25 resultados para dea Senuna


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‘Who can be Greek?’ This was the question posed to the Greek society for the first time before the implementation of the Act 3838 in March 2010 which gave the right to access the Greek citizenship -under specific preconditions- to all children of legal migrants born or schooled in Greece. This change of the Nationality Code in order to include all those children was coincided by the economic crisis resulting into the rise of xenophobia, racism and extreme-right rhetoric. The outcome was the cancellation of the Act 3838 by the State Council in February 2013. Under this particular framework, the notions of identity and belonging formed among the youth of African background in Athens are explored. The ways those youngsters perceive not only themselves but also their peers, their countries of origin and the country they live in, are crucial elements of their self-identification. Researches have shown that the integration of the second generation is highly connected to their legal and social status. However, integration is a rather complex process, influenced and shaped by many variables and multiple factors. It is not linear; therefore, its outcomes are difficult to be predicted. Yet, I argue that citizenship acquisition facilitates the process as it transforms those children from ‘aliens’ to ‘citizens’. How these youngsters are perceived by the majority society and the State is one of the core questions of the research, focusing on the imposed dual ‘otherness’ they are subject to. On the one hand, they have to deal with the ‘otherness’ originating from the migrant status inherited to them by their parents, and on the other with the ‘otherness’ deriving from their different phenotypic characteristics. Race matters and becomes a means of discrimination against youth of African background who are perceived as inassimilable and ‘forever others’.

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Questo studio propone un'esplorazione dei nessi tra processi migratori ed esperienze di salute e malattia a partire da un'indagine sulle migrazioni provenienti dall'America latina in Emilia-Romagna. Contemporaneamente indaga i termini del dibattito sulla diffusione della Malattia di Chagas, “infezione tropicale dimenticata” endemica in America centro-meridionale che, grazie all'incremento dei flussi migratori transnazionali, viene oggi riconfigurata come 'emergente' in alcuni contesti di immigrazione. Attraverso i paradigmi teorico-metodologici disciplinari dell'antropologia medica, della salute globale e degli studi sulle migrazioni, si è inteso indagare la natura della relazione tra “dimenticanza” ed “emergenza” nelle politiche che caratterizzano il contesto migratorio europeo e italiano nello specifico. Si sono analizzate questioni vincolate alla legittimità degli attori coinvolti nella ridefinizione del fenomeno in ambito pubblico; alle visioni che informano le strategie sanitarie di presa in carico dell'infezione; alle possibili ricadute di tali visioni nelle pratiche di cura. Parte della ricerca si è realizzata all'interno del reparto ospedaliero ove è stato implementato il primo servizio di diagnosi e trattamento per l'infezione in Emilia-Romagna. È stata pertanto realizzata una etnografia fuori/dentro al servizio, coinvolgendo i principali soggetti del campo di indagine -immigrati latinoamericani e operatori sanitari-, con lo scopo di cogliere visioni, logiche e pratiche a partire da un'analisi della legislazione che regola l'accesso al servizio sanitario pubblico in Italia. Attraverso la raccolta di narrazioni biografiche, lo studio ha contribuito a far luce su peculiari percorsi migratori e di vita nel contesto locale; ha permesso di riflettere sulla validità di categorie come quella di “latinoamericano” utilizzata dalla comunità scientifica in stretta correlazione con il Chagas; ha riconfigurato il senso di un approccio attento alle connotazioni culturali all'interno di un più ampio ripensamento delle forme di inclusione e di partecipazione finalizzate a dare asilo ai bisogni sanitari maggiormente percepiti e alle esperienze soggettive di malattia.

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Questa tesi consiste nell'analisi socio-antropologica delle risposte al sisma che il 20 e il 29 maggio ha colpito l'area nord della pianura padano-emiliana, in Italia. La zona precisa di ricerca è stata quella compresa tra i comuni di Mirandola, Cavezzo, Concordia sul Secchia e San Possidonio, della provincia di Modena. Il soggetto specifico è stato Sisma.12, un comitato di terremotati, apartitico e trasversale, che porta avanti specifiche rivendicazioni, elaborando e ponendo in essere politiche “dal basso”, che nascono dalle esperienze dei suoi membri, differenti ma partecipate, come alternative alle scelte messe in atto dalle istituzioni.

