23 resultados para mecanismo europeo de estabilización


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La libertad de establecimiento y la movilidad de las empresas juegan un papel fundamental en el proceso comunitario de integración. Las empresas buscan nuevas formas de cooperación e integración que les permitan ocupar cuotas de mercado cada vez más importantes. De entre las modalidades de integración y cooperación que tienen a su disposición, la fusión transfronteriza de sociedades es, sin duda, una de las más relevantes. Es evidente que las fusiones de sociedades pertenecientes a Estados miembros distintos podrían tener una enorme importancia en el proceso de integración del mercado único. Sin embargo, la posibilidad de llevar a cabo con éxito una fusión transfronteriza en el ámbito comunitario era improbable hasta época reciente. Dos tipos de impedimentos la dificultaban: por una parte, obstáculos a la libertad de establecimiento por parte de los ordenamientos jurídicos de los Estados miembros; por otro, obstáculos de Derecho internacional privado. En cambio, hoy la mayor parte de estos impedimentos han sido superados gracias, en primer lugar, al progresivo reconocimiento del derecho de establecimiento de las sociedades por el Tribunal de Justicia, y en segundo, a la importante Directiva 2005/56/CE relativa a las fusiones transfronterizas de sociedades de capital. Esta Directiva impone a los Estados miembros una serie de normas de mínimos de derecho material a fin de armonizar la tutela de los intereses de los sujetos implicados más débiles (sobre todo, los trabajadores y los socios). De igual manera, establece una serie de normas de conflicto para resolver la cuestión de la ley aplicable a las fusiones transfronterizas. Este trabajo tiene como objetivo principal valorar la relevancia de los pronunciamientos del Tribunal de Justicia y de las actuaciones del legislador europeo orientados a impedir las restricciones a las fusiones transfronterizas de sociedades en el territorio comunitario.

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Dopo gli indubbi sviluppi politici e legali tendenti all’uniformazione è inevitabile non sostenere che anche il mercato della gestione delle infrastrutture e del trasporto aereo a terra costituisce un fattore determinante del trasporto aereo con una più stretta necessità di uniformazione del quadro regolamentare. La gestione aeroportuale e i servizi connessi è collocata all’interno del diritto aereo. Perché si configuri il “trasporto aereo” (nozione dinamica base che caratterizza il diritto del trasporto aereo) si ha la necessità di un accordo tra due paesi – un permesso di volo designato – una finestra di orario di decollo e atterraggio e la regolamentazione delle relative attività connesse, affinché si svolgano in situazione di safety, quale conditio sine qua non di tutte le attività di aviazione. Tuttavia, la migliore dottrina sente il bisogno di una trattazione separata della materia diritto aereo in senso stretto e quella della disciplina aeroportuale, benché i due ambiti sono tra di loro contigui. Questo è legittimato da esigenze contrapposte fra gli operatori dei due settori. In ultima considerazione possiamo sostenere che gli sviluppi legislativi, sia nel diritto aeronautico e in quello marittimo, portano all’abbraccio della impostazione di un diritto dei trasporti inclusivo di ogni forma dell’attuazione del fenomeno trasporto, scollegandosi al solo fenomeno dell’esercizio nautico quale elemento caratterizzante della disciplina. Quale futuro legislativo si prospetta per la gestione del bene aeroporto? Quale sarà la sua dimensione legale su questioni importanti sulle quali esiste una normazione europea come l’allocazione delle bande orarie, tasse aeroportuali e assistenza a terra oppure su quelle che hanno un carattere prevalentemente nazionale? E infine, quale sarebbe la strada da seguire per regolare il nuovo mercato aeroportuale che è passato dalla idea della competizione per il mercato esplorando anche la competizione nel mercato, con aeroporti che si comportano come operatori in concorrenza tra loro?

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Il lavoro si propone di indagare, a livello europeo, il fenomeno della seconda vittimizzazione, attraverso l'analisi delle condizioni attuali dei sistemi giudiziari nei confronti delle vittime di reato, anche grazie allo spoglio della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo.

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La presente indagine mira ad esaminare, in chiave innovativa, i rapporti tra l’Europa ed un reato prettamente europeo: il negazionismo. Sviluppatosi in maniera assolutamente predominante nel nostro continente, le ragioni della sua diffusione sono molteplici. Al di là della lotta a razzismo ed antisemitismo, il motivo principale va identificato nel ruolo “fondativo” che riveste la memoria dell’Olocausto in Europa, collocata nel cuore dell’universo valoriale su cui si reggono i due principali attori europei, ovverosia l’Unione europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo. La ricerca, dunque, ruota attorno a due poli tematici. Da un lato, sono state esaminate le politiche normative dell’Unione europea in materia di razzismo e xenofobia, entro cui spicca la promozione dell’incriminazione del negazionismo “allargato”, cioè esteso alle condotte di negazione non solo dell’Olocausto, ma anche degli altri crimini internazionali. Dall’altro lato, l’analisi della trentennale giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia ha evidenziato come, con riguardo alle manifestazioni negazioniste, sia stato elaborato uno “statuto speciale”, che si risolve nel perentorio diniego di tutela per questa categoria di opinioni, sottratte a monte all’ordinario giudizio di bilanciamento in quanto giudicate incompatibili con i valori sottesi alla CEDU. Lo scopo di questo lavoro riposa nel tentativo di individuare le interazioni tra questi due sistemi istituzionali, per interpretare una tendenza che converge con nettezza verso un incremento della repressione penale della parola. Da questo complesso intreccio di norme e principi, di hard law e soft law, sarà possibile enucleare la natura giuridica ed il contenuto delle richieste di incriminazione rivolte agli Stati membri. Una volta appurato che agli Stati è concesso di restringere il campo di applicazione del reato di negazionismo, adottando degli indici di pericolosità delle condotte, sarà analizzata la tenuta di questi “elementi opzionali del reato” alla luce dei principi penalistici di tassatività, materialità, offensività e laicità.

