86 resultados para ANSYS, cold-formed, coperture di edifici industriali


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Se il lavoro dello storico è capire il passato come è stato compreso dalla gente che lo ha vissuto, allora forse non è azzardato pensare che sia anche necessario comunicare i risultati delle ricerche con strumenti propri che appartengono a un'epoca e che influenzano la mentalità di chi in quell'epoca vive. Emergenti tecnologie, specialmente nell’area della multimedialità come la realtà virtuale, permettono agli storici di comunicare l’esperienza del passato in più sensi. In che modo la storia collabora con le tecnologie informatiche soffermandosi sulla possibilità di fare ricostruzioni storiche virtuali, con relativi esempi e recensioni? Quello che maggiormente preoccupa gli storici è se una ricostruzione di un fatto passato vissuto attraverso la sua ricreazione in pixels sia un metodo di conoscenza della storia che possa essere considerato valido. Ovvero l'emozione che la navigazione in una realtà 3D può suscitare, è un mezzo in grado di trasmettere conoscenza? O forse l'idea che abbiamo del passato e del suo studio viene sottilmente cambiato nel momento in cui lo si divulga attraverso la grafica 3D? Da tempo però la disciplina ha cominciato a fare i conti con questa situazione, costretta soprattutto dall'invasività di questo tipo di media, dalla spettacolarizzazione del passato e da una divulgazione del passato parziale e antiscientifica. In un mondo post letterario bisogna cominciare a pensare che la cultura visuale nella quale siamo immersi sta cambiando il nostro rapporto con il passato: non per questo le conoscenze maturate fino ad oggi sono false, ma è necessario riconoscere che esiste più di una verità storica, a volte scritta a volte visuale. Il computer è diventato una piattaforma onnipresente per la rappresentazione e diffusione dell’informazione. I metodi di interazione e rappresentazione stanno evolvendo di continuo. Ed è su questi due binari che è si muove l’offerta delle tecnologie informatiche al servizio della storia. Lo scopo di questa tesi è proprio quello di esplorare, attraverso l’utilizzo e la sperimentazione di diversi strumenti e tecnologie informatiche, come si può raccontare efficacemente il passato attraverso oggetti tridimensionali e gli ambienti virtuali, e come, nel loro essere elementi caratterizzanti di comunicazione, in che modo possono collaborare, in questo caso particolare, con la disciplina storica. La presente ricerca ricostruisce alcune linee di storia delle principali fabbriche attive a Torino durante la seconda guerra mondiale, ricordando stretta relazione che esiste tra strutture ed individui e in questa città in particolare tra fabbrica e movimento operaio, è inevitabile addentrarsi nelle vicende del movimento operaio torinese che nel periodo della lotta di Liberazione in città fu un soggetto politico e sociale di primo rilievo. Nella città, intesa come entità biologica coinvolta nella guerra, la fabbrica (o le fabbriche) diventa il nucleo concettuale attraverso il quale leggere la città: sono le fabbriche gli obiettivi principali dei bombardamenti ed è nelle fabbriche che si combatte una guerra di liberazione tra classe operaia e autorità, di fabbrica e cittadine. La fabbrica diventa il luogo di "usurpazione del potere" di cui parla Weber, il palcoscenico in cui si tengono i diversi episodi della guerra: scioperi, deportazioni, occupazioni .... Il modello della città qui rappresentata non è una semplice visualizzazione ma un sistema informativo dove la realtà modellata è rappresentata da oggetti, che fanno da teatro allo svolgimento di avvenimenti con una precisa collocazione cronologica, al cui interno è possibile effettuare operazioni di selezione di render statici (immagini), di filmati precalcolati (animazioni) e di scenari navigabili interattivamente oltre ad attività di ricerca di fonti bibliografiche e commenti di studiosi segnatamente legati all'evento in oggetto. Obiettivo di questo lavoro è far interagire, attraverso diversi progetti, le discipline storiche e l’informatica, nelle diverse opportunità tecnologiche che questa presenta. Le possibilità di ricostruzione offerte dal 3D vengono così messe a servizio della ricerca, offrendo una visione integrale in grado di avvicinarci alla realtà dell’epoca presa in considerazione e convogliando in un’unica piattaforma espositiva tutti i risultati. Divulgazione Progetto Mappa Informativa Multimediale Torino 1945 Sul piano pratico il progetto prevede una interfaccia navigabile (tecnologia Flash) che rappresenti la pianta della città dell’epoca, attraverso la quale sia possibile avere una visione dei luoghi e dei tempi in cui la Liberazione prese forma, sia a livello concettuale, sia a livello pratico. Questo intreccio di coordinate nello spazio e nel tempo non solo migliora la comprensione dei fenomeni, ma crea un maggiore interesse sull’argomento attraverso l’utilizzo di strumenti divulgativi di grande efficacia (e appeal) senza perdere di vista la necessità di valicare le tesi storiche proponendosi come piattaforma didattica. Un tale contesto richiede uno studio approfondito degli eventi storici al fine di ricostruire con chiarezza una mappa della città che sia precisa sia topograficamente sia a livello di navigazione multimediale. La preparazione della cartina deve seguire gli standard del momento, perciò le soluzioni informatiche utilizzate sono quelle fornite da Adobe Illustrator per la realizzazione della topografia, e da Macromedia Flash per la creazione di un’interfaccia di navigazione. La base dei dati descrittivi è ovviamente consultabile essendo contenuta nel supporto media e totalmente annotata nella bibliografia. È il continuo evolvere delle tecnologie d'informazione e la massiccia diffusione dell’uso dei computer che ci porta a un cambiamento sostanziale nello studio e nell’apprendimento storico; le strutture accademiche e gli operatori economici hanno fatto propria la richiesta che giunge dall'utenza (insegnanti, studenti, operatori dei Beni Culturali) di una maggiore diffusione della conoscenza storica attraverso la sua rappresentazione informatizzata. Sul fronte didattico la ricostruzione di una realtà storica attraverso strumenti informatici consente anche ai non-storici di toccare con mano quelle che sono le problematiche della ricerca quali fonti mancanti, buchi della cronologia e valutazione della veridicità dei fatti attraverso prove. Le tecnologie informatiche permettono una visione completa, unitaria ed esauriente del passato, convogliando tutte le informazioni su un'unica piattaforma, permettendo anche a chi non è specializzato di comprendere immediatamente di cosa si parla. Il miglior libro di storia, per sua natura, non può farlo in quanto divide e organizza le notizie in modo diverso. In questo modo agli studenti viene data l'opportunità di apprendere tramite una rappresentazione diversa rispetto a quelle a cui sono abituati. La premessa centrale del progetto è che i risultati nell'apprendimento degli studenti possono essere migliorati se un concetto o un contenuto viene comunicato attraverso più canali di espressione, nel nostro caso attraverso un testo, immagini e un oggetto multimediale. Didattica La Conceria Fiorio è uno dei luoghi-simbolo della Resistenza torinese. Il progetto è una ricostruzione in realtà virtuale della Conceria Fiorio di Torino. La ricostruzione serve a arricchire la cultura storica sia a chi la produce, attraverso una ricerca accurata delle fonti, sia a chi può poi usufruirne, soprattutto i giovani, che, attratti dall’aspetto ludico della ricostruzione, apprendono con più facilità. La costruzione di un manufatto in 3D fornisce agli studenti le basi per riconoscere ed esprimere la giusta relazione fra il modello e l’oggetto storico. Le fasi di lavoro attraverso cui si è giunti alla ricostruzione in 3D della Conceria: . una ricerca storica approfondita, basata sulle fonti, che possono essere documenti degli archivi o scavi archeologici, fonti iconografiche, cartografiche, ecc.; . La modellazione degli edifici sulla base delle ricerche storiche, per fornire la struttura geometrica poligonale che permetta la navigazione tridimensionale; . La realizzazione, attraverso gli strumenti della computer graphic della navigazione in 3D. Unreal Technology è il nome dato al motore grafico utilizzato in numerosi videogiochi commerciali. Una delle caratteristiche fondamentali di tale prodotto è quella di avere uno strumento chiamato Unreal editor con cui è possibile costruire mondi virtuali, e che è quello utilizzato per questo progetto. UnrealEd (Ued) è il software per creare livelli per Unreal e i giochi basati sul motore di Unreal. E’ stata utilizzata la versione gratuita dell’editor. Il risultato finale del progetto è un ambiente virtuale navigabile raffigurante una ricostruzione accurata della Conceria Fiorio ai tempi della Resistenza. L’utente può visitare l’edificio e visualizzare informazioni specifiche su alcuni punti di interesse. La navigazione viene effettuata in prima persona, un processo di “spettacolarizzazione” degli ambienti visitati attraverso un arredamento consono permette all'utente una maggiore immersività rendendo l’ambiente più credibile e immediatamente codificabile. L’architettura Unreal Technology ha permesso di ottenere un buon risultato in un tempo brevissimo, senza che fossero necessari interventi di programmazione. Questo motore è, quindi, particolarmente adatto alla realizzazione rapida di prototipi di una discreta qualità, La presenza di un certo numero di bug lo rende, però, in parte inaffidabile. Utilizzare un editor da videogame per questa ricostruzione auspica la possibilità di un suo impiego nella didattica, quello che le simulazioni in 3D permettono nel caso specifico è di permettere agli studenti di sperimentare il lavoro della ricostruzione storica, con tutti i problemi che lo storico deve affrontare nel ricreare il passato. Questo lavoro vuole essere per gli storici una esperienza nella direzione della creazione di un repertorio espressivo più ampio, che includa gli ambienti tridimensionali. Il rischio di impiegare del tempo per imparare come funziona questa tecnologia per generare spazi virtuali rende scettici quanti si impegnano nell'insegnamento, ma le esperienze di progetti sviluppati, soprattutto all’estero, servono a capire che sono un buon investimento. Il fatto che una software house, che crea un videogame di grande successo di pubblico, includa nel suo prodotto, una serie di strumenti che consentano all'utente la creazione di mondi propri in cui giocare, è sintomatico che l'alfabetizzazione informatica degli utenti medi sta crescendo sempre più rapidamente e che l'utilizzo di un editor come Unreal Engine sarà in futuro una attività alla portata di un pubblico sempre più vasto. Questo ci mette nelle condizioni di progettare moduli di insegnamento più immersivi, in cui l'esperienza della ricerca e della ricostruzione del passato si intreccino con lo studio più tradizionale degli avvenimenti di una certa epoca. I mondi virtuali interattivi vengono spesso definiti come la forma culturale chiave del XXI secolo, come il cinema lo è stato per il XX. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di suggerire che vi sono grosse opportunità per gli storici impiegando gli oggetti e le ambientazioni in 3D, e che essi devono coglierle. Si consideri il fatto che l’estetica abbia un effetto sull’epistemologia. O almeno sulla forma che i risultati delle ricerche storiche assumono nel momento in cui devono essere diffuse. Un’analisi storica fatta in maniera superficiale o con presupposti errati può comunque essere diffusa e avere credito in numerosi ambienti se diffusa con mezzi accattivanti e moderni. Ecco perchè non conviene seppellire un buon lavoro in qualche biblioteca, in attesa che qualcuno lo scopra. Ecco perchè gli storici non devono ignorare il 3D. La nostra capacità, come studiosi e studenti, di percepire idee ed orientamenti importanti dipende spesso dai metodi che impieghiamo per rappresentare i dati e l’evidenza. Perché gli storici possano ottenere il beneficio che il 3D porta con sè, tuttavia, devono sviluppare un’agenda di ricerca volta ad accertarsi che il 3D sostenga i loro obiettivi di ricercatori e insegnanti. Una ricostruzione storica può essere molto utile dal punto di vista educativo non sono da chi la visita ma, anche da chi la realizza. La fase di ricerca necessaria per la ricostruzione non può fare altro che aumentare il background culturale dello sviluppatore. Conclusioni La cosa più importante è stata la possibilità di fare esperienze nell’uso di mezzi di comunicazione di questo genere per raccontare e far conoscere il passato. Rovesciando il paradigma conoscitivo che avevo appreso negli studi umanistici, ho cercato di desumere quelle che potremo chiamare “leggi universali” dai dati oggettivi emersi da questi esperimenti. Da punto di vista epistemologico l’informatica, con la sua capacità di gestire masse impressionanti di dati, dà agli studiosi la possibilità di formulare delle ipotesi e poi accertarle o smentirle tramite ricostruzioni e simulazioni. Il mio lavoro è andato in questa direzione, cercando conoscere e usare strumenti attuali che nel futuro avranno sempre maggiore presenza nella comunicazione (anche scientifica) e che sono i mezzi di comunicazione d’eccellenza per determinate fasce d’età (adolescenti). Volendo spingere all’estremo i termini possiamo dire che la sfida che oggi la cultura visuale pone ai metodi tradizionali del fare storia è la stessa che Erodoto e Tucidide contrapposero ai narratori di miti e leggende. Prima di Erodoto esisteva il mito, che era un mezzo perfettamente adeguato per raccontare e dare significato al passato di una tribù o di una città. In un mondo post letterario la nostra conoscenza del passato sta sottilmente mutando nel momento in cui lo vediamo rappresentato da pixel o quando le informazioni scaturiscono non da sole, ma grazie all’interattività con il mezzo. La nostra capacità come studiosi e studenti di percepire idee ed orientamenti importanti dipende spesso dai metodi che impieghiamo per rappresentare i dati e l’evidenza. Perché gli storici possano ottenere il beneficio sottinteso al 3D, tuttavia, devono sviluppare un’agenda di ricerca volta ad accertarsi che il 3D sostenga i loro obiettivi di ricercatori e insegnanti. Le esperienze raccolte nelle pagine precedenti ci portano a pensare che in un futuro non troppo lontano uno strumento come il computer sarà l’unico mezzo attraverso cui trasmettere conoscenze, e dal punto di vista didattico la sua interattività consente coinvolgimento negli studenti come nessun altro mezzo di comunicazione moderno.

