78 resultados para Conto, Oralidade e Fábula


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La tesi analizza i collegamenti tra la dimensione interna e la dimensione esterna del diritto europeo dell’energia al fine valutare l’efficacia e la coerenza della politica energetica europea in un approccio realmente globale ed integrato. Lo scopo della ricerca è quello di interrogarsi sull’evoluzione della competenza dell’Unione in tema di energia e su quale possa essere il suo contributo allo studio del diritto dell’Unione. L’analisi mira a chiarire i principi cardine della politica energetica europea ed i limiti che incontra l’azione dell’Unione nella disciplina dei settori energetici. Nonostante la centralità e l’importanza dell’energia, tanto per il buon funzionamento del mercato interno, quanto per la protezione dell’ambiente e per la sicurezza internazionale, la ricerca ha riscontrato come manchi ancora in dottrina una sufficiente elaborazione dell’energia in chiave organica e sistematica. L’analisi è svolta in quattro capitoli, ciascuno dei quali è suddiviso in due sezioni. Lo studio si apre con l’indagine sulla competenza energetica dell’Unione, partendo dai trattati settoriali (CECA ed Euratom) fino ad arrivare all’analisi delle disposizioni contenute nel Trattato di Lisbona che prevedono una base giuridica ad hoc (art. 194 TFUE) per l’energia. Lo scopo del primo capitolo è quello di fornire un inquadramento teorico alla materia, analizzando le questioni riguardanti l’origine del ‘paradosso energetico’ ed i limiti della competenza energetica dell’Unione, con un sguardo retrospettivo che tenga conto del dinamismo evolutivo che ha caratterizzato il diritto europeo dell’energia. Nel corso del secondo capitolo, la ricerca analizza l’impatto del processo di liberalizzazione sulla struttura dei mercati dell’elettricità e del gas con la graduale apertura degli stessi al principio della libera concorrenza. L’analisi conduce ad una ricognizione empirica sulle principali categorie di accordi commerciali utilizzate nei settori energetici; la giurisprudenza della Corte sulla compatibilità di tali accordi rispetto al diritto dell’Unione mette in evidenza il difficile bilanciamento tra la tutela della sicurezza degli approvvigionamenti e la tutela del corretto funzionamento del mercato interno. L’applicazione concreta del diritto antitrust rispetto alle intese anticoncorrenziali ed all’abuso di posizione dominante dimostra la necessità di tener conto dei continui mutamenti indotti dal processo di integrazione dei mercati dell’elettricità e del gas. Il terzo capitolo introduce la dimensione ambientale della politica energetica europea, sottolineando alcune criticità relative alla disciplina normativa sulle fonti rinnovabili, nonché gli ostacoli al corretto funzionamento del mercato interno delle quote di emissione, istituito dalla legislazione europea sulla lotta ai cambiamenti climatici. I diversi filoni giurisprudenziali, originatisi dalle controversie sull’applicazione delle quote di emissioni, segnalano le difficoltà ed i limiti della ‘sperimentazione legislativa’ adottata dal legislatore europeo per imporre, attraverso il ricorso a strumenti di mercato, obblighi vincolanti di riduzione delle emissioni inquinanti che hanno come destinatari, non solo gli Stati, ma anche i singoli. Infine, il quarto ed ultimo capitolo, affronta il tema della sicurezza energetica. Nel corso del capitolo vengono effettuate considerazioni critiche sulla mancanza di collegamenti tra la dimensione interna e la dimensione esterna del diritto europeo dell’energia, evidenziando i limiti all’efficacia ed alla coerenza dell’azione energetica dell’Unione. L’inquadramento teorico e normativo della dimensione estera della politica energetica europea tiene conto del processo di allargamento e della creazione del mercato interno dell’energia, ma viene inserito nel più ampio contesto delle relazioni internazionali, fondate sul delicato rapporto tra i Paesi esportatori ed i Paesi importatori di energia. Sul piano internazionale, l’analisi ricostruisce la portata ed i limiti del principio di interdipendenza energetica. Lo studio si concentra sulle disposizioni contenute nei trattati internazionale di cooperazione energetica, con particolare riferimento ai diversi meccanismi di risoluzione delle controversie in tema di protezione degli investimenti sull’energia. Sul piano interno, la ricerca pone in evidenza l’incapacità dell’Unione di ‘parlare con una sola voce’ in tema di sicurezza energetica a causa della contrapposizione degli interessi tra i vecchi ed i nuovi Stati membri rispetto alla conclusione degli accordi di fornitura di lunga durata con i Paesi produttori di gas. Alla luce delle nuove disposizioni del Trattato di Lisbona, il principio solidaristico viene interpretato come limite agli interventi unilaterali degli Stati membri, consentendo il ricorso ai meccanismi comunitari previsti dalla disciplina sul mercato interno dell’elettricità e del gas, anche in caso di grave minaccia alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici.

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Le tecniche dell'informazione e i metodi della comunicazione hanno modificato il modo di redigere documenti destinati a trasmettere la conoscenza, in un processo che è a tutt'oggi in corso di evoluzione. Anche l'attività progettuale in ingegneria ed architettura, pure in un settore caratterizzato da una notevole inerzia metodologica e restio all'innovazione quale è quello dell'industria edilizia, ha conosciuto profonde trasformazioni in ragione delle nuove espressioni tecnologiche. Da tempo l'informazione necessaria per realizzare un edificio, dai disegni che lo rappresentano sino ai documenti che ne indicano le modalità costruttive, può essere gestita in maniera centralizzata mediante un unico archivio di progetto denominato IPDB (Integrated Project DataBase) pur essendone stata recentemente introdotta sul mercato una variante più operativa chiamata BIM (Building Information Modelling). Tuttavia l'industrializzazione del progetto che questi strumenti esplicano non rende conto appieno di tutti gli aspetti che vedono la realizzazione dell'opera architettonica come collettore di conoscenze proprie di una cultura progettuale che, particolarmente in Italia, è radicata nel tempo. La semantica della rappresentazione digitale è volta alla perequazione degli elementi costitutivi del progetto con l'obiettivo di catalogarne le sole caratteristiche fabbricative. L'analisi della letteratura scientifica pertinente alla materia mostra come non sia possibile attribuire ai metodi ed ai software presenti sul mercato la valenza di raccoglitori omnicomprensivi di informazione: questo approccio olistico costituisce invece il fondamento della modellazione integrata intesa come originale processo di rappresentazione della conoscenza, ordinata secondo il paradigma delle "scatole cinesi", modello evolvente che unifica linguaggi appartenenti ai differenti attori compartecipanti nei settori impiantistici, strutturali e della visualizzazione avanzata. Evidenziando criticamente i pregi e i limiti operativi derivanti dalla modellazione integrata, la componente sperimentale della ricerca è stata articolata con l'approfondimento di esperienze condotte in contesti accademici e professionali. Il risultato conseguito ha coniugato le tecniche di rilevamento alle potenzialità di "modelli tridimensionali intelligenti", dotati cioè di criteri discriminanti per la valutazione del relazionamento topologico dei componenti con l'insieme globale.