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La tesi riguarda il miniatore Giulio Clovio (Grižane, Croazia, 1498 – Roma, 1578), considerandolo come il fulcro di una rete di relazioni tra committenti, artisti e letterati. È divisa in tre parti, seguendo la vita dell’artista: giovinezza (1498-1534), maturità (1534-1561) e vecchiaia (1561-1578). Tra i committenti più significativi: Domenico e Marino Grimani e il cardinale Alessandro Farnese. Tra gli artisti italiani: Giulio Romano, Girolamo dai Libri, Valerio Belli, Sofonisba Anguissola. Tra gli artisti europei: Francisco de Hollanda, Pieter Brueghel il Vecchio, Bartholomeus Sprangher, El Greco e Lampsonio.

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Il presente lavoro affronta un tema di particolare attualità nella applicazione del mandato d’arresto europeo. Pensate per il contrasto alle forme più gravi di criminalità, le procedure di consegna hanno trovato sempre più spesso applicazione per vicende criminose di scarsa offensività, determinando conseguenze gravi sui diritti fondamentali degli individui coinvolti e mettendo a rischio la reciproca fiducia tra gli Stati membri nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Ciò ha imposto alle istituzioni europee di richiamare gli Stati membri al rispetto del principio di proporzionalità, quale principio generale del diritto europeo. Il presente studio analizza i presupposti e le modalità di applicazione di tale principio, alla luce del nuovo assetto impresso all’Unione dal Trattato di Lisbona e nella prospettiva dei diritti fondamentali. In particolare, esso si sofferma sul ruolo da attribuire, rispetto allo specifico tema, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione ed all’art. 52 par. 1 in essa previsto, ove emerge la valenza costituzionale del principio di proporzionalità.

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Questo lavoro, tramite un'analisi attenta ed accurata dello sviluppo delle pronunce della Corte di Giustizia in materia tributaria, ha lo scopo di mettere in evidenza i canoni interpretativi utilizzati dalla Corte, tenendo presente gli effetti che tali pronunce hanno prodotto nei singoli stati ed in particolare sul ruolo del giudice tributario come giudice europeo. Assistiamo infatti oggi ad una vera e propria europeizzazione della produzione giuridica in grado di aprire nuovi spiragli alla tutela del cittadino anche nei confronti dell'amministrazione finanziaria. L'interazione, per molti aspetti problematica, tra gli organi di giustizia tributaria dei singoli ordinamenti ed il giudice comunitario sono diventate vera e propria fucina di un diritto tributario europeo, nell'ambito del quale a svolgere un ruolo di estrema rilevanza è il giudice interno. Le sentenze del giudice tributario nazionale infatti rappresentano lo strumento più efficace di chiarificazione del diritto comunitario. Il presente lavoro si propone quindi di esaminare nel dettaglio il rapporto complementare e funzionalista che si estrinseca nella peculiare funzione attribuita al giudice tributario nazionale che gli fa assumere le vesti di "giudice europeo" nonché la funzione attribuita alla Corte di Giustizia che assume i caratteri sempre più marcati di "giudice tributario sovranazionale". Partendo dalla disamina delle figure dei giudici tributari di Germania, Francia ed Italia, si passerà poi ad evidenziare i ruoli che hanno avuto le Corti nazionali nell'applicazione del diritto comunitario, evidenziando come nei vari casi le sentenze si sono affiancate alla preminenza gerarchica della norma europea.

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Lo studio delle Zone Franche Urbane all’interno del Diritto tributario europeo non ha potuto prescindere da una introduttiva delimitazione del lavoro, capace di distinguere le diverse tipologie di zone franche esistenti nei Paesi intra/extra Ue. Attraversando i casi-studio di Madeira, delle Azzorre, fino alla istituenda Zona Franca di Bruxelles, Zone d’Economie Urbaine stimulée (ZEUS), si è giunti alla constatazione dell’assenza di una definizione di Zona Franca Urbana: analizzando le esperienze normative vissute in Francia e in Italia, si è potuto tratteggiare il profilo territoriale, soggettivo e oggettivo del sistema agevolativo rivolto al recupero delle aree urbane degradate. La funzione strumentale della fiscalità, esplicitata per mezzo delle ZFU, ha condotto ad una verifica di diritto interno per controllare la legittimità delle scelte nazionali in ragione dei principi costituzionali nazionali, come anche una di diritto europeo per evitare che le scelte nazionali, anche se legittime sul piano interno, possano per gli stessi effetti incentivanti alle attività d'impresa presentarsi come una forma territoriale di aiuti di Stato fiscali. Evidenziando il rapporto tra le ZFU e il Mercato europeo si è voluto, da un lato, effettuare una ricostruzione sistemica necessaria per un’interpretazione delle ZFU che metta in luce le componenti di tale strumento orientate al perseguimento di un interesse socioeconomico, che in prima battuta generi una contraddizione, una deroga ai principi costituzionali e comunitari, per poi “sciogliersi” in una coerente applicazione degli stessi; dall’altro, tentare di elevare le ZFU a misura sistemica dell’Ordinamento europeo. Si è svolto, infine, un ragionamento in termini di federalismo fiscale con riferimento alle ZFU, trovando una adeguata collocazione nel percorso di devoluzione intrapreso dal legislatore nazionale, avendo quali interlocutori privilegiati le Regioni a Statuto Speciale.