86 resultados para VARIACION GENETICA
Resumo:
Leaf rust caused by Puccinia triticina is a serious disease of durum wheat (Triticum durum) worldwide. However, genetic and molecular mapping studies aimed at characterizing leaf rust resistance genes in durum wheat have been only recently undertaken. The Italian durum wheat cv. Creso shows a high level of resistance to P. triticina that has been considered durable and that appears to be due to a combination of a single dominant gene and one or more additional factors conferring partial resistance. In this study, the genetic basis of leaf rust resistance carried by Creso was investigated using 176 recombinant inbred lines (RILs) from the cross between the cv. Colosseo (C, leaf rust resistance donor) and Lloyd (L, susceptible parent). Colosseo is a cv. directly related to Creso with the leaf rust resistance phenotype inherited from Creso, and was considered as resistance donor because of its better adaptation to local (Emilia Romagna, Italy) cultivation environment. RILs have been artificially inoculated with a mixture of 16 Italian P. triticina isolates that were characterized for virulence to seedlings of 22 common wheat cv. Thatcher isolines each carrying a different leaf rust resistance gene, and for molecular genotypes at 15 simple sequence repeat (SSR) loci, in order to determine their specialization with regard to the host species. The characterization of the leaf rust isolates was conducted at the Cereal Disease Laboratory of the University of Minnesota (St. Paul, USA) (Chapter 2). A genetic linkage map was constructed using segregation data from the population of 176 RILs from the cross CL. A total of 662 loci, including 162 simple sequence repeats (SSRs) and 500 Diversity Arrays Technology markers (DArTs), were analyzed by means of the package EasyMap 0.1. The integrated SSR-DArT linkage map consisted of 554 loci (162 SSR and 392 DArT markers) grouped into 19 linkage blocks with an average marker density of 5.7 cM/marker. The final map spanned a total of 2022 cM, which correspond to a tetraploid genome (AABB) coverage of ca. 77% (Chapter 3). The RIL population was phenotyped for their resistance to leaf rust under artificial inoculation in 2006; the percentage of infected leaf area (LRS, leaf rust susceptibility) was evaluated at three stages through the disease developmental cycle and the area under disease progress curve (AUDPC) was then calculated. The response at the seedling stage (infection type, IT) was also investigated. QTL analysis was carried out by means of the Composite Interval Mapping method based on a selection of markers from the CL map. A major QTL (QLr.ubo-7B.2) for leaf rust resistance controlling both the seedling and the adult plant response, was mapped on the distal region of chromosome arm 7BL (deletion bin 7BL10-0.78-1.00), in a gene-dense region known to carry several genes/QTLs for resistance to rusts and other major cereal fungal diseases in wheat and barley. QLr.ubo-7B.2 was identified within a supporting interval of ca. 5 cM tightly associated with three SSR markers (Xbarc340.2, Xgwm146 e Xgwm344.2), and showed an R2 and an LOD peak value for the AUDPC equal to 72.9% an 44.5, respectively. Three additional minor QTLs were also detected (QLr.ubo-7B.1 on chr. 7BS; QLr.ubo-2A on chr. 2AL and QLr.ubo-3A on chr. 3AS) (Chapter 4). The presence of the major QTL (QLr.ubo-7B.2) was validated by a linkage disequilibrium (LD)-based test using field data from two different plant materials: i) a set of 62 advanced lines from multiple crosses involving Creso and his directly related resistance derivates Colosseo and Plinio, and ii) a panel of 164 elite durum wheat accessions representative of the major durum breeding program of the Mediterranean basin. Lines and accessions were phenotyped for leaf rust resistance under artificial inoculation in two different field trials carried out at Argelato (BO, Italy) in 2006 and 2007; the durum elite accessions were also evaluated in two additional field experiments in Obregon (Messico; 2007 and 2008) and in a green-house experiment (seedling resistance) at the Cereal Disease Laboratory (St. Paul, USA, 2008). The molecular characterization involved 14 SSR markers mapping on the 7BL chromosome region found to harbour the major QTL. Association analysis was then performed with a mixed-linear-model approach. Results confirmed the presence of a major QTL for leaf rust resistance, both at adult plant and at seedling stage, located between markers Xbarc340.2, Xgwm146 and Xgwm344.2, in an interval that coincides with the supporting interval (LOD-2) of QLr.ubo-7B.2 as resulted from the RIL QTL analysis. (Chapter 5). The identification and mapping of the major QTL associated to the durable leaf rust resistance carried by Creso, together with the identification of the associated SSR markers, will enhance the selection efficiency in durum wheat breeding programs (MAS, Marker Assisted Selection) and will accelerate the release of cvs. with durable resistance through marker-assisted pyramiding of the tagged resistance genes/QTLs most effective against wheat fungal pathogens.
