155 resultados para Massimo, Vittorio.


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In this thesis the application of biotechnological processes based on microbial metabolic degradation of halogenated compound has been investigated. Several studies showed that most of these pollutants can be biodegraded by single bacterial strains or mixed microbial population via aerobic direct metabolism or cometabolism using as a growth substrates aromatic or aliphatic hydrocarbons. The enhancement of two specific processes has been here object of study in relation with its own respective scenario described as follow: 1st) the bioremediation via aerobic cometabolism of soil contaminated by a high chlorinated compound using a mixed microbial population and the selection and isolation of consortium specific for the compound. 2nd) the implementation of a treatment technology based on direct metabolism of two pure strains at the exact point source of emission, preventing dilution and contamination of large volumes of waste fluids polluted by several halogenated compound minimizing the environmental impact. In order to verify the effect of these two new biotechnological application to remove halogenated compound and purpose them as a more efficient alternative continuous and batch tests have been set up in the experimental part of this thesis. Results obtained from the continuous tests in the second scenario have been supported by microbial analysis via Fluorescence in situ Hybridisation (FISH) and by a mathematical model of the system. The results showed that both process in its own respective scenario offer an effective solutions for the biological treatment of chlorinate compound pollution.

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Negli ultimi anni la longevità è divenuto un argomento di notevole interesse in diversi settori scientifici. Le ricerche volte ad indagare i meccanismi che regolano i fattori della longevità si sono moltiplicate nell’ultimo periodo interessando, in maniera diversa, alcune regioni del territorio italiano. Lo studio presentato nella tesi ha l’obiettivo di identificare eventuali aggregazioni territoriali caratterizzate da una significativa propensione alla longevità nella regione Emilia-Romagna mediante l’impiego di metodologie di clustering spaziale, alcune delle quali di recente implementazione. La popolazione in esame è costituita dagli individui residenti in Emilia- Romagna nel quinquennio 2000-2004 suddivisa in classi di età, sesso e comune. L’analisi è di tipo puramente spaziale, in cui l’unità geografica elementare è identificata dal comune, ed è stata condotta separatamente per i due sessi. L’identificazione delle aree regionali ad elevata longevità è avvenuta utilizzando quattro metodologie di clustering spaziale, basate sulla teoria della massima verosimiglianza, che si differenziano tra loro per la modalità di ricerca dei potenziali clusters. La differenza consiste nella capacità di identificare aggregazioni territoriali di forma regolare (spatial scan statistic, Kulldorff e Nagarwalla,1995; Kulldorff,1997, 1999) o dall’andamento geometrico “libero” (flexible scan statistic, Tango e Takahashi,2005; algoritmo genetico, Duczmal et al.,2007; greedy growth search, Yiannakoulias et al.,2007). Le caratteristiche di ciascuna metodologia consentono, in tal modo, di “catturare” le possibili conformazioni geografiche delle aggregazioni presenti sul territorio e la teoria statistica di base, comune ad esse, consente di effettuare agevolmente un confronto tra i risultati ottenuti. La persistenza di un’area caratterizzata da un’elevata propensione alla longevità consente, infatti, di ritenere il cluster identificato di notevole interesse per approfondimenti successivi. Il criterio utilizzato per la valutazione della persistenza di un cluster è stato derivato dalla teoria dei grafi, con particolare riferimento ai multigrafi. L’idea è confrontare, a parità di parametri di ricerca, i grafi associati alle aggregazioni