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The abandonment of less productive fields and agro-forest activities has occured in the last decades, interesting large mountain areas in all mediterranean basin. Until the fifties, agricultural practices dealt mainly with soil surface and surface runoff control systems. However, the apparent sustainability of soil use results often in contrast with historical documents, witnessing heavy hydrogeological instability, in naturally fragile areas. The research focused on the dynamics and effects of post-coltural land abandonment in a critical mountain area of the Reno River. The Reno River rappresents a typical Tuscan-Emilian Apennines Watershed where soil erosion occurs under very different conditions depending on interactions between land use, climate, geomorphology and lithology. Landslides are largely rappresented, due to the diffusion of clay hill slopes. Recent researches suggest that climatic variability will increase as a consequence of global climate change, resulting in greater frequency and intensity of extreme weather events, which could increase rates of erosion, landslides reactivations and diffusion of calanchive basins. As far as hill slopes are concerned, instability is today basically due to intrinsic factors, as the Apennine range is a rather young formation, in geological terms, and is mainly formed by sedimentary rocks with high occurrence of clays. Therefore landslides and rockfalls are very frequent, while surface soil erosion is generally low and anyway concentrated in the low Apennine, where intensive farming is still economically worth. The study, supported by GIS use, analyses the main fisical characteristics of the area and the historical changes of land use, and focalizes the dynamics of spontaneous reafforestation. Futhermore, the research studies the results of soil bioengineering and surface water control solutions for the restablishment of landslides occured in the last period. Infact soil bioengineering has been recently used in different situations in order to consolidate slopes and hillsides and prevent erosion; when applied, it gave good results, both in terms of engineering efficiency and vegetational development, expecially if combined with a good hydraulic control, thus proving to be an actual alternative to other techniques with heavier environmental impacts. Research into the specific site features and the use of proper plant species is vital to the success of bioengineering works.

