74 resultados para Audience development,Cultura,Città,Rigenerazione urbana,Eventi culturali,Frida nel Parco
Resumo:
L'interrogativo da cui nasce la ricerca riguarda la possibilità di individuare, in controtendenza con la logica neoliberista, strategie per l'affermarsi di una cultura dello sviluppo che sia sostenibile per l'ambiente e rispettosa della dignità delle persone, in grado di valorizzarne le differenze e di farsi carico delle difficoltà che ognuno può incontrare nel corso della propria esistenza. Centrale è il tema del lavoro, aspetto decisivo delle condizioni di appartenenza sociale e di valorizzazione delle risorse umane. Vengono richiamati studi sulla realtà in cui siamo immersi, caratterizzata dal pensiero liberista diventato negli ultimi decenni dominante su scala globale e che ha comportato una concezione delle relazioni sociali basata su di una competitività esasperata e sull’esclusione di chi non sta al passo con le leggi di mercato: le conseguenze drammatiche dell'imbroglio liberista; la riduzione delle persone a consumatori; la fuga dalla comunità ed il rifugio in identità separate; il tempo del rischio, della paura e della separazione fra etica e affari. E gli studi che, in controtendenza, introducono a prospettive di ricerca di uno sviluppo inclusivo e umanizzante: le prospettive della decrescita, del business sociale, di una via cristiana verso un'economia giusta, della valorizzazione delle capacità delle risorse umane. Vengono poi indagati i collegamenti con le esperienze attive nel territorio della città di Bologna che promuovono, attraverso la collaborazione fra istituzioni, organizzazioni intermedie e cittadini, occasioni di un welfare comunitario che sviluppa competenze e diritti insieme a responsabilità: l'introduzione delle clausole sociali negli appalti pubblici per la realizzazione professionale delle persone svantaggiate; la promozione della responsabilità sociale d'impresa per l'inclusione socio-lavorativa; la valorizzazione delle risorse delle persone che vivono un’esperienza carceraria. Si tratta di esperienze ancora limitate, ma possono costituire un riferimento culturale e operativo di un modello di sviluppo possibile, che convenga a tutti, compatibile con i limiti ambientali e umanizzante.
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Lo scritto ha l’obiettivo di definire dinamiche e cronologie di quel complesso processo espansionistico che portò Roma alla conquista dei territori dell’Ager Gallicus, partendo dall’analisi dettagliata della cultura materiale e dei rispettivi contesti di provenienza emersi dalle recenti indagini archeologiche realizzate dal Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università degli Studi di Bologna nella città di Senigallia. In armonia con quanto testimoniato dalle sequenze stratigrafiche documentate, si delineano quattro principali fasi di vita dell’abitato: la prima preromana, la seconda riferibile alla prima fase di romanizzazione del sito, la terza inerente allo sviluppo dell’insediamento con la fondazione della colonia romana e l’ultima riferibile all’età repubblicana. Emerge con chiarezza la presenza già dalla fine del IV-inizio III a.C., di un insediamento romano nel territorio della città, sviluppatosi con la fondazione di un’area sacra e la predisposizione di un’area produttiva. La scelta del sito di Sena Gallica fu strategica: un territorio idoneo allo sfruttamento agricolo e utile come testa di ponte per la conquista dei territori del Nord Italia. Inoltre, questo centro aveva già intrecciato rapporti commerciali con gli insediamenti costieri adriatici e mediterranei. La presenza di ceramica di produzione locale, il rinvenimento di elementi distanziatori e le caratteristiche geomorfologiche del sito, fanno ipotizzare la presenza in loco di un’officina ceramica. Ciò risulta di grande importanza dato che tutte le attestazioni ceramiche prodotte localmente e rinvenute nel territorio, fino ad oggi sono attribuite alle officine di Aesis e Ariminum. Dunque Sena Gallica sarebbe stata un centro commerciale e produttivo. La precoce presenza di ceramica a Vernice Nera di tipo romano-laziale prodotte localmente prima dell’istituzione ufficiale della colonia, che permette di ipotizzare uno stanziamento di piccoli gruppi di Romani in territori appena conquistati ma non ancora colonizzati, attestata a Sena Gallica, trova riscontro anche in altri centri adriatici come Ariminum, Aesis, Pisaurum, Suasa e Cattolica.
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Le Social Street sono gruppi di vicini di casa che vogliono ricreare legami di convivialità avendo notato un indebolimento delle relazioni sociali nei loro quartieri. Nascono come gruppi online, tramite la piattaforma Facebook, per materializzarsi in incontri offline andando a costruire legami conviviali grazie pratiche di socialità, inclusività e gratuità. Questa Tesi ha come obiettivo l’analisi dei profili socio-demografici degli Streeter e dei quartieri coinvolti per comprendere come sia possibile creare convivialità e come la variabile urbana intervenga in questi processi. Inoltre, si vuole comprendere le dinamiche di attaccamento al quartiere, gli interessi portati avanti dagli Streeter, il loro profilo civico e il posizionamento di quest’esperienza rispetto all’associazionismo tradizionale. Per perseguire l’obiettivo della ricerca, sono state studiate le tre città che vedono la maggiore presenza di Social Street: Milano, Bologna, Roma. La ricerca ha previsto sia un’analisi degli Streeter grazie a un questionario online replicato in tutti i contesti. Inoltre, sono state realizzate 131 interviste ad amministratori e fondatori di Social Street e condotte osservazioni etnografiche e netnografiche. I risultati mostrano come gli Streeter siano appartenenti alle classi medio-alte, tra trenta e cinquanta anni, che hanno sperimentato la mobilità tra un quartiere e l’altro o tra diversi contesi nazionali ed internazionali e trovano nelle Social Street un modo per creare legami di vicinato che hanno perso nei loro trasferimenti. Gli stessi quartieri dove si diffondono le Social Street sono agiati e vi è una buona corrispondenza tra Streeter e modello della centralità sociale elaborato da Milbrath (1965) per cui anche la partecipazione civica è molto sentita tra gli aderenti alle Social Street. Il contributo di questa Tesi al dibattito sociologico risiede nell’aver offerto un’analisi empirica di un’azione collettiva a livello urbano, quella delle Social Street, mostrando come vi sia circolarità tra azione e contesto grazie all’azione mutualistica conviviale.
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La presente ricerca, focalizzata sull’evoluzione di Piacenza tra età antica e altomedioevo, si mette nel solco del dibattito sull’archeologia urbana sviluppatosi in Italia a partire dagli anni Ottanta del Novecento. Dopo la raccolta dei dati di scavo negli archivi della Soprintendenza e delle testimonianze delle fonti scritte è stato creato un geodatabase che potesse gestirli in maniera integrata. Lo studio è stato svolto per temi trasversali che prendessero in esame lo sviluppo dei diversi aspetti di Piacenza dalla fondazione al IX secolo, per poi restituire in fase di conclusione dei quadri sincronici relativi alla città romana, tardoantica e altomedievale. Il quadro che si delinea dallo studio condotto è quello di una città che, seppure interessata dalle vicende storiche che hanno coinvolto buona parte del nord della penisola, tra la tarda Antichità e l’alto Medioevo, mostra sia fenomeni che la accomunano alle altre realtà urbane regionali e extraregionali, sia caratteristiche specifiche scarsamente riscontrate altrove. L’età carolingia è il periodo nel quale il caso piacentino si presenta maggiormente denso di spunti per il tema dell’urbanesimo. Su questo Piacenza, soprattutto per il tramite delle fonti scritte, offre uno spaccato che poche altre città possono dare e che sarebbe ulteriormente implementabile con nuove e mirate ricerche archeologiche.