spaziali identificate con le diverse metodologie attraverso una valutazione delle occorrenze dei collegamenti esistenti tra le coppie di vertici. Alcune valutazioni di carattere demografico ed un esame della letteratura esistente sugli studi di longevità, hanno indotto alla definizione di una classe (aperta) di età per rappresentare il fenomeno nella nostra ricerca: sono stati considerati gli individui con età superiore o uguale a 95 anni (indicata con 95+). La misura di sintesi utilizzata per descrivere il fenomeno è un indicatore specifico di longevità, mutuato dalla demografia, indicato con Centenarian Rate (CR) (Robine e Caselli, 2005). Esso è definito dal rapporto tra la popolazione 95+ e la popolazione residente, nello stesso comune, al censimento del 1961. L’idea alla base del CR è confrontare gli individui longevi di un istante temporale con quelli presenti, nella stessa area, circa 40 anni prima dell’osservazione, ipotizzando che l’effetto migratorio di una popolazione possa ritenersi trascurabile oltre i 60 anni di età. La propensione alla longevità coinvolge in maniera diversa le aree del territorio dell’Emilia-Romagna. Le province della regione caratterizzate da una maggiore longevità sono Bologna, Ravenna e parte di Forlì-Cesena mentre la provincia di Ferrara si distingue per un livello ridotto del fenomeno. La distinzione per sesso non appare netta: gli uomini con età 95+, numericamente inferiori alle donne, risiedono principalmente nei comuni delle province di Bologna e Ravenna, con qualche estensione nel territorio forlivese, analogamente a quanto accade per la popolazione femminile che mostra, tuttavia, una maggiore prevalenza nei territori di Bologna e Forlì-Cesena, includendo alcune aree del riminese. Le province occidentali della regione, invece, non risultano interessate significativamente da questo fenomeno. Le metodologie di cluster detection utilizzate nello studio hanno prodotto risultati pressoché simili seppur con criteri di ricerca differenti. La spatial scan statistic si conferma una metodologia efficace e veloce ma il vincolo geometrico regolare imposto al cluster condiziona il suo utilizzo, rivelando una scarsa adattabilità nell’identificazione di aggregazioni irregolari. La metodologia FSC ha evidenziato buone capacità di ricerca e velocità di esecuzione, completata da una descrizione chiara e dettagliata dei risultati e dalla possibilità di poter visualizzare graficamente i clusters finali, anche se con un livello minimo di dettaglio. Il limite principale della metodologia è la dimensione ridotta del cluster finale: l’eccessivo impegno computazionale richiesto dalla procedura induce a fissare il limite massimo al di sotto delle 30 aree, rendendola così utilizzabile solo nelle indagini in cui si ipotizza un’estensione limitata del fenomeno sul territorio. L’algoritmo genetico GA si rivela efficace nell’identificazione di clusters di qualsiasi forma ed estensione, seppur con una velocità di esecuzione inferiore rispetto alle procedure finora descritte. Senza un’adeguata selezione dei parametri di ricerca,la procedura può individuare clusters molto irregolari ed estesi, consigliando l’uso di penalizzazione non nulla in fase di ricerca. La scelta dei parametri di ricerca non è comunque agevole ed immediata e, spesso, è lasciata all’esperienza del ricercatore. Questo modo di procedere, in aggiunta alla mancanza di informazioni a priori sul fenomeno, aumenta il grado di soggettività introdotto nella selezione dei parametri influenzando i risultati finali. Infine, la metodologia GGS richiede un carico computazionale nettamente superiore rispetto a quello necessario per le altre metodologie utilizzate e l’introduzione di due parametri di controllo favorisce una maggiore arbitrarietà nella selezione dei valori di ricerca adeguati; inoltre, la recente implementazione della procedura e la mancanza di studi su dati reali inducono ad effettuare un numero maggiore di prove durante la fase di ricerca dei clusters.