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Sulla spinta dell’approvazione della legge italiana 47/2017 “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati”, questo lavoro è teso ad affrontare le complesse aspettative genitoriali e parentali sviluppatesi intorno al processo di categorizzazione MSNA di cui questa legge è diventata approdo giuridico. Le controverse aspettative di accompagnamento legatesi alla denominazione di “non accompagnato”, prese come aspetto scontato e assiomatico in molta parte della letteratura scientifica che utilizza l’acronimo, sono state qui intese come un nodo ambiguo e questionabile. Attraverso una ricerca e una metodologia antropologico-etnografica queste rappresentazioni contradditorie sono esplorate a partire da un “crocevia di campi” da queste interessati in un territorio amministrativo dell’Italia Settentrionale variamente frequentato tra 2018 e 2021. Insieme ad ambienti, metodi e sfide della ricerca locale, una prima sezione situa storicamente e contestualmente la categoria MSNA come fenomeno in sé piuttosto che come efficace espressione descrittiva di soggetti. Le due sezioni successive, dedicate rispettivamente alla neo-realtà di tutela volontaria e a quella di una comunità socio-educativa/di tipo familiare rivolta a persone di minore età, interrogano invece questi ambienti come spazi e tempi di elaborazione prima e negoziazione poi di rappresentazioni e pratiche relazionali e parentali molteplici.

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L’obiettivo di questa analisi è di coniugare la ricostruzione dei processi di assoggettamento che producono i copioni entro cui prende forma la soggettività dei profughi siriani, con la ricostruzione delle problematizzazioni alla base dei sistemi di controllo e gestione della circolazione regolare. Secondo l’UNHCR, tra il 2012 e il 2016 quasi un milione e mezzo di profughi siriani si è stabilita in Libano nel tentativo di sottrarsi all’intensificarsi del conflitto tra il regime di Assad e il fronte variegato di milizie ribelli. Questa popolazione in esilio si è confrontata con le politiche di amministrazione e controllo della loro presenza dispiegate dall’assemblaggio tra istituzioni locali e internazionali: in particolare, i governi libanesi che si sono avvicendati dal 2013 hanno progressivamente implementato interventi di inclusione differenziale della popolazione di profughi, relegandone la maggioranza in uno stato di marginalità e precarietà esistenziale. Di conseguenza, per molti di loro provare ad accedere a forme di mobilità regolare si impone come uno dei pochi percorsi possibili per ottenere il riconoscimento di un livello minimo di esistenza legittima. L’analisi sviluppata in questo elaborato si basa su una ricerca etnografica condotta in Libano nella regione dell’Akkar tra il 2019 e il 2020, a cui è stata associato uno studio dell’infrastruttura tecnico-politica dei Corridoi Umanitari, un programma per la mobilità dei profughi avviato nel biennio 2016-2017, grazie alla collaborazione tra autorità italiane e una serie di associazioni religiose attive in Italia.