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Lo studio condotto si propone l’approfondimento delle conoscenze sui processi di evoluzione spontanea di comunità vegetali erbacee di origine secondaria in cinque siti all’interno di un’area protetta del Parco di Monte Sole (Bologna, Italia), dove, come molte aree rurali marginali in Italia e in Europa, la cessazione o riduzione delle tradizionali pratiche gestionali negli ultimi cinquant’anni, ha determinato lo sviluppo di fitocenosi di ridotto valore floristico e produttivo. Tali siti si trovano in due aree distinte all’interno del parco, denominate Zannini e Stanzano, selezionate in quanto rappresentative di situazioni di comunità del Mesobrometo. Due siti appartenenti alla prima area e uno appartenente alla seconda, sono gestiti con sfalcio annuale, i rimanenti non hanno nessun tipo di gestione. Lo stato delle comunità erbacee di tali siti è stato valutato secondo più punti di vista. E’ stata fatta una caratterizzazione vegetazionale dei siti, mediante rilievo lineare secondo la metodologia Daget-Poissonet, permettendo una prima valutazione relativa al numero di specie presenti e alla loro abbondanza all’interno della comunità vegetale, determinando i Contributi Specifici delle famiglie principali e delle specie dominanti (B. pinnatum, B. erectus e D. glomerata). La produttività è stata calcolata utilizzando un indice di qualità foraggera, il Valore Pastorale, e con la determinazione della produzione di Fitomassa totale, Fitomassa fotosintetizzante e Necromassa. A questo proposito sono state trovate correlazioni negative tra la presenza di Graminacee, in particolare di B. pinnatum, e i Contributi Specifici delle altre specie, soprattutto a causa dello spesso strato di fitomassa e necromassa prodotto dallo stesso B. pinnatum che impedisce meccanicamente l’insediamento e la crescita di altre piante. E’ stata inoltre approfonditamente sviluppata un terza caratterizzazione, che si propone di quantificare la diversità funzionale dei siti medesimi, interpretando le risposte della vegetazione a fattori globali di cambiamento, sia abiotici che biotici, per cogliere gli effetti delle variazioni ambientali in atto sulla comunità, e più in generale, sull’intero ecosistema. In particolare, nello studio condotto, sono stati proposti alcuni caratteri funzionali, cosiddetti functional traits, scelti perché correlati all’acquisizione e alla conservazione delle risorse, e quindi al trade-off dei nutrienti all’interno della pianta, ossia: Superficie Fogliare Specifica, SLA, Tenore di Sostanza Secca, LDMC, Concentrazione di Azoto Fogliare, LNC, Contenuto in Fibra, LFC, separato nelle componenti di Emicellulosa, Cellulosa, Lignina e Ceneri. Questi caratteri sono stati misurati in relazione a tre specie dominanti: B. pinnatum, B. erectus e D. glomerata. Si tratta di specie comunemente presenti nelle praterie semi-mesofile dell’Appennino Settentrionale, ma caratterizzate da differenti proprietà ecologiche e adattative: B. pinnatum e B. erectus sono considerati competitori stress-toleranti, tipicamente di ambienti poveri di risorse, mentre D. glomerata, è una specie più mesofila, caratteristica di ambienti produttivi. Attraverso l’analisi dei traits in riferimento alle diverse strategie di queste specie, sono stati descritti specifici adattamenti alle variazioni delle condizioni ambientali, ed in particolare in risposta al periodo di stress durante l’estate dovuto a deficit idrico e in risposta alla diversa modalità di gestione dei siti, ossia alla pratica o meno dello sfalcio annuale. Tra i caratteri funzionali esaminati, è stato identificato LDMC come il migliore per descrivere le specie, in quanto più facilmente misurabile, meno variabile, e direttamente correlato con altri traits come SLA e le componenti della fibra. E’ stato quindi proposto il calcolo di un indice globale per caratterizzare i siti in esame, che tenesse conto di tutti questi aspetti, riunendo insieme sia i parametri di tipo vegetativo e produttivo, che i parametri funzionali. Tale indice ha permesso di disporre i siti lungo un gradiente e di cogliere differenti risposte in relazione a variazioni stagionali tra primavera o autunno e in relazione al tipo di gestione, valutando le posizioni occupate dai siti stessi e la modalità dei loro eventuali spostamenti lungo questo gradiente. Al fine di chiarire se le variazioni dei traits rilevate fossero dovute ad adattamento fenotipico dei singoli individui alle condizioni ambientali, o piuttosto fossero dovute a differenziazione genotipica tra popolazioni cresciute in siti diversi, è stato proposto un esperimento in condizioni controllate. All’interno di un’area naturale in UK, le Chiltern Hills, sono stati selezionati cinque siti, caratterizzati da diverse età di abbandono: Bradenham Road MaiColtivato e Small Dean MaiColtivato, di cui non si conosce storia di coltivazione, caratterizzati rispettivamente da vegetazione arborea e arbustiva prevalente, Butterfly Bank 1970, non più coltivato dal 1970, oggi prateria seminaturale occasionalmente pascolata, Park Wood 2001, non più coltivato dal 2001, oggi prateria seminaturale mantenuta con sfalcio annuale, e infine Manor Farm Coltivato, attualmente arato e coltivato. L’esperimento è stato condotto facendo crescere i semi delle tre specie più comuni, B. sylvaticum, D. glomerata e H. lanatus provenienti dai primi quattro siti, e semi delle stesse specie acquistati commercialmente, nei cinque differenti tipi di suolo dei medesimi siti. Sono stati misurati quattro caratteri funzionali: Massa Radicale Secca (DRM), Massa Epigea Secca (DBM), Superficie Fogliare Secca (SLA) e Tenore di Sostanza Secca (LDMC). I risultati ottenuti hanno evidenziato che ci sono significative differenze tra le popolazioni di una stessa specie ma con diversa provenienza, e tra individui appartenenti alla stessa popolazione