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Despite new methods and combined strategies, conventional cancer chemotherapy still lacks specificity and induces drug resistance. Gene therapy can offer the potential to obtain the success in the clinical treatment of cancer and this can be achieved by replacing mutated tumour suppressor genes, inhibiting gene transcription, introducing new genes encoding for therapeutic products, or specifically silencing any given target gene. Concerning gene silencing, attention has recently shifted onto the RNA interference (RNAi) phenomenon. Gene silencing mediated by RNAi machinery is based on short RNA molecules, small interfering RNAs (siRNAs) and microRNAs (miRNAs), that are fully o partially homologous to the mRNA of the genes being silenced, respectively. On one hand, synthetic siRNAs appear as an important research tool to understand the function of a gene and the prospect of using siRNAs as potent and specific inhibitors of any target gene provides a new therapeutical approach for many untreatable diseases, particularly cancer. On the other hand, the discovery of the gene regulatory pathways mediated by miRNAs, offered to the research community new important perspectives for the comprehension of the physiological and, above all, the pathological mechanisms underlying the gene regulation. Indeed, changes in miRNAs expression have been identified in several types of neoplasia and it has also been proposed that the overexpression of genes in cancer cells may be due to the disruption of a control network in which relevant miRNA are implicated. For these reasons, I focused my research on a possible link between RNAi and the enzyme cyclooxygenase-2 (COX-2) in the field of colorectal cancer (CRC), since it has been established that the transition adenoma-adenocarcinoma and the progression of CRC depend on aberrant constitutive expression of COX-2 gene. In fact, overexpressed COX-2 is involved in the block of apoptosis, the stimulation of tumor-angiogenesis and promotes cell invasion, tumour growth and metastatization. On the basis of data reported in the literature, the first aim of my research was to develop an innovative and effective tool, based on the RNAi mechanism, able to silence strongly and specifically COX-2 expression in human colorectal cancer cell lines. In this study, I firstly show that an siRNA sequence directed against COX-2 mRNA (siCOX-2), potently downregulated COX-2 gene expression in human umbilical vein endothelial cells (HUVEC) and inhibited PMA-induced angiogenesis in vitro in a specific, non-toxic manner. Moreover, I found that the insertion of a specific cassette carrying anti-COX-2 shRNA sequence (shCOX-2, the precursor of siCOX-2 previously tested) into a viral vector (pSUPER.retro) greatly increased silencing potency in a colon cancer cell line (HT-29) without activating any interferon response. Phenotypically, COX-2 deficient HT-29 cells showed a significant impairment of their in vitro malignant behaviour. Thus, results reported here indicate an easy-to-use, powerful and high selective virus-based method to knockdown COX-2 gene in a stable and long-lasting manner, in colon cancer cells. Furthermore, they open up the possibility of an in vivo application of this anti-COX-2 retroviral vector, as therapeutic agent for human cancers overexpressing COX-2. In order to improve the tumour selectivity, pSUPER.retro vector was modified for the shCOX-2 expression cassette. The aim was to obtain a strong, specific transcription of shCOX-2 followed by COX-2 silencing mediated by siCOX-2 only in cancer cells. For this reason, H1 promoter in basic pSUPER.retro vector [pS(H1)] was substituted with the human Cox-2 promoter [pS(COX2)] and with a promoter containing repeated copies of the TCF binding element (TBE) [pS(TBE)]. These promoters were choosen because they are partculary activated in colon cancer cells. COX-2 was effectively silenced in HT-29 and HCA-7 colon cancer cells by using enhanced pS(COX2) and pS(TBE) vectors. In particular, an higher siCOX-2 production followed by a stronger inhibition of Cox-2 gene were achieved by using pS(TBE) vector, that represents not only the most effective, but also the most specific system to downregulate COX-2 in colon cancer cells. Because of the many limits that a retroviral therapy could have in a possible in vivo treatment of CRC, the next goal was to render the enhanced RNAi-mediate COX-2 silencing more suitable for this kind of application. Xiang and et al. (2006) demonstrated that it is possible to induce RNAi in mammalian cells after infection with engineered E. Coli strains expressing Inv and HlyA genes, which encode for two bacterial factors needed for successful transfer of shRNA in mammalian cells. This system, called “trans-kingdom” RNAi (tkRNAi) could represent an optimal approach for the treatment of colorectal cancer, since E. Coli in normally resident in human intestinal flora and could easily vehicled to the tumor tissue. For this reason, I tested the improved