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Il presente lavoro è il risultato di cinque anni di ricerca sulla performance rituale delle Nava Durgā del popolo newar a Bhaktapur (Nepal). Dal 1512, per circa nove mesi all'anno, gli uomini della casta inferiore Banmālā reincarnano le nove manifestazioni femminili della dea Durgā ed eseguono le danze in maschera. La performance della Nava Durgā è una pratica culturale molto complessa, composta da suoni, danze, processioni, momenti di venerazione (pūjā), rituali tantrici e momenti sacrificali. Gli aspetti musicali e teatrali della performance costituiscono il focus dell’indagine di questo studio. Dopo una descrizione analitica degli strumenti musicali utilizzati nella performance, alcuni elementi sonori vengono trascritti e analizzati mettendo in luce le caratteristiche tipiche della musica newar. I contenuti narrativi delle danze e il ciclo vitale delle Nava Durgā rispecchiano la vita hindu. La loro interpretazione viene realizzata in base alle osservazioni etnografiche; alcuni temi che costituiscono gli obiettivi dei devoti hindu (puruṣārtha) vengono esaminati attraverso l’approccio storico e quello etnografico, anche al fine di sottolineare il ruolo didascalico e formativo della performance. Un altro argomento discusso in questo lavoro consiste nell'identità dei danzatori Banmālā e quella del popolo newar in generale; questo aspetto è emerso in modo rilevante anche durante le fasi di mediatizzazione della performance delle Nava Durgā avvenute nel periodo del COVID-19. Da questo punto di vista, il presente lavoro costituisce un contributo alla diffusione della conoscenza della tradizione delle Nava Durgā; questo converge con l'obiettivo dei Banmālā di aumentare la visibilità della performance al fine di affermare la propria identità sia nel contesto nazionale che in quello internazionale.

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This thesis offers an exploration of impact and social investments for agricultural development projects in Sub-Saharan Africa. It does so through the case of SustAgric-Africa (SAA), a social enterprise that aims to lift smallholder farmers out of poverty through the promotion of sustainable farming and operates with capital provided by a variety of investors who are committed to pairing financial returns with social and environmental outcomes. The thesis sets off to answer the following research questions: What is the moral dimension that emerges in finance with the establishment of environmental and social criteria? What kind of arrangements do social and impact investments give origin to? Is it possible to talk about a ‘spirit of the gift’ in such arrangements? What happens when abstract and globalizing ideas around ‘impact’ hit the ground? Drawing from the STS and Actor-Network Theory, I look at the formation engendered by social and impact investments in terms of a socio-technical arrangement, and look at the movements of “objects” between the main actors in terms of circuits. In these processes ideas about ‘value’ and ‘values’ articulate in complex ways in the interplay of gift, debt and credit in the relationships among the three main categories of involved actors: investors, SAA, and the farmers. In the case of SAA, I contend that the ways abstract and globalising ideas about ‘impact’ hit the ground produce uncertain results and contribute to the reproduction of inequalities and unequal wealth distribution and accumulation, deepening ongoing processes of financialization. However, my ethnography also reveals how actors depicted as beneficiaries of impact and social policies and resources, far from being passive recipients of policies and resources, actually question and appropriate them, potentially unsettling the whole arrangement and the moral and ethical claims underpinning it.

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By investigating the inner working of leading financial institutions, and their dense interconnections, this thesis explores the evolution of traditional financial instruments like bonds to tackle sustainability issues. Building on fieldwork among green financiers, the thesis is based upon participant observation of working groups appointed to define standards for sustainable bonds. Engaging critical theory, one claim is that investors are increasingly recruited or interpellated by an emerging global green ideological apparatus, aimed at ensuring the reproduction of existing social relations. Taking stock of the proliferation of both public and private actors in the definition of green standards and practices, the thesis proposes that this green ideology is becoming hegemonic. Focusing on the case of green bond pricing, it suggests that environmental and climate labels and other financial green signifiers for financial products take on brand-like qualities. Crystallizing imaginaries, meanings, and forms of personhood, they play a fundamental role in what is defined as a dual process of valuation-cum-subjectivation. Identifying themselves as “green”, financiers valuate differently green and brown assets allowing a ‘green’ financial value to slowly come to matter. Yet, alongside their ideological role, green labels have come to be almost exclusively standardized with reference to specific Climate Scenarios (e.g. Net Zero). These scenarios coordinate the optimal path towards achieving a carbon neutral world and represent the quintessential example of socioeconomic planning, crucially undermining neoliberal ideas of ‘the market’ as the ultimate calculative device.