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Poco più di dieci anni fa, nel 1998, è stata scoperta l’ipocretina (ovvero orexina), un neuropeptide ipotalamico fondamentale nella regolazione del ciclo sonno-veglia, dell’appetito e della locomozione (de Lecea 1998; Sakurai, 1998; Willie, 2001). La dimostrazione, pochi mesi dopo, di bassi livelli di ipocretina circolanti nel liquido cefalo-rachidiano di pazienti affetti da narcolessia con cataplessia (Mignot 2002) ha definitivamente rilanciato lo studio di questa rara malattia del Sistema Nervoso Centrale, e le pubblicazioni a riguardo si sono moltiplicate. In realtà le prime descrizioni della narcolessia risalgono alla fine del XIX secolo (Westphal 1877; Gélineau 1880) e da allora la ricerca clinica è stata volta soprattutto a cercare di definire il più accuratamente possibile il fenotipo del paziente narcolettico. Accanto all’alterazione del meccanismo di sonno e di veglia, e dell’alternanza tra le fasi di sonno REM (Rapid Eye Movement) e di sonno non REM, sui quali l’ipocretina agisce come un interruttore che stimola la veglia e inibisce la fase REM, sono apparse evidenti anche alterazioni del peso e del metabolismo glucidico, dello sviluppo sessuale e del metabolismo energetico (Willie 2001). I pazienti narcolettici presentano infatti, in media, un indice di massa corporea aumentato (Dauvilliers 2007), la tendenza a sviluppare diabete mellito di tipo II (Honda 1986), un’aumentata prevalenza di pubertà precoce (Plazzi 2006) e alterazioni del metabolismo energetico, rispetto alla popolazione generale (Dauvilliers 2007). L’idea che, quindi, la narcolessia abbia delle caratteristiche fenotipiche intrinseche altre, rispetto a quelle più eclatanti che riguardano il sonno, si è fatta strada nel corso del tempo; la scoperta della ipocretina, e della fitta rete di proiezioni dei neuroni ipocretinergici, diffuse in tutto l’encefalo fino al ponte e al bulbo, ha offerto poi il substrato neuro-anatomico a questa idea. Tuttavia molta strada separa l’intuizione di un possibile legame dall’individuazione dei reali meccanismi patogenetici che rendano conto dell’ampio spettro di manifestazioni cliniche che si osserva associato alla narcolessia. Lo studio svolto in questi tre anni si colloca in questa scia, e si è proposto di esplorare il fenotipo narcolettico rispetto alle funzioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-periferia, attraverso un protocollo pensato in stretta collaborazione fra il Dipartimento di Scienze Neurologiche di Bologna e l’Unità Operativa di Endocrinologia e di Malattie del Metabolismo dell’Ospedale Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. L’ipotalamo è infatti una ghiandola complessa e l’approccio multidisciplinare è sembrato essere quello più adatto. I risultati ottenuti, e che qui vengono presentati, hanno confermato le aspettative di poter dare ulteriori contributi alla caratterizzazione della malattia; un altro aspetto non trascurabile, e che però verrà qui omesso, sono le ricadute cliniche in termini di inquadramento e di terapia precoce di quelle alterazioni, non strettamente ipnologiche, e però associate alla narcolessia.

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La ricerca è dedicata all’individuazione e all’analisi delle misure cautelari poste a presidio del diritto d’autore. La materia della proprietà intellettuale è fra quelle nelle quali il tempo occorrente per far valere il diritto in via ordinaria comporta un pregiudizio irreparabile. Scopo dell’indagine è dunque quello di evidenziare come l’esperienza del contenzioso in materia di diritto d’autore abbia dato linfa sempre crescente al procedimento cautelare. In quest’ottica si deve considerare che la tendenziale stabilità delle misure cautelari anticipatorie rappresenta un primo passo, sia pure ancora insufficiente, verso uno svolgimento del processo connotato da celerità e speditezza, tale da garantire un’effettiva tutela giurisdizionale. La tutela cautelare diventa, dunque, la pietra milare per dare attuazione al principio di matrice chiovendiana per cui la durata del processo non deve andare a danno della parte che ha ragione, precludendo e vanificando l’attuazione del diritto. Nel corso dell’indagine si dà conto di come il legislatore non abbia individuato quali siano i provvedimenti anticipatori dotati di stabilità e abbia lasciato questo compito all’interprete. Il presente lavoro si impone anche di offrire qualche riflessione per individuare, nell’ambito della tutela cautelare del diritto d’autore, quali siano i provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito.

