135 resultados para Aerogeneratore, Asse verticale, Pale, NACA 0018, Sistema di avviamento


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La realtà aumentata (AR) è una nuova tecnologia adottata in chirurgia prostatica con l'obiettivo di migliorare la conservazione dei fasci neurovascolari (NVB) ed evitare i margini chirurgici positivi (PSM). Abbiamo arruolato prospetticamente pazienti con diagnosi di cancro alla prostata (PCa) sul base di biopsia di fusione mirata con mpMRI positiva. Prima dell'intervento, i pazienti arruolati sono stati indirizzati a sottoporsi a ricostruzione del modello virtuale 3D basato su mpMRI preoperatoria immagini. Infine, il chirurgo ha eseguito la RARP con l'ausilio del modello 3D proiettato in AR all'interno della console robotica (RARP guidata AR-3D). I pazienti sottoposti a AR RARP sono stati confrontati con quelli sottoposti a "RARP standard" nello stesso periodo. Nel complesso, i tassi di PSM erano comparabili tra i due gruppi; I PSM a livello della lesione indice erano significativamente più bassi nei pazienti riferiti al gruppo AR-3D (5%) rispetto a quelli nel gruppo di controllo (20%; p = 0,01). La nuova tecnica di guida AR-3D per l'analisi IFS può consentono di ridurre i PSM a livello della lesione dell'indice

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La ricerca affronta la questione della punizione nella prospettiva del diritto costituzionale nazionale integrata con quella del diritto europeo dei diritti dell’uomo. Nella Parte I è sostenuta la tesi secondo cui la trasformazione della Costituzione penale avviata sotto l’influsso della giurisprudenza CEDU rappresenta complessivamente un avanzamento nel processo di costituzionalizzazione del potere punitivo. Questa conclusione è supportata attraverso un confronto della filosofia costituzionale classica sulla punizione con i diversi approcci interpretativi alla Costituzione penale sviluppati durante il XX secolo (approcci tradizionale, costituzionalistico ed EDU). Nella Parte II è invece sostenuta la tesi secondo cui, nonostante gli effetti positivi dell’armonizzazione sovranazionale, lo statuto costituzionale della punizione dovrebbe comunque rimanere formalmente autonomo dal diritto EDU. Non solo, infatti, nessun paradigma dei rapporti interordinamentali finora sviluppato può giustificarne un’integrazione totale, ma essa rischierebbe anche di diminuire la normatività dell’aspetto sociale della Costituzione penale, già ipocostituzionalizzato rispetto a quello liberale. Nella Conclusione sono quindi sviluppati gli elementi fondamentali di un approccio interpretativo alternativo alla Costituzione penale che risponda meglio di quelli esistenti alle esigenze sia di garantire la massima costituzionalizzazione della punizione sia di facilitare l’integrazione sovranazionale. In base a un simile approccio costituzionalmente fondato, sostanzialista, rights-based e inclusivo di tutte le ideologie costituenti, la Costituzione potrebbe essere letta nel senso di prevedere un modello di disciplina unitario per tutte le forme di esercizio del potere punitivo (salvo quello disciplinare, distinguibile sotto l’aspetto istituzionale) caratterizzato da: una riserva di legge a intensità variabile; uno scrutinio stretto della Corte sulla giustificabilità costituzionale della pena; l’estensione dell’ambito di applicazione dei principi di colpevolezza e rieducazione; un pieno sviluppo degli aspetti di garanzia collettiva dei classici principi costituzionalpenalistici (obblighi di tutela penale e garanzia dell’effettiva collocazione della pena in capo al soggetto colpevole), nonché derivabili dall’art. 3 Cost. (proporzionalità della pena alle condizioni materiali del soggetto punito).