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La tesi adotta una prospettiva etnostorica rafforzata da una metodologia etnografica per analizzare lo sviluppo dei processi di politicizzazione nel territorio boliviano dal periodo coloniale ad oggi, collocandoli all’interno di un più ampio sistema di relazioni economiche, politiche e sociali dettate dall’eterogeneo sviluppo del capitalismo globale; la tesi mostra sia il modo specifico in cui, nelle varie contingenze storiche, queste relazioni hanno riorganizzato l’«abigarrada» società boliviana e inciso sui processi di politicizzazione, sia il modo in cui i soggetti hanno contestato e messo in tensione tale riorganizzazione. Per l’analisi si partirà dalla posizione di quei soggetti che sono stati definiti alternativamente come indios, indigeni, campesinos nel territorio boliviano, guardando alle connessioni politiche che questi hanno messo in campo con diversi soggetti – donne, lavoratori, attivisti urbani. Questa posizione offre una «prospettiva epistemologica privilegiata» per indagare il modo in cui i movimenti sociali impattano nell’articolazione tra Stato, società civile e capitale, non perché tali soggetti sono portatori di un’autenticità alternativa al capitalismo, ma perché il modo in cui riattivano quell’insieme di miti, credenze e residui precapitalistici – i «resabios» – che concorrono alla «memoria larga» delle lotte, innestandoli su elementi introdotti dal capitalismo, mostra la loro capacità di sovvertire la posizione subalterna che la riproduzione del capitale nel territorio boliviano ha imposto loro. Si mostreranno anche le tensioni e i conflitti dati dalle diverse posizioni che donne e uomini, giovani e anziani, figure d’autorità e ‘base’ assumono all’interno della loro identificazione come indigeni. La ricerca permette di affermare che l’identità indigena è il prodotto della risposta istituzionale che di volta in volta è stata data per neutralizzare l’emergenza politica di soggetti la cui eterogeneità non ha impedito, ma al contrario ha reso possibile, un’accumulazione di forza tale da mettere in crisi gli assetti politici, economici e istituzionali dello Stato post-coloniale.

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Questo studio affronta il tema della partecipazione comunitaria e del suo ruolo nella riorganizzazione dei servizi socio-sanitari della Regione Emilia-Romagna in una prospettiva antropologica. La partecipazione comunitaria è considerata ormai diffusamente un elemento importante per l’organizzazione dei servizi e in particolare nell’ambito delle cure primarie: si tratta infatti del comparto dell’assistenza più prossimo ai territori di vita delle persone, sebbene sia fortemente indebolito, a causa di un progressivo definanziamento e di una profonda svalutazione culturale. Nel contesto italiano, il tema della partecipazione comunitaria in salute ha informato l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. Tuttavia, numerosi contributi hanno messo in luce come la partecipazione delle comunità nell’ambito della sanità sia un proposito rimasto da allora irrealizzato; altri hanno evidenziato come, in un’epoca in cui i nostri sistemi di welfare sono in crisi, la partecipazione venga talvolta strumentalizzata per esternalizzare i costi del lavoro di cura sulle comunità, anziché per promuovere la salute delle persone. Adottando i quadri teorici della Primary Health Care e della Salute Collettiva, il lavoro di ricerca si basa su un’etnografia multisituata e realizzata in tre diversi contesti: un progetto di cooperazione internazionale volto a sviluppare strumenti gestionali e organizzativi per la costruzione degli Ospedali di Comunità nella Regione Emilia-Romagna; un progetto inter-istituzionale che mira ad affrontare le disuguaglianze sociali nella città di Bologna; un progetto promosso da un ambulatorio di Medicina Generale di Ferrara che, sulla base di una proposta di riforma delle cure primarie avanzata da una gruppo di giovani professionisti/e della salute, ha avviato un percorso di partecipazione comunitaria. Questo studio mette in luce come la partecipazione possa contribuire alla costruzione di una “comunità di cura”, capace di negoziare affettivamente i percorsi di assistenza, co-gestire le risorse per la produzione di beni comuni e rigenerare la fiducia nei confronti delle cure primarie.