se fatti crescere in suoli diversi. Tuttavia, queste differenze, sembrano essere dovute ad adattamenti locali legati alla presenza di nutrienti, in particolare N e P, nel suolo piuttosto che a sostanziali variazioni genotipiche tra popolazioni. Anche per questi siti è stato costruito un gradiente sulla base dei quattro caratteri funzionali analizzati. La disposizione dei siti lungo il gradiente ha evidenziato tre gruppi distinti: i siti più giovani, Park Wood 2001 e Manor Farm Coltivato, nettamente separati da Butterfly Bank 1970, e seguiti infine da Small Dean MaiColtivato e Bradenham Road MaiColtivato. L’applicazione di un indice così proposto potrebbe rivelarsi un utile strumento per descrivere ed indagare lo stato della prateria e dei processi evolutivi in atto, al fine di meglio comprendere e dominare tali dinamiche per proporre sistemi di gestione che ne consentano la conservazione anche in assenza delle tradizionali cure colturali.
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Myc is a transcription factor that can activate transcription of several hundreds genes by direct binding to their promoters at specific DNA sequences (E-box). However, recent studies have also shown that it can exert its biological role by repressing transcription. Such studies collectively support a model in which c-Myc-mediated repression occurs through interactions with transcription factors bound to promoter DNA regions but not through direct recognition of typical E-box sequences. Here, we investigated whether N-Myc can also repress gene transcription, and how this is mechanistically achieved. We used human neuroblastoma cells as a model system in that N-MYC amplification/over-expression represents a key prognostic marker of this tumour. By means of transcription profile analyses we could identify at least 5 genes (TRKA, p75NTR, ABCC3, TG2, p21) that are specifically repressed by N-Myc. Through a dual-step-ChIP assay and genetic dissection of gene promoters, we found that N-Myc is physically associated with gene promoters in vivo, in proximity of the transcription start site. N-Myc association with promoters requires interaction with other proteins, such as Sp1 and Miz1 transcription factors. Furthermore, we found that N-Myc may repress gene expression by interfering directly with Sp1 and/or with Miz1 activity (i.e. TRKA, p75NTR, ABCC3, p21) or by recruiting Histone Deacetylase 1 (Hdac1) (i.e. TG2). In vitro analyses show that distinct N-Myc domains can interact with Sp1, Miz1 and Hdac1, supporting the idea that Myc may participate in distinct repression complexes by interacting specifically with diverse proteins. Finally, results show that N-Myc, through repressed genes, affects important cellular functions, such as apoptosis, growth, differentiation and motility. Overall, our results support a model in which N-Myc, like c-Myc, can repress gene transcription by direct interaction with Sp1 and/or Miz1, and provide further lines of evidence on the importance of transcriptional repression by Myc factors in tumour biology.
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L’irrigidimento del contesto regolamentare europeo dovuto all’attuale condizione di contaminazione diffusa dell’ambiente, riscontrata in Italia e in molti altri paesi europei, ha visto l’esigenza sempre più pressante di razionalizzare le dosi dei fitofarmaci utilizzati in agricoltura. Lo sviluppo e l’utilizzo di nuovi prodotti coadiuvanti come specifici antideriva per erbicidi, rappresenta in questo senso, un’importante risorsa su cui si inizia a fare affidamento. In Francia, per esempio, già da alcuni anni ci sono normative che obbligano l’utilizzo in agricoltura di tali prodotti, mentre in Italia non si hanno ancora direttive precise a riguardo. In tal contesto l’obiettivo principale di questa ricerca, effettuata in collaborazione con la ditta Intrachem, è stato quello di studiare alcune caratteristiche funzionali relative a due prodotti, che verranno lanciati a breve sul mercato, come specifici antideriva per erbicidi. In particolar modo è stato fatto uno studio per verificare se ed eventualmente come, questi coadiuvanti (Gondor e Zarado) possono influenzare l’attività del principio attivo a cui vengono aggiunti, apportando variazioni relative alla sua efficacia. Lo schema di lavoro seguito ha previsto una prima fase di saggio dove venivano effettuati test dose-risposta, utilizzando diversi erbicidi a diverse concentrazioni. I test sono stati effettuati su alcune malerbe mono e dicotiledoni. In ciascuna di queste prove è stata valutata e confrontata la percentuale di sopravvivenza e il peso dei sopravvissuti tra le tesi trattate. Le tesi prevedevano trattamenti con erbicida e trattamenti con erbicida più uno dei due coadiuvanti. Nella seconda fase si è effettuato un approfondimento sulle tesi che hanno mostrato i risultati più interessanti, per capirne possibilmente le basi fisiologiche. In particolare si è verificato se l’aggiunta dei due antideriva potesse determinare cambiamenti durante la fase di assorbimento e di traslocazione del principio attivo all’interno della piantina, utilizzando molecole radiomarcate con C14. Dai risultati ottenuti si è potuto evidenziare come l’aggiunta dei coadiuvanti possa rendere più efficace l’azione dell’erbicida nei casi in cui le infestanti non vengono completamente controllate dagli stessi (stadio vegetativo troppo avanzato e resistenza all’erbicida). Non è stato sempre verificato che ad un miglioramento dell’efficacia coincida un aumento dell’assorbimento e della traslocazione del principio attivo, all’interno della pianta. In conclusione si è potuto constatare che Gondor e Zarado oltre a svolgere la loro funzione antideriva, non influenzano negativamente l’efficacia dell’erbicida, salvo poche eccezioni, ma al contrario possono potenziarne l’azione, nelle situazioni “border line”.