COX-2 silencing mediated by pS(COX2) and pS(TBE) vectors by using tkRNAi system. Results obtained in HT-29 and HCA-7 cell lines were in high agreement with data previously collected after the transfection of pS(COX2) and pS(TBE) vectors in the same cell lines. These findings suggest that tkRNAi system for COX-2 silencing, in particular mediated by pS(TBE) vector, could represent a promising tool for the treatment of colorectal cancer. Flanking the studies addressed to the setting-up of a RNAi-mediated therapeutical strategy, I proposed to get ahead with the comprehension of new molecular basis of human colorectal cancer. In particular, it is known that components of the miRNA/RNAi pathway may be altered during the progressive development of colorectal cancer (CRC), and it has been already demonstrated that some miRNAs work as tumor suppressors or oncomiRs in colon cancer. Thus, my hypothesis was that overexpressed COX-2 protein in colon cancer could be the result of decreased levels of one or more tumor suppressor miRNAs. In this thesis, I clearly show an inverse correlation between COX-2 expression and the human miR- 101(1) levels in colon cancer cell lines, tissues and metastases. I also demonstrate that the in vitro modulating of miR-101(1) expression in colon cancer cell lines leads to significant variations in COX-2 expression, and this phenomenon is based on a direct interaction between miR-101(1) and COX-2 mRNA. Moreover, I started to investigate miR-101(1) regulation in the hypoxic environment since adaptation to hypoxia is critical for tumor cell growth and survival and it is known that COX-2 can be induced directly by hypoxia-inducible factor 1 (HIF-1). Surprisingly, I observed that COX-2 overexpression induced by hypoxia is always coupled to a significant decrease of miR-101(1) levels in colon cancer cell lines, suggesting that miR-101(1) regulation could be involved in the adaption of cancer cells to the hypoxic environment that strongly characterize CRC tissues.

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This Ph.D. candidate thesis collects the research work I conducted under the supervision of Prof.Bruno Samor´ı in 2005,2006 and 2007. Some parts of this work included in the Part III have been begun by myself during my undergraduate thesis in the same laboratory and then completed during the initial part of my Ph.D. thesis: the whole results have been included for the sake of understanding and completeness. During my graduate studies I worked on two very different protein systems. The theorical trait d’union between these studies, at the biological level, is the acknowledgement that protein biophysical and structural studies must, in many cases, take into account the dynamical states of protein conformational equilibria and of local physico-chemical conditions where the system studied actually performs its function. This is introducted in the introductory part in Chapter 2. Two different examples of this are presented: the structural significance deriving from the action of mechanical forces in vivo (Chapter 3) and the complexity of conformational equilibria in intrinsically unstructured proteins and amyloid formation (Chapter 4). My experimental work investigated both these examples by using in both cases the single molecule force spectroscopy technique (described in Chapter 5 and Chapter 6). The work conducted on angiostatin focused on the characterization of the relationships between the mechanochemical properties and the mechanism of action of the angiostatin protein, and most importantly their intertwining with the further layer of complexity due to disulfide redox equilibria (Part III). These studies were accompanied concurrently by the elaboration of a theorical model for a novel signalling pathway that may be relevant in the extracellular space, detailed in Chapter 7.2. The work conducted on -synuclein (Part IV) instead brought a whole new twist to the single molecule force spectroscopy methodology, applying it as a structural technique to elucidate the conformational equilibria present in intrinsically unstructured proteins. These equilibria are of utmost interest from a biophysical point of view, but most importantly because of their direct relationship with amyloid aggregation and, consequently, the aetiology of relevant pathologies like Parkinson’s disease. The work characterized, for the first time, conformational equilibria in an intrinsically unstructured protein at the single molecule level and, again for the first time, identified a monomeric folded conformation that is correlated with conditions leading to -synuclein and, ultimately, Parkinson’s disease. Also, during the research work, I found myself in the need of a generalpurpose data analysis application for single molecule force spectroscopy data analysis that could solve some common logistic and data analysis problems that are common in this technique. I developed an application that addresses some of these problems, herein presented (Part V), and that aims to be publicly released soon.

