagati, nel quarto capitolo è tracciata l’evoluzione legislativa in materia di detenzione amministrativa dello straniero in Italia e, nel quinto capitolo, è approfondito il tema dei Centri dell’immigrazione e delle regole che li disciplinano. Nelle conclusioni, infine, sono tirate le fila del percorso tracciato, attraverso la valutazione degli strumenti di tutela in grado di prevenire le pratiche di privazione della libertà informali e di garantire uno standard minimo nella tutela della libertà individuale, anche nelle zone di frontiera del nostro ordinamento.
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Il danno da perdita di chance rappresenta la categoria giuridica di cui la giurisprudenza si serve per ampliare i confini della tutela risarcitoria, in diversi casi in cui, alla stregua dell’impostazione dogmatica tradizionale, non potrebbe dirsi configurabile un danno-conseguenza (né sotto forma di danno emergente, né sotto forma di lucro cessante). Lo studio, una volta delimitato il campo dell’indagine e dato conto delle opinioni dottrinali sulla ricostruzione della figura, ha preso le mosse dall’illustrazione degli orientamenti della giurisprudenza, la quale, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, è andata via via applicando l’istituto nei settori del diritto del lavoro, della responsabilità professionale (in particolare dell’avvocato), e del danno alla persona (nel quale ultimo si è messo in luce come il danno da perdita di chance possa rivestire funzione unicamente descrittiva di tipologie di pregiudizio riconducibili alle “tradizionali” voci di danno). Nel secondo capitolo si è analiticamente esaminata la fattispecie del danno da perdita di chance, alla luce delle categorie e dei principi generali della responsabilità civile, vagliando i margini di “armonizzabilità” dell’istituto rispetto alle classificazioni in termini di danno emergente/lucro cessante, danno presente/futuro, danno-evento/danno-conseguenza, nonché rispetto alle regole sulla causalità, al requisito dell’ingiustizia del danno, e alle tecniche di liquidazione del danno. Nell’ultimo capitolo, si è proceduto, poi, a “calare” l’istituto del danno da perdita di chance nel “sottosettore” della responsabilità sanitaria, sottoponendo a verifica la “tenuta teorica” della sua “variante” non patrimoniale al cospetto della recente novella legislativa rappresentata dalla l. n. 24/17, nonché degli orientamenti giurisprudenziali che, negli ultimi due anni, hanno interessato i temi dell’onere della prova del nesso causale e dello stesso danno da perdita di chance non patrimoniale. A conclusione dello studio, si sono svolte, infine, alcune considerazioni sulle criticità che precludono un’armonica “riconduzione a sistema” dell’istituto, consigliandone il definitivo abbandono.
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Nell’epoca di profonda transizione dell’era «pos-moderna», il modello tradizionale di legalità che conferisce al Parlamento il monopolio in materia penale entra in crisi in ragione della frammentazione delle fonti del diritto - a livello nazionale e sovranazionale - nonché delle spinte di globalizzazione capaci di incidere, ormai, ben oltre il mero piano economico. A fronte della incapacità del legislatore di rispondere in termini effettivi alla urgenza di razionalizzare e riformare il sistema penale, quindi, il potere giudiziario ha assunto una funzione di sostanziale supplenza, generando inevitabili attriti con il nullum crimen e i suoi corollari. Ne deriva che il Giudice di legittimità sempre più si preoccupa di assicurare la prevedibilità dei mutamenti interpretativi, specie se in malam partem, tenendo a mente gli ultimi approdi della giurisprudenza di Strasburgo in riferimento all’art. 7 CEDU. In particolare, tanto nelle motivazioni delle decisioni quanto nei contributi dottrinali, si diffonde graduale il riferimento a istituti propri del modello di common law: la recente riforma dell’art. 618, co 1 bis, c.p.p., del resto, è stata descritta a più voci come l’avvio della diffusione nell’ordinamento interno della c.d. “cultura del precedente”. In tale frangente, diviene utile approfondire l’opportunità dell’accostamento tra il modello di common law e di civil law, conducendo uno studio comparato tra i due ordinamenti quanto all’esercizio del potere punitivo che intende esaminare l’opportunità di acquisire rimedi propri della esperienza secolare del diritto judge-made in un ordinamento governato dalla soggezione del giudice alla legge.