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Members of the genera Campylobacter and Helicobacter have been in the spotlight in recent decades because of their status as animals and/or humans pathogens, both confirmed and emerging, and because of their association with food-borne and zoonotic diseases. First observations of spiral shaped bacteria or Campylobacter-like organisms (CLO) date back to the end of the 19th century, however the lack of adequate isolation methods hampered further research. With the introduction of methods such as selective media and a filtration procedure during the 1970s led to a renewed interest in Campylobacter, especially as this enabled elucidation of their role in human hosts. On the other hand the classification and identification of these bacteria was troublesome, mainly because of the biochemical inertness and fastidious growth requirements. In 1991, the taxonomy of Campylobacter and related organisms was thoroughly revised, since this revision several new Campylobacter and Helicobacter species have been described. Moreover, thanks to the introduction of a polyphasic taxonomic practice, the classification of these novel species is well-founded. Indeed, a polyphasic approach was here followed for characterizing eight isolates obtained from rabbits epidemiologically not correlated and as a result a new Campylobacter species was proposed: Campylobacter cuniculorum (Chapter 1). Furthermore, there is a paucity of data regarding the occurrence of spiral shaped enteric flora in leporids. In order to define the prevalence both of this new species and other CLO in leporids (chapter 2), a total of 85 whole intestinal tracts of rabbits reared in 32 farms and 29 capture hares, epidemiologically not correlated, were collected just after evisceration at the slaughterhouse or during necroscopy. Examination and isolation methods were varied in order to increase the sensibility level of detection, and 100% of rabbit farms resulted positive for C. cuniculorum in high concentrations. Moreover, in 3.53% of the total rabbits examined, a Helicobacter species was detected. Nevertheless, all hares resulted negative both for Campylobacter or Helicobacter species. High prevalence of C. cuniculorum were found in rabbits, and in order to understand if this new species could play a pathological role, a study on some virulence determinants of C. cuniculorum was conducted (Chapter 3). Although this new species were able to adhere and invade, exert cytolethal distending toxin-like effects although at a low titre, a cdtB was not detected. There was no clear relationship between source of isolation or disease manifestation and possession of statistically significantly levels of particular virulence-associated factors although, cell adhesion and invasion occurred. Furthermore, antibiotic susceptibility was studied (chapter 4) in Campylobacter and in Escherichia coli strains, isolated from rabbits. It was possible to find acquired resistance of C. cuniculorum to enrofloxacin, ciprofloxacin and erytromycin. C. coli isolate was susceptible to all antimicrobial tested and moreover it is considered as a wild-type strain. Moreover, E. coli was found at low caecal concentration in rabbits and 30 phenotypes of antibiotic resistance were founded as well as the high rate of resistances to at least one antibiotic (98.1%). The majority of resistances were found from strains belonging to intensive farming system. In conclusion, in the course of the present study a new species isolated from rabbits was described, C. cuniculorum, and its high prevalence was established. Nevertheless, in hare samples no Campylobacter and Helicobacter species were detected. Some virulence determinants were further analyzed, however further studied are needed to understand the potential pathogenicity of this new species. On the other hand, antimicrobial susceptibility was monitored both in C. cuniculorum and indicator bacteria and acquired resistance was observed towards some antibiotics, indicating a possible role of rabbitries in the diffusion of antibiotic resistance. Further studies are necessary to describe and evaluate the eventual zoonotic role of Campylobacter cuniculorum.