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Il traffico veicolare è la principale fonte antropogenica di NOx, idrocarburi (HC) e CO e, dato che la sostituzione dei motori a combustione interna con sistemi alternativi appare ancora lontana nel tempo, lo sviluppo di sistemi in grado di limitare al massimo le emissioni di questi mezzi di trasporto riveste un’importanza fondamentale. Sfortunatamente non esiste un rapporto ottimale aria/combustibile che permetta di avere basse emissioni, mentre la massima potenza ottenibile dal motore corrisponde alle condizioni di elevata formazione di CO e HC. Gli attuali sistemi di abbattimento permettono il controllo delle emissioni da sorgenti mobili tramite una centralina che collega il sistema di iniezione del motore e la concentrazione di ossigeno del sistema catalitico (posto nella marmitta) in modo da controllare il rapporto aria/combustibile (Fig. 1). Le marmitte catalitiche per motori a benzina utilizzano catalizzatori “three way” a base di Pt/Rh supportati su ossidi (allumina, zirconia e ceria), che, dovendo operare con un rapporto quasi stechiometrico combustibile/comburente, comportano una minore efficienza del motore e consumi maggiori del 20-30% rispetto alla combustione in eccesso di ossigeno. Inoltre, questa tecnologia non può essere utilizzata nei motori diesel, che lavorano in eccesso di ossigeno ed utilizzano carburanti con un tenore di zolfo relativamente elevato. In questi ultimi anni è cresciuto l’interesse per il controllo delle emissioni di NOx da fonti veicolari, con particolare attenzione alla riduzione catalitica in presenza di un eccesso di ossigeno, cioè in condizioni di combustione magra. Uno sviluppo recente è rappresentato dai catalizzatori tipo “Toyota” che sono basati sul concetto di accumulo e riduzione (storage/reduction), nei quali l’NO viene ossidato ed accumulato sul catalizzatore come nitrato in condizioni di eccesso di ossigeno. Modificando poi per brevi periodi di tempo le condizioni di alimentazione da ossidanti (aria/combustibile > 14,7 p/p) a riducenti (aria/combustibile < 14,7 p/p) il nitrato immagazzinato viene ridotto a N2 e H2O. Questi catalizzatori sono però molto sensibili alla presenza di zolfo e non possono essere utilizzati con i carburanti diesel attualmente in commercio. Obiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello di ottimizzare e migliorare la comprensione del meccanismo di reazione dei catalizzatori “storage-reduction” per l’abbattimento degli NOx nelle emissioni di autoveicoli in presenza di un eccesso di ossigeno. In particolare lo studio è stato focalizzato dapprima sulle proprietà del Pt, fase attiva nei processi di storage-reduction, in funzione del tipo di precursore e sulle proprietà e composizione della fase di accumulo (Ba, Mg ed una loro miscela equimolare) e del supporto (γ-Al2O3 o Mg(Al)O). Lo studio è stato inizialmente focalizzato sulle proprietà dei precursori del Pt, fase attiva nei processi di storage-reduction, sulla composizione della fase di accumulo (Ba, Mg ed una loro miscela equimolare) e del supporto (γ-Al2O3 o Mg(Al)O). E’ stata effettuata una dettagliata caratterizzazione chimico-fisica dei materiali preparati tramite analisi a raggi X (XRD), area superficiale, porosimetria, analisi di dispersione metallica, analisi in riduzione e/o ossidazione in programmata di temperatura (TPR-O), che ha permesso una migliore comprensione delle proprietà dei catalizzatori. Vista la complessità delle miscele gassose reali, sono state utilizzate, nelle prove catalitiche di laboratorio, alcune miscele più semplici, che tuttavia potessero rappresentare in maniera significativa le condizioni reali di esercizio. Il comportamento dei catalizzatori è stato studiato utilizzando differenti miscele sintetiche, con composizioni che permettessero di comprendere meglio il meccanismo. L’intervallo di temperatura in cui si è operato è compreso tra 200-450°C. Al fine di migliorare i catalizzatori, per aumentarne la resistenza alla disattivazione da zolfo, sono state effettuate prove alimentando in continuo SO2 per verificare la resistenza alla disattivazione in funzione della composizione del catalizzatore. I principali risultati conseguiti possono essere così riassunti: A. Caratteristiche Fisiche. Dall’analisi XRD si osserva che l’impregnazione con Pt(NH3)2(NO2)2 o con la sospensione nanoparticellare in DEG, non modifica le proprietà chimico-fisiche del supporto, con l’eccezione del campione con sospensione nanoparticellare impregnata su ossido misto per il quale si è osservata sia la segregazione del Pt, sia la presenza di composti carboniosi sulla superficie. Viceversa l’impregnazione con Ba porta ad una significativa diminuzione dell’area superficiale e della porosità. B. Caratteristiche Chimiche. L’analisi di dispersione metallica, tramite il chemiassorbimento di H2, mostra per i catalizzatori impregnati con Pt nanoparticellare, una bassa dispersione metallica e di conseguenza elevate dimensioni delle particelle di Pt. I campioni impregnati con Pt(NH3)2(NO2)2 presentano una migliore dispersione. Infine dalle analisi TPR-O si è osservato che: Maggiore è la dispersione del metallo nobile maggiore è la sua interazione con il supporto, L’aumento della temperatura di riduzione del PtOx è proporzionale alla quantità dei metalli alcalino terrosi, C. Precursore Metallo Nobile. Nelle prove di attività catalitica, con cicli ossidanti e riducenti continui in presenza ed in assenza di CO2, i catalizzatori con Pt nanoparticellare mostrano una minore attività catalitica, specie in presenza di un competitore come la CO2. Al contrario i catalizzatori ottenuti per impregnazione con la soluzione acquosa di Pt(NH3)2(NO2)2 presentano un’ottima attività catalitica, stabile nel tempo, e sono meno influenzabili dalla presenza di CO2. D. Resistenza all’avvelenamento da SO2. Il catalizzatore di riferimento, 17Ba1Pt/γAl2O3, mostra un effetto di avvelenamento con formazione di solfati più stabili che sul sistema Ba-Mg; difatti il campione non recupera i valori iniziali di attività se non dopo molti cicli di rigenerazione e temperature superiori ai 300°C. Per questi catalizzatori l’avvelenamento da SO2 sembra essere di tipo reversibile, anche se a temperature e condizioni più favorevoli per il 1.5Mg8.5Ba-1Pt/γAl2O3. E. Capacità di Accumulo e Rigenerabilità. Tramite questo tipo di prova è stato possibile ipotizzare e verificare il meccanismo della riduzione. I catalizzatori ottenuti per impregnazione con la soluzione acquosa di Pt(NH3)2(NO2)2 hanno mostrato un’elevata capacità di accumulo. Questa è maggiore per il campione bimetallico (Ba-Mg) a T < 300°C, mentre per il riferimento è maggiore per T > 300°C. Per ambedue i catalizzatori è evidente la formazione di ammoniaca, che potrebbe essere utilizzata come un indice che la riduzione dei nitrati accumulati è arrivata al termine e che il tempo ottimale per la riduzione è stato raggiunto o superato. Per evitare la formazione di NH3, sul catalizzatore di riferimento, è stata variata la concentrazione del riducente e la temperatura in modo da permettere alle specie adsorbite sulla superficie e nel bulk di poter raggiungere il Pt prima che l’ambiente diventi troppo riducente e quindi meno selettivo. La presenza di CO2 riduce fortemente la formazione di NH3; probabilmente perché la CO2, occupando i siti degli elementi alcalino-terrosi lontani dal Pt, impedisce ai nitriti/nitrati o all’H2 attivato di percorrere “elevate” distanze prima di reagire, aumentando così le possibilità di una riduzione più breve e più selettiva. F. Tempo di Riduzione. Si è migliorata la comprensione del ruolo svolto dalla concentrazione dell’agente riducente e dell’effetto della durata della fase riducente. Una durata troppo breve porta, nel lungo periodo, alla saturazione dei siti attivi, un eccesso alla formazione di NH3 Attraverso queste ultime prove è stato possibile formulare un meccanismo di reazione, in particolare della fase riducente. G. Meccanismo di Riduzione. La mobilità dei reagenti, nitriti/nitrati o H2 attivato è un elemento fondamentale nel meccanismo della riduzione. La vicinanza tra i siti di accumulo e quelli redox è determinante per il tipo di prodotti che si possono ottenere. La diminuzione della concentrazione del riducente o l’aumento della temperatura concede maggiore tempo o energia alle specie adsorbite sulla superficie o nel bulk per migrare e reagire prima che l’ambiente diventi troppo riducente e quindi meno selettivo.

