34 resultados para Anacardium occidentale


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La Peste dei Piccoli Ruminanti (PPR) è una patologia virale ed acuta che colpisce i piccoli ruminanti, diffusa in Africa Sub-Sahariana, in Medio Oriente ed in Asia Meridionale. Questo lavoro si propone di effettuare il primo studio epidemiologico sulla PPR nella Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD), che comprende i Campi Profughi Saharawi, in territorio algerino, ed i “Territori Liberati” del Sahara Occidentale, valutando la potenziale presenza, prevalenza e distribuzione del virus della PPR in questi territori. Lo studio si è basato su una metodica di campionamento “a cluster” secondo la tecnica “a due stadi”. Sono stati individuati 23 siti di campionamento dai quali sono stati raccolti un totale di 976 campioni di siero prelevati da pecore, capre e cammelli. I campioni sono stati prelevati in Marzo ed Aprile 2008. I risultati dei test Competitive-Elisa hanno evidenziato una sieroprevalenza nel 28,26% degli animali testati, benché durante la raccolta dei campioni nessun animale abbia presentato sintomi clinici riferibili alla PPR. Tra Gennaio e Maggio 2010, in seguito ad episodi di aumentata mortalità nella popolazione ovi-caprina presente nei Campi Profughi, le autorità veterinarie locali sospettarono un outbreak di PPR. Tra Maggio ed Ottobre 2010 è stato sviluppato un outbreak investigation nei Campi Profughi Saharawi con lo scopo di confermare la circolazione del PPRV. I risultati di laboratorio hanno confermato la presenza del virus nel 33,33% dei campioni. Il sequenziamento del genoma virale ha rivelato che il virus apparteneva al Lignaggio 4 e le analisi filogenetiche hanno indicato una stretta relazione (99.3%) con il PPRV isolato durante l'epidemia di PPR in Marocco del 2008.

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Questa tesi di carattere antropologico in ambito dottorale riguarda i rituali comunitari nelle comunità indigene messicane. Il principale oggetto della ricerca è il rituale della pioggia o di Petición de Lluvia, caratterizzato sia dal sacrificio animale che da una specifica relazione di causa-effetto con l’ambiente circostante. La ricerca etnografica è cominciata dall’ipotesi di voler verificare la persistenza nel tempo, e dunque nell’attualità, di procedure cerimoniali non appartenenti, almeno nella loro forma più lineare, alla religione cattolico-cristiana. Il luogo nel quale è avvenuta tale ricerca è la regione La Montaña di Guerrero, situata nel Messico sud-occidentale, e più precisamente la zona in cui vivono le comunità di etnia Nahua di San Pedro Petlacala, Acuilpa, e Xalpatláhuac che si trovano nelle vicinanze della cittadina di Tlapa de Comonfort. In un contesto ambientale profondamente rurale come quello della Montaña di Guerrero, la persistenza dei rituali evidenzia come le risorse naturali e gli agenti atmosferici - pioggia, vento, nubi - continuino a rappresentare gli elementi centrali che condizionano le variabili economiche di sussistenza e della riproduzione sociale. Il rituale di Petición de Lluvia rappresenta il momento di congiunzione tra la stagione secca e quella piovosa, tra la semina ed il raccolto del mais. Definito come una pratica religiosa nella quale il gruppo si identifica e partecipa con varie donazioni (ofrenda o deposito rituale), suddivisibili in alimenti/oggetti/preghiere ed azioni rituali, la cerimonia esprime l’auspicio di piogge abbondanti, con le quali irrigare i campi e continuare le attività umane. Il destinatario dell’offerta è la stessa divinità della pioggia, Tlaloc per le antiche civiltà mesoamericane, invocato sotto le mentite spoglie del santo patrono del 25 aprile, San Marcos. Il rituale è contraddistinto per tutta la sua durata dalla presenza del principale specialista religioso, sacerdote in lingua spagnola oppure «Tlahmáquetl» in lingua náhuatl.