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The Myc oncoproteins belong to a family of transcription factors composed by Myc, N-Myc and L-Myc. The most studied components of this family are Myc and N-Myc because their expressions are frequently deregulated in a wide range of cancers. These oncoproteins can act both as activators or repressors of gene transcription. As activators, they heterodimerize with Max (Myc associated X-factor) and the heterodimer recognizes and binds a specific sequence elements (E-Box) onto gene promoters recruiting histone acetylase and inducing transcriptional activation. Myc-mediated transcriptional repression is a quite debated issue. One of the first mechanisms defined for the Myc-mediated transcriptional repression consisted in the interaction of Myc-Max complex Sp1 and/or Miz1 transcription factors already bound to gene promoters. This interaction may interfere with their activation functions by recruiting co-repressors such as Dnmt3 or HDACs. Moreover, in the absence of , Myc may interfere with the Sp1 activation function by direct interaction and subsequent recruitment of HDACs. More recently the Myc/Max complex was also shown to mediate transcriptional repression by direct binding to peculiar E-box. In this study we analyzed the role of Myc overexpression in Osteosarcoma and Neuroblastoma oncogenesis and the mechanisms underling to Myc function. Myc overexpression is known to correlate with chemoresistance in Osteosarcoma cells. We extended this study by demonstrating that c-Myc induces transcription of a panel of ABC drug transporter genes. ABCs are a large family trans-membrane transporter deeply involved in multi drug resistance. Furthermore expression levels of Myc, ABCC1, ABCC4 and ABCF1 were proved to be important prognostic tool to predict conventional therapy failure. N-Myc amplification/overexpression is the most important prognostic factor for Neuroblastoma. Cyclin G2 and Clusterin are two genes often down regulated in neuroblastoma cells. Cyclin G2 is an atypical member of Cyclin family and its expression is associated with terminal differentiation and apoptosis. Moreover it blocks cell cycle progression and induces cell growth arrest. Instead, CLU is a multifunctional protein involved in many physiological and pathological processes. Several lines of evidences support the view that CLU may act as a tumour suppressor in Neuroblastoma. In this thesis I showed that N-Myc represses CCNG2 and CLU transcription by different mechanisms. • N-Myc represses CCNG2 transcription by directly interacting with Sp1 bound in CCNG2 promoter and recruiting HDAC2. Importantly, reactivation of CCNG2 expression through epigenetic drugs partially reduces N-Myc and HDAC2 mediated cell proliferation. • N-Myc/Max complex represses CLU expression by direct binding to a peculiar E-box element on CLU promoter and by recruitment of HDACs and Polycomb Complexes, to the CLU promoter. Overall our findings strongly support the model in which Myc overexpression/amplification may contribute to some aspects of oncogenesis by a dual action: i) transcription activation of genes that confer a multidrug resistant phenotype to cancer cells; ii), transcription repression of genes involved in cell cycle inhibition and cellular differentiation.
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Lo scopo dello studio è un'analisi comparativa degli impatti ambientali, calcolati utilizzando la metodologia del Life Cycle Assessment, della fase agricola di 9 colture dedicate (lignocellulosiche, oleaginose e cereali) da biomassa, con diifferenti destinazioni energetiche (biocarburanti di I e II generazione ed energia elettrica). E' infine stata eseguita un'analisi "from cradle to grave" considerando anche le diverse tecnice di trasformazione possibili, con dati bibliografici. Sotto tutti i profili (impatto per ettaro, impatto per unità energetica generata, e impatto totale della filiera, risulta un netto vantaggio delle coltrue lignocellulosiche, e fra queste specialmente le poliennali.
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La crescita normale di un individuo è il risultato dell’azione coordinata di molteplici ormoni e recettori codificati da geni e a tal proposito, discreto interesse è stato dato ai geni tipici dell’asse del GH. Tuttavia altri geni, più a monte di questi e responsabili dello sviluppo dell’ipofisi contribuiscono alla crescita normale o patologica. Alcuni geni studiati sono POU1F1, PROP1, LHX3, LHX4, HESX1, SOX3 e svariate loro mutazioni sono state identificate come causa di panipopituarismo (CPHD=Combined Pituitary Hormone Deficiency). In realtà la ricerca genetica non spiega ancora molte anomalie ipofisarie e molte mutazioni devono ancora essere identificate. Uno degli scopi del dottorato, svoltosi nel laboratorio di Genetica molecolare di Pediatria, è stata l’identificazione di mutazioni geniche da un gruppo di pazienti CPHD considerando in particolare i geni POU1F1, LHX3, SOX3, non ancora messi a punto presso il laboratorio. L’approccio sperimentale si è basato sulle seguenti fasi: prelievo delle informazioni di sequenza da GeneBank, progettazione di primers per amplificare le porzioni esoniche, messa a punto delle fasi della PCR e del sequenziamento, analisi