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Since the first underground nuclear explosion, carried out in 1958, the analysis of seismic signals generated by these sources has allowed seismologists to refine the travel times of seismic waves through the Earth and to verify the accuracy of the location algorithms (the ground truth for these sources was often known). Long international negotiates have been devoted to limit the proliferation and testing of nuclear weapons. In particular the Treaty for the comprehensive nuclear test ban (CTBT), was opened to signatures in 1996, though, even if it has been signed by 178 States, has not yet entered into force, The Treaty underlines the fundamental role of the seismological observations to verify its compliance, by detecting and locating seismic events, and identifying the nature of their sources. A precise definition of the hypocentral parameters represents the first step to discriminate whether a given seismic event is natural or not. In case that a specific event is retained suspicious by the majority of the State Parties, the Treaty contains provisions for conducting an on-site inspection (OSI) in the area surrounding the epicenter of the event, located through the International Monitoring System (IMS) of the CTBT Organization. An OSI is supposed to include the use of passive seismic techniques in the area of the suspected clandestine underground nuclear test. In fact, high quality seismological systems are thought to be capable to detect and locate very weak aftershocks triggered by underground nuclear explosions in the first days or weeks following the test. This PhD thesis deals with the development of two different seismic location techniques: the first one, known as the double difference joint hypocenter determination (DDJHD) technique, is aimed at locating closely spaced events at a global scale. The locations obtained by this method are characterized by a high relative accuracy, although the absolute location of the whole cluster remains uncertain. We eliminate this problem introducing a priori information: the known location of a selected event. The second technique concerns the reliable estimates of back azimuth and apparent velocity of seismic waves from local events of very low magnitude recorded by a trypartite array at a very local scale. For the two above-mentioned techniques, we have used the crosscorrelation technique among digital waveforms in order to minimize the errors linked with incorrect phase picking. The cross-correlation method relies on the similarity between waveforms of a pair of events at the same station, at the global scale, and on the similarity between waveforms of the same event at two different sensors of the try-partite array, at the local scale. After preliminary tests on the reliability of our location techniques based on simulations, we have applied both methodologies to real seismic events. The DDJHD technique has been applied to a seismic sequence occurred in the Turkey-Iran border region, using the data recorded by the IMS. At the beginning, the algorithm was applied to the differences among the original arrival times of the P phases, so the cross-correlation was not used. We have obtained that the relevant geometrical spreading, noticeable in the standard locations (namely the locations produced by the analysts of the International Data Center (IDC) of the CTBT Organization, assumed as our reference), has been considerably reduced by the application of our technique. This is what we expected, since the methodology has been applied to a sequence of events for which we can suppose a real closeness among the hypocenters, belonging to the same seismic structure. Our results point out the main advantage of this methodology: the systematic errors affecting the arrival times have been removed or at least reduced. The introduction of the cross-correlation has not brought evident improvements to our results: the two sets of locations (without and with the application of the cross-correlation technique) are very similar to each other. This can be commented saying that the use of the crosscorrelation has not substantially improved the precision of the manual pickings. Probably the pickings reported by the IDC are good enough to make the random picking error less important than the systematic error on travel times. As a further justification for the scarce quality of the results given by the cross-correlation, it should be remarked that the events included in our data set don’t have generally a good signal to noise ratio (SNR): the selected sequence is composed of weak events ( magnitude 4 or smaller) and the signals are strongly attenuated because of the large distance between the stations and the hypocentral area. In the local scale, in addition to the cross-correlation, we have performed a signal interpolation in order to improve the time resolution. The algorithm so developed has been applied to the data collected during an experiment carried out in Israel between 1998 and 1999. The results pointed out the following relevant conclusions: a) it is necessary to correlate waveform segments corresponding to the same seismic phases; b) it is not essential to select the exact first arrivals; and c) relevant information can be also obtained from the maximum amplitude wavelet of the waveforms (particularly in bad SNR conditions). Another remarkable point of our procedure is that its application doesn’t demand a long time to process the data, and therefore the user can immediately check the results. During a field survey, such feature will make possible a quasi real-time check allowing the immediate optimization of the array geometry, if so suggested by the results at an early stage.