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Il trasporto intermodale ha acquisito un ruolo sempre più importante nello scenario dei trasporti comunitari merci durante gli ultimi quindici anni. La sfida che si era posta a inizi anni novanta in Europa consisteva nello sviluppo di una rete europea di trasporto combinato strada-ferrovia. A questo fine è stata fondamentale la cooperazione tra gli operatori del settore e le istituzioni (comunitarie e nazionali), nonché l’impulso dato dalla liberalizzazione del trasporto ferroviario, che fortemente influenza il trasporto combinato. Questa tesi, in particolare, intende studiare il ruolo del Sistema Gateway come strumento innovativo e di nuovo impulso per lo sviluppo della rete di trasporto combinato strada-rotaia in ambito europeo. Grazie a questo sistema, le unità di carico, dirette in una determinata regione, giungono ad un "Terminal Gateway", dove secondo un sistema di tipo “hub-and-spoke” vengono trasbordate a mezzo gru su treni “Shuttle” verso la destinazione finale. Tutto ciò avviene con operazioni fortemente automatizzate e veloci con sensibile vantaggio in termini di tempo e costi. La tesi parte da una descrizione del trasporto intermodale, facendo un focus sugli aspetti strutturali, tecnici e organizzativi del trasporto combinato strada – rotaia e del suo funzionamento. Passando attraverso l’analisi delle reti di trasporto merci in Europa, nel secondo capitolo. Il terzo capitolo entra nel vivo della Tesi introducendo l’oggetto dell’indagine: il Sistema Gateway nell’ambito dello sviluppo della rete europea del traffico combinato strada-ferrovia. Nella seconda parte della tesi è voluto studiare il Sistema Gateway con l’ausilio dei metodi d’analisi che vengono applicati per la scelta fra progetti alternativi nel campo della pianificazione dei trasporti, pertanto sono stati presi in rassegna e descritti i metodi più utilizzati: l’Analisi Benefici-Costi e l’Analisi Multicriteria. Nel caso applicativo è stata utilizzata l’Analisi Benefici-Costi. Infine nel capitolo sesto è stato presentato dettagliatamente il caso reale di studio che riguarda il progetto per la trasformazione del terminal di Verona Quadrante Europa in un terminal gateway.

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I continui sviluppi nel campo della fabbricazione dei circuiti integrati hanno comportato frequenti travolgimenti nel design, nell’implementazione e nella scalabilità dei device elettronici, così come nel modo di utilizzarli. Anche se la legge di Moore ha anticipato e caratterizzato questo trend nelle ultime decadi, essa stessa si trova a fronteggiare attualmente enormi limitazioni, superabili solo attraverso un diverso approccio nella produzione di chip, consistente in pratica nella sovrapposizione verticale di diversi strati collegati elettricamente attraverso speciali vias. Sul singolo strato, le network on chip sono state suggerite per ovviare le profonde limitazioni dovute allo scaling di strutture di comunicazione condivise. Questa tesi si colloca principalmente nel contesto delle nascenti piattaforme multicore ad alte prestazioni basate sulle 3D NoC, in cui la network on chip viene estesa nelle 3 direzioni. L’obiettivo di questo lavoro è quello di fornire una serie di strumenti e tecniche per poter costruire e aratterizzare una piattaforma tridimensionale, cosi come dimostrato nella realizzazione del testchip 3D NOC fabbricato presso la fonderia IMEC. Il primo contributo è costituito sia una accurata caratterizzazione delle interconnessioni verticali (TSVs) (ovvero delle speciali vias che attraversano l’intero substrato del die), sia dalla caratterizzazione dei router 3D (in cui una o più porte sono estese nella direzione verticale) ed infine dal setup di un design flow 3D utilizzando interamente CAD 2D. Questo primo step ci ha permesso di effettuare delle analisi dettagliate sia sul costo sia sulle varie implicazioni. Il secondo contributo è costituito dallo sviluppo di alcuni blocchi funzionali necessari per garantire il corretto funziomento della 3D NoC, in presenza sia di guasti nelle TSVs (fault tolerant links) che di deriva termica nei vari clock tree dei vari die (alberi di clock indipendenti). Questo secondo contributo è costituito dallo sviluppo delle seguenti soluzioni circuitali: 3D fault tolerant link, Look Up Table riconfigurabili e un sicnronizzatore mesocrono. Il primo è costituito fondamentalmente un bus verticale equipaggiato con delle TSV di riserva da utilizzare per rimpiazzare le vias guaste, più la logica di controllo per effettuare il test e la riconfigurazione. Il secondo è rappresentato da una Look Up Table riconfigurabile, ad alte prestazioni e dal costo contenuto, necesaria per bilanciare sia il traffico nella NoC che per bypassare link non riparabili. Infine la terza soluzione circuitale è rappresentata da un sincronizzatore mesocrono necessario per garantire la sincronizzazione nel trasferimento dati da un layer and un altro nelle 3D Noc. Il terzo contributo di questa tesi è dato dalla realizzazione di un interfaccia multicore per memorie 3D (stacked 3D DRAM) ad alte prestazioni, e dall’esplorazione architetturale dei benefici e del costo di questo nuovo sistema in cui il la memoria principale non è piu il collo di bottiglia dell’intero sistema. Il quarto ed ultimo contributo è rappresentato dalla realizzazione di un 3D NoC test chip presso la fonderia IMEC, e di un circuito full custom per la caratterizzazione della variability dei parametri RC delle interconnessioni verticali.