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La Piana di foce del Garigliano (al confine tra Lazio e Campania) è caratterizzata, fino ad epoche recenti, dalla presenza di aree palustri e umide. Lo studio in corso cerca di ricostruire l’evoluzione dell’ambiente costiero mettendolo in relazione alla presenza dell’uomo, alla gestione del territorio, alle vicende storiche e alle variazioni climatiche utilizzando molteplici metodologie tipiche della geoarcheologia. Si tratta di un approccio multidisciplinare che cerca di mettere insieme analisi tipiche dell’archeologia, della topografia antica, della geomorfologia, della geologia e della paleobotanica. Fino all’età del Ferro l’unica traccia di popolamento viene da Monte d’Argento, uno sperone roccioso isolato lungo la costa, posto al limite occidentale di un ambiente sottostante che sembra una palude chiusa e isolata da apporti sedimentari esterni. Con il passaggio all’età del ferro si verifica un mutamento ambientale con la fine della grande palude e la formazione di una piccola laguna parzialmente comunicante con il mare. L’arrivo dei romani alla fine del III secolo a.C. segna la scomparsa dei grandi centri degli Aurunci e la deduzione di tre colonie (Sessa Aurunca, Sinuessa, Minturno). Le attività di sistemazione territoriale non riguardarono però le aree umide costiere, che non vennero bonificate o utilizzate per scopi agricoli, ma mantennero la loro natura di piccoli laghi costieri. Quest’epoca è dunque caratterizzata da una diffusione capillare di insediamenti, basati su piccole fattorie o installazioni legate allo sfruttamento agricolo. Poche sono le aree archeologiche che hanno restituito materiali successivi al II-III secolo d.C. La città resta comunque abitata fino al VI-VII secolo, quando l’instabilità politica e l’impaludamento dovettero rendere la zona non troppo sicura favorendo uno spostamento verso le zone collinari. Un insediamento medievale è attestato solo a Monte d’Argento e una frequentazione saracena dell’inizio del IX secolo è riportata dalle fonti letterarie, ma non vi è ancora nessuna documentazione archeologica.

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Le musiche “popolaresche” urbane, in genere trascurate nella letteratura etnomusicologica, sono state quasi completamente ignorate nel caso della Romania. Il presente studio si propone di colmare almeno in parte questa lacuna, indagando questo fenomeno musicale nella Bucarest degli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Le musiche esaminate sono tuttavia inserite entro una cornice storica più ampia, che data a partire dalla fine del XVIII secolo, e messe in relazione con alcune produzioni di origine rurale che con queste hanno uno stretto rapporto. Il caso di Maria Lătărețu (1911-1972) si è rivelato particolarmente fecondo in questo senso, dal momento che la cantante apparteneva ad entrambi i versanti musicali, rurale e urbano, e nepadroneggiava con disinvoltura i rispettivi repertori. Dopo il suo trasferimento nella capitale, negli anni Trenta, è diventata una delle figure di maggior spicco di quel fenomeno noto come muzică populară (creazione musicale eminentemente urbana e borghese con radici però nel mondo delle musiche rurali). L’analisi del repertorio (o, per meglio dire, dei due repertori) della Lătărețu, anche nel confronto con repertori limitrofi, ha permesso di comprendere più da vicino alcuni dei meccanismi musicali alla base di questa creazione. Un genere musicale che non nasce dal nulla nel dopo-guerra, ma piuttosto continua una tradizione di musica urbana, caratterizzata in senso locale, ma influenzata dal modello della canzone europea occidentale, che data almeno dagli inizi del Novecento. Attraverso procedimenti in parte già collaudati da compositori colti che sin dal XIX secolo, in Romania come altrove, si erano cimentati con la creazione di melodie in stile popolare o nell’armonizzazione di musiche di provenienza contadina, le melodie rurali nel bagaglio della cantante venivano trasformate in qualcosa di inedito. Una trasformazione che, come viene dimostrato efficacemente nell’ultimo capitolo, non investe solo il livello superficiale, ma coinvolge in modo profondo la sintassi musicale.

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La dissertazione si articola attorno all’idea di tradizione e alla concettualizzazione di genere nella musica di villaggio dei Banyoro e dei Batooro dell’Uganda occidentale. Il lavoro si sviluppa nel complesso in tre parti principali. Nella prima si presentano le trasformazioni storiche intervenute nelle relazioni di genere dal periodo precoloniale al presente e si introduce la musica di villaggio delle popolazioni considerate, ponendola a confronto con la musica di corte e con quella religiosa. La seconda sezione è dedicata allo studio dei repertori vocali e di danza di villaggio, a partire dalla documentazione realizzata con informatori anziani: di queste musiche sono considerate le caratteristiche stilistiche ed è condotta un’analisi che mira a mettere in luce le idee di genere trasmesse attraverso questi repertori. L’ultima parte del lavoro prende in considerazione le trasformazioni intervenute nel panorama musicale ugandese nell’ultimo secolo, a partire dall’influenza di musiche esterne, dall’insegnamento della musica tradizionale nelle scuole e dall’istituzione di festival scolastici e di gruppi folklorici: diverse performance attuali di canti e di danza sotto sottoposte a studio analitico. Nel complesso, si rileva una generale rifunzionalizzazione di musiche e idee di genere che si rifanno al passato, ma hanno valore soprattutto per il recupero della cultura locale nel presente,connotato dal contesto multiculturale dell’Uganda contemporanea e dalle politiche, promosse dal Governo, che favoriscono l’emancipazione femminile.