della sequenza e confronto con le informazioni di sequenza depositate allo scopo di rintracciare eventuali mutazioni o varianti. La bassa percentuale di mutazioni in questi geni non ha permesso finora di rintracciare mutazioni nelle porzioni esoniche salvo che in un soggetto, nell’esone 6 di LHX3b (nuova mutazione, recessiva eterozigote, c.1248A>G implicata nella mutazione p.T377A della sequenza proteica). Un metodo di screening di questa mutazione impiegando l’enzima di restrizione SacII è stato usato, senza rilevare nessun altra occorrenza dell’allele mutato in 53 soggetti di controllo. Oltre alla messa a punto del sequenziamento e di alcune tecniche di analisi di singoli SNP o piccoli INDELs per i 3 geni, la ricerca svolta è stata orientata all’impiego di metodi di rilevamento di riarrangiamenti genetici comportanti ampie delezioni e/o variazioni del copy-number di esoni/interi geni detto MLPA (Multiplex Ligation-dependent Probe Amplification) e progettato da MRC-Holland. Il sequenziamento infatti non permette di rilevare tali alterazioni quando sono ampie ed in eterozigosi. Per esempio, in un’ampia delezione in eterozigosi, l’intervallo delimitato dai primers usati per la PCR può non includere totalmente la porzione interessata da delezione su un cromosoma cosicché la PCR ed il sequnziamento si basano solo sulle informazioni dell’altro cromosoma non deleto. Un vantaggio della tecnica MLPA, è l’analisi contemporanea di una quarantina di siti posti su svariati geni. Questa metodo tuttavia può essere affetto da un certo margine di errore spesso dipendente dalla qualità del DNA e dovrebbe essere affiancato e validato da altre tecniche più impegnativa dal punto di vista sperimentale ma più solide, per esempio la Real Time PCR detta anche PCR quantitativa (qPCR). In laboratorio, grazie all’MLPA si è verificata la condizione di delezione eterozigote di un paziente “storico” per il gene GH1 e la stessa mutazione è stata rilevata anche con la qPCR usando lo strumento Corbett Rotor Gene 6000 (Explera). Invece un’analisi solo con la qPCR di variazioni del copy-number (CNV) per SOX3 in pazienti maschili non ha ancora evidenziato anomalie. Entrambe le tecniche hanno aspetti interessanti, il miglior approccio al momento sembra un’analisi iniziale di pazienti con l’MLPA, seguita dalla verifica di un eventuale esito anomalo impiegando la real-time PCR.
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Il lavoro di tesi è incentrato sulla valutazione del degrado del suolo dovuto a fenomeni di inquinamento da metalli pesanti aerodispersi, ovvero apportati al suolo mediante deposizioni atmosferiche secche ed umide, in ambiente urbano. Lo scopo della ricerca è legato principalmente alla valutazione dell’efficienza del metodo di monitoraggio ideato che affianca al campionamento e all’analisi pedologica l’utilizzo di bioindicatori indigeni, quali il muschio, il cotico erboso, le foglie di piante arboree e il materiale pulverulento depositatosi su di esse. Una semplice analisi pedologica infatti non permette di discriminare la natura dei contaminanti in esso ritrovati. I metalli pesanti possono raggiungere il suolo attraverso diverse vie. In primo luogo questi elementi in traccia si trovano naturalmente nei suoi; ma numerose sono le fonti antropiche: attività industriali, traffico veicolare, incenerimento dei rifiuti, impianti di riscaldamento domestico, pratiche agricole, utilizzo di acque con bassi requisiti di qualità, ecc. Questo fa capire come una semplice analisi del contenuto totale o pseudo - totale di metalli pesanti nel suolo non riesca a rispondere alla domanda su quale si la fonte di provenienza di queste sostanze. Il metodo di monitoraggio integrato suolo- pianta è stato applicato a due diversi casi di studio. Il primo denominato “Progetto per il monitoraggio e valutazione delle concentrazioni in metalli pesanti e micro elementi sul sistema suolo - pianta in aree urbane adibite a verde pubblico dell’Emilia – Romagna” ha permesso di valutare l’insorgenza di una diminuzione della qualità dell’ecosistema parco urbano causata dalla ricaduta di metalli pesanti aerotrasportati, in tre differenti realtà urbane dell’Emilia Romagna: le città di Bologna, Ferrara e Cesena. Le città presentano caratteristiche pedologiche, ambientali ed economico-sociali molto diverse tra loro. Questo ha permesso di studiare l’efficienza del metodo su campioni di suolo e di vegetali molto diversi per quanto riguarda le aliquote di metalli pesanti riscontrate. Il secondo caso di studio il “Monitoraggio relativo al contenuto in metalli pesanti e microelementi nel sistema acqua-suolo-pianta delle aree circostanti l’impianto di termovalorizzazione e di incenerimento del Frullo (Granarolo dell’Emilia - BO)” è stato invece incentrato sulla valutazione della qualità ambientale delle aree circostanti l’inceneritore. Qui lo scenario si presentava più omogeneo dal punto di vista pedologico rispetto al caso di studio precedente, ma molto più complesso l’ecosistema di riferimento (urbano, extra-urbano ed agricolo). Seppure il metodo suolo-pianta abbia permesso di valutare gli apporti di metalli pesanti introdotti per via atmosferica, non è stato possibile imputarne l’origine alle sole emissioni prodotte dall’inceneritore.