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Il tema della casa, e più in generale dell’abitare, è argomento tornato al centro del dibattito sociale più di quanto non sia avvenuto in campo tecnico‐architettonico. Sono infatti abbastanza evidenti i limiti delle proposte che nel recente passato sono state, di norma, elaborate nelle nostre città, proposte molto spesso incapaci di tener conto delle molteplici dimensioni che l’evoluzione dei costumi e della struttura urbana e sociale ha indotto anche nella sfera della residenza e che sono legate a mutate condizioni lavorative, alla diversità di cultura e di religione di nuovi gruppi etnici insediati, alla struttura dei nuclei familiari (ove ancora esistano) ed a molti altri fattori; cambiate le esigenze, un tempo composte nella struttura della famiglia, sono cambiati desideri e richieste mentre l’apparato normativo è rimasto strutturato su modelli sociali ed economici superati. Il tema dunque assume, oggi più che mai, connotazioni con forti relazioni fra problematiche funzionali, tecnologiche e simboliche. Stimolata da queste osservazioni generali, la ricerca si è mossa partendo da un’analisi di casi realizzati nel periodo storico in cui si è esaurita, in Italia, l’emergenza abitativa post‐bellica, nell’intento di riconsiderare l’approccio vitale che era stato messo in campo in quella drammatica circostanza, ma già consapevole che lo sviluppo che avrebbe poi avuto sarebbe stato molto più circoscritto. La tesi infatti, dopo aver osservato rapidamente la consistenza tipologica ed architettonica di quegli interventi, per trarne suggestioni capaci di suggerire un credibile e nuovo prototipo da indagare, attraverso un’analisi comparativa sugli strumenti oggi disponibili per la comunicazione e gestione del progetto, si è soffermata sulla potenzialità delle nuove tecnologie dell'informazione (IT). Non si può infatti non osservare che esse hanno modificato non solo il modo di vivere, di lavorare, di produrre documenti e di scambiare informazioni, ma anche quello di controllare il processo di progetto. Il fenomeno è tuttora in corso ma è del tutto evidente che anche l'attività progettuale, seppure in un settore quale è quello dell'industria edilizia, caratterizzato da una notevole inerzia al cambiamento e restio all'innovazione, grazie alle nuove tecnologie ha conosciuto profonde trasformazioni (già iniziate con l’avvento del CAD) che hanno accelerato il progressivo mutamento delle procedure di rappresentazione e documentazione digitale del progetto. Su questo tema quindi si è concentrata la ricerca e la sperimentazione, valutando che l'”archivio di progetto integrato”, (ovvero IPDB ‐ Integrated Project Database) è, probabilmente, destinato a sostituire il concetto di CAD (utilizzato fino ad ora per il settore edilizio ed inteso quale strumento di elaborazione digitale, principalmente grafica ma non solo). Si è esplorata quindi, in una prima esperienza di progetto, la potenzialità e le caratteristiche del BIM (Building Information Model) per verificare se esso si dimostra realmente capace di formulare un archivio informativo, di sostegno al progetto per tutto il ciclo di vita del fabbricato, ed in grado di definirne il modello tridimensionale virtuale a partire dai suoi componenti ed a collezionare informazioni delle geometrie, delle caratteristiche fisiche dei materiali, della stima dei costi di costruzione, delle valutazioni sulle performance di materiali e componenti, delle scadenze manutentive, delle informazioni relative a contratti e procedure di appalto. La ricerca analizza la strutturazione del progetto di un edificio residenziale e presenta una costruzione teorica di modello finalizzata alla comunicazione e gestione della pianificazione, aperta a tutti i soggetti coinvolti nel processo edilizio e basata sulle potenzialità dell’approccio parametrico.
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La tesi è il frutto di un lavoro di ricerca sul rapporto tra educazione e politica sviluppato considerando letteratura, studi e ricerche in ambito pedagogico, sociologico e delle scienze politiche. I nuclei tematici oggetto delle letture preliminari e degli approfondimenti successivi che sono diventati il corpo della tesi sono i seguenti: • la crisi del ruolo dei partiti politici in Italia e in Europa: diminuiscono gli iscritti e la capacità di dare corpo a proposte politiche credibili che provengano dalla “base”dei partiti; • la crisi del sistema formativo1 in Italia e il fatto che l’educazione alla cittadinanza sia poco promossa e praticata nelle scuole e nelle istituzioni; • la diffusa mancanza di fiducia degli adolescenti e dei giovani nei confronti delle istituzioni (scuola inclusa) e della politica in molti Paesi del mondo2; i giovani sono in linea con il mondo adulto nel dimostrare i sintomi di “apatia politica” che si manifesta anche come avversione verso la politica; • il fatto che le teorie e gli studi sulla democrazia non siano stati in grado di prevenire la sistematica esclusione di larghi segmenti di cittadinanza dalle dinamiche decisionali dimostrando che la democrazia formale sia drasticamente differente da quella sostanziale. Una categoria tra le più escluse dalle decisioni è quella dei minori in età. Queste tematiche, se poste in relazione, ci inducono a riflettere sullo stato della democrazia e ci invitano a cercare nuovi orizzonti in cui inserire riflessioni sulla cittadinanza partendo dall’interesse centrale delle scienze pedagogiche: il ruolo dell’educazione. Essenziale è il tema dei diritti umani: per cominciare, rileviamo che sebbene la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia sia stata approvata da quasi vent’anni (nel 1989) e malgrado numerose istituzioni nazionali e internazionali (Onu, Consiglio d’Europa, Banca Mondiale, Unesco) continuino ad impegnarsi nella promozione dei diritti sanciti e ratificati con leggi da quasi tutti i Paesi del mondo, questi diritti sono spesso trascurati: in particolare i diritti di bambini, adolescenti e giovani fino a 18 anni ad essere ascoltati, ad esprimersi liberamente, a ricevere informazioni adeguate nonché il diritto ad associarsi. L’effetto di tale trascuratezza, ossia la scarsa partecipazione di adolescenti e giovani alla vita sociale e politica in ogni parte del mondo (Italia inclusa) è un problema su cui cercheremo di riflettere e trovare soluzioni. Dalle più recenti ricerche svolte sul rapporto tra giovani e politica3, risulta che sono in particolare i giovani tra i quindici e i diciassette anni a provare “disgusto” per la politica e a non avere alcune fiducia né nei confronti dei politici, né delle istituzioni. Il disgusto è strettamente legato alla sfiducia, alla delusione , alla disillusione che oltretutto porta al rifiuto per la politica e quindi anche a non informarsi volutamente, a tenere ciò che riguarda la politica lontano dalla propria sfera personale. In Italia, ciò non è una novità. Né i governi che si sono succeduti dagli anni dell’Unità ad oggi, né le teorie democratiche italiane e internazionali sono riusciti a cambiare l’approccio degli italiani alla politica: “fissità della cultura politica, indolenza di fronte alla mancanza di cultura della legalità, livelli bassi di informazione, di competenza, di fiducia nella democrazia”4. Tra i numerosi fattori presi in analisi nelle ricerche internazionali (cfr. Cap. I par.65) ve ne sono due che si è scoperto influenzano notevolmente la partecipazione politica della popolazione e che vedono l’Italia distante dalle altre democrazie europee: 1) la vicinanza alla religione istituzionale , 2) i caratteri della morale6. Religione istituzionale Non c’è studio o ricerca che non documenti la progressiva secolarizzazione degli stati. Eppure, dividendo la popolazione dei Paesi in: 1) non credenti, 2) credenti non praticanti e 3) credenti praticanti, fatto salvo per la Francia, si assiste ad una crescita dei “credenti non praticanti” in Europa e dei “credenti praticanti” in particolare in Italia (risultavano da un’indagine del 2005, il 42% della popolazione italiana). La spiegazione di questa “controtendenza” dell’Italia, spiega la Sciolla, “potrebbe essere il crescente ruolo pubblico assunto dalla Chiesa italiana e della sua sempre più pervasiva presenza su temi di interesse pubblico o direttamente politico (dalla fecondazione assistita alle unioni tra omosessuali) oltreché alla sua visibilità mediatica che, insieme al generale e diffuso disorientamento, potrebbe aver esercitato un autorevole richiamo”. Pluralismo morale Frutto innanzitutto del processo di individualizzazione che erode le forme assolute di autorità e le strutture gerarchiche e dell’affermarsi dei diritti umani con l’ampliamento degli spazi di libertà di coscienza dei singoli. Una conferma sul piano empirico di questo quadro è data dal monitoraggio di due configurazioni valoriali che più hanno a che vedere con la partecipazione politica: 1) Grado di civismo (in inglese civicness) che raggruppa giudizi sui comportamenti lesivi dell’interesse pubblico (non pagare le tasse, anteporre il proprio interesse e vantaggio personale all’interesse pubblico). 