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Il progetto di tesi dottorale qui presentato intende proporsi come il proseguimento e l’approfondimento del progetto di ricerca - svoltosi tra il e il 2006 e il 2008 grazie alla collaborazione tra l’Università di Bologna, la Cineteca del Comune e dalla Fondazione Istituto Gramsci Emilia-Romagna - dal titolo Analisi e catalogazione dell’Archivio audiovisivo del PCI dell’Emilia-Romagna di proprietà dell’Istituto Gramsci. La ricerca ha indagato la menzionata collezione che costituiva, in un arco temporale che va dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, una sorta di cineteca interna alla Federazione del Partito Comunista Italiano di Bologna, gestita da un gruppo di volontari denominato “Gruppo Audiovisivi della Federazione del PCI”. Il fondo, entrato in possesso dell’Istituto Gramsci nel 1993, è composto, oltre che da documenti cartacei, anche e sopratutto da un nutrito numero di film e documentari in grado di raccontare sia la storia dell’associazione (in particolare, delle sue relazioni con le sezioni e i circoli della regione) sia, in una prospettiva più ampia, di ricostruire il particolare rapporto che la sede centrale del partito intratteneva con una delle sue cellule regionali più importanti e rappresentative. Il lavoro svolto sul fondo Gramsci ha suscitato una serie di riflessioni che hanno costituito la base per il progetto della ricerca presentata in queste pagine: prima fra tutte, l’idea di realizzare un censimento, da effettuarsi su base regionale, per verificare quali e quanti audiovisivi di propaganda comunista fossero ancora conservati sul territorio. La ricerca, i cui esiti sono consultabili nell’appendice di questo scritto, si è concentrata prevalentemente sugli archivi e sui principali istituti di ricerca dell’Emilia-Romagna: sono questi i luoghi in cui, di fatto, le federazioni e le sezioni del PCI depositarono (o alle quali donarono) le proprie realizzazioni o le proprie collezioni audiovisive al momento della loro chiusura. Il risultato dell’indagine è un nutrito gruppo di film e documentari, registrati sui supporti più diversi e dalle provenienze più disparate: produzioni locali, regionali, nazionali (inviati dalla sede centrale del partito e dalle istituzioni addette alla propaganda), si mescolano a pellicole provenienti dall’estero - testimoni della rete di contatti, in particolare con i paesi comunisti, che il PCI aveva intessuto nel tempo - e a documenti realizzati all’interno dell’articolato contesto associazionistico italiano, composto sia da organizzazioni nazionali ben strutturate sul territorio 8 sia da entità più sporadiche, nate sull’onda di particolari avvenimenti di natura politica e sociale (per esempio i movimenti giovanili e studenteschi sorti durante il ’68). L’incontro con questa tipologia di documenti - così ricchi di informazioni differenti e capaci, per loro stessa natura, di offrire stimoli e spunti di ricerca assolutamente variegati - ha fatto sorgere una serie di domande di diversa natura, che fanno riferimento non solo all’audiovisivo in quanto tale (inteso in termini di contenuti, modalità espressive e narrative, contesto di produzione) ma anche e soprattutto alla natura e alle potenzialità dell’oggetto indagato, concepito in questo caso come una fonte. In altri termini, la raccolta e la catalogazione del materiale, insieme alle ricerche volte a ricostruirne le modalità produttive, gli argomenti, i tratti ricorrenti nell’ambito della comunicazione propagandistica, ha dato adito a una riflessione di carattere più generale, che guarda al rapporto tra mezzo cinematografico e storiografia e, più in dettaglio, all’utilizzo dell’immagine filmica come fonte per la ricerca. Il tutto inserito nel contesto della nostra epoca e, più in particolare, delle possibilità offerte dai mezzi di comunicazione contemporanei. Di fatti, il percorso di riflessione compiuto in queste pagine intende concludersi con una disamina del rapporto tra cinema e storia alla luce delle novità introdotte dalla tecnologia moderna, basata sui concetti chiave di riuso e di intermedialità. Processi di integrazione e rielaborazione mediale capaci di fornire nuove potenzialità anche ai documenti audiovisivi oggetto dei questa analisi: sia per ciò che riguarda il loro utilizzo come fonte storica, sia per quanto concerne un loro impiego nella didattica e nell’insegnamento - nel rispetto della necessaria interdisciplinarietà richiesta nell’utilizzo di questi documenti - all’interno di una più generale rivoluzione mediale che mette in discussione anche il classico concetto di “archivio”, di “fonte” e di “documento”. Nel tentativo di bilanciare i differenti aspetti che questa ricerca intende prendere in esame, la struttura del volume è stata pensata, in termini generali, come ad un percorso suddiviso in tre tappe: la prima, che guarda al passato, quando gli audiovisivi oggetto della ricerca vennero prodotti e distribuiti; una seconda sezione, che fa riferimento all’oggi, momento della riflessione e dell’analisi; per concludere in una terza area, dedicata alla disamina delle potenzialità di questi documenti alla luce delle nuove tecnologie multimediali. Un viaggio che è anche il percorso “ideale” condotto dal ricercatore: dalla scoperta all’analisi, fino alla rimessa in circolo (anche sotto un’altra forma) degli oggetti indagati, all’interno di un altrettanto ideale universo culturale capace di valorizzare qualsiasi tipo di fonte e documento. All’interno di questa struttura generale, la ricerca è stata compiuta cercando di conciliare diversi piani d’analisi, necessari per un adeguato studio dei documenti rintracciati i quali, come si è detto, si presentano estremamente articolati e sfaccettati. 9 Dal punto di vista dei contenuti, infatti, il corpus documentale presenta praticamente tutta la storia italiana del tentennio considerato: non solo storia del Partito Comunista e delle sue campagne di propaganda, ma anche storia sociale, culturale ed economica, in un percorso di crescita e di evoluzione che, dagli anni Cinquanta, portò la nazione ad assumere lo status di paese moderno. In secondo luogo, questi documenti audiovisivi sono prodotti di propaganda realizzati da un partito politico con il preciso scopo di convincere e coinvolgere le masse (degli iscritti e non). Osservarne le modalità produttive, il contesto di realizzazione e le dinamiche culturali interne alla compagine oggetto della ricerca assume un valore centrale per comprendere al meglio la natura dei documenti stessi. I quali, in ultima istanza, sono anche e soprattutto dei film, realizzati in un preciso contesto storico, che è anche storia della settima arte: più in particolare, di quella cinematografia che si propone come “alternativa” al circuito commerciale, strettamente collegata a quella “cultura di sinistra” sulla quale il PCI (almeno fino alla fine degli anni Sessanta) poté godere di un dominio incontrastato. Nel tentativo di condurre una ricerca che tenesse conto di questi differenti aspetti, il lavoro è stato suddiviso in tre sezioni distinte. La prima (che comprende i capitoli 1 e 2) sarà interamente dedicata alla ricostruzione del panorama storico all’interno del quale questi audiovisivi nacquero e vennero distribuiti. Una ricostruzione che intende osservare, in parallelo, i principali eventi della storia nazionale (siano essi di natura politica, sociale ed economica), la storia interna del Partito Comunista e, non da ultimo, la storia della cinematografia nazionale (interna ed esterna al partito). Questo non solo per fornire il contesto adeguato all’interno del quale inserire i documenti osservati, ma anche per spiegarne i contenuti: questi audiovisivi, infatti, non solo sono testimoni degli eventi salienti della storia politica nazionale, ma raccontano anche delle crisi e dei “boom” economici; della vita quotidiana della popolazione e dei suoi problemi, dell’emigrazione, della sanità e della speculazione edilizia; delle rivendicazioni sociali, del movimento delle donne, delle lotte dei giovani sessantottini. C’è, all’interno di questi materiali, tutta la storia del paese, che è contesto di produzione ma anche soggetto del racconto. Un racconto che, una volta spiegato nei contenuti, va indagato nella forma. In questo senso, il terzo capitolo di questo scritto si concentrerà sul concetto di “propaganda” e nella sua verifica pratica attraverso l’analisi dei documenti reperiti. Si cercherà quindi di realizzare una mappatura dei temi portanti della comunicazione politica comunista osservata nel suo evolversi e, in secondo luogo, di analizzare come questi stessi temi-chiave vengano di volta in volta declinati e 10 rappresentati tramite le immagini in movimento. L’alterità positiva del partito - concetto cardine che rappresenta il nucleo ideologico fondante la struttura stessa del Partito Comunista Italiano - verrà quindi osservato nelle sue variegate forme di rappresentazione, nel suo incarnare, di volta in volta, a seconda dei temi e degli argomenti rilevanti, la possibilità della pace; il buongoverno; la verità (contro la menzogna democristiana); la libertà (contro il bigottismo cattolico); la possibilità di un generale cambiamento. La realizzazione di alcuni percorsi d’analisi tra le pellicole reperite presso gli archivi della regione viene proposto, in questa sede, come l’ideale conclusione di un excursus storico che, all’interno dei capitoli precedenti, ha preso in considerazione la storia della cinematografia nazionale (in particolare del contesto produttivo alternativo a quello commerciale) e, in parallelo, l’analisi della produzione audiovisiva interna al PCI, dove si sono voluti osservare non solo gli enti e le istituzioni che internamente al partito si occupavano della cultura e della propaganda - in una distinzione terminologica non solo formale - ma anche le reti di relazioni e i contatti con il contesto cinematografico di cui si è detto. L’intenzione è duplice: da un lato, per inserire la storia del PCI e dei suoi prodotti di propaganda in un contesto socio-culturale reale, senza considerare queste produzioni - così come la vita stessa del partito - come avulsa da una realtà con la quale necessariamente entrava in contatto; in secondo luogo, per portare avanti un altro tipo di discorso, di carattere più speculativo, esplicitato all’interno del quarto capitolo. Ciò che si è voluto indagare, di fatto, non è solo la natura e i contenti di questi documenti audiovisivi, ma anche il loro ruolo nel sistema di comunicazione e di propaganda di partito, dove quest’ultima è identificata come il punto di contatto tra l’intellighenzia comunista (la cultura alta, legittima) e la cultura popolare (in termini gramsciani, subalterna). Il PCI, in questi termini, viene osservato come un microcosmo in grado di ripropone su scala ridotta le dinamiche e le problematiche tipiche della società moderna. L’analisi della storia della sua relazione con la società (cfr. capitolo 2) viene qui letta alla luce di alcune delle principali teorie della storia del consumi e delle interpretazioni circa l’avvento della società di massa. Lo scopo ultimo è quello di verificare se, con l’affermazione dell’industria culturale moderna si sia effettivamente verificata la rottura delle tradizionali divisioni di classe, della classica distinzione tra cultura alta e bassa, se esiste realmente una zona intermedia - nel caso del partito, identificata nella propaganda - in cui si attui concretamente questo rimescolamento, in cui si realizzi realmente la nascita di una “terza cultura” effettivamente nuova e dal carattere comunitario. Il quinto e ultimo capitolo di questo scritto fa invece riferimento a un altro ordine di problemi e argomenti, di cui in parte si è già detto. La ricerca, in questo caso, si è indirizzata verso una 11 riflessione circa l’oggetto stesso dello studio: l’audiovisivo come fonte. La rassegna delle diverse problematiche scaturite dal rapporto tra cinema e storia è corredata dall’analisi delle principali teorie che hanno permesso l’evoluzione di questa relazione, evidenziando di volta in volta le diverse potenzialità che essa può esprimere le sue possibilità d’impiego all’interno di ambiti di ricerca differenti. Il capitolo si completa con una panoramica circa le attuali possibilità di impiego e di riuso di queste fonti: la rassegna e l’analisi dei portali on-line aperti dai principali archivi storici nazionali (e la relativa messa a disposizione dei documenti); il progetto per la creazione di un “museo multimediale del lavoro” e, a seguire, il progetto didattico dei Learning Objects intendono fornire degli spunti per un futuro, possibile utilizzo di questi documenti audiovisivi, di cui questo scritto ha voluto porre in rilievo il valore e le numerose potenzialità.