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Asset Management (AM) is a set of procedures operable at the strategic-tacticaloperational level, for the management of the physical asset’s performance, associated risks and costs within its whole life-cycle. AM combines the engineering, managerial and informatics points of view. In addition to internal drivers, AM is driven by the demands of customers (social pull) and regulators (environmental mandates and economic considerations). AM can follow either a top-down or a bottom-up approach. Considering rehabilitation planning at the bottom-up level, the main issue would be to rehabilitate the right pipe at the right time with the right technique. Finding the right pipe may be possible and practicable, but determining the timeliness of the rehabilitation and the choice of the techniques adopted to rehabilitate is a bit abstruse. It is a truism that rehabilitating an asset too early is unwise, just as doing it late may have entailed extra expenses en route, in addition to the cost of the exercise of rehabilitation per se. One is confronted with a typical ‘Hamlet-isque dilemma’ – ‘to repair or not to repair’; or put in another way, ‘to replace or not to replace’. The decision in this case is governed by three factors, not necessarily interrelated – quality of customer service, costs and budget in the life cycle of the asset in question. The goal of replacement planning is to find the juncture in the asset’s life cycle where the cost of replacement is balanced by the rising maintenance costs and the declining level of service. System maintenance aims at improving performance and maintaining the asset in good working condition for as long as possible. Effective planning is used to target maintenance activities to meet these goals and minimize costly exigencies. The main objective of this dissertation is to develop a process-model for asset replacement planning. The aim of the model is to determine the optimal pipe replacement year by comparing, temporally, the annual operating and maintenance costs of the existing asset and the annuity of the investment in a new equivalent pipe, at the best market price. It is proposed that risk cost provide an appropriate framework to decide the balance between investment for replacing or operational expenditures for maintaining an asset. The model describes a practical approach to estimate when an asset should be replaced. A comprehensive list of criteria to be considered is outlined, the main criteria being a visà- vis between maintenance and replacement expenditures. The costs to maintain the assets should be described by a cost function related to the asset type, the risks to the safety of people and property owing to declining condition of asset, and the predicted frequency of failures. The cost functions reflect the condition of the existing asset at the time the decision to maintain or replace is taken: age, level of deterioration, risk of failure. The process model is applied in the wastewater network of Oslo, the capital city of Norway, and uses available real-world information to forecast life-cycle costs of maintenance and rehabilitation strategies and support infrastructure management decisions. The case study provides an insight into the various definitions of ‘asset lifetime’ – service life, economic life and physical life. The results recommend that one common value for lifetime should not be applied to the all the pipelines in the stock for investment planning in the long-term period; rather it would be wiser to define different values for different cohorts of pipelines to reduce the uncertainties associated with generalisations for simplification. It is envisaged that more criteria the municipality is able to include, to estimate maintenance costs for the existing assets, the more precise will the estimation of the expected service life be. The ability to include social costs enables to compute the asset life, not only based on its physical characterisation, but also on the sensitivity of network areas to social impact of failures. The type of economic analysis is very sensitive to model parameters that are difficult to determine accurately. The main value of this approach is the effort to demonstrate that it is possible to include, in decision-making, factors as the cost of the risk associated with a decline in level of performance, the level of this deterioration and the asset’s depreciation rate, without looking at age as the sole criterion for making decisions regarding replacements.