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Questa tesi di dottorato di ricerca ha come oggetto la nozione di fatto urbano elaborata e presentata da Aldo Rossi nel libro L’architettura della città edito nel 1966. Ne L’architettura della città sono molteplici le definizioni e le forme con cui è enunciata la nozione di fatto urbano. Nel corso della tesi si è indagato come la costruzione nel tempo di questo concetto è stata preceduta da diversi studi giovanili intrapresi dal 1953, poi riorganizzati e sintetizzati a partire dal 1963 in un quaderno manoscritto dal titolo “Manuale di urbanistica”, in diversi appunti e in due quaderni manoscritti. Il lavoro di ricerca ha ricostruito la formulazione della nozione di fatto urbano attraverso gli scritti di Rossi. In questa direzione la rilevazione della partecipazione di Rossi a dibattiti, seminari, riviste, corsi universitari o ricerche accademiche è apparsa di fondamentale importanza, per comprendere la complessità di un lavoro non riconducibile a dei concetti disciplinari, ma alla formazione di una teoria trasmissibile. Il tentativo di comprendere e spiegare la nozione di fatto urbano ha condotto ad esaminare l’accezione con cui Rossi compone L’architettura della città, che egli stesso assimila ad un trattato. L’analisi ha identificato come la composizione del libro non è direttamente riferibile ad un uso classico della stesura editoriale del trattato, la quale ha tra i riferimenti più noti nel passato la promozione di una pratica corretta come nel caso vitruviano o un’impalcatura instauratrice di una nuova categoria come nel caso dell’Alberti. La mancanza di un sistema globale e prescrittivo a differenza dei due libri fondativi e il rimando non immediato alla stesura di un trattato classico è evidente ne L’architettura della città. Tuttavia la possibilità di condurre la ricerca su una serie di documenti inediti ha permesso di rilevare come negli scritti a partire dal 1953, sia maturata una trattazione delle questioni centrali alla nozione di fatto urbano ricca di intuizioni, che aspirano ad un’autonomia, sintetizzate, seppure in modo non sistematico, nella stesura del celebre libro. Si è così cercato di mettere in luce la precisazione nel tempo della nozione di fatto urbano e della sua elaborazione nei molteplici scritti antecedenti la pubblicazione de L’architettura della città, precisando come Rossi, pur costruendo su basi teoriche la nozione di fatto urbano, ne indichi una visione progressiva, ossia un uso operativo sulla città. La ricerca si è proposta come obiettivo di comprendere le radici culturali della nozione di fatto urbano sia tramite un’esplorazione degli interessi di Rossi nel suo percorso formativo sia rispetto alla definizione della struttura materiale del fatto urbano che Rossi individua nelle permanenze e che alimenta nella sua definizione con differenti apporti derivanti da altre discipline. Compito di questa ricerca è stato rileggere criticamente il percorso formativo compiuto da Rossi, a partire dal 1953, sottolinearne gli ambiti innovativi e precisarne i limiti descrittivi che non vedranno mai la determinazione di una nozione esatta, ma piuttosto la strutturazione di una sintesi complessa e ricca di riferimenti ad altri studi. In sintesi la tesi si compone di tre parti: 1. la prima parte, dal titolo “La teoria dei fatti urbani ne L’architettura della città”, analizza il concetto di fatto urbano inserendolo all’interno del più generale contesto teorico contenuto nel libro L’architettura della città. Questo avviene tramite la scomposizione del libro, la concatenazione delle sue argomentazioni e la molteplicità delle fonti esplicitamente citate da Rossi. In questo ambito si precisa la struttura del libro attraverso la rilettura dei riferimenti serviti a Rossi per comporre il suo progetto teorico. Inoltre si ripercorre la sua vita attraverso le varie edizioni, le ristampe, le introduzioni e le illustrazioni. Infine si analizza il ruolo del concetto di fatto urbano nel libro rilevando come sia posto in un rapporto paritetico con il titolo del libro, conseguendone un’accezione di «fatto da osservare» assimilabile all’uso proposto dalla geografia urbana francese dei primi del Novecento. 2. la seconda parte, dal titolo “La formazione della nozione di fatto urbano 1953-66”, è dedicata alla presentazione dell’elaborazione teorica negli scritti di Rossi prima de L’architettura della città, ossia dal 1953 al 1966. Questa parte cerca di descrivere le radici culturali di Rossi, le sue collaborazioni e i suoi interessi ripercorrendo la progressiva definizione della concezione di città nel tempo. Si è analizzato il percorso maturato da Rossi e i documenti scritti fin dagli anni in cui era studente alla Facoltà di Architettura Politecnico di Milano. Emerge un quadro complesso in cui i primi saggi, gli articoli e gli appunti testimoniano una ricerca intellettuale tesa alla costruzione di un sapere sullo sfondo del realismo degli anni Cinquanta. Rossi matura infatti un impegno culturale che lo porta dopo la laurea ad affrontare discorsi più generali sulla città. In particolare la sua importante collaborazione con la rivista Casabella-continuità, con il suo direttore Ernesto Nathan Rogers e tutto il gruppo redazionale segnano il periodo successivo in cui compare l’interesse per la letteratura urbanistica, l’arte, la sociologia, la geografia, l’economia e la filosofia. Seguono poi dal 1963 gli anni di lavoro insieme al gruppo diretto da Carlo Aymonino all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, e in particolare le ricerche sulla tipologia edilizia e la morfologia urbana, che portano Rossi a compiere una sintesi analitica per la fondazione di una teoria della città. Dall’indagine si rileva infatti come gli scritti antecedenti L’architettura della città sviluppano lo studio dei fatti urbani fino ad andare a costituire il nucleo teorico di diversi capitoli del libro. Si racconta così la genesi del libro, la cui scrittura si è svolta nell’arco di due anni, e le aspirazioni che hanno portato quello che era stato concepito come un “manuale d’urbanistica” a divenire quello che Rossi definirà “l’abbozzo di un trattato” per la formulazione di una scienza urbana. 3. la terza parte, dal titolo “La struttura materiale dei fatti urbani: la teoria della permanenza”, indaga monograficamente lo studio della città come un fatto materiale, un manufatto, la cui costruzione è avvenuta nel tempo e del tempo mantiene le tracce. Sul tema della teoria della permanenza è stato importante impostare un confronto con il dibattito vivo negli anni della ricostruzione dopo la guerra intorno ai temi delle preesistenze ambientali nella ricostruzione negli ambienti storici. Sono emersi fin da subito importanti la relazione con Ernesto Nathan Rogers, le discussioni sulle pagine di Casabella-Continuità, la partecipazione ad alcuni dibatti e ricerche. Si è inoltre Rilevato l’uso di diversi termini mutuati dalle tesi filosofiche di alcune personalità come Antonio Banfi e Enzo Paci, poi elaborati dal nucleo redazionale di Casabella-Continuità, di cui faceva parte anche Rossi. Sono così emersi alcuni spostamenti di senso e la formulazione di un vocabolario di termini all’interno della complessa vicenda della cultura architettonica degli anni Cinquanta e Sessanta. 1. Si è poi affrontato questo tema analizzando le forme con cui Rossi presenta la definizione della teoria della permanenza e i contributi desunti da alcuni autori per la costruzione scientifica di una teoria dell’architettura, il cui fine è quello di essere trasmissibile e di offrire strumenti di indagine concreti. Questa ricerca ha permesso di ipotizzare come il lavoro dei geografi francesi della prima metà del XX secolo, e in particolare il contributo più rilevante di Marcel Poëte e di Pierre Lavedan, costituiscono le fonti principali e il campo d’indagine maggiormente esplorato da Rossi per definire la teoria della permanenza e i monumenti. Le permanenze non sono dunque presentate ne L’architettura della città come il “tutto”, ma emergono da un metodo che sceglie di isolare i fatti urbani permanenti, consentendo così di compiere un’ipotesi su “ciò che resta” dopo le trasformazioni continue che operano nella città. Le fonti su cui ho lavorato sono state quelle annunciate da Rossi ne L’architettura della città, e più precisamente i testi nelle edizioni da lui consultate. Anche questo lavoro ha permesso un confronto dei testi che ha fatto emergere ne L’architettura della città l’uso di termini mutuati da linguaggi appartenenti ad altre discipline e quale sia l’uso di concetti estrapolati nella loro interezza. Presupposti metodologici Della formulazione della nozione di fatto urbano si sono indagate l’originalità dell’espressione, le connessioni presunte o contenute negli studi di Rossi sulla città attraverso la raccolta di fonti dirette e indirette che sono andate a formare un notevole corpus di scritti. Le fonti dirette più rilevanti sono state trovare nelle collezioni speciali del Getty Research Institute di Los Angeles in cui sono conservati gli Aldo Rossi Papers, questo archivio comprende materiali inediti dal 1954 al 1988. La natura dei materiali si presenta sotto forma di manoscritti, dattiloscritti, quaderni, documenti ciclostilati, appunti sparsi e una notevole quantità di corrispondenza. Negli Aldo Rossi Papers si trovano anche 32 dei 47 Quaderni Azzurri, le bozze de L’architettura della città e dell’ Autobiografia Scientifica. Per quanto riguarda in particolare L’architettura della città negli Aldo Rossi Papers sono conservati: un quaderno con il titolo “Manuale d’urbanistica, giugno 1963”, chiara prima bozza del libro, degli “Appunti per libro urbanistica estate/inverno 1963”, un quaderno con la copertina rossa datato 20 settembre 1964-8 agosto 1965 e un quaderno con la copertina blu datato 30 agosto 1965-15 dicembre 1965. La possibilità di accedere a questo archivio ha permesso di incrementare la bibliografia relativa agli studi giovanili consentendo di rileggere il percorso culturale in cui Rossi si è formato. E’ così apparsa fondamentale la rivalutazione di alcune questioni relative al realismo socialista che hanno portato a formare un più preciso quadro dei primi scritti di Rossi sullo sfondo di un complesso scenario intellettuale. A questi testi si è affiancata la raccolta delle ricerche universitarie, degli articoli pubblicati su riviste specializzate e degli interventi a dibattiti e seminari. A proposito de L’architettura della città si è raccolta un’ampia letteratura critica riferita sia al testo in specifico che ad una sua collocazione nella storia dell’architettura, mettendo in discussione alcune osservazioni che pongono L’architettura della città come un libro risolutivo e definitivo. Per quanto riguarda il capitolo sulla teoria della permanenza l’analisi è stata svolta a partire dai testi che Rossi stesso indicava ne L’architettura della città rivelando i diversi apporti della letteratura urbanistica francese, e permettendo alla ricerca di precisare le relazioni con alcuni scritti centrali e al contempo colti da Rossi come opportunità per intraprendere l’elaborazione dell’idea di tipo. Per quest’ultima parte si può precisare come Rossi formuli la sua idea di tipo in un contesto culturale dove l’interesse per questo tema era fondamentale. Dunque le fonti che hanno assunto maggior rilievo in quest’ultima fase emergono da un ricco panorama in cui Rossi compie diverse ricerche sia con il gruppo redazionale di Casabella-continuità, sia all’interno della scuola veneziana negli anni Sessanta, ma anche negli studi per l’ILSES e per l’Istituto Nazionale d’Urbanistica. RESEARCH ON THE NOTION OF URBAN ARTIFACT IN THE ARCHITECTURE OF THE CITY BY ALDO ROSSI. Doctoral candidate: Letizia Biondi Tutor: Valter Balducci The present doctoral dissertation deals with the notion of urban artifact that was formulated and presented by Aldo Rossi in his book The Architecture of the City, published in 1966. In The Architecture of the City, the notion of urban artifact is enunciated through a wide range of definitions and forms. In this thesis, a research was done on how the construction of this concept over time was preceded by various studies started in 1953 during the author’s youth, then re-organized and synthesized since 1963 in a manuscript titled “Manual of urban planning” and in two more manuscripts later on. The work of research re-constructed the formulation of the notion of urban artifact through Rossi’s writings. In this sense, the examination of Rossi’s participation in debates, seminars, reviews, university courses or academic researches was of fundamental importance to understand the complexity of a work which is not to be attributed to disciplinary concepts, but to the formulation of a communicable theory. The effort to understand and to explain the notion of urban artifact led to an examination of the meaning used by Rossi to compose The Architecture of the City, which he defines as similar to a treatise. Through this analysis, it emerged that the composition of the book is not directly ascribable to the classical use of editorial writing of a treatise, whose most famous references in the past are the promotion of a correct practice as in the case of Vitruvio’s treatise, or the use of a structure that introduces a new category as in the Alberti case. Contrary to the two founding books, the lack of a global and prescriptive system and the not immediate reference to the writing of a classical treatise are evident in The Architecture of the City. However, the possibility of researching on some unpublished documents allowed to discover that in the writings starting from 1953 the analysis of the questions that are at the core of the notion of urban artifact is rich of intuitions, that aim to autonomy and that would be synthesized, even though not in a systematic way, in his famous book. The attempt was that of highlighting the specification over time of the notion of urban artifact and its elaboration in the various writings preceding the publication of The Architecture of the City. It was also specified that, despite building on theoretical grounds, Rossi indicates a progressive version of the notion of urban artifact, that is a performing use in the city. The present research aims to understand the cultural roots of the notion of urban artifact in two main directions: analyzing, firstly, Rossi’s interests along his formation path and, secondly, the definition of material structure of an urban artifact identified by Rossi in the permanences and enriched by various contributions from other disciplines. The purpose of the present research is to revise the formation path made by Rossi in a critical way, starting by 1953, underlining its innovative aspects and identifying its describing limits, which will never lead to the formulation of an exact notion, but rather to the elaboration of a complex synthesis, enriched by references to other studies. In brief, the thesis is composed of three parts: 1. The first part, titled “The Theory of urban artifacts in The Architecture of the City”, analyzes the concept of urban artifact in the more general theoretical context of the book The Architecture of the City. Such analysis is done by “disassembling” the book, and by linking together the argumentations and the multiplicity of the sources which are explicitly quoted by Rossi. In this context, the book’s structure is defined more precisely through the revision of the references used by Rossi to compose his theoretical project. Moreover, the author’s life is traced back through the various editions, re-printings, introductions and illustrations. Finally, it is specified which role the concept of urban artifact has in the book, pointing out that it is placed in an equal relation with the book’s title; by so doing, the concept of urban artifact gets the new meaning of “fact to be observed”, similar to the use that was suggested by the French urban geography at the beginning of the 20th century. 2. The second part, titled “The formation of the notion of urban artifact 1953-66”, introduces the theoretical elaboration in Rossi’s writings before The Architecture of the City, that is from 1953 to 1966. This part tries to describe Rossi’s cultural roots, his collaborations and his interests, tracing back the progressive definition of his conception of city over time. The analysis focuses on the path followed by Rossi and on the documents that he wrote since the years as a student at the Department of Architecture at the Politecnico in Milan. This leads to a complex scenario of first essays, articles and notes that bear witness to the intellectual research aiming to the construction of a knowledge on the background of the Realism of the 1950s. Rossi develops, in fact, a cultural engagement that leads him after his studies to deal with more general issues about the city. In particular, his important collaboration with the architecture magazine “Casabella-continuità”, with the director Ernesto Nathan Rogers and with the whole redaction staff mark the following period when he starts getting interested in city planning literature, art, sociology, geography, economics and philosophy. Since 1963, Rossi has worked with the group directed by Carlo Aymonino at the “Istituto Universitario di Architettura” (University Institute of Architecture) in Venice, especially researching on building typologies and urban morphology. During these years, Rossi elaborates an analytical synthesis for the formulation of a theory about the city. From the present research, it is evident that the writings preceding The Architecture of the City develop the studies on urban artifacts, which will become theoretical core of different chapters of the book. In conclusion, the genesis of the book is described; written in two years, what was conceived to be an “urban planning manual” became a “treatise draft” for the formulation of an urban science, as Rossi defines it. 3. The third part is titled “The material structure of urban artifacts: the theory of permanence”. This research is made on the study of the city as a material fact, a manufacture, whose construction was made over time, bearing the traces of time. As far as the topic of permanence is concerned, it was also important to draw a comparison with the debate about the issues of environmental pre-existence of re-construction in historical areas, which was very lively during the years of the Reconstruction. Right from the beginning, of fundamental importance were the relationship with Ernesto Nathan Rogers, the discussions on the pages of Casabella-Continuità and the participation to some debates and researches. It is to note that various terms were taken by the philosophical thesis by some personalities such as Antonio Banfi and Enzo Paci, and then re-elaborated by the redaction staff at Casabella-Continuità, which Rossi took part in as well. Through this analysis, it emerged that there were some shifts in meaning and the formulation of a vocabulary of terms within the complex area of the architectonic culture in the 1950s and 1960s. Then, I examined the shapes in which Rossi introduces the definition of the theory of permanence and the references by some authors for the scientific construction of an architecture theory whose aim is being communicable and offering concrete research tools. Such analysis allowed making a hypothesis about the significance for Rossi of the French geographers of the first half of the 20th century: in particular, the work by Marcel Poëte and by Pierre Lavedan is the main source and the research area which Rossi mostly explored to define the theory of permanence and monuments. Therefore, in The Architecture of the City, permanencies are not presented as the “whole”, but they emerge from a method which isolates permanent urban artifacts, in this way allowing making a hypothesis on “what remains” after the continuous transformations made in the city. The sources examined were quoted by Rossi in The Architecture of the City; in particular I analyzed them in the same edition which Rossi referred to. Through such an analysis, it was possible to make a comparison of the texts with one another, which let emerge the use of terms taken by languages belonging to other disciplines in The Architecture of the City and which the use of wholly extrapolated concepts is. Methodological premises As far as the formulation of the notion of urban artifact is concerned, the analysis focuses on the originality of the expression, the connections that are assumed or contained in Rossi’s writings about the city, by collecting direct and indirect sources which formed a significant corpus of writings. The most relevant direct sources were found in the special collections of the Getty Research Institute in Los Angeles, where the “Aldo Rossi Papers” are conserved. This archive contains unpublished material from 1954 to 1988, such as manuscripts, typescripts, notebooks, cyclostyled documents, scraps and notes, and several letters. In the Aldo Rossi Papers there are also 32 out of the 47 Light Blue Notebooks (Quaderni Azzurri), the rough drafts of The Architecture of the City and of the “A Scientific Autobiography”. As regards The Architecture of the City in particular, the Aldo Rossi Papers preserve: a notebook by the title of “Urban planning manual, June, 1963”, which is an explicit first draft of the book; “Notes for urban planning book summer/winter 1963”; a notebook with a red cover dated September 20th, 1964 – August 8th, 1965; and a notebook with a blue cover dated August 30th, 1965 – December 15th, 1965. The possibility of accessing this archive allowed to increase the bibliography related to the youth studies, enabling a revision of the cultural path followed by Rossi’s education. To that end, it was fundamental to re-evaluate some issues linked to the socialist realism which led to a more precise picture of the first writings by Rossi against the background of the intellectual scenario where he formed. In addition to these texts, the collection of university researches, the articles published on specialized reviews and the speeches at debates and seminars were also examined. About The Architecture of the City, a wide-ranging critical literature was collected, related both to the text specifics and to its collocation in the story of architecture, questioning some observations which define The Architecture of the City as a conclusive and definite book. As far as the chapter on the permanence theory is concerned, the analysis started by the texts that Rossi indicated in The Architecture of the City, revealing the different contributions from the French literature on urban planning. This allowed to the present research a more specific definition of the connections to some central writings which, at the same time, were seen by Rossi as an opportunity to start up the elaboration of the idea of type. For this last part, it can be specified that Rossi formulates his idea of type in a cultural context where the interest in this topic was fundamental. Therefore, the sources which played a central role in this final phase emerge from an extensive panorama in which Rossi researched not only with the redaction staff at Casablanca-continuità and within the School of Venice in the 1960s, but also in his studies for the ILSES (Institute of the Region Lombardia for Economics and Social Studies) and for the National Institute of Urban Planning.