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La tesi ha come oggetto lo studio dei legami culturali posti in essere tra la Russia e l’Italia nel Settecento effettuato a partire dall’analisi del teatro di Arkhangelskoe (nei pressi di Mosca), ideato da Pietro Gonzaga. Ciò ha consentito di inquadrare l’atmosfera culturale del periodo neoclassico a partire da un’angolazione insolita: il monumento in questione, a dispetto della scarsa considerazione di cui gode all’interno degli studi di storia dell’arte, racchiude diverse ed interessanti problematiche artistiche. Queste ultime sono state tenute in debito conto nel processo dell’organizzazione della struttura del lavoro in relazione ai differenti livelli di analisi emersi in riferimento alla tematica scelta. Ogni capitolo rappresenta un punto di partenza che va utilizzato al fine di approfondire problematiche relative all’arte ed al teatro nei due Paesi, il tutto reso possibile grazie all’applicazione di un originale orientamento analitico. All’interno della tesi vengono infatti adoperati approcci e tecniche metodologiche che vanno dalla storia dell’arte all’analisi diretta dei monumenti, dall’interpretazione iconografica alla semiotica, per arrivare agli studi sociologici. Ciò alla fine ha consentito di rielaborare il materiale già noto e ampiamente studiato in modo convincente ed efficace, grazie al ragionamento sintetico adottato e alla possibilità di costruire paralleli letterari e artistici, frutto delle ricerche svolte nei diversi contesti. Il punto focale della tesi è rappresentato dalla figura di Pietro Gonzaga. Tra i decoratori e gli scenografi italiani attivi presso la corte russa tra il Settecento e l’Ottocento, questi è stato senza dubbio la figura più rilevante ed affascinante, in grado di lasciare una ricca eredità culturale e materiale nell’ambito dell’arte scenografica russa. Dimenticata per lungo tempo, l’opera di Pietro Gonzaga è attualmente oggetto di una certa riconsiderazione critica, suscitando curiosità e interesse da più parti. Guidando la ricerca su di un duplice binario, sia artistico che interculturale, si è quindi cercato di trovare alcune risonanze tra l’arte ed il pensiero di Gonzaga ed altre figure di rilievo non solo del suo secolo ma anche del Novecento, periodo in cui la cultura scenografica russa è riuscita ad affrancarsi dai dettami impartiti dalla lezione settecentesca, seguendo nuove ed originali strade espressive. In questo contesto spicca, ad esempio, la figura di Vsevolod Meyerchold, regista teatrale (uno dei protagonisti dell’ultimo capitolo della tesi) che ha instaurato un legame del tutto originale con i principi della visione scenica comunicati da Pietro Gonzaga. Lo sviluppo dell’argomento scelto ha richiesto di assumere una certa responsabilità critica, basandosi sulla personale sicurezza metodologica ed esperienza multidisciplinare al fine di tener conto dall’architettura, della teoria e della pratica teatrale – dalla conoscenza delle fonti fino agli studi del repertorio teatrale, delle specifiche artistiche locali, del contesto sociale dei due paesi a cavallo tra il ‘700 e l’‘800. Le problematiche toccate nella tesi (tra le quali si ricordano il ruolo specifico rivestito dal committente, le caratteristiche proprie della villa neoclassica russa, il fenomeno di ‘spettacoli muti’, la “teatralità” presente nel comportamento dei russi nell’epoca dei Lumi, la risonanza delle teorie italiane all’interno del arte russa) sono di chiara attualità per quanto concerne le ricerche relative al dialogo storico-artistico tra i due Paesi.