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La ricerca sul «Dionisismo nelle comunità fenicie e puniche: il caso di Mozia» prende in considerazione le diverse attestazioni del dionisismo quale si evidenziano, con le sue ricadute politiche e cultuali, nelle comunità fenicie e puniche della Sicilia, della Sardegna e della stessa Cartagine. Accanto ad una lettura testuale utile alla storicizzazione contestualizzata del fenomeno, fra cui lo stesso pitagorismo, si propone un corpus che comprende prodotti delle categorie artigianali che restituiscono iconografie di’ambientazione dionisiaca, testimonî dell'adozione sociale e pubblica di una cultualità la cui origine si mostra sempre più vicina a contesti vicino-orientali. Da una rilettura storicizzata del dionisismo, quindi, si mettono in evidenza con un approccio multidisciplinare e comparativistico le caratteristiche del culto, di cui si sottolinea fra l’altro la componente ctonia. In particolare il santuario tofet, con le sue recenti riletture di santuario cittadino e pluricultuale, sembra proporre analogie fra il mlk e la ritualità dionisiaca. Analogie che confermano la vocazione mediterranea ed interculturali delle comunità fenicie e puniche e che in più di un caso daranno luogo a sincretismi che si trasmetteranno sino ed oltre l’età romana. In questo colloquio interetnico Mozia svolge un ruolo non secondario insieme a Selinunte, vero e proprio laboratorio del sincretismo cultuale della Sicilia Occidentale pre-romana, dove i culti di Zeus Melichios e di Demetra si pongono come realtà rituali fra le più utili alla coesione sociale, quell’analoga coesione solciale elitaria perseguita dal dionisismo.

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La ricerca pone al centro dell’indagine lo studio dell’importanza del cibo nelle cerimonie nuziali dell’Europa occidentale nei secoli V-XI. Il corpus di fonti utilizzate comprende testi di genere diverso: cronache, annali, agiografie, testi legislativi, a cui si è aggiunta un’approfondita analisi delle antiche saghe islandesi. Dopo un'introduzione dedicata in particolare alla questione della pubblicità della celebrazione, la ricerca si muove verso lo studio del matrimonio come “processo” sulla base della ritualità alimentare: i brindisi e i banchetti con cui si sigla l’accordo di fidanzamento e i ripetuti convivi allestiti per celebrare le nozze. Si pone attenzione anche ad alcuni aspetti trasversali, come lo studio del caso della “letteratura del fidanzamento bevuto”, ossia una tradizione di testi letterari in cui il fidanzamento tra i protagonisti viene sempre ratificato con un brindisi; a questo si aggiunge un’analisi di stampo antropologico della "cultura dell’eccesso", tipica dei rituali alimentari nuziali nel Medioevo, in contrasto con la contemporanea "cultura del risparmio". L'analisi si concentra anche sulle reiterate proibizioni al clero, da parte della Chiesa, di partecipare a banchetti e feste nuziali, tratto comune di tutta l’epoca altomedievale. Infine, la parte conclusiva della ricerca è incentrata sulla ricezione altomedievale di due figure bibliche che pongono al centro della narrazione un banchetto nuziale: la parabola delle nozze e il banchetto di Cana. L’insistente presenza di questi due brani nelle parole dei commentatori biblici mostra la straordinaria efficacia del “linguaggio alimentare”, ossia di un codice linguistico basato sul cibo (e su contesti quali l’agricoltura, la pesca, ecc.) come strumento di comunicazione sociale di massa con una valenza antropologica essenzialmente universale.