2) Libertarismo morale o cultura dei diritti ovvero difesa dei diritti della persona e della sua liberà di scelta (riguarda la sessualità, il corpo e in generale la possibilità di disporre di sé) In Italia, il civismo ha subito negli anni novanta un drastico calo e non è più tornato ai livelli precedenti. Il libertarismo è invece aumentato in tutti i Paesi ma Italia e Stati Uniti hanno tutt’ora un livello basso rispetto agli altri Stati. I più libertari sono gli strati giovani ed istruiti della popolazione. Queste caratteristiche degli italiani sono riconducibili alla storia del nostro Paese, alla sua identità fragile, mai compatta ed unitaria. Non è possibile tralasciare l’influenza che la Chiesa ha sempre avuto nelle scelte politiche e culturali del nostro Paese. Limitando il campo al secolo scorso, dobbiamo considerare che la Chiesa cattolica ha avuto continuativamente un ruolo di forte ingerenza nei confronti delle scelte dei governi (scelte che, come vedremo nel Cap. I, par.2 hanno influenzato le scelte sulla scuola e sull’educazione) che si sono succeduti dal 1948 ad oggi7. Ciò ha influito nei costumi della nostra società caratterizzandoci come Stato sui generis nel panorama europeo Inoltre possiamo definire l’Italia uno "Stato nazionale ed unitario" ma la sua identità resta plurinazionale: vi sono nazionalità, trasformate in minoranze, comprese e compresse nel suo territorio; lo Stato affermò la sua unità con le armi dell'esercito piemontese e questa unità è ancora da conquistare pienamente. Lo stesso Salvemini fu tra quanti invocarono un garante per le minoranze constatando che di fronte a leggi applicate da maggioranze senza controllo superiore, le minoranze non hanno sicurezza. Riteniamo queste riflessioni sull’identità dello Stato Italiano doverose per dare a questa ricerca sulla promozione della partecipazione politica di adolescenti e giovani, sull’educazione alla cittadinanza e sul ruolo degli enti locali una opportuna cornice culturale e di contesto. Educazione alla cittadinanza In questo scritto “consideriamo che lo stimolo al cambiamento e al controllo di ciò che succede nelle sfere della politica, la difesa stessa della democrazia, è più facile che avvenga se i membri di una comunità, singolarmente o associandosi, si tengono bene informati, possiedono capacità riflessive e argomentative, sono dunque adeguatamente competenti e in grado di formarsi un’opinione autonoma e di esprimerla pubblicamente. In questo senso potremmo dire che proprio l’educazione alla democrazia, di chi nella democrazia vive, godendone i vantaggi, è stata rappresentata da Montiesquieu e da J.S Mill come uno dei caratteri basilari della democrazia stessa e la sua assenza come uno dei peggiori rischi in cui si può incorrere”8 L’educazione alla cittadinanza - considerata come cornice di un ampio spettro di competenze, complessivamente legate alla partecipazione e pienamente consapevole alla vita politica e sociale - e in particolare la formazione alla cittadinanza attiva sono da tempo riconosciute come elementi indispensabili per il miglioramento delle condizioni di benessere dei singoli e delle società e sono elementi imprescindibili per costituire un credibile patto sociale democratico. Ma che tipo di sistema formativo meglio si adatta ad un Paese dove - decennio dopo decennio - i decisori politici (la classe politica) sembrano progressivamente allontanarsi dalla vita dei cittadini e non propongono un’idea credibile di stato, un progetto lungimirante per l’Italia, dove la politica viene vissuta come distante dalla vita quotidiana e dove sfiducia e disgusto per la politica sono sentimenti provati in particolare da adolescenti e giovani? Dove la religione e il mercato hanno un potere concorrente a quello dei principi democratici ? La pedagogia può in questo momento storico ricoprire un ruolo di grande importanza. Ma non è possibile formulare risposte e proposte educative prendendo in analisi una sola istituzione nel suo rapporto con adolescenti e giovani. Famiglia, scuola, enti locali, terzo settore, devono essere prese in considerazione nella loro interdipendenza. Certo, rispetto all’educazione alla cittadinanza, la scuola ha avuto, almeno sulla carta, un ruolo preminente avendo da sempre l’obiettivo di formare “l’uomo e il cittadino” e prevedendo l’insegnamento dell’educazione civica. Ma oggi, demandare il ruolo della “formazione del cittadino” unicamente alla scuola, non è una scelta saggia. La comunità, il territorio e quindi le istituzioni devono avere un ruolo forte e collaborare con la scuola. Educazione formale, non formale e informale devono compenetrarsi. Gli studi e le riflessioni della scrivente hanno portato all’ individuazione degli enti locali come potenziali luoghi privilegiati della formazione politica dei giovani e dell’educazione alla cittadinanza. Gli enti locali I Comuni, essendo le Istituzioni più vicine ai cittadini, possono essere il primo luogo dove praticare cittadinanza attiva traducendo in pratiche anche le politiche elaborate a livello regionale e nazionale. Sostiene la Carta riveduta della partecipazione dei giovani9 “La partecipazione attiva dei giovani alle decisioni e alle attività a livello locale e regionale è essenziale se si vogliono costruire società più democratiche, solidali e prospere. Partecipare alla vita politica di una comunità, qualunque essa sia, non implica però unicamente il fatto di votare e presentarsi alle elezioni, per quanto importanti siano tali elementi. Partecipare ed essere un cittadino attivo vuol dire avere i diritti, gli strumenti intellettuali e materiali, il luogo, la possibilità, e, se del caso, il necessario sostegno per intervenire nelle decisioni, influenzarle ed impegnarsi in attività e iniziative che possano determinare la costruzione di una società migliore”. In Italia, il ruolo degli enti locali è stato per lo più dominante nella definizione delle politiche sociali, sanitarie ed educative ma è divenuto centrale soprattutto in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione italiana operata nel 2001. Sono gli enti locali – le Regioni in primis – ad avere la funzione istituzionale di legiferare rispetto ai temi inerenti il sociale. Le proposte e le azioni di Province e Comuni dovrebbero ispirarsi al “principio di sussidiarietà” espresso nell’art. 118 della Costituzione: «Stato, Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà»10 e nei Trattati dell’Unione Europea. Il Trattato istitutivo della Comunità europea accoglie il principio nell’art.5 “La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario (…)”. Il principio di sussidiarietà può dunque essere recepito anche prevedendo, promuovendo e accogliendo la partecipazione dei cittadini alla vita della città in molteplici forme. Conseguentemente, facilitare l’avvicinamento degli adolescenti e dei giovani (in quanto cittadini) alla vita collettiva, al bene pubblico, alla politica considerandoli una risorsa e mettendoli nelle condizioni di essere socialmente e politicamente attivi rientra nelle possibili applicazioni del principio di sussidiarietà. L’oggetto della ricerca La ricerca condotta dalla scrivente prende le mosse dal paradigma ecologico e si ispira allo stile fenomenologico prendendo in analisi un contesto determinato da numerosi soggetti tra loro interrelati. La domanda di ricerca: “gli enti locali possono promuovere di progetti e interventi di educazione alla cittadinanza di cui adolescenti e giovani siano protagonisti? Se si, in che modo?”. Gli studi preliminari alla ricerca hanno mostrato uno scenario complesso che non era mai stato preso in analisi da chi si occupa di educazione. E’ stato dunque necessario comprendere: 1) Il ruolo e le funzioni degli enti locali rispetto alle politiche educative e di welfare in generale in Italia 2) La condizione di adolescenti e giovani in Italia e nel mondo 3) Che cos’è l’educazione alla cittadinanza 4) Che cosa si può intendere per partecipazione giovanile Per questo il lavoro di ricerca empirica svolto dalla scrivente è basato sulla realizzazione di due indagini esplorative (“Enti locali, giovani e politica (2005/2006)11 e “Nuovi cittadini di pace” (2006/2007)12) tramite le quali è stato possibile esaminare progetti e servizi di promozione della partecipazione degli adolescenti e dei giovani alla vita dei Comuni di quattro regioni italiane e in particolare della Regione Emilia-Romagna. L’oggetto dell’interesse delle due indagini è (attraverso l’analisi di progetti e servizi e di testimonianze di amministratori, tecnici e politici) esplorare le modalità con cui gli enti locali (i Comuni in particolare) esplicano la loro funzione formativa rivolta ad adolescenti e giovani in relazione all’educazione alla cittadinanza democratica. Ai fini delle nostre riflessioni ci siamo interessati di progetti, sevizi permanenti e iniziative rivolti alla fascia d’età che va dagli 11 ai 20/22 anni ossia quegli anni in cui si giocano molte delle sfide che portano i giovani ad accedere al mondo degli adulti in maniera “piena e autentica” o meno. Dall’analisi dei dati, emergono osservazioni su come gli enti locali possano educare alla cittadinanza in rete con altre istituzioni (la scuola, le associazioni), promuovendo servizi e progetti che diano ad adolescenti e giovani la possibilità di mettersi all’opera, di avere un ruolo attivo, realizzare qualche cosa ed esserne responsabili (e nel frattempo apprendere come funziona