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Nel corso degli ultimi venti anni si è assistito ad un incremento generalizzato della disoccupazione in Europa in particolare di quella giovanile: nel 1997 in molti paesi europei il tasso di disoccupazione della classe 15-24 anni è doppio rispetto a quello degli adulti. Questo lavoro si propone di dare una descrizione realistica del fenomeno della disoccupazione giovanile in Italia come risultante dalle prime 4 waves dell’indagine European Household Community Panel indagando la probabilità di transizione dallo stato di disoccupazione a quello di occupazione. Nell’ambito di un’impostazione legata alla teoria dei processi stocastici e dei dati di durata si indagheranno gli effetti che episodi di disoccupazione precedenti possono avere sulla probabilità di trovare un lavoro, in particolare, nell’ambito di processi stocastici più generali si rilascerà l’ipotesi di semi-markovianità del processo per considerare l’effetto di una funzione della storia passata del processo sulla transizione attuale al lavoro. La stima della funzione di rischio a vari intervalli di durata si dimostra più appropriata quando si tiene conto della storia passata del processo, in particolare, si verifica l’ipotesi che la possibilità di avere successo nella ricerca di un lavoro è negativamente influenzata dall’aver avuto in passato molte transizioni disoccupazione-occupazione-disoccupazione.

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La tematica del presente scritto è l’analisi teorico-sperimentale del sistema edificio-impianto, che è funzione delle soluzioni progettuali adottate, dei componenti scelti e del tipo di conduzione prevista. La Direttiva 2010/31/CE sulle prestazioni energetiche degli edifici, entrata in vigore l’8 luglio 2010, pubblicata sulla Gazzetta Europea del 18 giugno 2010, sostituirà, dal 1º febbraio 2012, la direttiva 2002/91/CE. La direttiva prevede che vengano redatti piani nazionali destinati ad aumentare il numero di “edifici a energia quasi zero” e che entro il 31 dicembre 2020 tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere “edifici a energia quasi zero”, per gli edifici pubblici questa scadenza è anticipata al 31 dicembre 2018. In questa prospettiva sono stati progettati due “edifici a energia quasi zero”, una villa monofamiliare e un complesso scolastico (scuola dell’infanzia, elementare, media inferiore) attualmente in via di realizzazione, con l’obiettivo principale di fornire un caso studio unico per ogni tipologia in quanto anche modulare e replicabile nella realtà del nostro territorio, che anticipano gli obiettivi fissati dalla Direttiva 2010/31/CE. I risultati ottenibili dai suddetti progetti, esposti nella tesi, sono il frutto di un attenta e proficua progettazione integrata, connubio tra progettazione architettonica ed energetico/impiantistica. La stessa progettazione ha esaminato le tecnologie, i materiali e le soluzioni tecniche “mirate” ai fini del comfort ambientale e di un’elevata prestazione energetica dell’edificio. Inoltre è stato dedicato ampio rilievo alla diagnosi energetica degli edifici esistenti attraverso 4 casi studio, i principali svolti durante i tre anni di dottorato di ricerca, esemplari del patrimonio edilizio italiano. Per ogni caso studio è stata condotta una diagnosi energetica dell’edificio, valutati i risultati e definita la classe energetica, ed in seguito sono stati presi in considerazione i possibili interventi migliorativi sia da un punto di vista qualitativo sia economico tenendo conto degli incentivi statali per l’incremento dell’efficienza energetica.