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L’obbiettivo del lavoro è quello di delimitare uno spazio critico che consenta di ripensare il concetto di modernità nelle culture ispanoamericane degli inizi del XX secolo. In questa direzione, si è deciso di focalizzare l’attenzione su un’opera letteraria, quella dell’uruguaiano Julio Herrera y Reissig, del tutto particolare se comparata al resto delle produzioni estetiche a essa più immediatamente contigue. Tornare a leggere Herrera y Reissig equivale, infatti, nella sostanza, a rimettere mano criticamente a tutta l’epoca modernista, interpretandola non in senso unitario, bensì plurale e frammentario. Spunto di partenza dell’analisi sono state le coordinate culturali comuni in cui quelle estetiche si sono determinate e sviluppate, per poi procedere verso una moltiplicazione di percorsi in grado di rendere conto della sostanziale discrepanza di mezzi e finalità che intercorre fra Julio Herrera y Reissig e gran parte del Modernismo a lui contemporaneo. Mantenendo come base metodologica i presupposti dell’archeologia culturale foucauldiana, è stato possibile rintracciare, nell’opera dell’uruguaiano, un eterogeneo ma costante movimento di riemersione e riutilizzo delle più svariate esperienze del pensiero – estetico e non – occidentale. Nelle particolarità d’uso a cui la tradizione è sottomessa nella scrittura di Herrera y Reissig si è reso così possibile tornare a ragionare sui punti focali dell’esperienza della modernità: il legame fra patrimonio culturale e attualità, la relazione fra sedimentazione tradizionale e novità, nonché, in definitiva, le modalità attraverso le quali alla letteratura è consentito di pensare e dire la propria storia – passata, presente e futura – e, in conseguenza, metabolizzarla, per tornare ad agire attivamente su di essa.

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La ricerca si propone di mostrare come il pensiero gramsciano sia stato riferimento prioritario di due intellettuali argentini in esilio in Messico dal 1976 al 1983: Juan Carlos Portantiero e José Maria Aricó. In quel periodo incentrarono le loro elaborazioni teorico-politiche sull’analisi della relazione tra Stato, società civile, democrazia e socialismo, partendo da una prospettiva gramsciana. Il fallimento della guerra di movimento in Argentina nei primi anni settanta li condusse a riflettere su strategie alternative di transizione al socialismo, il cui punto focale fu il concetto di "Egemonia". A partire dal 1975 indirizzarono la ripresa del pensiero di Gramsci alla creazione di un progetto politico adatto ad un contesto sempre più "occidentale", caratterizzato dalla presenza di una "società civile complessa", in cui risultava necessario combattere "guerre di posizione" e non "guerre di movimento". La prospettiva che connotò questo approccio alle riflessioni gramsciane rappresenta il culmine di un percorso che iniziarono negli anni ’50, quando sorsero i primi studi del pensiero gramsciano in Argentina. Sin da allora, Aricó e Portantiero si occuparono di Gramsci insieme al dirigente del PC argentino Agosti e continuarono a farlo anche durante gli anni sessanta e i primi anni settanta sulla rivista Pasado y Presente. Fu, però, nel periodo dell’esilio che ne ripresero il pensiero considerandolo nella sua totalità, a partire dagli scritti giovanili sino ai Quaderni del Carcere, rielaborandolo in maniera originale e costruendo una propria proposta di cammino verso socialismo nell' "occidente periferico" dell'Argentina, influenzati dall'azione del Partito Comunista Italiano.

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Il ritrovamento della Casa dei due peristili a Phoinike ha aperto la strada a un’intensa opera di revisione di tutti i dati relativi all’edilizia domestica nella regione, con studi comparativi verso nord (Illiria meridionale) e verso sud (il resto dell’Epiro, ovvero Tesprozia e Molossia). Tutta quest’area della Grecia nord-occidentale è stata caratterizzata nell’antichità da un’urbanizzazione scarsa numericamente e tardiva cronologicamente (non prima del IV sec. a.C.), a parte ovviamente le colonie corinzio-corciresi di area Adriatico- Ionica d’età arcaica (come Ambracia, Apollonia, Epidamnos). A un’urbanistica di tipo razionale e programmato (ad es. Cassope, Orraon, Gitani in Tesprozia, Antigonea in Caonia) si associano numerosi casi di abitati cresciuti soprattutto in rapporto alla natura del suolo, spesso diseguale e montagnoso (ad es. Dymokastro/Elina in Tesprozia, Çuka e Aitoit nella Kestrine), talora semplici villaggi fortificati, privi di una vera fisionomia urbana. D’altro canto il concetto classico di polis così come lo impieghiamo normalmente per la Grecia centro-meridionale non ha valore qui, in uno stato di tipo federale e dominato dall’economia del pascolo e della selva. In questo contesto l’edilizia domestica assume caratteri differenti fra IV e I sec. a.C.: da un lato le città ortogonali ripetono schemi egualitari con poche eccezioni, soprattutto alle origini (IV sec. a.C., come a Cassope e forse a Gitani), dall’altro si delinea una spiccata differenziazione a partire dal III sec., quando si adottano modelli architettonici differenti, come i peristili, indizio di una più forte differenziazione sociale (esemplari i casi di Antigonea e anche di Byllis in Illiria meridionale). I centri minori e fortificati d’altura impiegano formule abitative più semplici, che sfruttano l’articolazione del terreno roccioso per realizzare abitazioni a quote differenti, utilizzando la roccia naturale anche come pareti o pavimenti dei vani.