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La identidad nacional es una categoría jurídica central del Derecho de la Unión que puede ser particularmente apta a los fines de articular un mejor encaje entre los ordenamientos jurídicos nacionales y el sistema jurídico europeo. Se enmarca en un debate clásico de la construcción europea relativo a cómo conciliar una integración cada vez más acentuada con el debido respeto a la diversidad estatal. Se caracteriza por tratarse de una figura jurídica sumamente controvertida, existiendo una rica y abierta discusión en relación a su sentido y a su alcance. Con la entrada en vigor del Tratado de Lisboa en el año 2009, la nueva redacción de la cláusula de identidad nacional ha suscitado un interés renovado tanto por parte de la doctrina como de la jurisprudencia nacional y europea gracias a su mayor elaboración y a la ampliación de las potestades de la jurisdicción supranacional. La presente tesis doctoral ofrece un análisis integral de esta norma desde una aproximación dialéctica, que comprende tanto la visión acuñada por el Tribunal de Justicia como la percepción que de la misma mantienen los Tribunales Constitucionales nacionales, en tanto que guardianes supremos del ordenamiento constitucionales interno. Cada uno de los cuales sostiene una visión no exactamente coincidente sobre la norma suprema y la autoridad judicial última en el complejo sistema constitucional común europeo. Se lleva a cabo un estudio desde una perspectiva histórica y actual, sustantiva y procesal, descriptiva y valorativa, así como una parte propositiva por medio de la cual se propone un modelo para la resolución de este tipo de conflictos en sede judicial.
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La presente tesi affronta l’evoluzione dei rapporti tra costituzionalismo democratico e diritto sovranazionale in Europa. L’ipotesi della ricerca si basa sull’idea che l’aumentare sempre più incessante negli ultimi decenni di conflitti costituzionali tra i due ordinamenti sia dovuto ad una loro differenza di fondo, di cui una parte importante è rappresentata dall’assenza della questione sociale nel diritto sovranazionale. Il primo capitolo si occupa di analizzare le principali teorie giuridiche che hanno fornito l’habitus teorico per leggere il processo di integrazione, giustificando l’adozione di una lettura delle dinamiche ordinamentali attraverso il prisma dei conflitti e della costituzione materiale. Nel secondo capitolo si volge lo sguardo all’analisi del diritto giurisprudenziale, suddiviso in due blocchi: un primo in cui – dopo aver approfondito alcuni capisaldi del diritto sovranazionale – si confrontano i due sistemi, in maniera statica, su alcuni temi (principio di non discriminazione, libertà di impresa e il bilanciamento con interessi collettivi, i diritti di pressione democratica, ecc.) per mettere in luce i diversi approcci; un secondo blocco in cui, invece, si studiano, in maniera più dinamica, le diverse perturbazioni che hanno interessato i rapporti tra ordinamenti, di cui una prima si è sviluppata sul rispetto dei diritti fondamentali da parte del diritto sovranazionale, mentre una seconda, ancora in corso, si concentra sul discorso sull’identità costituzionale. Nel terzo capitolo, in chiusura, si prova a sviluppare – sulla base delle risultanze del dibattito teorico e dell’analisi giurisprudenziale – una proposta finale che cerchi di unire la questione sociale e il discorso sull’identità costituzionale nel diritto pubblico europeo, che abbia alla sua base un nuovo e più centrale ruolo che dovranno svolgere le Corti costituzionali nello sviluppo delle dinamiche ordinamentali, al fine di far emergere alcuni conflitti di valore assenti nello spazio pubblico europeo.