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L’argomento scelto riguarda l’adozione di standard privati da parte di imprese agro-alimentari e le loro conseguenze sulla gestione globale dell’azienda. In particolare, lo scopo di questo lavoro è quello di valutare le implicazioni dovute all’adozione del BRC Global Standard for Food Safety da parte delle imprese agro-alimentari italiane. La valutazione di tale impatto è basata sulle percezioni dei responsabili aziendali in merito ad aspetti economici, gestionali, commerciali, qualitativi, organizzativi. La ricerca ha seguito due passaggi fondamentali: innanzitutto sono state condotte 7 interviste in profondità con i Responsabili Qualità (RQ) di aziende agro-alimentari italiane certificate BRC Food. Le variabili estrapolate dall’analisi qualitativa del contenuto delle interviste sono state inserite, insieme a quelle rilevate in letteratura, nel questionario creato per la successiva survey. Il questionario è stato inviato tramite e-mail e con supporto telefonico ad un campione di aziende selezionato tramite campionamento random. Dopo un periodo di rilevazione prestabilito, sono stati compilati 192 questionari. L’analisi descrittiva dei dati mostra che i RQ sono in buona parte d’accordo con le affermazioni riguardanti gli elementi d’impatto. Le affermazioni maggiormente condivise riguardano: efficienza del sistema HACCP, efficienza del sistema di rintracciabilità, procedure di controllo, formazione del personale, miglior gestione delle urgenze e non conformità, miglior implementazione e comprensione di altri sistemi di gestione certificati. Attraverso l’analisi ANOVA fra variabili qualitative e quantitative e relativo test F emerge che alcune caratteristiche delle aziende, come l’area geografica, la dimensione aziendale, la categoria di appartenenza e il tipo di situazione nei confronti della ISO 9001 possono influenzare differentemente le opinioni degli intervistati. Successivamente attraverso un’analisi fattoriale sono stati estratti 8 fattori partendo da un numero iniziale di 28 variabili. Sulla base dei fattori è stata applicata la cluster analysis di tipo gerarchico che ha portato alla segmentazione del campione in 5 gruppi diversi. Ogni gruppo è stato interpretato sulla base di un profilo determinato dal posizionamento nei confronti dei vari fattori. I risultati oltre ad essere stati validati attraverso focus group effettuati con ricercatori ed operatori del settore, sono stati supportati anche da una successiva indagine qualitativa condotta presso 4 grandi retailer inglesi. Lo scopo di questa successiva indagine è stato quello di valutare l’esistenza di opinioni divergenti nei confronti dei fornitori che andasse quindi a sostenere l’ipotesi di un problema di asimmetria informativa che nonostante la presenza di standard privati ancora sussiste nelle principali relazioni contrattuali. Ulteriori percorsi di ricerca potrebbero stimare se la valutazione dell’impatto del BRC può aiutare le aziende di trasformazione nell’implementazione di altri standard di qualità e valutare quali variabili possono influenzare invece le percezioni in termini di costi dell’adozione dello standard.