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Seyfert galaxies are the closest active galactic nuclei. As such, we can use them to test the physical properties of the entire class of objects. To investigate their general properties, I took advantage of different methods of data analysis. In particular I used three different samples of objects, that, despite frequent overlaps, have been chosen to best tackle different topics: the heterogeneous BeppoS AX sample was thought to be optimized to test the average hard X-ray (E above 10 keV) properties of nearby Seyfert galaxies; the X-CfA was thought the be optimized to compare the properties of low-luminosity sources to the ones of higher luminosity and, thus, it was also used to test the emission mechanism models; finally, the XMM–Newton sample was extracted from the X-CfA sample so as to ensure a truly unbiased and well defined sample of objects to define the average properties of Seyfert galaxies. Taking advantage of the broad-band coverage of the BeppoS AX MECS and PDS instruments (between ~2-100 keV), I infer the average X-ray spectral propertiesof nearby Seyfert galaxies and in particular the photon index (~1.8), the high-energy cut-off (~290 keV), and the relative amount of cold reflection (~1.0). Moreover the unified scheme for active galactic nuclei was positively tested. The distribution of isotropic indicators used here (photon index, relative amount of reflection, high-energy cut-off and narrow FeK energy centroid) are similar in type I and type II objects while the absorbing column and the iron line equivalent width significantly differ between the two classes of sources with type II objects displaying larger absorbing columns. Taking advantage of the XMM–Newton and X–CfA samples I also deduced from measurements that 30 to 50% of type II Seyfert galaxies are Compton thick. Confirming previous results, the narrow FeK line is consistent, in Seyfert 2 galaxies, with being produced in the same matter responsible for the observed obscuration. These results support the basic picture of the unified model. Moreover, the presence of a X-ray Baldwin effect in type I sources has been measured using for the first time the 20-100 keV luminosity (EW proportional to L(20-100)^(−0.22±0.05)). This finding suggests that the torus covering factor may be a function of source luminosity, thereby suggesting a refinement of the baseline version of the unifed model itself. Using the BeppoSAX sample, it has been also recorded a possible correlation between the photon index and the amount of cold reflection in both type I and II sources. At a first glance this confirms the thermal Comptonization as the most likely origin of the high energy emission for the active galactic nuclei. This relation, in fact, naturally emerges supposing that the accretion disk penetrates, depending to the accretion rate, the central corona at different depths (Merloni et al. 2006): the higher accreting systems hosting disks down to the last stable orbit while the lower accreting systems hosting truncated disks. On the contrary, the study of the well defined X–C f A sample of Seyfert galaxies has proved that the intrinsic X-ray luminosity of nearby Seyfert galaxies can span values between 10^(38−43) erg s^−1, i.e. covering a huge range of accretion rates. The less efficient systems have been supposed to host ADAF systems without accretion disk. However, the study of the X–CfA sample has also proved the existence of correlations between optical emission lines and X-ray luminosity in the entire range of L_(X) covered by the sample. These relations are similar to the ones obtained if high-L objects are considered. Thus the emission mechanism must be similar in luminous and weak systems. A possible scenario to reconcile these somehow opposite indications is assuming that the ADAF and the two phase mechanism co-exist with different relative importance moving from low-to-high accretion systems (as suggested by the Gamma vs. R relation). The present data require that no abrupt transition between the two regimes is present. As mentioned above, the possible presence of an accretion disk has been tested using samples of nearby Seyfert galaxies. Here, to deeply investigate the flow patterns close to super-massive black-holes, three case study objects for which enough counts statistics is available have been analysed using deep X-ray observations taken with XMM–Newton. The obtained results have shown that the accretion flow can significantly differ between the objects when it is analyzed with the appropriate detail. For instance the accretion disk is well established down to the last stable orbit in a Kerr system for IRAS 13197-1627 where strong light bending effect have been measured. The accretion disk seems to be formed spiraling in the inner ~10-30 gravitational radii in NGC 3783 where time dependent and recursive modulation have been measured both in the continuum emission and in the broad emission line component. Finally, the accretion disk seems to be only weakly detectable in rk 509, with its weak broad emission line component. Finally, blueshifted resonant absorption lines have been detected in all three objects. This seems to demonstrate that, around super-massive black-holes, there is matter which is not confined in the accretion disk and moves along the line of sight with velocities as large as v~0.01-0.4c (whre c is the speed of light). Wether this matter forms winds or blobs is still matter of debate together with the assessment of the real statistical significance of the measured absorption lines. Nonetheless, if confirmed, these phenomena are of outstanding interest because they offer new potential probes for the dynamics of the innermost regions of accretion flows, to tackle the formation of ejecta/jets and to place constraints on the rate of kinetic energy injected by AGNs into the ISM and IGM. Future high energy missions (such as the planned Simbol-X and IXO) will likely allow an exciting step forward in our understanding of the flow dynamics around black holes and the formation of the highest velocity outflows.