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Pharmaceuticals are useful tools to prevent and treat human and animal diseases. Following administration, a significant fraction of pharmaceuticals is excreted unaltered into faeces and urine and may enter the aquatic ecosystem and agricultural soil through irrigation with recycled water, constituting a significant source of emerging contaminants into the environment. Understanding major factors influencing their environmental fate is consequently needed to value the risk, reduce contamination, and set up bioremediation technologies. The antiviral drug Tamiflu (oseltamivir carboxylate, OC) has received recent attention due to the potential use as a first line defence against H5N1 and H1N1 influenza viruses. Research has shown that OC is not removed during conventional wastewater treatments, thus having the potential to enter surface water bodies. A series of laboratory experiments investigated the fate and the removal of OC in surface water systems in Italy and Japan and in a municipal wastewater treatment plant. A preliminary laboratory study investigated the persistence of the active antiviral drug in water samples from an irrigation canal in northern Italy (Canale Emiliano Romagnolo). After an initial rapid decrease, OC concentration slowly decreased during the remaining incubation period. Approximately 65% of the initial OC amount remained in water at the end of the 36-day incubation period. A negligible amount of OC was lost both from sterilized water and from sterilized water/sediment samples, suggesting a significant role of microbial degradation. Stimulating microbial processes by the addition of sediments resulted in reduced OC persistence. Presence of OC (1.5 μg mL-1) did not significantly affect the metabolic potential of the water microbial population, that was estimated by glyphosate and metolachlor mineralization. In contrast, OC caused an initial transient decrease in the size of the indigenous microbial population of water samples. A second laboratory study focused on basic processes governing the environmental fate of OC in surface water from two contrasting aquatic ecosystems of northern Italy, the River Po and the Venice Lagoon. Results of this study confirmed the potential of OC to persist in surface water. However, the addition of 5% of sediments resulted in rapid OC degradation. The estimated half-life of OC in water/sediment of the River Po was 15 days. After three weeks of incubation at 20 °C, more than 8% of 14C-OC evolved as 14CO2 from water/sediment samples of the River Po and Venice Lagoon. OC was moderately retained onto coarse sediments from the two sites. In water/sediment samples of the River Po and Venice Lagoon treated with 14C-OC, more than 30% of the 14C-residues remained water-extractable after three weeks of incubation. The low affinity of OC to sediments suggests that the presence of sediments would not reduce its bioavailability to microbial degradation. Another series of laboratory experiments investigated the fate and the removal of OC in two surface water ecosystems of Japan and in the municipal wastewater treatment plant of the city of Bologna, in Northern Italy. The persistence of OC in surface water ranged from non-detectable degradation to a half-life of 53 days. After 40 days, less than 3% of radiolabeled OC evolved as 14CO2. The presence of sediments (5%) led to a significant increase of OC degradation and of mineralization rates. A more intense mineralization was observed in samples of the wastewater treatment plant when applying a long incubation period (40 days). More precisely, 76% and 37% of the initial radioactivity applied as 14C-OC was recovered as 14CO2 from samples of the biological tank and effluent water, respectively. Two bacterial strains growing on OC as sole carbon source were isolated and used for its removal from synthetic medium and environmental samples, including surface water and wastewater. Inoculation of water and wastewater samples with the two OC-degrading strains showed that mineralization of OC was significantly higher in both inoculated water and wastewater, than in uninoculated controls. Denaturing gradient gel electrophoresis and quantitative PCR analysis showed that OC would not affect the microbial population of surface water and wastewater. The capacity of the ligninolytic fungus Phanerochaete chrysosporium to degrade a wide variety of environmentally persistent xenobiotics has been largely reported in literature. In a series of laboratory experiments, the efficiency of a formulation using P. chrysosporium was evaluated for the removal of selected pharmaceuticals from wastewater samples. Addition of the fungus to samples of the wastewater treatment plant of Bologna significantly increased (P < 0.05) the removal of OC and three antibiotics, erythromycin, sulfamethoxazole, and ciprofloxacin. Similar effects were also observed in effluent water. OC was the most persistent of the four pharmaceuticals. After 30 days of incubation, approximately two times more OC was removed in bioremediated samples than in controls. The highest removal efficiency of the formulation was observed with the antibiotic ciprofloxacin. The studies included environmental aspects of soil contamination with two emerging veterinary contaminants, such as doramectin and oxibendazole, wich are common parasitic treatments in cattle farms.