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Il dibattito giuridico, politico ed economico in tema di protezione dei diritti sociali nel contesto del processo di integrazione europea risale alle origini stesse di tale processo. A circa dieci anni dall’attribuzione alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE dello stesso valore giuridico dei Trattati, sembra possibile tracciare un primo bilancio in termini di aspettative inverate ed aspettative non soddisfatte quanto alla giustiziabilità dei diritti sociali fondamentali contenuti nel Titolo IV direttamente o indirettamente al rapporto di impiego (articoli da 27 a 34). A questo fine, la tesi ha adottato una struttura tripartita capace di coniugare una metodologia di analisi pratica, in relazione alla giurisprudenza della Corte di giustizia UE post Lisbona (Capitolo III), con un’analisi dal carattere maggiormente teorico-ricostruttivo (Capitoli I e II). La ricerca cerca di dimostrare come tanto i più interessanti sviluppi quanto i limiti registratisi nella giurisprudenza della CGUE (rispettivamente, l’efficacia diretta, anche orizzontale, di alcuni di essi negli ordinamenti nazionali, e la determinazione del loro ambito di applicazione e delle modalità di interazione con il diritto secondario e primario) possano essere meglio compresi tenendo in debito conto il percorso ed il significato di ciascuno di tali diritti nel contesto del processo di integrazione europea. In breve, si sostiene che la “costituzionalizzazione” dei diritti sociali in esame abbia certamente un “valore aggiunto” che, tuttavia, riflette la natura sui generis e le finalità dell’Unione, il sistema di riparto di competenze tra Stati membri e Unione, ed il significato ultimo del sistema UE di tutela dei diritti fondamentali. Ciò non toglie che questi caratteri, con il tempo, possano infine mutare.
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Il presente lavoro intende indagare la formulazione di nozioni autonome di diritto europeo nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto elaborate dalla Corte di giustizia. Più specificamente si intende proporre una tassonomia convenzionale delle nozioni autonome, utile alla loro sistematizzazione e miglior comprensione, fondata sulla distinzione fondamentale tra nozioni autonome e nozioni proprie. A questo scopo il lavoro propone un’ampia analisi delle nozioni nella giurisprudenza europea che vengono distinte a seconda che l’obiettivo finale dell’autonomia sia quello di limitare la discrezionalità applicativa degli Stati relativamente a ipotesi derogatorie, nel caso delle nozioni autonome in senso stretto; oppure che l’obiettivo ultimo sia quello di meglio definire l’ambito di applicazione di nozioni fondamentali nella struttura dell’imposta, nel caso delle nozioni proprie. Lo scopo del lavoro è dimostrare che la definizione funzionalistica risponde a obiettivi diversi, accomunati dal fatto di far valere comunque il primato dell'ordinamento europeo. L’analisi e la sistematizzazione proposte possono essere uno strumento utile nell’attuazione, interpretazione e applicazione delle nozioni. In questo senso, il lavoro esamina anche esempi tratti dalle esperienze nazionali che dimostrino, da un lato, che gli interventi della Corte relativi alle nozioni influenzano gli ordinamenti nazionali; dall’altro, che permangono ancora disallineamenti. L’analisi della giurisprudenza europea e dei regimi nazionali, infine, vuole dimostrare che l’elaborazione di nozioni autonome si inserisce nel processo verso un’armonizzazione sempre più incisiva in ambito IVA, di cui è protagonista la Corte di giustizia. Questo processo, cui l’elaborazione di un “tessuto concettuale europeo” contribuisce, comporta una limitazione della discrezionalità degli Stati, e quindi del principio di attribuzione, in nome dell’efficacia e della primazia del diritto europeo.
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la tesi esamina l’applicazione del controllo sugli aiuti di Stato in materia fiscale tramite la disamina della giurisprudenza della Corte di giustizia. Il lavoro intende fornire una nuova prospettiva di analisi, valorizzando l’interazione tra la nozione di ‘aiuto fiscale’ ex art. 107(1) TFUE e le categorie tributarie nazionali, sottese all’applicazione del “test in tre fasi” coniato dalla Corte per identificare la presenza di un ‘vantaggio selettivo’. Facendo applicazione di tale prospettiva di analisi, la ricerca propone una nuova categorizzazione della ‘selettività fiscale’, tramite la quale vengono affrontate le tematiche più controverse legate all’applicazione dell’istituto. Infine, considerando i numerosi progetti di riforma della fiscalità diretta attualmente al vaglio delle Istituzioni europee, la tesi si confronta con il “futuro” del controllo sugli aiuti di Stato, identificato nella necessaria interazione con una cornice normativa armonizzata.