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Adaptation and acclimation to different temperatures of obligate psychrophilic, facultative psychrophilic and mesophilic yeasts. Production of ω-3 and ω-6 polyunsaturated fatty acids by fermentative way. Obligate psychrophilic, facultative psychrophilic and mesophilic yeasts were cultured in a carbon rich medium at different temperatures to investigate if growth parameters, lipid accumulation and fatty acid composition were adaptive and/or acclimatory responses. Acclimation of facultative psychrophiles and mesophiles to lower temperature negatively affected their specific growth rate. Obligate psychrophiles exhibited the highest biomass yield (YX/S), followed by facultative psychrophiles, then by mesophiles. The growth temperature did not influence the YX/S of facultative psychrophiles and mesophiles. Acclimation to lower temperature caused the increase in lipid yield (YL/X) in mesophilic yeasts, but did not affect YL/X in facultative psychrophiles. Similar YL/X were found in both facultative and obligated psychrophiles, suggesting that lipid accumulation is not a distinctive character of adaptation to permanently cold environments. The extent of unsaturation of fatty acids was one major adaptive feature of the yeasts which colonize permanently cold ecosystems. Remarkable amounts of α-linolenic acid were found in obligate psychrophiles at the expenses of linoleic acid, whereas it was generally scarce or absent in all the others strains. Increased unsaturation of fatty acids was also an acclimatory response of mesophiles and facultative psychrophiles to lower temperature. It’s well known that omega-3 polyunsaturated fatty acids (PUFAs) display a variety of beneficial effects on various organ systems and diseases, therefore a process for the microbial production of omega-3 PUFAs would be of great interest. This work sought also to investigate if one of the better psychrophilic yeast, Rhodotorula glacialis DBVPG 4785, stimulated by acclamatory responses, produced omega-3 PUFAs. In fact, the adaptation of psychrophilic yeasts to cold niches is related to the production of higher amounts of lipids and to increased unsaturation degree of fatty acids, presumably to maintain membrane fluidity and functionality at low temperatures. Bioreactor fermentations of Rhodotorula glacialis DBVPG 4785 were carried out at 25, 20, 15, 10, 5, 0, and -3°C in a complex medium with high C:N ratio for 15 days. High biomass production was attained at all the temperatures with a similar biomass/glucose yield (YXS), between 0.40 and 0.45, but the specific growth rate of the strain decreased as the temperature diminished. The coefficients YL/X have been measured between a minimum of 0.50 to a maximum of 0.67, but it was not possible to show a clear effect of temperature. Similarly, the coefficient YL/S ranges from a minimum of 0.22 to a maximum of 0.28: again, it does not appear to be any significant changes due to temperature. Among omega-3 PUFAs, only α-linolenic acid (ALA, 18:3n-3) was found at temperatures below to 0°C, while, it’s remarkable, that the worthy arachidonic acid (C20:4,n-6), stearidonic acid (C20:4,n-3) C22:0 and docosahexaenoic acid (C22:6n-3) were produced only at the late exponential phase and the stationary phase of batch fermentations at 0 and -3°C. The docosahexaenoic acid (DHA) is a beneficial omega-3 PUFA that is usually found in fatty fish and fish oils. The results herein reported improve the knowledge about the responses which enable psychrophilic yeasts to cope with cold and may support exploitation of these strains as a new resource for biotechnological applications.

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Herpes simplex virus entry into cells requires a multipartite fusion apparatus made of gD, gB and heterodimer gH/gL. gD serves as receptor-binding glycoprotein and trigger of fusion; its ectodomain is organized in a N-terminal domain carrying the receptor-binding sites, and a C-terminal domain carrying the profusion domain, required for fusion but not receptor-binding. gB and gH/gL execute fusion. To understand how the four glycoproteins cross-talk to each other we searched for biochemical defined complexes in infected and transfected cells, and in virions. We report that gD formed complexes with gB in absence of gH/gL, and with gH/gL in absence of gB. Complexes with similar composition were formed in infected and transfected cells. They were also present in virions prior to entry, and did not increase at virus fusion with cell. A panel of gD mutants enabled the preliminary location of part of the binding site in gD to gB to the aa 240-260 portion and downstream, with T306P307 as critical residues, and of the binding site to gH/gL at aa 260-310 portion, with P291P292 as critical residues. The results indicate that gD carries composite independent binding sites for gB and gH/gL, both of which partly located in the profusion domain. The second part of the project dealt with rational design of peptides inhibiting virus entry has been performed. Considering gB and gD, the crystal structure is known, so we designed peptides that dock in the structure or prevent the adoption of the final conformation of target molecule. Considering the other glycoproteins, of which the structure is not known, peptide libraries were analyzed. Among several peptides, some were identified as active, designed on glycoprotein B. Two of them were further analyzed. We identified peptide residues fundamental for the inhibiting activity, suggesting a possible mechanism of action. Furthermore, changing the flexibility of peptides, an increased activity was observed,with an EC50 under 10μM. New approaches will try to demonstrate the direct interaction between these peptides and the target glycoprotein B.