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Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “la salute mentale è la base per un corretto sviluppo emotivo, psicologico, intellettuale e sociale degli individui e allo stesso tempo ha effetti favorevoli sull’ambiente in cui le persone vivono e sul luogo di lavoro, generando crescita economica e sviluppo sociale”. In tutti i paesi la frequenza dei disturbi mentali è in aumento, con conseguente incremento dei costi sociali ed economici. Circa il 14 % della popolazione adulta a livello mondiale è colpita da un disturbo mentale o di comportamento, con picchi di oltre il 20% negli Stati Uniti. Negli ultimi anni le politiche sanitarie si sono orientate sempre più verso la ricerca di soluzioni per l’organizzazione dei servizi di salute mentale, favorendo un approccio territoriale piuttosto che ospedaliero, che ha portato in alcuni paesi ad una netta riduzione di posti letto riservati a malati psichiatrici. Fondamentale quindi l’istituzione di percorsi integrati che soddisfino i bisogni di salute mentale dei pazienti, garantiscano la continuità assistenziale e perseguano un miglioramento della qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari. Obiettivo di questa tesi è la proposta di un set di indicatori per la salute mentale che avranno l’obiettivo di monitorare tutte le fasi del percorso assistenziale. A tale scopo, sarà necessario collegare i diversi flussi di informazioni: schede di dimissione ospedaliera, specialistica ambulatoriale, prestazioni farmaceutiche effettuate in distribuzione diretta o per conto, prestazioni dei dipartimenti di salute mentale, registro di mortalità, anagrafe.

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Il presente lavoro affronta la questione del rapporto tra l’azione cartolare e l’azione causale nell’ambito dei titoli cambiari; nonché il problema della relazione, di diritto sostanziale, che intercorre tra i menzionati titoli ed i rapporti causali che soggiacciono alla loro emissione e circolazione; con costante riferimento sia al diritto italiano che al diritto paraguaiano. Vengono così analizzati i concetti tradizionali della causa della cambiale e della convenzione esecutiva, per poi passare alla analisi della funzione economica tipica dei titoli cambiari e, segnatamente, la previsione del loro rilascio o negoziazione nell’economia del rapporto fondamentale. Si affrontano, così, i noti problemi della novazione e della dazione in pagamento attuate mediante questi titoli, tenendo in particolare considerazione anche la struttura delegatoria che presentano alcuni di essi. Particolare attenzione viene dedicata al fatto che, nella maggior parte dei casi, le parti non prevedono specificamente l’incidenza del rilascio o girata del titolo cambiario sul rapporto sottostante. Per questa ragione, si mette in luce che nella maggior parte dei casi la fattispecie configura una modificazione della relazione causale intercorrente tra le parti, proprio per l’assenza di pattuizione espressa al riguardo. Strettamente connesso con quest’aspetto risulta l’esame dell’emissione dei titoli cambiari solvendi causa, problematica nell’ambito della quale non si è mancato di tener conto della disciplina antiriciclaggio e dei moderni contributi dottrinari sull’oggetto dell’obbligazione pecuniaria. Viene, infine, vagliata anche l’incidenza dell’ulteriore circolazione del titolo sul rapporto causale che giustifica il suo possesso da parte del girante; per poi passare, come conclusione del lavoro, a stabilire l’interpretazione non solo processuale ma anche sostanziale che deve darsi, alla luce dei risultati raggiunti, alla disciplina degli artt. 66 della legge cambiaria e 58 della legge assegni.

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Il fenomeno del collegamento contrattuale prevede la presenza di due o più contratti, diversi e distinti, che, pur caratterizzati dagli elementi e dalla disciplina propri di ognuno, risultano coordinati teleologicamente da un nesso di reciproca dipendenza, in modo che le vicende dell’uno si trasmettono all’altro, influenzandone la validità e l’efficacia. Tale nozione è il frutto dell’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza, poiché la disciplina positiva difetta di previsioni recanti la definizione di operazioni in cui si ricorra all’impiego di più contratti in vista di uno scopo economico unitario. Fra le molteplici classificazioni realizzate in relazione a tale strumento, la tipologia che è oggetto di analisi nel presente lavoro è espressione dell’autonomia contrattuale dei contraenti che istituiscono fra i negozi un nesso bilaterale, funzionale e volontario. I presupposti del fenomeno de quo sono, allora, rappresentati dalla necessaria intenzione delle parti di attuare il collegamento, del vincolo che viene creato in concreto e, soprattutto, dal fine pratico unitario ed ulteriore, che esse intendono perseguire coordinando i vari atti. Da qui, l’inquadramento di siffatta figura di collegamento nel fenomeno dell’atipicità contrattuale, frutto dell’attività creativa dei privati di autoregolamentazione dei propri interessi. Dottrina e giurisprudenza, in particolare, reputano il collegamento un meccanismo che agisce sul piano degli effetti dei contratti. Infatti, ogni negozio coinvolto, pur conservando una causa autonoma, è finalizzato ad un unico regolamento di interessi, di talché le vicende che investono uno dei negozi possono ripercuotersi sull’altro (che in sé considerato è immune da vizi) e, pertanto, tutti i contratti simul stabunt simul cadent. In definitiva, così opinando, le patologie che riguardano un atto finiscono per condizionare non solo l’esecuzione, ma anche la validità dell’altro. Successivamente, l’indagine si incentra sull’esegesi dei rari interventi normativi, quasi esclusivamente ascrivibili alla legislazione speciale, che trattano del meccanismo de quo e che si pongono nel solco di quanto affermato dagli interpreti. Muovendo, poi, dal presupposto che l’ordinamento riconosce ai contraenti il potere di dar vita ad autodeterminazioni strutturalmente semplici ovvero come in tal caso più articolate, si cerca di dimostrare che in tali fattispecie l’apprezzamento non va condotto sul singolo contratto, bensì sull’operazione economica unitariamente considerata, come risultante dal collegamento fra più contratti. Infatti, una volta accertata l’interdipendenza funzionale delle diverse prestazioni, l’analisi su di esse assume un rilievo diverso se è compiuta per valutare l’assetto complessivo dell’intera operazione giuridico-economica posta in essere dalle parti: solo a fronte di una valutazione globale dei diritti e degli obblighi, anche in termini economici, si può appurare la reale portata giuridico-economica dell’affare. In forza di tali premesse può, quindi, procedersi ad un compiuto approfondimento del possibile ruolo svolto dalle clausole generali di buona fede ed equilibrio, quali strumenti di garanzia della giustizia negli scambi. Ne consegue l’abbandono di una prospettiva atomistica e, tenendo conto dell’unicità degli interessi perseguiti che vanno oltre le cause proprie dei singoli contratti collegati, si tenta di superare l’assunto per il quale il difetto che inficia uno dei contratti comporti l’automatica caducazione dell’altro. In una visione complessiva dell’operazione, la verifica attinente all’equilibrio tra i singoli atti nei quali essa si svolge ed alla sua possibile alterazione a causa di circostanze sopravvenute o originarie potrebbe sovvertire le certezze interpretative sotto il profilo della disciplina del collegamento, degli effetti dello stesso e delle patologie.