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The internet and digital technologies revolutionized the economy. Regulating the digital market has become a priority for the European Union. While promoting innovation and development, EU institutions must assure that the digital market maintains a competitive structure. Among the numerous elements characterizing the digital sector, users’ data are particularly important. Digital services are centered around personal data, the accumulation of which contributed to the centralization of market power in the hands of a few large providers. As a result, data-driven mergers and data-related abuses gained a central role for the purposes of EU antitrust enforcement. In light of these considerations, this work aims at assessing whether EU competition law is well-suited to address data-driven mergers and data-related abuses of dominance. These conducts are of crucial importance to the maintenance of competition in the digital sector, insofar as the accumulation of users’ data constitutes a fundamental competitive advantage. To begin with, part 1 addresses the specific features of the digital market and their impact on the definition of the relevant market and the assessment of dominance by antitrust authorities. Secondly, part 2 analyzes the EU’s case law on data-driven mergers to verify if merger control is well-suited to address these concentrations. Thirdly, part 3 discusses abuses of dominance in the phase of data collection and the legal frameworks applicable to these conducts. Fourthly, part 4 focuses on access to “essential” datasets and the indirect effects of anticompetitive conducts on rivals’ ability to access users’ information. Finally, Part 5 discusses differential pricing practices implemented online and based on personal data. As it will be assessed, the combination of an efficient competition law enforcement and the auspicial adoption of a specific regulation seems to be the best solution to face the challenges raised by “data-related dominance”.
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This thesis is about the smart home, a connected ambience that will help consumers to live a more environmentally sustainable life and will help vulnerable categories of consumers to live a more autonomous life, thanks to the pervasive use of the Internet of Things (IoT) technology. In particular, civil liability for the malfunctioning of the smart home is the filter through which the research is carried out. I analyse whether the actual legal liability rules are ready or not to adapt to this new connected environment, such as the IoT-powered smart home. Through careful mapping of the technical and legal state of the art, the thesis argues that the EU rules on product liability contained in the Product Liability Directive (PLD) will apply consistently to these objects. This holds true even if at the time of the drafting of the thesis, the proposal on the update of the PLD had not been published yet. Through the analysis of past PLD cases, new American products liability case-law on domestic IoT objects and the latest legal scholarship’s contributions and policy inputs it was possible to anticipate some of the contents of the newly published EU PLD Update proposal.
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Nowadays, cities deal with unprecedented pollution and overpopulation problems, and Internet of Things (IoT) technologies are supporting them in facing these issues and becoming increasingly smart. IoT sensors embedded in public infrastructure can provide granular data on the urban environment, and help public authorities to make their cities more sustainable and efficient. Nonetheless, this pervasive data collection also raises high surveillance risks, jeopardizing privacy and data protection rights. Against this backdrop, this thesis addresses how IoT surveillance technologies can be implemented in a legally compliant and ethically acceptable fashion in smart cities. An interdisciplinary approach is embraced to investigate this question, combining doctrinal legal research (on privacy, data protection, criminal procedure) with insights from philosophy, governance, and urban studies. The fundamental normative argument of this work is that surveillance constitutes a necessary feature of modern information societies. Nonetheless, as the complexity of surveillance phenomena increases, there emerges a need to develop more fine-attuned proportionality assessments to ensure a legitimate implementation of monitoring technologies. This research tackles this gap from different perspectives, analyzing the EU data protection legislation and the United States and European case law on privacy expectations and surveillance. Specifically, a coherent multi-factor test assessing privacy expectations in public IoT environments and a surveillance taxonomy are proposed to inform proportionality assessments of surveillance initiatives in smart cities. These insights are also applied to four use cases: facial recognition technologies, drones, environmental policing, and smart nudging. Lastly, the investigation examines competing data governance models in the digital domain and the smart city, reviewing the EU upcoming data governance framework. It is argued that, despite the stated policy goals, the balance of interests may often favor corporate strategies in data sharing, to the detriment of common good uses of data in the urban context.