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La ricerca svolta ha individuato fra i suoi elementi promotori l’orientamento determinato da parte della comunità europea di dare vita e sostegno ad ambiti territoriali intermedi sub nazionali di tipo regionale all’interno dei quali i sistemi di città potessero raggiungere le massime prestazioni tecnologiche per cogliere gli effetti positivi delle innovazioni. L’orientamento europeo si è confrontato con una realtà storica e geografica molto variata in quanto accanto a stati membri, nei quali le gerarchie fra città sono storicamente radicate e funzionalmente differenziate secondo un ordine che vede la città capitale dominante su città subalterne nelle quali la cultura di dominio del territorio non è né continua né gerarchizzata sussistono invece territori nazionali compositi con una città capitale di riconosciuto potere ma con città di minor dimensione che da secoli esprimono una radicata incisività nella organizzazione del territorio di appartenenza. Alla prima tipologia di stati appartengono ad esempio i Paesi del Nord Europa e l’Inghilterra, esprimendo nella Francia una situazione emblematica, alla seconda tipologia appartengono invece i Paesi dell’aera mediterranea, Italia in primis, con la grande eccezione della Germania. Applicando gli intendimenti comunitari alla realtà locale nazionale, questa tesi ha avviato un approfondimento di tipo metodologico e procedurale sulla possibile organizzazione a sistema di una regione fortemente policentrica nel suo sviluppo e “artificiosamente” rinata ad unità, dopo le vicende del XIX secolo: l’Emilia-Romagna. Anche nelle regioni che si presentano come storicamente organizzate sulla pluralità di centri emergenti, il rapporto col territorio è mediato da centri urbani minori che governano il tessuto cellulare delle aggregazioni di servizi di chiara origine agraria. Questo stato di cose comporta a livello politico -istituzionale una dialettica vivace fra territori voluti dalle istituzioni e territori legittimati dal consolidamento delle tradizioni confermato dall’uso attuale. La crescente domanda di capacità di governo dello sviluppo formulata dagli operatori economici locali e sostenuta dalle istituzioni europee si confronta con la scarsa capacità degli enti territoriali attuali: Regioni, Comuni e Province di raggiungere un livello di efficienza sufficiente ad organizzare sistemi di servizi adeguati a sostegno della crescita economica. Nel primo capitolo, dopo un breve approfondimento sulle “figure retoriche comunitarie”, quali il policentrismo, la governance, la coesione territoriale, utilizzate per descrivere questi fenomeni in atto, si analizzano gli strumenti programmatici europei e lo S.S.S.E,. in primis, che recita “Per garantire uno sviluppo regionale equilibrato nella piena integrazione anche nell’economia mondiale, va perseguito un modello di sviluppo policentrico, al fine di impedire un’ulteriore eccessiva concentrazione della forza economica e della popolazione nei territori centrali dell’UE. Solo sviluppando ulteriormente la struttura, relativamente decentrata, degli insediamenti è possibile sfruttare il potenziale economico di tutte le regioni europee.” La tesi si inserisce nella fase storica in cui si tenta di definire quali siano i nuovi territori funzionali e su quali criteri si basa la loro riconoscibilità; nel tentativo di adeguare ad essi, riformandoli, i territori istituzionali. Ai territori funzionali occorre riportare la futura fiscalità, ed è la scala adeguata per l'impostazione della maggior parte delle politiche, tutti aspetti che richiederanno anche la necessità di avere una traduzione in termini di rappresentanza/sanzionabilità politica da parte dei cittadini. Il nuovo governo auspicato dalla Comunità Europea prevede una gestione attraverso Sistemi Locali Territoriali (S.Lo.t.) definiti dalla combinazione di milieu locale e reti di attori che si comportano come un attore collettivo. Infatti il secondo capitolo parte con l’indagare il concetto di “regione funzionale”, definito sulla base della presenza di un nucleo e di una corrispondente area di influenza; che interagisce con altre realtà territoriali in base a relazioni di tipo funzionale, per poi arrivare alla definizione di un Sistema Locale territoriale, modello evoluto di regione funzionale che può essere pensato come una rete locale di soggetti i quali, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. Identificare un sistema territoriale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire qualsiasi forma di pianificazione o governance territoriale, perchè si deve soprattutto tener conto dei processi di integrazione funzionale e di networking che si vengono a generare tra i diversi sistemi urbani e che sono specchio di come il territorio viene realmente fruito., perciò solo un approccio metodologico capace di sfumare e di sovrapporre le diverse perimetrazioni territoriali riesce a definire delle aree sulle quali definire un’azione di governo del territorio. Sin dall’inizio del 2000 il Servizio Sviluppo Territoriale dell’OCSE ha condotto un’indagine per capire come i diversi paesi identificavano empiricamente le regioni funzionali. La stragrande maggioranza dei paesi adotta una definizione di regione funzionale basata sul pendolarismo. I confini delle regioni funzionali sono stati definiti infatti sulla base di “contorni” determinati dai mercati locali del lavoro, a loro volta identificati sulla base di indicatori relativi alla mobilità del lavoro. In Italia, la definizione di area urbana funzionale viene a coincidere di fatto con quella di Sistema Locale del Lavoro (SLL). Il fatto di scegliere dati statistici legati a caratteristiche demografiche è un elemento fondamentale che determina l’ubicazione di alcuni servizi ed attrezzature e una mappa per gli investimenti nel settore sia pubblico che privato. Nell’ambito dei programmi europei aventi come obiettivo lo sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio fatto di aree funzionali in relazione fra loro, uno degli studi di maggior rilievo è stato condotto da ESPON (European Spatial Planning Observation Network) e riguarda l’adeguamento delle politiche alle caratteristiche dei territori d’Europa, creando un sistema permanente di monitoraggio del territorio europeo. Sulla base di tali indicatori vengono costruiti i ranking dei diversi FUA e quelli che presentano punteggi (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In questo senso, i MEGA sono FUA/SLL particolarmente performanti. In Italia ve ne sono complessivamente sei, di cui uno nella regione Emilia-Romagna (Bologna). Le FUA sono spazialmente interconnesse ed è possibile sovrapporre le loro aree di influenza. Tuttavia, occorre considerare il fatto che la prossimità spaziale è solo uno degli aspetti di interazione tra le città, l’altro aspetto importante è quello delle reti. Per capire quanto siano policentrici o monocentrici i paesi europei, il Progetto Espon ha esaminato per ogni FUA tre differenti parametri: la grandezza, la posizione ed i collegamenti fra i centri. La fase di analisi della tesi ricostruisce l’evoluzione storica degli strumenti della pianificazione regionale analizzandone gli aspetti organizzativi del livello intermedio, evidenziando motivazioni e criteri adottati nella suddivisione del territorio emilianoromagnolo (i comprensori, i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro…). La fase comprensoriale e quella dei distretti, anche se per certi versi effimere, hanno avuto comunque il merito di confermare l’esigenza di avere un forte organismo intermedio di programmazione e pianificazione. Nel 2007 la Regione Emilia Romagna, nell’interpretare le proprie articolazioni territoriali interne, ha adeguato le proprie tecniche analitiche interpretative alle direttive contenute nel Progetto E.S.P.O.N. del 2001, ciò ha permesso di individuare sei S.Lo.T ( Sistemi Territoriali ad alta polarizzazione urbana; Sistemi Urbani Metropolitani; Sistemi Città – Territorio; Sistemi a media polarizzazione urbana; Sistemi a bassa polarizzazione urbana; Reti di centri urbani di piccole dimensioni). Altra linea di lavoro della tesi di dottorato ha riguardato la controriprova empirica degli effettivi confini degli S.Lo.T del PTR 2007 . Dal punto di vista metodologico si è utilizzato lo strumento delle Cluster Analisys per impiegare il singolo comune come polo di partenza dei movimenti per la mia analisi, eliminare inevitabili approssimazioni introdotte dalle perimetrazioni legate agli SLL e soprattutto cogliere al meglio le sfumature dei confini amministrativi dei diversi comuni e province spesso sovrapposti fra loro. La novità è costituita dal fatto che fino al 2001 la regione aveva definito sullo stesso territorio una pluralità di ambiti intermedi non univocamente circoscritti per tutte le funzioni ma definiti secondo un criterio analitico matematico dipendente dall’attività settoriale dominante. In contemporanea col processo di rinnovamento della politica locale in atto nei principali Paesi dell’Europa Comunitaria si va delineando una significativa evoluzione per adeguare le istituzioni pubbliche che in Italia comporta l’attuazione del Titolo V della Costituzione. In tale titolo si disegna un nuovo assetto dei vari livelli Istituzionali, assumendo come criteri di riferimento la semplificazione dell’assetto amministrativo e la razionalizzazione della spesa pubblica complessiva. In questa prospettiva la dimensione provinciale parrebbe essere quella tecnicamente più idonea per il minimo livello di pianificazione territoriale decentrata ma nel contempo la provincia come ente amministrativo intermedio palesa forti carenze motivazionali in quanto l’ente storico di riferimento della pianificazione è il comune e l’ente di gestione delegato dallo stato è la regione: in generale troppo piccolo il comune per fare una programmazione di sviluppo, troppo grande la regione per cogliere gli impulsi alla crescita dei territori e delle realtà locali. Questa considerazione poi deve trovare elementi di compatibilità con la piccola dimensione territoriale delle regioni italiane se confrontate con le regioni europee ed i Laender tedeschi. L'individuazione di criteri oggettivi (funzionali e non formali) per l'individuazione/delimitazione di territori funzionali e lo scambio di prestazioni tra di essi sono la condizione necessaria per superare l'attuale natura opzionale dei processi di cooperazione interistituzionale (tra comuni, ad esempio appartenenti allo stesso territorio funzionale). A questo riguardo molto utile è l'esperienza delle associazioni, ma anche delle unioni di comuni. Le esigenze della pianificazione nel riordino delle istituzioni politico territoriali decentrate, costituiscono il punto finale della ricerca svolta, che vede confermato il livello intermedio come ottimale per la pianificazione. Tale livello è da intendere come dimensione geografica di riferimento e non come ambito di decisioni amministrative, di governance e potrebbe essere validamente gestito attraverso un’agenzia privato-pubblica dello sviluppo, alla quale affidare la formulazione del piano e la sua gestione. E perché ciò avvenga è necessario che il piano regionale formulato da organi politici autonomi, coordinati dall’attività dello stato abbia caratteri definiti e fattibilità economico concreta.

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Il presente lavoro ha come obiettivo la definizione e la misura della complessità tecnologica, al fine di costruire strumenti a supporto di tutti gli operatori che si occupano dello sviluppo e della fabbricazione di un prodotto industriale, quali progettisti di prodotto e responsabili di produzione. La ricerca è stata sviluppata attraverso le fasi di seguito descritte. Analisi dello stato dell’arte su definizioni e misure della complessità in ambito industriale attraverso l’individuazione e studio di oltre un centinaio di pubblicazioni al riguardo. Classificazione dei metodi proposti in letteratura per la misura della complessità in cinque categorie e analisi critica dei punti di forza e di debolezza dei differenti metodi, ai fini di orientare la elaborazione di un nuovo metodo. Sono stati inoltre analizzati i principali metodi di Intelligenza Artificiali quali potenziali strumenti di calcolo della complessità. Indagine su tematiche correlate alla complessità quali indicatori, trasferimento tecnologico e innovazione. La complessità viene misurata in termini di un indice che appartiene alla categoria degli indicatori, utilizzati in molti ambiti industriali, in particolare quello della misura delle prestazioni di produzione. In particolare si è approfondito significato e utilizzo dell’OEE (Overall Equipment Effectiveness), particolarmente diffuso nelle piccole medie imprese emilianoromagnole e in generale dalle aziende che utilizzano un sistema produttivo di tipo job-shop. È stato implementato un efficace sistema di calcolo dell’OEE presso una azienda meccanica locale. L’indice di complessità trova una delle sue più interessanti applicazioni nelle operazioni di trasferimento tecnologico. Introdurre un’innovazione significa in genere aumentare la complessità del sistema, quindi i due concetti sono connessi. Sono stati esaminati diversi casi aziendali di trasferimento di tecnologia e di misura delle prestazioni produttive, evidenziando legami e influenza della complessità tecnologica sulle scelte delle imprese. Elaborazione di un nuovo metodo di calcolo di un indice di complessità tecnologica di prodotto, a partire dalla metodologia ibrida basata su modello entropico proposta dai Prof. ElMaraghy e Urbanic nel 2003. L’attenzione è stata focalizzata sulla sostituzione nella formula originale a valori determinati tramite interviste agli operatori e pertanto soggettivi, valori oggettivi. Verifica sperimentale della validità della nuova metodologia attraverso l’applicazione della formula ad alcuni componenti meccanici grazie alla collaborazione di un’azienda meccanica manifatturiera. Considerazioni e conclusioni sui risultati ottenuti, sulla metodologia proposta e sulle applicazioni del nuovo indice, delineando gli obiettivi del proseguo della ricerca. In tutto il lavoro si sono evidenziate connessioni e convergenze delle diverse fonti e individuati in diversi ambiti concetti e teorie che forniscono importanti spunti e considerazioni sul tema della complessità. Particolare attenzione è stata dedicata all’intera bibliografia dei Prof. ElMaraghy al momento riconosciuti a livello internazionale come i più autorevoli studiosi del tema della complessità in ambito industriale.