e che cos’è il governo di una città, di un territorio), intrecciare relazioni, lavorare in gruppo, in una cornice che va al di là delle politiche giovanili e che propone politiche integrate. In questo contesto il ruolo degli adulti (genitori, insegnanti, educatori, politici) è centrale: è dunque essenziale che le famiglie, il mondo della scuola, gli attivisti dei partiti politici, le istituzioni e il mondo dell’informazione attraverso l’agire quotidiano, dimostrino ad adolescenti e giovani coerenza tra azioni e idee dimostrando fiducia nelle istituzioni, tenendo comportamenti coerenti e autorevoli improntati sul rispetto assoluto della legalità, per esempio. Per questo, la prima fase di approfondimento qualitativo delle indagini è avvenuta tramite interviste in profondità a decisori politici e amministratori tecnici. Il primo capitolo affronta il tema della crisi della democrazia ossia il fatto che le democrazie odierne stiano vivendo una fase di dibattito interno e di riflessione verso una prospettiva di cambiamento necessaria. Il tema dell’inserimento dei diritti umani nel panorama del dibattito sulle società democratiche e sulla cittadinanza si intreccia con i temi della globalizzazione, della crisi dei partiti politici (fenomeno molto accentuato in Italia). In questa situazione di smarrimento e di incertezza, un’operazione politica e culturale che metta al primo posto l’educazione e i diritti umani potrebbe essere l’ancora di salvezza da gettare in un oceano di incoerenza e di speranze perdute. E’ necessario riformare il sistema formativo italiano investendo risorse sull’educazione alla cittadinanza in particolare per adolescenti e giovani ma anche per coloro che lavorano con e per i giovani: insegnanti, educatori, amministratori. La scolarizzazione, la formazione per tutto l’arco della vita sono alcuni dei criteri su cui oggi nuovi approcci misurano il benessere dei Paesi e sono diritti inalienabili sanciti, per bambini e ragazzi dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.13 La pedagogia e la politica devono avere in questo momento storico un ruolo di primo piano; gli obiettivi a cui dovrebbero tendere sono la diffusione di una cultura dei diritti, una cultura del rispetto dell’infanzia e di attenzione prioritaria ai temi del’educazione alla cittadinanza. “Rimuovere gli ostacoli sociali ed economici”14 a che questi diritti vengano rispettati è compito dello Stato e anche degli enti locali. Il secondo capitolo descrive la condizione dei giovani nel mondo e in Italia in rapporto ai diritti di partecipazione. Il contesto mondiale che la Banca Mondiale (organismo dell’Onu)15 dipinge è potenzialmente positivo: “il numero di giovani tra i 12 e i 24 anni è intorno a 1, 3 miliardi ossia il livello più elevato della storia; questo gruppo è in migliore salute e meglio istruito di sempre. I Paesi ricchi come quelli poveri devono approfittare di questa opportunità prima che l’invecchiamento della società metta fine a questo periodo potenzialmente assai fruttuoso per il mondo intero. In Italia invece “Viene dipinto un quadro deprimente in cui “gli adulti mandano segnali incerti, ambigui, contraddittori. Se si può dunque imputare qualcosa alle generazioni dei giovani oggi è di essere, per certi versi, troppo simili ai loro padri e alle loro madri”16 Nel capitolo vengono mostrati e commentati i dati emersi da rapporti e ricerche di organizzazioni internazionali che dimostrano come anche dal livello di istruzione, di accesso alla cultura, ma in particolare dal livello di partecipazione attiva alla vita civica dei giovani, dipenda il futuro del globo intero e dunque anche del nostro Paese . Viene inoltre descritto l’evolversi delle politiche giovanili in Italia anche in rapporto al mutare del significato del concetto controverso di “partecipazione”: il termine è presente in numerose carte e documenti internazionali nonché utilizzato nei programmi politici delle amministrazioni comunali ma sviscerarne il significato e collocarlo al di fuori dei luoghi comuni e dell’utilizzo demagogico obbliga ad un’analisi approfondita e multidimensionale della sua traduzione in azioni. Gli enti locali continuano ad essere l’oggetto principale del nostro interesse. Per questo vengono riportati i risultati di un’indagine nazionale sui servizi pubblici per adolescenti che sono utili per contestualizzare le indagini regionali svolte dalla scrivente. Nel terzo capitolo si esamina l’ “educazione alla cittadinanza” a partire dalla definizione del Consiglio d’Europa (EDC) cercando di fornire un quadro accurato sui contenuti che le pertengono ma soprattutto sulle metodologie da intraprendere per mettere autenticamente in pratica l’EDC. La partecipazione di adolescenti e giovani risulta essere un elemento fondamentale per promuovere e realizzare l’educazione alla cittadinanza in contesti formali, non formali e informali. Il quarto capitolo riporta alcune riflessioni sulla ricerca pedagogica in Italia e nel panorama internazionale e pone le basi ontologiche ed epistemologiche della ricerca svolta dalla scrivente. Nel quinto capitolo vengono descritte dettagliatamente le due indagini svolte dalla scrivente per raccogliere dati e materiali di documentazione sui progetti di promozione della partecipazione dei giovani promossi dagli Enti locali emiliano-romagnoli ai fini dell’educazione alla cittadinanza. “Enti locali, giovani e politica” indagine sui progetti di promozione della partecipazione sociale e politica che coinvolgono ragazzi tra i 15 e i 20 anni. E “Nuovi cittadini di pace”, un’indagine sui Consigli dei ragazzi nella Provincia di Bologna. Nel sesto capitolo la scrivente formula alcune conclusioni e proposte operative concentrando la propria attenzione in particolare sulle questione della formazione di educatori e facilitatori che operano in contesti di educazione non formale interistituzionale, sulla necessità di una ampia diffusione di una cultura dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nel mondo della politica e della scuola e su un utilizzo del dialogo autentico (in quanto principio democratico) per far sì che adolescenti, giovani e adulti possano collaborare e contribuire insieme alla formulazione di politiche e alla realizzazione di progetti comuni. Ci sembra infine che si debba riconoscere che è tempo di puntare con tutte le forze e in tutti i setting educativi disponibili su un impegno formativo in cui la dimensione politica non solo sia chiaramente e consapevolmente presente, ma sia considerata una delle sue caratteristiche principali. Il nostro tempo lo richiede con urgenza: l’alternativa rischia di essere la disfatta dell’intera umanità e dunque l’impossibilità per l’uomo di realizzarsi nel suo più elevato significato e nel suo autentico valore. I giovani sempre più lo chiedono anche se non sempre utilizzano linguaggi decifrabili dagli adulti.
Resumo:
The thesis in Urban and Regional Geography titled “URBAN AND TERRITORIAL COMPETITIVENESS IN SUSTAINABILITY. EMILIA-ROMAGNA, REGION OF EUROPE” is divided into two sections. Section one is additionally composed by two chapters (chap. 1 and 2) and deals with theoretical and gnosiological issues. Section two, of two more chapters (chap. 3 and 4), provides practical contributions: these issues give explanatory patterns to interpret the performances of emiliano-romagnoli urban systems. Chapter one is an introductory chapter. It analyzes globalization that involves a larger and larger number of cities, rich or poor. It also considers the so called “digital divide” either as one of the major phenomena of this unhomogeneous development or as an interesting gnosiological and practical challenge of geography. Globalization is now involving all the cities, large or small, but the small ones have higher risks of exclusion: it depends on their more fragile socio-economic, cultural, and environmental urban structure. That’s why European Union (chapter two) promotes policies and endows politics to sustain cities, because urban systems are the basis for the territorial development. So, European, national and local Institutions are firmly interested in promoting urban and local interventions and projects. Section two deals with economic-geography methods, which consists on collecting indicators and the benchmarking methodology. It also specifically analyzes the urban systems of Emilia-Romagna. Consequences of the globalization on the cities are interpreted with a study of their local resources, intended as potentials for their development. The STeMA approach, proposed by Professor Maria Prezioso (University of Roma, “Tor Vergata”) and used by the ESPON (European Spatial Program Observation Network) project, describes the main “determinants” of the territorial and urban development. These are easily comparable to one another (similar or better performing). This approach achieves two goals. On one hand, it is possible to analyze every urban system in its all main characteristics and to preserve its historical and cultural factors. On another hand, each city is “knowable” and “understandable” by all scholars, as it is objectively comparable. So, urban planners can propose specific “multi-level” and “multi-varied” programs of governance. These will face globalization by exalting local empowerment.