Resumo:
Il lavoro svolto durante il dottorato di ricerca ha permesso lo sviluppo e la verifica della attendibilità di marcatori molecolari neutrali (loci microsatelliti) specifici per Aristeus antennatus. Tali marcatori sono stati poi utilizzati per studiare la struttura genetica di popolazione della specie del Mediterraneo occidentale e i risultati ottenuti sono stati confrontati con quelli di un progetto di ricerca parallelo su Aristeaomorpha foliacea, analizzando differenze ed analogie fra le due specie. I risultati delle analisi su Aristeus antennatus hanno evidenziato una completa assenza di struttura di popolazione e come i due sessi contribuiscano in modo diverso al flusso genico. La specie infatti presenta un sex-ratio a favore dei maschi oltre gli 800m, mentre tale rappoorto è a favore delle femmine in strati più superficiali, dove sono probabilmente soggette a condizioni oceanografiche più dispersive. Tramite test genetici appropriati è stato possibile valutare indirettamente il grado di dospersione dei sessi dimostrando che nell'area analizzati i maschi erano rappresentati maggiormente da individui stanziali, mentre gli individui di sesso femminile erano migranti. Le femmine appaiono pertanto giocare un ruolo preminente rispetto ai maschi nel determinare l'entità del flusso genico. Il confronto dei risultati ottenuti in Aristeus antennatus con quelli di Aristaeomorpha foliacea ha evidenziato la relazione fra alta capacità dispersiva, sia allo stato larvale che adulto, e completo rimescolamento genetico nei gamberi aristeidi nel Mediterraneo occidentale anche se in quest'ultima specie non ci sono evidenze di dispersione genetica mediata dal sesso. E' pertanto di forte interesse (dato anche il valore economico di questi organismi) come una struttura di popolazione qualitativamente e quantitavamente comporabile venga raggiunta con dinamiche di popolazione molto diverse.
Resumo:
Leber’s hereditary optic neuropathy (LHON) and Autosomal Dominant Optic Atrophy (ADOA) are the two most common inherited optic neuropathies and both are the result of mitochondrial dysfunctions. Despite the primary mutations causing these disorders are different, being an mtDNA mutation in subunits of complex I in LHON and defects in the nuclear gene encoding the mitochondrial protein OPA1 in ADOA, both pathologies share some peculiar features, such a variable penetrance and tissue-specificity of the pathological processes. Probably, one of the most interesting and unclear aspect of LHON is the variable penetrance. This phenomenon is common in LHON families, most of them being homoplasmic mutant. Inter-family variability of penetrance may be caused by nuclear or mitochondrial ‘secondary’ genetic determinants or other predisposing triggering factors. We identified a compensatory mechanism in LHON patients, able to distinguish affected individuals from unaffected mutation carriers. In fact, carrier individuals resulted more efficient than affected subjects in increasing the mitochondrial biogenesis to compensate for the energetic defect. Thus, the activation of the mitochondrial biogenesis may be a crucial factor in modulating penetrance, determining the fate of subjects harbouring LHON mutations. Furthermore, mtDNA content can be used as a molecular biomarker which, for the first time, clearly differentiates LHON affected from LHON carrier individuals, providing a valid mechanism that may be exploited for development of therapeutic strategies. Although the mitochondrial biogenesis gained a relevant role in LHON pathogenesis, we failed to identify a genetic modifying factor for the variable penetrance in a set of candidate genes involved in the regulation of this process. A more systematic high-throughput approach will be necessary to select the genetic variants responsible for the different efficiency in activating mitochondrial biogenesis. A genetic modifying factor was instead identified in the MnSOD gene. The SNP Ala16Val in this gene seems to modulate LHON penetrance, since the Ala allele in this position significantly predisposes to be affected. Thus, we propose that high MnSOD activity in mitochondria of LHON subjects may produce an overload of H2O2 for the antioxidant machinery, leading to release from mitochondria of this radical and promoting a severe cell damage and death ADOA is due to mutation in the OPA1 gene in the large majority of cases. The causative nuclear defects in the remaining families with DOA have not been identified yet, but a small number of families have been mapped to other chromosomal loci (OPA3, OPA4, OPA5, OPA7, OPA8). Recently, a form of DOA and premature cataract (ADOAC) has been associated to pathogenic mutations of the OPA3 gene, encoding a mitochondrial protein. In the last year OPA3 has been investigated by two different groups, but a clear function for this protein and the pathogenic mechanism leading to ADOAC are still unclear. Our study on OPA3 provides new information about the pattern of expression of the two isoforms OPA3V1 and OPA3V2, and, moreover, suggests that OPA3 may have a different function in mitochondria from OPA1, the major site for ADOA mutations. In fact, based on our results, we propose that OPA3 is not involved in the mitochondrial fusion process, but, on the contrary, it may regulate mitochondrial fission. Furthermore, at difference from OPA1, we excluded a role for OPA3 in mtDNA maintenance and we failed to identify a direct interaction between OPA3 and OPA1. Considering the results from overexpression and silencing of OPA3, we can conclude that the overexpression has more drastic consequences on the cells than silencing, suggesting that OPA3 may cause optic atrophy via a gain-of-function mechanism. These data provide a new starting point for future investigations aimed at identifying the exact function of OPA3 and the pathogenic mechanism causing ADOAC.