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Il presente lavoro di ricerca si propone di discutere il contributo che l’analisi dell’evoluzione storica del pensiero politico occidentale e non occidentale riveste nel percorso intellettuale compiuto dai fondatori della teoria contemporanea dell’approccio delle capacità, fondata e sistematizzata nei suoi contorni speculativi a partire dagli anni Ottanta dal lavoro congiunto dell’economista indiano Amartya Sen e della filosofa dell’Università di Chicago Martha Nussbaum. Ci si ripropone di dare conto del radicamento filosofico-politico del lavoro intellettuale di Amartya Sen, le cui concezioni economico-politiche non hanno mai rinunciato ad una profonda sensibilità di carattere etico, così come dei principali filoni intorno ai quali si è imbastita la versione nussbaumiana dell’approccio delle capacità a partire dalla sua ascendenza filosofica classica in cui assume una particolare primazia il sistema etico-politico di Aristotele. Il pensiero politico moderno, osservato sotto il prisma della riflessione sulla filosofia della formazione che per Sen e Nussbaum rappresenta la “chiave di volta” per la fioritura delle altre capacità individuali, si organizzerà intorno a tre principali indirizzi teorici: l’emergenza dei diritti positivi e sociali, il dibattito sulla natura della consociazione nell’ambito della dottrina contrattualista e la stessa discussione sui caratteri delle politiche formative. La sensibilità che Sen e Nussbaum mostrano nei confronti dell’evoluzione del pensiero razionalista nel subcontinente che passa attraverso teorici antichi (Kautylia e Ashoka) e moderni (Gandhi e Tagore) segna il tentativo operato dai teorici dell’approccio delle capacità di contrastare concezioni politiche contemporanee fondate sul culturalismo e l’essenzialismo nell’interpretare lo sviluppo delle tradizioni culturali umane (tra esse il multiculturalismo, il comunitarismo, il neorealismo politico e la teoria dei c.d. “valori asiatici”) attraverso la presa di coscienza di un corredo valoriale incentrato intorno al ragionamento rintracciabile (ancorché in maniera sporadica e “parallela”) altresì nelle tradizioni culturali e politiche non occidentali.

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L'affermarsi della teoria della « imaginative geography » di Edward Saïd (Orientalism, 1978), nell'arco degli ultimi trent'anni, ha imposto un orientamento prettamente sociopolitico, gramsciano e foucaultiano alla critica del testo, proponendo un'unica soluzione interpretativa per un corpus eterogeneo di testi (scientifici e artistici, antichi e moderni) accomunati dal fatto di « rappresentare l'Oriente ». La costruzione europea dello spazio orientale, dice Saïd, non rappresenta solo un misconoscimento dell'Altro, ma una sua rappresentazione tendenziosa e finalizzata a sostenere la macchina dell'imperialismo occidentale. In particolare, la rappresentazione « femminilizzata » della geografia orientale (come luogo dell'exploit del maschio bianco) preparebbe e accompagnerebbe l'impresa di assoggettamento politico e di sfruttamento economico dei paesi ad Est dell'Europa. Se Orientalism ha conosciuto fortune alterne dall'anno della sua apparizione, negli ultimi anni una vera e propria corrente anti-saidiana ha preso forza, soprattutto in ambito francese. Attraverso l'analisi di circa trenta opere francesi, belga, inglesi e italiane del Novecento, questa tesi cerca di visualizzare i limiti teorici della prospettiva saidiana rivolgendosi a un esame della rappresentazione dello spazio urbano indiano nella letteratura europea contemporanea. Nello specifico, uno studio delle nuove strutture e dei nuovi modelli della femminilizzazione dello spazio orientale indiano cercherà di completare – superandolo in direzione di un « post-orientalismo » – il riduzionismo della prospettiva saidiana.