Resumo:
Oggetto della ricerca è il tema dello spazio delle centrali idroelettriche costruite nella prima metà del Novecento dagli architetti Giovanni Muzio e Piero Portaluppi. L’individuazione del tema sorge dalla volontà di indagare quali siano stati gli sviluppi dal punto di vista architettonico all’interno di un genere così specifico durante un periodo di tempo in cui gli stili architettonici e le tendenze hanno subito stravolgimenti ed evoluzioni che ancora oggi trovano una difficile connotazione e definizione precisa. L’analisi dell’architettura delle centrali idroelettriche, effettuata ripercorrendo le principali vicende del settore idroelettrico dalla fine del secolo scorso al secondo dopoguerra, oltre a considerare il rapporto con il contesto territoriale e culturale del nostro Paese vuole prendere in considerazione anche il particolare rapporto che in più casi si è venuto a creare tra committenti e progettisti. Compito della tesi è rileggere un settore poco indagato finora e capire se vi sia stata effettivamente una evoluzione architettonica dal punto di vista tipologico o se la centrale sia stata sempre affrontata come semplice esercizio di “vestizione” di un involucro precostituito da precise esigenze tecniche. La ricerca infatti si pone come obiettivo lo studio delle centrali non solo dal punto di vista tipologico e spaziale dei suoi principali elementi, ma si pone come obiettivo anche lo studio della loro distribuzione nel sito in cui sono sorte, distribuzione che spesso ha portato alla formazione di una sorta di vera e propria “città elettrica”, in cui la composizione dei vari elementi segue una logica compositiva ben precisa. Dal punto di vista del contributo originale la ricerca vuole proporre una serie di riflessioni ed elaborati inerenti alcune centrali non ancora indagate. Nel caso specifico di Portaluppi l’apporto originale consiste nell’aver portato alla luce notizie inerenti centrali che sono sempre state poste in secondo piano rispetto le ben più note e studiate centrali della Val d’Ossola. Nel caso invece di Muzio il contributo consiste in una analisi approfondita e in una comparazione di documenti che di solito sono sempre stati pubblicati come semplice apparato iconografico, ma che messi a confronto danno una lettura di quelle che sono state le fasi e le elaborazioni progettuali apportate dall’autore. Il tema della ricerca è stato affrontato poi attraverso una lettura delle fonti dirette relative agli scritti degli autori, con una contemporanea lettura di testi, articoli e interventi tratti dalle riviste appartenenti al periodo in esame per comprendere al meglio il panorama culturale e architettonico che hanno fatto da scenario alle esperienze di entrambe le figure oggetto di studio. Infine la ricerca si è concentrata sull’analisi di alcune opere in particolare - due centrali idroelettriche per ciascun autore oggetto della tesi - scelte perché considerate rappresentative sia per impianto spaziale e tipologico, sia per le scelte compositive e stilistiche adottate. La lettura dei manufatti architettonici scelti è stata condotta con l’analisi di copie di elaborati grafici originali, foto d’epoca e altri documenti reperiti grazie ad una ricerca condotta in vari archivi. Le centrali scelte nell’ambito delle esperienze maturate da Muzio e Portaluppi sono state individuate per rappresentare il quadro relativo allo sviluppo e alla ricerca di un nuovo linguaggio formale da adottare nell’ambito dell’architettura di questi manufatti. Per entrambi i protagonisti oggetto della ricerca sono state individuate due centrali in grado di dare una visione il più possibile completa dell’evoluzione della tematica delle centrali idroelettriche all’interno della loro esperienza, prendendo in considerazione soprattutto gli aspetti legati all’evoluzione del loro linguaggio compositivo e stilistico. L’individuazione delle centrali da analizzare è stata dettata prendendo in considerazione alcuni fattori come il tipo di impianto, le relazioni e confronto con il contesto geografico e naturale e le soluzioni adottate.
Resumo:
To understand a city and its urban structure it is necessary to study its history. This is feasible through GIS (Geographical Information Systems) and its by-products on the web. Starting from a cartographic view they allow an initial understanding of, and a comparison between, present and past data together with an easy and intuitive access to database information. The research done led to the creation of a GIS for the city of Bologna. It is based on varied data such as historical map, vector and alphanumeric historical data, etc.. After providing information about GIS we thought of spreading and sharing the collected data on the Web after studying two solutions available on the market: Web Mapping and WebGIS. In this study we discuss the stages, beginning with the development of Historical GIS of Bologna, which led to the making of a WebGIS Open Source (MapServer and Chameleon) and the Web Mapping services (Google Earth, Google Maps and OpenLayers).
Resumo:
La ricerca svolta ha individuato fra i suoi elementi promotori l’orientamento determinato da parte della comunità europea di dare vita e sostegno ad ambiti territoriali intermedi sub nazionali di tipo regionale all’interno dei quali i sistemi di città potessero raggiungere le massime prestazioni tecnologiche per cogliere gli effetti positivi delle innovazioni. L’orientamento europeo si è confrontato con una realtà storica e geografica molto variata in quanto accanto a stati membri, nei quali le gerarchie fra città sono storicamente radicate e funzionalmente differenziate secondo un ordine che vede la città capitale dominante su città subalterne nelle quali la cultura di dominio del territorio non è né continua né gerarchizzata sussistono invece territori nazionali compositi con una città capitale di riconosciuto potere ma con città di minor dimensione che da secoli esprimono una radicata incisività nella organizzazione del territorio di appartenenza. Alla prima tipologia di stati appartengono ad esempio i Paesi del Nord Europa e l’Inghilterra, esprimendo nella Francia una situazione emblematica, alla seconda tipologia appartengono invece i Paesi dell’aera mediterranea, Italia in primis, con la grande eccezione della Germania. Applicando gli intendimenti comunitari alla realtà locale nazionale, questa tesi ha avviato un approfondimento di tipo metodologico e procedurale sulla possibile organizzazione a sistema di una regione fortemente policentrica nel suo sviluppo e “artificiosamente” rinata ad unità, dopo le vicende del XIX secolo: l’Emilia-Romagna. Anche nelle regioni che si presentano come storicamente organizzate sulla pluralità di centri emergenti, il rapporto col territorio è mediato da centri urbani minori che governano il tessuto cellulare delle aggregazioni di servizi di chiara origine agraria. Questo stato di cose comporta a livello politico -istituzionale una dialettica vivace fra territori voluti dalle istituzioni e territori legittimati dal consolidamento delle tradizioni confermato dall’uso attuale. La crescente domanda di capacità di governo dello sviluppo formulata dagli operatori economici locali e sostenuta dalle istituzioni europee si confronta con la scarsa capacità degli enti territoriali attuali: Regioni, Comuni e Province di raggiungere un livello di efficienza sufficiente ad organizzare sistemi di servizi adeguati a sostegno della crescita economica. Nel primo capitolo, dopo un breve approfondimento sulle “figure retoriche comunitarie”, quali il policentrismo, la governance, la coesione territoriale, utilizzate per descrivere questi fenomeni in atto, si analizzano gli strumenti programmatici europei e lo S.S.S.E,. in primis, che recita “Per garantire uno sviluppo regionale equilibrato nella piena integrazione anche nell’economia mondiale, va perseguito un modello di sviluppo policentrico, al fine di impedire un’ulteriore eccessiva concentrazione della forza economica e della popolazione nei territori centrali dell’UE. Solo sviluppando ulteriormente la struttura, relativamente decentrata, degli insediamenti è possibile sfruttare il potenziale economico di tutte le regioni europee.” La tesi si inserisce nella fase storica in cui si tenta di definire quali siano i nuovi territori funzionali e su quali criteri si basa la loro riconoscibilità; nel tentativo di adeguare ad essi, riformandoli, i territori istituzionali. Ai territori funzionali occorre riportare la futura fiscalità, ed è la scala adeguata per l'impostazione della maggior parte delle politiche, tutti aspetti che richiederanno anche la necessità di avere una traduzione in termini di rappresentanza/sanzionabilità politica da parte dei cittadini. Il nuovo governo auspicato dalla Comunità Europea prevede una gestione attraverso Sistemi Locali Territoriali (S.Lo.t.) definiti dalla combinazione di milieu locale e reti di attori che si comportano come un attore collettivo. Infatti il secondo capitolo parte con l’indagare il concetto di “regione funzionale”, definito sulla base della presenza di un nucleo e di una corrispondente area di influenza; che interagisce con altre realtà territoriali in base a relazioni di tipo funzionale, per poi arrivare alla definizione di un Sistema Locale territoriale, modello evoluto di regione funzionale che può essere pensato come una rete locale di soggetti i