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Nella presente analisi si è avuta l’eccezionale disponibilità di dati longitudinali su molti individui (6000studenti frequentanti le scuole superiori bolognesi). Per ottenere un modello che al meglio spiegasse e riproducesse l’andamento degli esiti scolastici (promozione alla classe successiva) tenendo conto del percorso scolastico nel tempo, si è scelto il modello a curva latente condizionato. La variabile risposta è combinazione lineare dell’esito di fine anno (Promosso/Non promosso); riassume, per ogni studente/anno scolastico, classe frequentata ed esito finale. Le variabili esplicative sono state selezionate tra le informazioni disponibili per gli individui. Vengono presentati alcuni dati aggregati, poi descritti i dati individuali che entreranno nel modello, evidenziando la composizione degli studenti. La prima fase è la stima del modello logistico, con specificazione delle criticità, che hanno indotto alla scelta successiva del modello dipendente dal tempo. Dopo la descrizione della metodologia principale utilizzata, la teoria del conditionalLCM, e la selezione degli indicatori di fitting, viene delineata la procedura di stima, e raggiunto il modello ottimale. Le variabili significative per spiegare l’andamento delle promozioni individuali nel tempo risultano: cittadinanza (italiani con risultati significativamente migliori degli stranieri), sesso (ragazze con percorso scolastico mediamente migliore dei ragazzi: la differenza risulta però significativa soltanto negli istituti tecnici e professionali), tipologia di scuola frequentata (studenti del liceo con risultati significativamente migliori di chi frequenta altri tipi di istituto). I risultati risultano fortemente dipendenti dai dati impiegati, specie riguardo al limite territoriale. Precedenti analisi evidenziavano una forte differenziazione dei risultati scolastici tra studenti del nord e del sud Italia, oltre che tra studenti dei comuni maggiormente popolati e studenti dei comuni di provincia. Sarebbe interessante disporre di dati individuali analoghi a quelli qui utilizzati, ma riferiti all’intero territorio nazionale, oppure ad un zona maggiormente vasta dell’Italia, onde saggiare l’entità dell’influenza sul percorso scolastico,ed in particolare sulla regolarità, della differenza territoriale.

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La tesi, che si articola in tre capitoli, analizza la rilevanza della professionalità del lavoratore nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato con particolare riferimento all’interesse mostrato da parte della contrattazione collettiva nel settore privato e pubblico nella definizione dei sistemi classificatori e di inquadramento del personale. Nel primo capitolo, si dà conto dei fattori che hanno determinato l’emersione della professionalità quale bene giuridico meritevole di tutela da parte dell’ordinamento: si analizzano in particolare le trasformazioni organizzative e produttive, nonché le indicazioni provenienti dal testo costituzionale che si riverberano di poi nella legislazione ordinaria. Nel secondo si analizza quanto la professionalità, o le singole voci che la compongono, rilevi a fini classificatori: dunque in che termini le competenze, le conoscenze del lavoratore rilevino quali criteri classificatori. Nel terzo capitolo, viceversa, si pone maggiore attenzione rispetto all’ “importanza” della professionalità quale fattore che incide su meccanismi di progressione retributiva e in genere professionale (assumendosi tale espressione come una sorta di sinonimo del termine carriera, rispetto al quale si differenzia quanto al contesto organizzativo e produttivo in cui si svolge) del lavoratore. In un assetto simile, centrale è il rilievo della valutazione del lavoratore. I contratti collettivi analizzati sono per il settore privato quelli delle categorie chimici, terziario e tessile; per il settore pubblico, quelli del comparto sanità e regioni ed autonomie locali.

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La tesi affronta un tema di importanza crescente nell’organizzazione economico-produttiva nel quale assume forte rilevo pure la dimensione giuslavoristica. Nei fenomeni di integrazione delle attività d’impresa, infatti, si verifica in modo sempre più ampio una utilizzazione «indiretta» di forza lavoro, per cui diventa cruciale la questione del trattamento da applicare ai rapporti di lavoro «decentrati» Con un approccio che tiene conto dei risultati delle scienze organizzative, si analizzano anzitutto le modalità tipiche delle esternalizzazioni succedutesi nell’evoluzione economico-organizzativa negli ultimi decenni. Vi è una modalità “primaria” o “perfetta”, nella quale è dedotto ad oggetto un opus, giusta lo schema dell’art. 1655 cod. civ., per cui la dinamica del rapporto obbligatorio è integralmente governata dal contratto; vi è altresì una modalità “secondaria” o “relazionale”, che si manifesta nella forma di organizzazioni integrate allargate alla partecipazione di più imprese. In queste, la lunga durata del vincolo obbligatorio impedisce che il contratto sia ex se capace di prevedere, già nel momento genetico, ogni evenienza che investirà lo svolgimento concreto del rapporto. Per questo le esternalizzazioni “relazionali” sono le più interessanti per il diritto del lavoro: i soggetti economici (decentrante e decentrato) articolano relazioni strutturate e di lungo periodo, in cui si determina una stabile interconnessione tra le varie componenti organizzative, nonché un prolungato utilizzo, ad opera del committente, delle prestazioni rese dai dipendenti del fornitore. Dall’indefinitezza circa l’oggetto delle obbligazioni incombenti a carico del debitore dell’opus o servizio – conseguente alla lunga durata della relazione col committente – si delineano però due diversi scenari del rapporto negoziale: esso può essere retto da solidarietà, partnership collaborativa e condivisione di obiettivi comuni (contractual integration “orizzontale”); oppure può essere informato a dinamiche di potere e di condizionamento verso le imprese decentrate ed i loro prestatori di opere impegnati nell’esecuzione del segmento di attività esternalizzato (contractual integration “gerarchica” o “verticale”).