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Purpose of this research is to deepen the study on the section in architecture. The survey aims as important elements in the project Teatro Domestico by Aldo Rossi built for the XVII Triennale di Milano in 1986 and, through the implementation on several topics of architecture, verify the timeliness and fertility in the new compositional exercises. Through the study of certain areas of the Rossi’s theory we tried to find a common thread for the reading of the theater project. The theater is the place of the ephemeral and the artificial, which is why his destiny is the end and the fatal loss. The design and construction of theater setting has always had a double meaning between the value of civil architecture and testing of new technologies available. Rossi's experience in this area are clear examples of the inseparable relationship between the representation of architecture as art and design of architecture as a model of reality. In the Teatro Domestico, the distinction between representation and the real world is constantly canceled and returned through the reversal of the meaning and through the skip of scale. At present, studies conducted on the work of Rossi concern the report that the architectural composition is the theory of form, focusing compositional development of a manufacturing process between the typological analysis and form invention. The research, through the analysis of some projects few designs, will try to analyze this issue through the rules of composition both graphical and concrete construction, hoping to decipher the mechanism underlying the invention. The almost total lack of published material on the project Teatro Domestico and the opportunity to visit the archives that preserve the drawings, has allowed the author of this study to deepen the internal issues in the project, thus placing this search as a first step toward possible further analysis on the works of Rossi linked to performance world. The final aim is therefore to produce material that can best describe the work of Rossi. Through the reading of the material published by the same author and the vision of unpublished material preserved in the archives, it was possible to develop new material and increasing knowledge about the work, otherwise difficult to analyze. The research is divided into two groups. The first, taking into account the close relationship most frequently mentioned by Rossi himself between archeology and architectural composition, stresses the importance of tipo such as urban composition reading system as well as open tool of invention. Resuming Ezio Bonfanti’s essay on the work of the architect we wanted to investigate how the paratactic method is applied to the early work conceived and, subsequently as the process reaches a complexity accentuated, while keeping stable the basic terms. Following a brief introduction related to the concept of the section and the different interpretations that over time the term had, we tried to identify with this facility a methodology for reading Rossi’s projects. The result is a constant typological interpretation of the term, not only related to the composition in plant but also through the elevation plans. The section is therefore intended as the overturning of such elevation is marked on the same plane of the terms used, there is a different approach, but a similarity of characters. The identification of architectural phonemes allows comparison with other arts. The research goes in the direction of language trying to identify the relationship between representation and construction, between the ephemeral and the real world. In this sense it will highlight the similarities between the graphic material produced by Ross and some important examples of contemporary author. The comparison between the composition system with the surrealist world of painting and literature will facilitate the understanding and identification of possible rules applied by Rossi. The second part of the research is characterized by a focus on the intent of the project chosen. Teatro Domestico embodies a number of elements that seem to conclude (assuming an end point but also to start) a curriculum author. With it, the experiments carried out on the theater started with the project for the Teatrino Scientifico (1978) through the project for the Teatro del Mondo (1979), into a Laic Tabernacle representative collective and private memory of the city. Starting from a reading of the draft, through the collection of published material, we’ve made an analysis on the explicit themes of the work, finding the conceptual references. Following the taking view of the original materials not published kept at Aldo Rossi's Archive Collection of the Canadian Center for Architecture in Montréal, will be implemented through the existing techniques for digital representation, a virtual reconstruction of the project, adding little to the material, a new element for future studies. The reconstruction is part of a larger research studies where the current technologies of composition and representation in architecture stand side by side with research on the method of composition of this architect. The results achieved are in addition to experiences in the past dealt with the reconstruction of some of the lost works of Aldo Rossi. A partial objective is to reactivate a discourse around this work is considered non-principal, among others born in the prolific activities. Reassessment of development projects which would bring the level of ephemeral works most frequented by giving them the value earned. In conclusion, the research aims to open a new field of interest on the part not only as a technical instrument of representation of an idea but as an actual mechanism through which composition is formed and the idea is developed.

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In questo lavoro di ricerca viene indagato il rapporto tra politiche pubbliche e gentrification attraverso la presa in esame della trasformazione fisica, sociale ed economica delle aree centrali di due importanti realtà urbane dell’Europa mediterranea: il Raval di Barcellona e il Centro Storico di Genova. Ciò che è avvenuto nelle due aree di studio è riconducile a quanto viene indicato in letteratura come policy-led gentrification o positive gentrification in quanto è a seguito dell’azione pubblica che si avvia il processo di ricambio sociale. Le autorità locali, con la trasformazione fisica e simbolica dello spazio, hanno perseguito l’inserimento di nuove funzioni e nuovi utenti al fine di superare le problematicità ivi presenti attraverso il conseguimento del social-balance. Pertanto, sia nel Raval che nel Centro Storico genovese, la gentrification è stata utilizzata come uno strumento per la rivitalizzazione sociale ed economica di due aree dall’importanza strategica per il successo dell’intera realtà urbana. La ricerca è suddivisa in tre parti. La prima è dedicata all’esposizione della letteratura sul tema al fine di dotare la ricerca di una solida base teorica. Seguono la seconda e terza parte nelle quali vengono affrontati i due casi di studio. Innanzitutto è verificata l’esistenza delle precondizioni necessarie all’avvio della gentrification a cui segue l’analisi e la descrizione della trasformazione dello spazio fisico. Il conseguente ricambio sociale viene indagato con la presa in esame dell’evoluzione delle caratteristiche della popolazione e attraverso l’interpretazione delle motivazioni alla base della strategia residenziale attuata dai gentrifier. L’analisi degli effetti del dispiegarsi del fenomeno mina la possibilità di etichettare come gentrification in senso strictu il processo di trasformazione che ha investito il Raval e il Centro Storico genovese. Dalla ricerca condotta si esclude, in entrambe le aree, la presenza di una gentrification che rispetti l’idealtipo individuato per le grandi città globali e si ritiene necessario ricorrere ad una disaggregazione concettuale. Ai fini dell’interpretazione di quanto avvenuto nel Raval e nel Centro Storico genovese sembra più utile ricorrere al concetto di marginal gentrification il quale prevede che in un’area degradata si verifichi un miglioramento delle condizioni strutturali ed estetiche degli edifici e un ricambio sociale ma senza che questo comporti un’elevazione al rango di quartiere esclusivo o elitario. La resilienza dimostrata dalle due aree ad un pieno processo di gentrification è imputabile tanto a specificità locali quanto riconducibile alla posizione occupata sulla gerarchia urbana internazionale dalla città di Barcellona e da quella di Genova

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The Thrace Basin is the largest and thickest Tertiary sedimentary basin of the eastern Balkans region and constitutes an important hydrocarbon province. It is located between the Rhodope-Strandja Massif to the north and west, the Marmara Sea and Biga Peninsula to the south, and the Black Sea to the est. It consists of a complex system of depocenters and uplifts with very articulate paleotopography indicated by abrupt lateral facies variations. Its southeastern margin is widely deformed by the Ganos Fault, a segment of the North Anatolian strike-slip fault system . Most of the Thrace Basin fill ranges from the Eocene to the Late Oligocene. Maximum total thickness, including the Neogene-Quaternary succession, reaches 9.000 meters in a few narrow depocenters. This sedimentary succession consists mainly of basin plain turbiditic deposits with a significant volcaniclastic component which evolves upwards to shelf deposits and continental facies, with deltaic bodies prograding towards the basin center in the Oligocene. This work deals with the provenance of Eocene-Oligocene clastic sediments of the southern and western part of Thrace Basin in Turkey and Greece. Sandstone compositional data (78 gross composition analyses and 40 heavy minerals analyses) were used to understand the change in detrital modes which reflects the provenance and geodinamic evolution of the basin. Samples were collected at six localities, which are from west to est: Gökçeada, Gallipoli and South-Ganos (south of Ganos Fault), Alexandroupolis, Korudağ and North-Ganos (north of Ganos Fault). Petrologic (framework composition and heavy-mineral analyses) and stratigraphic-sedimentologic data, (analysis of sedimentologic facies associations along representative stratigraphic sections, paleocurrents) allowed discrimination of six petrofacies; for each petrofacies the sediment dispersal system was delineated. The Thrace Basin fill is made mainly of lithic arkoses and arkosic litharenites with variable amount of low-grade metamorphic lithics (also ophiolitic), neovolcanic lithics, and carbonate grains (mainly extrabasinal). Picotite is the most widespread heavy mineral in all petrofacies. Petrological data on analyzed successions show a complex sediment dispersal pattern and evolution of the basin, indicating one principal detrital input from a source area located to the south, along both the İzmir-Ankara and Intra-Pontide suture lines, and a possible secondary source area, represented by the Rhodope Massif to the west. A significant portion of the Thrace Basin sediments in the study area were derived from ophiolitic source rocks and from their oceanic cover, whereas epimetamorphic detrital components came from a low-grade crystalline basement. An important penecontemporaneous volcanic component is widespread in late Eocene-Oligocene times, indicating widespread post-collisional (collapse?) volcanism following the closure of the Vardar ocean. Large-scale sediment mass wasting from south to north along the southern margin of the Thrace Basin is indicated (i) in late Eocene time by large olistoliths of ophiolites and penecontemporaneous carbonates, and (ii) in the mid-Oligocene by large volcaniclastic olistoliths. The late Oligocene paleogeographic scenario was characterized by large deltaic bodies prograding northward (Osmancik Formation). This clearly indicates that the southern margin of the basin acted as a major sediment source area throughout its Eocene-Oligocene history. Another major sediment source area is represented by the Rhodope Massif, in particolar the Circum-Rhodopic belt, especially for plutonic and metamorphic rocks. Considering preexisting data on the petrologic composition of Thrace Basin, silicilastic sediments in Greece and Bulgaria (Caracciolo, 2009), a Rhodopian provenance could be considered mostly for areas of the Thrace Basin outside our study area, particularly in the northern-central portions of the basin. In summary, the most important source area for the sediment of Thrace Basin in the study area was represented by the exhumed subduction-accretion complex along the southern margin of the basin (Biga Peninsula and western-central Marmara Sea region). Most measured paleocurrent indicators show an eastward paleoflow but this is most likely the result of gravity flow deflection. This is possible considered a strong control due to the east-west-trending synsedimentary transcurrent faults which cuts the Thrace Basin, generating a series of depocenters and uplifts which deeply influenced sediment dispersal and the areal distribution of paleoenvironments. The Thrace Basin was long interpreted as a forearc basin between a magmatic arc to the north and a subduction-accretion complex to the south, developed in a context of northward subduction. This interpretation was challenged by more recent data emphasizing the lack of a coeval magmatic arc in the north and the interpretation of the chaotic deposit which outcrop south of Ganos Fault as olistoliths and large submarine slumps, derived from the erosion and sedimentary reworking of an older mélange unit located to the south (not as tectonic mélange formed in an accretionary prism). The present study corroborates instead the hypothesis of a post-collisional origin of the Thrace Basin, due to a phase of orogenic collapse, which generated a series of mid-Eocene depocenters all along the İzmir-Ankara suture (following closure of the Vardar-İzmir-Ankara ocean and the ensuing collision); then the slab roll-back of the remnant Pindos ocean played an important role in enhancing subsidence and creating additional accommodation space for sediment deposition.