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L’ordinamento giuridico cinese contemporaneo si è, recentemente, impegnato in una riforma che ha interessato le norme vigenti in materia di registrazione immobiliare con l’intento di realizzare un sistema unitario dell’istituto. Dal momento che la modernizzazione del diritto civile cinese è iniziata - a partire dalla fine del XIX secolo – tramite il recepimento del diritto civile occidentale, la disamina delle esperienze europee in materia di pubblicità immobiliare assume una notevole importanza, al fine di esaminare le norme vigenti in Cina e i cambiamenti scaturenti dalla riforma. Pertanto, l’obiettivo della mia ricerca è stato quello di avanzare una tesi che possa rivelarsi quale strumento utile per la riforma in Cina, attraverso uno studio comparato dei modelli europei in materia di registrazione immobiliare. A tal fine, il lavoro è stato suddiviso in due parti: nella prima si è presentata un’analisi dettagliata del diritto di proprietà, del dualismo delle proprietà fondiarie e relative problematiche, del sistema dei diritti reali costituito dalla Legge sui diritti reali del 2007, da cui è partita la riforma dell’istituto della registrazione immobiliare. Un approfondimento particolare è dedicato al pluralismo dei regimi di registrazione immobiliare vigenti nel diritto cinese contemporaneo e all’introduzione dei cambiamenti apportati dal nuovo regolamento del 2015. Nella seconda parte dell’elaborato, attraverso lo studio comparato dei diversi modelli Europei (Francese, Tedesco e Inglese), si è tentato di illustrare le esperienze europee in materia di pubblicità immobiliare maturate nei tre temi maggiormente rappresentativi e concreti, quali la tutela degli interessi privatistici, l’autenticità dei titoli e il ruolo del notaio, la procedura della pubblicità immobiliare, al fine di individuare una via percorribile per il perfezionamento del sistema unitario della registrazione nell’ordinamento cinese. Nelle conclusioni, infine, sono state inserite anche alcune riflessioni circa l’importanza dello studio del diritto comparato per l’esperienza Cinese.

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Le sujet de cette recherche est la perception chez les voyageurs occidentaux et grecs du XIXᵉ siècle de zones de la Méditerranée depuis toujours point d’intersections culturelles : les villes d’Athènes et de Constantinople. L’objectif de la recherche est de reconstruire la contribution des hommes de lettres, français et grecs, à la constitution de l’identité nationale selon le schéma mis en évidence par Benedict Anderson dans « Communautés Imaginées » On a tenté en se référant au corpus d’identifier dans la littérature de voyage du XIXᵉ siècle, dans le sillage de « Orientalismo » de Edward Said, comment Philhellénisme et Exotisme orientalisant, tous deux d’empreinte romantique, ont contribué à inventer pour Athènes une identité occidentale et pour Istanbul une identité orientale, ignorant presque l’existence entre les deux villes d’une commune matrice byzantine–ottomane ou mieux, l’appartenance commune à l’ensemble géopolitique de la Région Intermédiaire identifiée par Dimitri Kitsikis.

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Il presente lavoro di tesi, inscritto in un’ottica pedagogica interdisciplinare che si sviluppa attraverso il paradigma indiziario, si propone di svolgere una riflessione attorno alla «parola poetica» nell’ottica di un’educazione estetica dell’infanzia che passi anche dalla scoperta di un linguaggio polisemico, metaforico, complesso, lieve quale quello poetico. Concetti quali la marginalità e l’alterità del dire poetico e della figura stessa del poeta, che dà voce al momento liminale della communitas, si fanno rivelatori di quella che si mostra come vera e propria “parola magica” capace di dare senso, nel mito e nel rito che costantemente lo rigenera, all’esperienza umana. La ricerca prende quindi in esame alcuni momenti paradigmatici, nella storia dell’immaginario e nella riflessione letteraria occidentale, che hanno favorito l’incontro fra poesia e infanzia nel terreno di una parola che dà voce alla liminalità: da Rousseau a Pascoli, da Baudelaire a Stevenson, numerosi sono gli autori che conducono la riflessione fino a quel territorio di soglia proficuamente spaesante che è la poesia «autentica» per l’infanzia contemporanea. In particolare, questa ricerca prende in esame la collana di poesia della casa editrice Topipittori significativamente denominata “Parola magica”. Ventidue titoli, riconducibili alle due tipologie testuali che C. Boutevin definisce «raccolta di poesie illustrata» e «albo-poesia», permettono un affondo nella poesia contemporanea per l’infanzia, che esprime in questa collana la propria dimensione di soglia: l’interdipendenza fra parola e immagine e la diffusa presenza di «tracce di fiaba» ne sono i principali indizi analizzati in questo lavoro.