quali, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. Identificare un sistema territoriale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire qualsiasi forma di pianificazione o governance territoriale, perchè si deve soprattutto tener conto dei processi di integrazione funzionale e di networking che si vengono a generare tra i diversi sistemi urbani e che sono specchio di come il territorio viene realmente fruito., perciò solo un approccio metodologico capace di sfumare e di sovrapporre le diverse perimetrazioni territoriali riesce a definire delle aree sulle quali definire un’azione di governo del territorio. Sin dall’inizio del 2000 il Servizio Sviluppo Territoriale dell’OCSE ha condotto un’indagine per capire come i diversi paesi identificavano empiricamente le regioni funzionali. La stragrande maggioranza dei paesi adotta una definizione di regione funzionale basata sul pendolarismo. I confini delle regioni funzionali sono stati definiti infatti sulla base di “contorni” determinati dai mercati locali del lavoro, a loro volta identificati sulla base di indicatori relativi alla mobilità del lavoro. In Italia, la definizione di area urbana funzionale viene a coincidere di fatto con quella di Sistema Locale del Lavoro (SLL). Il fatto di scegliere dati statistici legati a caratteristiche demografiche è un elemento fondamentale che determina l’ubicazione di alcuni servizi ed attrezzature e una mappa per gli investimenti nel settore sia pubblico che privato. Nell’ambito dei programmi europei aventi come obiettivo lo sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio fatto di aree funzionali in relazione fra loro, uno degli studi di maggior rilievo è stato condotto da ESPON (European Spatial Planning Observation Network) e riguarda l’adeguamento delle politiche alle caratteristiche dei territori d’Europa, creando un sistema permanente di monitoraggio del territorio europeo. Sulla base di tali indicatori vengono costruiti i ranking dei diversi FUA e quelli che presentano punteggi (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In questo senso, i MEGA sono FUA/SLL particolarmente performanti. In Italia ve ne sono complessivamente sei, di cui uno nella regione Emilia-Romagna (Bologna). Le FUA sono spazialmente interconnesse ed è possibile sovrapporre le loro aree di influenza. Tuttavia, occorre considerare il fatto che la prossimità spaziale è solo uno degli aspetti di interazione tra le città, l’altro aspetto importante è quello delle reti. Per capire quanto siano policentrici o monocentrici i paesi europei, il Progetto Espon ha esaminato per ogni FUA tre differenti parametri: la grandezza, la posizione ed i collegamenti fra i centri. La fase di analisi della tesi ricostruisce l’evoluzione storica degli strumenti della pianificazione regionale analizzandone gli aspetti organizzativi del livello intermedio, evidenziando motivazioni e criteri adottati nella suddivisione del territorio emilianoromagnolo (i comprensori, i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro…). La fase comprensoriale e quella dei distretti, anche se per certi versi effimere, hanno avuto comunque il merito di confermare l’esigenza di avere un forte organismo intermedio di programmazione e pianificazione. Nel 2007 la Regione Emilia Romagna, nell’interpretare le proprie articolazioni territoriali interne, ha adeguato le proprie tecniche analitiche interpretative alle direttive contenute nel Progetto E.S.P.O.N. del 2001, ciò ha permesso di individuare sei S.Lo.T ( Sistemi Territoriali ad alta polarizzazione urbana; Sistemi Urbani Metropolitani; Sistemi Città – Territorio; Sistemi a media polarizzazione urbana; Sistemi a bassa polarizzazione urbana; Reti di centri urbani di piccole dimensioni). Altra linea di lavoro della tesi di dottorato ha riguardato la controriprova empirica degli effettivi confini degli S.Lo.T del PTR 2007 . Dal punto di vista metodologico si è utilizzato lo strumento delle Cluster Analisys per impiegare il singolo comune come polo di partenza dei movimenti per la mia analisi, eliminare inevitabili approssimazioni introdotte dalle perimetrazioni legate agli SLL e soprattutto cogliere al meglio le sfumature dei confini amministrativi dei diversi comuni e province spesso sovrapposti fra loro. La novità è costituita dal fatto che fino al 2001 la regione aveva definito sullo stesso territorio una pluralità di ambiti intermedi non univocamente circoscritti per tutte le funzioni ma definiti secondo un criterio analitico matematico dipendente dall’attività settoriale dominante. In contemporanea col processo di rinnovamento della politica locale in atto nei principali Paesi dell’Europa Comunitaria si va delineando una significativa evoluzione per adeguare le istituzioni pubbliche che in Italia comporta l’attuazione del Titolo V della Costituzione. In tale titolo si disegna un nuovo assetto dei vari livelli Istituzionali, assumendo come criteri di riferimento la semplificazione dell’assetto amministrativo e la razionalizzazione della spesa pubblica complessiva. In questa prospettiva la dimensione provinciale parrebbe essere quella tecnicamente più idonea per il minimo livello di pianificazione territoriale decentrata ma nel contempo la provincia come ente amministrativo intermedio palesa forti carenze motivazionali in quanto l’ente storico di riferimento della pianificazione è il comune e l’ente di gestione delegato dallo stato è la regione: in generale troppo piccolo il comune per fare una programmazione di sviluppo, troppo grande la regione per cogliere gli impulsi alla crescita dei territori e delle realtà locali. Questa considerazione poi deve trovare elementi di compatibilità con la piccola dimensione territoriale delle regioni italiane se confrontate con le regioni europee ed i Laender tedeschi. L'individuazione di criteri oggettivi (funzionali e non formali) per l'individuazione/delimitazione di territori funzionali e lo scambio di prestazioni tra di essi sono la condizione necessaria per superare l'attuale natura opzionale dei processi di cooperazione interistituzionale (tra comuni, ad esempio appartenenti allo stesso territorio funzionale). A questo riguardo molto utile è l'esperienza delle associazioni, ma anche delle unioni di comuni. Le esigenze della pianificazione nel riordino delle istituzioni politico territoriali decentrate, costituiscono il punto finale della ricerca svolta, che vede confermato il livello intermedio come ottimale per la pianificazione. Tale livello è da intendere come dimensione geografica di riferimento e non come ambito di decisioni amministrative, di governance e potrebbe essere validamente gestito attraverso un’agenzia privato-pubblica dello sviluppo, alla quale affidare la formulazione del piano e la sua gestione. E perché ciò avvenga è necessario che il piano regionale formulato da organi politici autonomi, coordinati dall’attività dello stato abbia caratteri definiti e fattibilità economico concreta.
Biofilms on exposed monumental stones: mechanism of formation and development of new control methods
Resumo:
Within the stone monumental artefacts artistic fountains are extremely favorable to formation of biofilms, giving rise to biodegradation processes related with physical-chemical and visual aspect alterations, because of their particular exposure conditions. Microbial diversity of five fountains (two from Spain and three from Italy) was investigated. It was observed an ample similarity between the biodiversity of monumental stones reported in literature and that one found in studied fountains. Mechanical procedures and toxic chemical products are usually employed to remove such phototrophic patinas. Alternative methods based on natural antifouling substances are recently experimented in the marine sector, due to their very low environmental impact and for the bio settlement prevention on partially immersed structures of ships. In the present work groups of antibiofouling agents (ABAs) were selected from literature for their ability to interfere, at molecular level, with the microbial communication system “quorum sensing”, inhibiting the initial phase of biofilm formation. The efficacy of some natural antibiofoulants agents (ABAs) with terrestrial (Capsaicine - CS, Cinnamaldehyde - CI) and marine origin (Zosteric Acid - ZA, poly-Alkyl Pyridinium Salts – pAPS and Ceramium botryocarpum extract - CBE), incorporated into two commercial coatings (Silres BS OH 100 - S and Wacker Silres BS 290 - W) commonly used in stone conservation procedures were evaluated. The formation of phototrophic biofilms in laboratory conditions (on Carrara marble specimens and Sierra Elvira stone) and on two monumental fountains (Tacca’s Fountain 2 - Florence, Italy and Fountain from Patio de la Lindaraja - Alhambra Palace, Granada, Spain) has been investigated in the presence or absence of these natural antifouling agents. The natural antibiofouling agents, at tested concentrations, demonstrated a certain inhibitory effect. The silane-siloxane based silicone coating (W) mixing with ABAs was more suitable with respect to ethyl silicate coating (S) and proved efficacy against biofilm formation only when incompletely cured. The laboratory results indicated a positive action in inhibiting the patina formation, especially for poly-alkyl pyridinium salts, zosteric acid and cinnamaldehyde, while on site tests revealed a good effect for zosteric acid.