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La ricerca ha avuto come obiettivo l’analisi delle residenze lungo la rue Mallet-Stevens, a Parigi, realizzate da Robert Mallet-Stevens negli anni 1925-1930. Si tratta di un intervento pensato unitariamente, i cui dispositivi spaziali sono rivelatori tanto del concetto spazio-forma, quanto del processo d’ideazione dello stesso nell’ambito dei paradigmi gestaltici e compositivi della modernità. All’epoca la necessità di espressione e affermazione di un simile concetto si tradusse nell’interpretazione spaziale dalla scala dell’abitazione alla scala della città. Le residenze, realizzate nella zona di Auteuil (16 arrondissement), occupano l’area di una nuova lottizzazione, da cui il successivo nome dell’intervento: case su rue Mallet-Stevens. Il programma comprendeva cinque abitazioni, commissionate da artisti e ricchi borghesi, una piccola maison per il guardiano del confinante parco, e un progetto, mai realizzato che nella prima versione comprendeva due interventi: un hôtel particulier e un edificio per appartamenti. La rue Mallet-Stevens si costituì come frammento di città possibile, ove si manifestava un’idea di urbanità chiaramente ispirata al modello della città giardino e ai valori del vivere moderno. I volumi “stereometrici” sono la cifra dell’idea di spazio che, a quel punto della sua attività, Mallet-Stevens aveva maturato sia come architetto, sia come scenografo. La metodologia di analisi critica dell’oggetto architettonico adottata in questa ricerca, si è servita di una lettura incrociata del testo (l’oggetto architettonico), del paratesto (ciò che l’autore ha scritto di sé e della propria opera) e dell’intertesto, in altre parole l’insieme di quelle relazioni che possono ricondurre sia ad altre opere dello stesso autore, sia ai modelli cui l’architetto ha fatto riferimento. Il ridisegno bidimensionale e tridimensionale degli edifici della rue Mallet-Stevens ha costituito lo strumento fondamentale di analisi per la comprensione dei temi architettonici. Le conclusioni cui la ricerca è giunta mostrano come la posizione culturale di Mallet-Stevens si è arricchita di molteplici influenze creative, sulla scia di una consapevole e costante strategia di contaminazione. Mallet-Stevens, osservando i linguaggi a lui contemporanei, si appropriò della componente morfologica del progetto, privilegiandola rispetto a quella sintattica, per poi giungere ad una personalissima sintesi delle stesse.

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An archetype selected over the centuries Adalberto Libera wrote little, showing more inclination to use the project as the only means of verification. This study uses a survey of the project for purely compositional space in relation to the reason that most other returns with continuity and consistency throughout his work. "The fruit of a type selected over centuries", in the words of Libera, is one of the most widely used and repeated spatial archetypes present in the history of architecture, given its nature as defined by a few consolidated elements and precisely defined with characters of geometric precision and absoluteness, the central space is provided, over the course of evolution of architecture, and its construction aspects as well as symbolic, for various uses, from historical period in which it was to coincide with sacred space for excellence, to others in which it lends itself to many different expressive possibilities of a more "secular". The central space was created on assumptions of a constructive character, and the same exact reason has determined the structural changes over the centuries, calling from time to time with advances in technology, the maximum extent possible and the different applications, which almost always have coincided with the reason for the monumental space. But it’s in the Roman world that the reason for the central space is defined from the start of a series of achievements that fix the character in perpetuity. The Pantheon was seen maximum results and, simultaneously, the archetype indispensable, to the point that it becomes difficult to sustain a discussion of the central space that excludes. But the reason the space station has complied, in ancient Rome, just as exemplary, monuments, public spaces or buildings with very different implications. The same Renaissance, on which Wittkower's proving itself once and for all, the nature and interpretation of sacred space station, and thus the symbolic significance of that invaded underlying interpretations related to Humanism, fixing the space-themed drawing it with the study and direct observation by the four-sixteenth-century masters, the ruins that in those years of renewed interest in the classical world, the first big pieces of excavation of ancient Rome brought to light with great surprise of all. Not a case, the choice to investigate the architectural work of Libera through the grounds of the central space. Investigating its projects and achievements, it turns out as the reason invoked particularly evident from the earliest to latest work, crossing-free period of the war which for many authors in different ways, the distinction between one stage and another, or the final miss. The theme and the occasion for Libera always distinct, it is precisely the key through which to investigate her work, to come to discover that the first-in this case the central plan-is the constant underlying all his work, and the second reason that the quota with or at the same time, we will return different each time and always the same Libera, formed on the major works remained from ancient times, and on this building method, means consciously, that the characters of architectural works, if valid, pass the time, and survive the use and function contingent. As for the facts by which to formalize it, they themselves are purely contingent, and therefore available to be transferred from one work to another, from one project to another, using also the loan. Using the same two words-at-issue and it becomes clear now how the theme of this study is the method of Libera and opportunity to the study of the central space in his work. But there is one aspect that, with respect to space a central plan evolves with the progress of the work of Libera on the archetype, and it is the reason behind all the way, just because an area built entirely on reason centric. It 'just the "center" of space that, ultimately, tells us the real progression and the knowledge that over the years has matured and changed in Libera. In the first phase, heavily laden with symbolic superstructure, even if used in a "bribe" from Free-always ill-disposed to sacrifice the idea of architecture to a phantom-center space is just the figure that identifies the icon represents space itself: the cross, the flame or the statue are different representations of the same idea of center built around an icon. The second part of the work of clearing the space station, changed the size of the orders but the demands of patronage, grows and expands the image space centric, celebratory nature that takes and becomes, in a different way, this same symbol . You see, one in all, as the project of "Civiltà Italiana" or symbolic arch are examples of this different attitude. And at the same point of view, you will understand how the two projects formulated on the reuse of the Mausoleum of Augustus is the key to its passage from first to second phase: the Ara Pacis in the second project, making itself the center of the composition "breaks" the pattern of symbolic figure in the center, because it is itself an architecture. And, in doing so, the transition takes place where the building itself-the central space-to become the center of that space that itself creates and determines, by extending the potential and the expressiveness of the enclosure (or cover) that defines the basin centered. In this second series of projects, which will be the apex and the point of "crisis" in the Palazzo dei Congressi all'E42 received and is no longer so, the symbol at the very geometry of space, but space itself and 'action' will be determined within this; action leading a movement, in the case of the Arco simbolico and the "Civiltà Italiana" or, more frequently, or celebration, as in the great Sala dei Recevimenti all’E42, which, in the first project proposal, is represented as a large area populated by people in suits, at a reception, in fact. In other words, in this second phase, the architecture is no longer a mere container, but it represents the shape of space, representing that which "contains". In the next step-determining the knowledge from which mature in their transition to post-war-is one step that radically changes the way centric space, although formally and compositionally Libera continues the work on the same elements, compounds and relationships in a different way . In this last phase Freedom, center, puts the man in human beings, in the two previous phases, and in a latent, were already at the center of the composition, even if relegated to the role of spectators in the first period, or of supporting actors in the second, now the heart of space. And it’s, as we shall see, the very form of being together in the form of "assembly", in its different shades (up to that sacred) to determine the shape of space, and how to relate the parts that combine to form it. The reconstruction of the birth, evolution and development of the central space of the ground in Libera, was born on the study of the monuments of ancient Rome, intersected on fifty years of recent history, honed on the constancy of a method and practice of a lifetime, becomes itself, Therefore, a project, employing the same mechanisms adopted by Libera; the decomposition and recomposition, research synthesis and unity of form, are in fact the structure of this research work. The road taken by Libera is a lesson in clarity and rationality, above all, and this work would uncover at least a fragment.

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Thermal infrared (IR, 10.5 – 12.5 m) images from the Meteosat Visible and Infrared Imager (MVIRI) of cold cloud episodes (cloud top brightness temperature < 241 K) are used as a proxy of precipitating clouds to derive a warm season (May-August) climatology of their coherency, duration, span, and speed over Europe and the Mediterranean. The analysis focuses over the 30°-54°N, 15°W-40°E domain in May-August 1996-2005. Harmonic analysis using discrete Fourier transforms is applied together with a statistical analysis and an investigation of the diurnal cycle. This study has the objective to make available a set of results on the propagation dynamics of the cloud systems with the aim of assist numerical modellers in improving summer convection parameterization. The zonal propagation of cold cloud systems is accompanied by a weak meridional component confined to narrow latitude belts. The persistence of cold clouds over the area evidences the role of orography, the Pyrenees, the Alps, the Balkans and Anatolia. A diurnal oscillation is found with a maximum marking the initiation of convection in the lee of the mountains and shifting from about 1400 UTC at 40°E to 1800 UTC at 0°. A moderate eastward propagation of the frequency maximum from all mountain chains across the domain exists and the diurnal maxima are completely suppressed west of 5°W. The mean power spectrum of the cold cloud frequency distribution evidences a period of one day all over Europe disappearing over the ocean (west of 10°W). Other maxima are found in correspondence of 6 to 10 days in the longitudes from 15° W to 0° and indicate the activity of the westerlies with frontal passage over the continent. Longer periods activities (from 15 up to 30 days) were stronger around 10° W and from 5° W to 15° E and are likely related to the Madden Julian Oscillation influence. The maxima of the diurnal signal are in phase with the presence of elevated terrain and with land masses. A median zonal phase speed of 16.1 ms-1 is found for all events ≥ 1000 km and ≥ 20 h and a full set of results divided by years and recurrence categories is also presented.

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La tesi, che si articola in tre capitoli, analizza la rilevanza della professionalità del lavoratore nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato con particolare riferimento all’interesse mostrato da parte della contrattazione collettiva nel settore privato e pubblico nella definizione dei sistemi classificatori e di inquadramento del personale. Nel primo capitolo, si dà conto dei fattori che hanno determinato l’emersione della professionalità quale bene giuridico meritevole di tutela da parte dell’ordinamento: si analizzano in particolare le trasformazioni organizzative e produttive, nonché le indicazioni provenienti dal testo costituzionale che si riverberano di poi nella legislazione ordinaria. Nel secondo si analizza quanto la professionalità, o le singole voci che la compongono, rilevi a fini classificatori: dunque in che termini le competenze, le conoscenze del lavoratore rilevino quali criteri classificatori. Nel terzo capitolo, viceversa, si pone maggiore attenzione rispetto all’ “importanza” della professionalità quale fattore che incide su meccanismi di progressione retributiva e in genere professionale (assumendosi tale espressione come una sorta di sinonimo del termine carriera, rispetto al quale si differenzia quanto al contesto organizzativo e produttivo in cui si svolge) del lavoratore. In un assetto simile, centrale è il rilievo della valutazione del lavoratore. I contratti collettivi analizzati sono per il settore privato quelli delle categorie chimici, terziario e tessile; per il settore pubblico, quelli del comparto sanità e regioni ed autonomie locali.