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La tesi indaga l’applicazione del principio di autonomia del diritto UE nella giurisprudenza della Corte di giustizia. In particolare, il lavoro mira ad analizzare le modalità attraverso cui il principio viene adoperato come parametro di compatibilità, ai fini dello scrutinio della Corte, in quei casi riguardanti il rapporto tra giurisdizioni di diritto internazionale e diritto dell’Unione. Una volta delineato il contesto teorico di partenza, concernente il significato dell’autonomia del diritto UE all’interno del “quadro costituzionale” dell’Unione, si passa all’analisi, caso per caso, della prassi giurisprudenziale, al fine di individuare ed estrapolare gli elementi costanti nei casi. La disamina svolta parte da pronunce celebri, tra cui il parere 1/91, Kadi e il parere 2/13, in cui il principio nasce e si sviluppa. Successivamente, si passa alle pronunce più recenti, componenti la c.d. saga Achmea, riguardante la compatibilità con il principio di autonomia dei meccanismi ISDS. I risultati raccolti nell’analisi vengono sintetizzati in modo da ricostruire un test di compatibilità unitario e astratto, composto da tre elementi. Si arriva così, per via induttiva, all’elaborazione di un modello idoneo a spiegare le modalità di applicazione del principio di autonomia come parametro di compatibilità. Sulla scorta di ciò vengono formulate considerazioni e riflessioni concernenti le principali implicazioni per l’ordinamento UE e per i suoi attori, che derivano dal principio di autonomia e dal suo utilizzo giurisprudenziale. Infine, si prende in considerazione una visione del principio di autonomia alternativa a quella emersa nel corso della trattazione e se ne valuta il potenziale impatto sulla concezione e sull’applicazione del principio stesso.
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Il presente studio delinea alcuni degli effetti del cambiamento climatico sul diritto internazionale. Si concentra su due principali fenomeni, la scomparsa dello Stato e le migrazioni ambientali. Questa ricerca si pone l’obiettivo di dimostrare che, nonostante il cambiamento climatico abbia un forte impatto sulla vita di estese popolazioni e di molti Stati, il diritto internazionale attualmente non abbia ancora trovato gli strumenti adeguati per disciplinare le conseguenze di questi fenomeni. Per farlo ci si è basati sullo studio delle fonti del diritto internazionale, soprattutto di soft law, sugli studi della dottrina e su alcuni casi giurisprudenziali. L'elaborato è diviso in tre capitoli, un'introduzione e una conclusione. Il primo capitolo è dedicato al fenomeno dell'innalzamento del livello del mare e alle sue conseguenze sulla statualità, diritti umani e diritto del mare. Il secondo al fenomeno delle migrazioni ambientali e all’individuazione di una tutela per questa categoria. Il terzo si concentra sui tentativi volti alla previsione di una responsabilità degli Stati per mancata mitigazione degli effetti del cambiamento climatico andando ad analizzare due casi emblematici e le richieste pendenti di chiarimenti alle Corti in questo senso. Si indaga infine sulla possibilità e opportunità di investire un organo con potere coercitivo come il Consiglio di Sicurezza della responsabilità di far fronte all’inazione degli Stati rispetto alle minacce del cambiamento climatico, allo scopo di imporre il rispetto di determinati standard. Nonostante l’interesse della comunità internazionale rispetto a queste tematiche sia dimostrato dall’adozione di svariati strumenti di soft law volte all’inquadramento di questi fenomeni e alla tutela di Stati e individui, dal lavoro svolto emerge come ancora non sia matura la volontà di istituire un sistema adeguato ed effettivo.