Resumo:
Punto di partenza per il lavoro presentato, sono le tematiche legate alle pratiche di consumo di cibo in un’ottica che superi una semplice visione utilitaristica delle stesse, mentre viene evidenziato invece il più profondo rapporto uomo-cibo e i fenomeni di socializzazione che ne scaturiscono. Si trovano pertanto a coniugarsi la sociologia dei consumi e la sociologia della cultura. La base per questa visione del cibo e delle pratiche di produzione e consumo ad esso collegate è l’ipotesi che nel rapporto uomo-cibo sia individuabile un livello di significato superiore al mero utilitarismo/nutrizionismo, che si compone di una dimensione strutturale, una dimensione simbolica ed una dimensione metaforica. Il cibo, e di conseguenza tutte le pratiche ad esso collegate (produzione, elaborazione, consumo), rientrano pertanto in maniera naturale nella categoria “cultura”, e quindi, accostandoci al paradigma del passaggio da natura a società, attraverso il cibo si crea e si alimenta la socialità del consorzio umano, e quindi l’umanità stessa. Accostando a queste concettualizzazioni l’idea che il consumo in generale possa diventare una prassi tramite cui esperire una più diffusa ricerca di sostenibilità nello sviluppo del territorio, (facendosi carico delle conseguenze socio-ambientali derivanti dalla fruizione di determinati oggetti piuttosto che altri), si è sviluppata l’ipotesi che al consumo alimentare possa competere un ruolo precipuamente attivo nella definizione di pratiche sociali orientate alla sostenibilità, capaci cioè di integrare attraverso il consumo – e in relazione all’indebolimento delle tradizionali agenzie di socializzazione – quella perdita di senso civico e solidarietà organizzata che sperimentiamo nelle prassi di vita quotidiana. Sul piano operativo, la tesi è articolata in sei capitoli: • Il percorso presentato prende le mosse dalla considerazione che il cibo, inteso in un’ottica sociologica, costituisce un fattore culturale non irrilevante, anzi fondamentale per il consorzio umano. Si fornisce quindi una breve descrizione del ruolo del cibo nei suoi accostamenti con la definizione di un territorio (e quindi con la sua storia, economia e società), con le arti visive, con il cinema, con la musica, ma anche con la sfera sensoriale (tatto, gusto, olfatto) ed emotivo-cognitiva (psiche) dell’uomo. • Successivamente, si analizza nello specifico la funzione socializzante delle pratiche alimentari, ripercorrendo le tappe principali degli studi classici di sociologia e antropologia dell’alimentazione e introducendo anche l’idea di cibo come simbolo e metafora, che si riflettono sul piano sociale e sulle relazioni tra gli individui. La constatazione che le pratiche legate al cibo sono le uniche attività umane da sempre e per sempre irrinunciabili è un chiaro indicatore di come esse giochino un ruolo fondamentale nella socializzazione umana. • Nel terzo capitolo, la prospettiva simbolico-metaforica è la base di un’analisi di tipo storico delle pratiche alimentari, nello specifico delle pratiche di consumo di cibo, dalle origini dell’umanità ai giorni nostri. Viene presentato un excursus essenziale in cui l’attenzione è focalizzata sulla tavola, sui cibi ivi serviti e sugli eventi di socializzazione che si sviluppano attorno ad essa, considerando situazioni storico-sociali oggettive di cui si è in grado, oggi, di ricostruire le dinamiche e le fasi più significative. • Il quarto capitolo costituisce un momento di riflessione teorica intorno al tema della globalizzazione nella contemporaneità. Sia per una logica progressione cronologica all’interno del lavoro presentato, sia per la rilevanza in quanto inerente alla società attuale in cui viviamo, non si è potuto infatti non soffermarsi un po’ più a fondo sull’analisi delle pratiche alimentari nella contemporaneità, e quindi nella società generalmente definita come “globalizzata” (o “mcdonaldizzata”, per dirla alla Ritzer) ma che in realtà è caratterizzata da un più sottile gioco di equilibri tra dimensione locale e dimensione globale, che si compenetrano come anche nel termine che indica tale equilibrio: il “glocale”. In questo capitolo vengono presentati i principali riferimenti teorici relativi a queste tematiche. • Nel quinto capitolo è stata analizzata, quindi, la declinazione in senso “alimentare” della relazione tra globale e locale, e quindi non solo i mutamenti intercorsi nella contemporaneità nelle pratiche di produzione, scambio e consumo di cibo con particolare riferimento ai sistemi culturali e al territorio, ma anche alcune proposte (sia teoriche che pratiche) a garanzia di uno sviluppo sostenibile del territorio, che trovi i suoi fondamenti sulla perpetuazione di modalità tradizionali di produzione, commercio e consumo di cibo. • Nel sesto capitolo viene analizzato un caso di studio significativo, (il movimento Slow Food, con il suo progetto Terra Madre) senza la pretesa di confermare o smentire né le ipotesi di partenza, né i concetti emersi in itinere, ma semplicemente con l’intenzione di approfondire il percorso svolto attraverso l’esemplificazione operativa e la ricerca entro un piccolo campione composto da testimoni significativi e intervistati, sottoposti a colloqui e interviste incentrate su item inerenti i temi generali di questo lavoro e sul caso di studio considerato. La scelta del caso è motivata dalla considerazione che, alla luce delle filosofia che lo anima e delle attività che svolge, il movimento Slow Food con il progetto Terra Madre costituisce una vera e propria eccellenza nella pianificazione di uno sviluppo sostenibile del territorio e delle sue risorse, tanto economiche quanto sociali e culturali. L’intera analisi è stata condotta tenendo presente l’importanza della comparazione e della collocazione del singolo caso non solo nel contesto sociale di riferimento, ma anche in sintonia con l’ipotesi della ricerca, e quindi con l’assunto che le pratiche alimentari possano guidare uno sviluppo sostenibile del territorio. Per analizzare la realtà individuata, si è in primo luogo proceduto alla raccolta e all’analisi di dati e informazioni volte alla ricostruzione della sua storia e del suo sviluppo attuale. Le informazioni sono state raccolte attraverso l’analisi di materiali, documenti cartacei e documenti multimediali. Si è poi proceduto con colloqui in profondità a testimoni significativi individuati nell’ambito delle attività promosse da Slow Food, con particolare riferimento alle attività di Terra Madre; le informazioni sono state elaborate con l’ausilio dell’analisi del contenuto. Alla luce di quanto analizzato, tanto a livello teorico quanto a livello empirico, la tesi si conclude con alcune considerazioni che, in linea con la finalità dichiarata di approfondire (più che di confermare o smentire) le ipotesi di partenza circa un ruolo fondamentale delle pratiche alimentari nello sviluppo sostenibile del territorio, non possono comunque non tendere ad una convalida dei concetti introduttivi. Si individuano pertanto spunti importanti per affermare che nelle pratiche alimentari, nei tre momenti in cui trovano specificazione (la produzione, lo scambio, il consumo), siano individuabili quei semi valoriali che possono dare solidità alle ipotesi di partenza, e che quindi - nell’intento di operare per uno sviluppo sostenibile del territorio - sia possibile farne un valido strumento al fine di costruire dei veri e propri percorsi di sostenibilità ancorati ai concetti di tutela della tradizione locale, recupero e salvaguardia dei metodi tradizionali di produzione e conservazione, certificazione di tipicità, controllo della distribuzione, riscatto e promozione delle modalità tradizionali di consumo con particolare riferimento alle culture locali.
Resumo:
The aim of the study was to identify expression signatures unique for specific stages of osteoblast differentiation in order to improve our knowledge of the molecular mechanisms underlying bone repair and regeneration. We performed a microarray analysis on the whole transcriptome of human mesenchymal stem cells (hMSCs) obtained from the femoral canal of patients undergoing hip replacement. By defining different time-points within the differentiation and mineralization phases of hMSCs, temporal gene expression changes were visualised. Importantly, the gene expression of adherent bone marrow mononuclear cells, being the undifferentiated progenitors of bone cells, was used as reference. In addition, only the cultures able to form mineral nodules at the final time-point were considered for the gene expression analyses. To obtain the genes of our interest, we only focused on genes: i) whose expression was significantly upregulated; ii) which are involved in pathways or biological processes relevant to proliferation, differentiation and functions of bone cells; iii) which changed considerably during the different steps of differentiation and/or mineralization. Among the 213 genes identified as differentially expressed by microarray analysis, we selected 65 molecular markers related to specific steps of osteogenic differentiation. These markers are grouped into various gene clusters according to their involvement in processes which play a key role in bone cell biology such as angiogenesis, ossification, cell communication, development and in pathways like TGF beta and Wnt signaling pathways. Taken together, these results allow us to monitor hMSC cultures and to distinguish between different stages of differentiation and mineralization. The signatures represent a useful tool to analyse a broad spectrum of functions of hMSCs cultured on scaffolds, especially when the constructs are conceived for releasing growth factors or other signals to promote bone regeneration. Morover, this work will enhance our understanding of bone development and will enable us to recognize molecular defects that compromise normal bone function as occurs in pathological conditions.