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Questa tesi parte da un evento “minore” della storia del XIX secolo per tendere, poi, ad alcuni obiettivi particolari. L’evento è costituito da uno strano funerale postumo, quello di Piero Maroncelli, carbonaro finito alla Spielberg, graziato, poi emigrato in Francia e in America, il cui corpo viene sepolto a New York nell’estate del 1846. Quarant’anni dopo, nel 1886, i resti di Maroncelli vengono esumati e – attraverso una “trafila” particolare, di cui è protagonista la Massoneria, da una sponda all’altra dell’Atlantico – solennemente trasferiti nella città natale di Forlì, dove vengono collocati nel pantheon del cimitero monumentale, inaugurato per l’occasione. Gli eventi celebrativi che si consumano a New York e a Forlì sono molto diversi fra loro, anche se avvengono quasi in contemporanea e sotto regie politiche ispirate dal medesimo radicalismo anticlericale. E’ chiaro che Maroncelli è un simbolo e un pretesto: simbolo di un’italianità transnazionale, composta di un “corpo” in transito, fuori dello spazio nazionale, ma appartenente alla patria (quella grande e quella piccola); pretesto per acquisire e rafforzare legami politici, mercè mobilitazioni di massa in un caso fondate sul festival, sulla festa en plein air, nell’altro sui rituali del cordoglio per i “martiri” dell’indipendenza. L’opportunità di comparare questi due contesti – l’Italia, colta nella sua periferia radicale e la New York della Tammany Hall -, non sulla base di ipotesi astratte, ma nella concretezza di un “caso di studio” reale e simultaneo, consente di riflettere sulla pervasività dell’ideologia democratica nella sua accezione ottocentesca, standardizzata dalla Massoneria, e, d’altro canto, sui riti del consenso, colti nelle rispettive tipicità locali. Un gioco di similitudini e di dissomiglianze, quindi. Circa gli obiettivi particolari – al di là della ricostruzione del “caso” Maroncelli -, ho cercato di sondare alcuni temi, proponendone una ricostruzione in primo luogo storiografica. Da un lato, il tema dell’esilio e del trapianto delle esperienze di vita e di relazione al di fuori del proprio contesto d’origine. Maroncelli utilizza, come strumento di identitario e di accreditamento, il fourierismo; la generazione appena successiva alla sua, grazie alla Giovine Italia, possiede già un codice interno, autoctono, cui fare riferimento; alla metà degli anni Cinquanta, ad esso si affiancherà, con successo crescente, la lettura “diplomatica” di ascendenza sabauda. Dall’altro, ho riflettuto sull’aspetto legato ai funerali politici, al cordoglio pubblico, al trasferimento postumo dei corpi. La letteratura disponibile, al riguardo, è assai ricca, e tale da consentire una precisa classificazione del “caso” Maroncelli all’interno di una tipologia della morte laica, ben delineata nell’Italia dell’Ottocento e del primo Novecento. E poi, ancora, ho preso in esame le dinamiche “festive” e di massa, approfondendo quelle legate al mondo dell’emigrazione italiana a Mew York, così distante nel 1886 dall’élite colta di quarant’anni prima, eppure così centrale per il controllo politico della città. Dinamiche alle quali fa da contrappunto, sul versante forlivese, la visione del mondo radicale e massonico locale, dominato dalla figura di Aurelio Saffi e dal suo tentativo di plasmare un’immagine morale e patriottica della città da lasciare ai posteri. Quasi un’ossessione, per il vecchio triumviro della Repubblica romana (morirà nel 1890), che interviene sulla toponomastica, sull’edilizia cemeteriale, sui pantheon civico, sui “ricordi” patriottici. Ho utilizzato fonti secondarie e di prima mano. Anche sulle prime, quantitativamente assai significative, mi sono misurata con un lavoro di composizione e di lettura comparata prima mai tentato. La giustapposizione di chiavi di lettura apparentemente distanti, ma giustificate dalla natura proteiforme e complicata del nostro “caso”, apre, a mio giudizio, interessanti prospettive di ricerca. Circa le fonti di prima mano, ho attinto ai fondi disponibili su Maroncelli presso la Biblioteca comunale di Forlì, alle raccolte del Grande Oriente d’Italia a Roma, a periodici italoamericani assai rari, sparsi in diverse biblioteche italiane, da Milano a Roma. Mi rendo conto che la quantità dei materiali reperiti, sovente molto eterogenei, avrebbero imposto una lettura delle fonti più accurata di quella che, in questa fase della ricerca, sono riuscita a condurre. E’ vero, però, che le suggestioni già recuperabili ad un’analisi mirata al contenuto principale – le feste, la propaganda, il cordoglio – consentono la tessitura di una narrazione non forzata, nella quale il ricordo della Repubblica romana viaggia da una sponda all’altra dell’Atlantica, insieme ai resti di Maroncelli; nella quale il rituale massonico funge da facilitatore e da “mediatore culturale”; nella quale, infine, il linguaggio patriottico e la koinè democratica trans-nazionale riescono incredibilmente a produrre o a incarnare identità. Per quanto tempo? La risposta, nel caso forlivese, è relativamente facile; in quello della “colonia” italiana di New York, presto alterata nella sua connotazione demografica dalla grande emigrazione transoceanica, le cose appaiono più complesse. E, tuttavia, nel 1911, cinquantesimo dell’Unità, qualcuno, nella grande metropoli americana, si sarebbe ricordato di Maroncelli, sia pure in un contesto e con finalità del tutto diverse rispetto al 1886: segno che qualcosa, sotto traccia, era sopravvissuto.