Resumo:
I viaggi e gli studi compiuti in Croazia, Montenegro e Bosnia Erzegovina in occasione della Tesi di Laurea hanno costituito l’occasione per comprendere quanto sia consistente il retaggio di Roma antica sulla sponda orientale dell’Adriatico. Nello stesso tempo si è potuto constatare che, per diversi motivi, dal punto di vista prettamente scientifico, la ricchezza di questo patrimonio archeologico aveva sino allora trovato soltanto poche occasioni di studio. Da qui la necessità di provvedere a un quadro completo e generale relativo alla presenza romana in un territorio come quello della provincia romana di Dalmatia che, pur considerando la sua molteplicità geografica, etnica, economica, culturale, sociale e politica, ha trovato, grazie all’intervento di Roma, una sua dimensione unitaria, un comune denominatore, tanto da farne una provincia che ebbe un ruolo fondamentale nella storia dell’Impero. Il lavoro prende le mosse da una considerazione preliminare e generale, che ne costituisce quasi lo spunto metodologico più determinante: la trasmissione della cultura e dei modelli di vita da parte di Roma alle altre popolazioni ha creato un modello in virtù del quale l’imperialismo romano si è in certo modo adattato alle diverse culture incontrate ed assimilate, dando vita ad una rete di culture unite da elementi comuni, ma anche profondamente diversificate per sintesi originali. Quella che pare essere la chiave di lettura impiegata è la struttura di un impero a forma di “rete” con forti elementi di coesione, ma allo stesso tempo dotato di ampi margini di autonomia. E questo a cominciare dall’analisi dei fattori che aprirono il cammino dell’afflusso romano in Dalmatia e nello stesso tempo permisero i contatti con il territorio italico. La ricerca ne analizza quindi i fattori:il diretto controllo militare, la costruzione di una rete viaria, l’estensione della cittadinanza romana, lo sviluppo della vita locale attraverso la formazione di una rete di municipi, i contatti economici e l’immigrazione di genti romanizzate. L’analisi ha posto in evidenza una provincia caratterizzata da notevoli contraddizioni, che ne condizionarono – presso entrambi i versanti del Velebit e delle Alpi Dinariche – lo sviluppo economico, sociale, culturale e urbanistico. Le profonde differenze strutturali tra questi due territori rimasero sempre presenti: la zona costiera divenne, sotto tutti i punti di vista, una sorta di continuazione dell’Italia, mntre quella continentale non progredì di pari passo. Eppure l’influenza romana si diffuse anche in questa, così che essa si pote conformare, in una certa misura, alla zona litoranea. Come si può dedurre dal fatto che il severo controllo militare divenne superfluo e che anche questa regione fu dotata progressivamente di centri amministrati da un gruppo dirigente compiutamente integrato nella cultura romana. Oltre all’analisi di tutto ciò che rientra nel processo di acculturazione dei nuovi territori, l’obiettivo principale del lavoro è l’analisi di uno degli elementi più importanti che la dominazione romana apportò nei territori conquistati, ovvero la creazione di città. In questo ambito relativamente periferico dell’Impero, qual è il territorio della provincia romana della Dalmatia, è stato dunque possibile analizzare le modalità di creazione di nuovi centri e di adattamento, da parte di Roma, ai caratteri locali dell’insediamento, nonché ai condizionamenti ambientali, evidenziando analogie e differenze tra le città fondate. Prima dell’avvento di Roma, nessuna delle regioni entrate a far parte dei territori della Dalmatia romana, con la sola eccezione della Liburnia, diede origine a centri di vero e proprio potere politico-economico, come ad esempio le città greche del Mediterraneo orientale, tali da continuare un loro sviluppo all’interno della provincia romana. In altri termini: non si hanno testimonianze di insediamenti autoctoni importanti che si siano trasformati in città sul modello dei centri provinciali romani, senza aver subito cambiamenti radicali quali una nuova pianificazione urbana o una riorganizzazione del modello di vita locale. Questo non significa che la struttura politico-sociale delle diverse tribù sia stata cambiata in modo drastico: almeno nelle modeste “città” autoctone, nelle quali le famiglie appaiono con la cittadinanza romana, assieme agli ordinamenti del diritto municipale, esse semplicemente continuarono ad avere il ruolo che i loro antenati mantennero per generazioni all’interno della propria comunità, prima della conquista romana. Il lavoro mette compiutamente in luce come lo sviluppo delle città nella provincia abbia risentito fortemente dello scarso progresso politico, sociale ed economico che conobbero le tribù e le popolazioni durante la fase pre-romana. La colonizzazione greca, troppo modesta, non riuscì a far compiere quel salto qualitativo ai centri autoctoni, che rimasero sostanzialmente privi di concetti basilari di urbanistica, anche se è possibile notare, almeno nei centri costieri, l’adozione di tecniche evolute, ad esempio nella costruzione delle mura. In conclusione questo lavoro chiarisce analiticamente, con la raccolta di un’infinità di dati (archeologici e topografici, materiali ed epigrafici, e desunti dalle fonti storiche), come la formazione della città e l’urbanizzazione della sponda orientale dell’adriatico sia un fenomeno prettamente romano, pur differenziato, nelle sue dinamiche storiche, quasi caso per caso. I dati offerti dalla topografia delle città della Dalmatia, malgrado la scarsità di esempi ben documentati, sembrano confermare il principio della regolarità degli impianti urbani. Una griglia ortogonale severamente applicata la si individua innanzi tutto nelle città pianificate di Iader, Aequum e, probabilmente, anche a Salona. In primis nelle colonie, quindi, ma non esclusivamente. Anche numerosi municipi sviluppatisi da insediamenti di origine autoctona hanno espresso molto presto la tendenza allo sviluppo di un sistema ortogonale regolare, se non in tutta l’area urbana, almeno nei settori di più possibile applicazione. Ne sono un esempio Aenona, Arba, Argiruntum, Doclea, Narona ed altri. La mancanza di un’organizzazione spaziale regolare non ha tuttavia compromesso l’omogeneità di un’attrezzatura urbana tesa alla normalizzazione, in cui i componenti più importanti, forum e suoi annessi, complessi termali, templi dinastici e capitolia, si avviano a diventare canonici. Le differenze più sensibili, che pure non mancano, sembrano dipendere dalle abitudini delle diverse etnie, dai condizionamenti topografici e dalla disponibilità finanziaria dei notabili. Una città romana non può prendere corpo in tutta la sua pienezza solo per la volontà del potere centrale. Un progetto urbanistico resta un fatto teorico finché non si realizzano le condizioni per cui si fondano due fenomeni importantissimi: uno socio-culturale, che consiste nell’emergenza di una classe di notabili “fortunati” desiderosi di dare a Roma dimostrazioni di lealtà, pronti a rispondere a qualsiasi sollecitazione da parte del potere centrale e addirittura ad anticiparlo; l’altro politico-amministrativo, che riguarda il sistema instaurato da Roma, grazie al quale i suddetti notabili possono godere di un certo potere e muoversi in vista della promozione personale nell’ambito della propria città. Aiuti provenienti dagli imperatori o da governatori provinciali, per quanto consistenti, rimangono un fatto non sistematico se non imprevedibile, e rappresentano comunque un episodio circoscritto. Anche se qualche città risulta in grado di costruire pecunia publica alcuni importanti edifici del quadro monumentale, il ruolo del finanziamento pubblico resta relativamente modesto. Quando la documentazione epigrafica esiste, si rivela che sono i notabili locali i maggiori responsabili della costruzione delle opere pubbliche. Sebbene le testimonianze epigrafiche siano scarse e, per la Dalmatia non sia possibile formulare un quadro completo delle committenze che favorirono materialmente lo sviluppo architettonico ed artistico di molti complessi monumentali, tuttavia è possibile osservare e riconoscere alcuni aspetti significativi e peculiari della provincia.