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Microsatelliti e nanosatelliti, come ad esempio i Cubesat, sono carenti di sistemi integrati di controllo d’assetto e di manovra orbitale. Lo scopo di questa tesi è stato quello di realizzare un sistema compatibile con Cubesat di una unità, completo di attuatori magnetici e attuatori meccanici, comprendente tutti i sensori e l’elettronica necessaria per il suo funzionamento, creando un dispositivo totalmente indipendente dal veicolo su cui è installato, capace di funzionare sia autonomamente che ricevendo comandi da terra. Nella tesi sono descritte le campagne di simulazioni numeriche effettuate per validare le scelte tecnologiche effettuate, le fasi di sviluppo dell’elettronica e della meccanica, i test sui prototipi realizzati e il funzionamento del sistema finale. Una integrazione così estrema dei componenti può implicare delle interferenze tra un dispositivo e l’altro, come nel caso dei magnetotorquer e dei magnetometri. Sono stati quindi studiati e valutati gli effetti della loro interazione, verificandone l’entità e la validità del progetto. Poiché i componenti utilizzati sono tutti di basso costo e di derivazione terrestre, è stata effettuata una breve introduzione teorica agli effetti dell’ambiente spaziale sull’elettronica, per poi descrivere un sistema fault-tolerant basato su nuove teorie costruttive. Questo sistema è stato realizzato e testato, verificando così la possibilità di realizzare un controller affidabile e resistente all’ambiente spaziale per il sistema di controllo d’assetto. Sono state infine analizzate alcune possibili versioni avanzate del sistema, delineandone i principali aspetti progettuali, come ad esempio l’integrazione di GPS e l’implementazione di funzioni di determinazione d’assetto sfruttando i sensori presenti a bordo.

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Dopo un’introduzione sull’economia nel mondo antico e nella Galilea, la tesi affronta una rappresentazione storica de “Il Mare di Galilea tra l’antichità e oggi” (cap. 3). Seguono i capitoli sulle “Tecniche e le attrezzature di pesca” (cap.4) e su “Città, villaggi e aree di pesca” (Cap. 5). Due capitoli riguardano più particolarmente l’attività economica in senso stretto: “L’organizzazione dell’attività” (cap. 6) e “Commercio ed esportazione” (cap. 7). Chiudono la tesi due capitoli di carattere più metodologico: una rappresentazione degli agenti sociali della pesca (“i pescatori”) condotta ispirandosi alla network Analysis e un’analisi antropologica del loro sistema di vita (capitolo finale).La tesi è basata essenzialmente su tre corpi di documentazione: papiri documentari, dati archeologici, fonti storiche e letterarie. Molti dei documenti reperiti, in lingua greca, non erano mai stati tradotti in lingue moderne.La tesi consta – oltre ai diversi capitoli – anche di un’appendice documentaria molto estesa

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Limiti sempre più stringenti sulle emissioni inquinanti ed una maggiore attenzione ai consumi, all'incremento di prestazioni e alla guidabilità, portano allo sviluppo di algoritmi di controllo motore sempre più complicati. Allo stesso tempo, l'unità di propulsione sta diventando un insieme sempre più variegato di sottosistemi che devono lavorare all'unisono. L'ingegnere calibratore si trova di fronte ad una moltitudine di variabili ed algoritmi che devono essere calibrati e testati e necessita di strumenti che lo aiutino ad analizzare il comportamento del motore fornendo risultati sintetici e facilmente accessibili. Nel seguente lavoro è riportato lo sviluppo di un sistema di analisi della combustione: l'obbiettivo è stato quello di sviluppare un software che fornisca le migliori soluzioni per l'analisi di un motore a combustione interna, in termini di accuratezza dei risultati, varietà di calcoli messi a disposizione, facilità di utilizzo ed integrazione con altri sistemi tramite la condivisione dei risultati calcolati in tempo reale.

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L’obiettivo della tesi riguarda l’utilizzo di immagini aerofotogrammetriche e telerilevate per la caratterizzazione qualitativa e quantitativa di ecosistemi forestali e della loro evoluzione. Le tematiche affrontate hanno riguardato, da una parte, l’aspetto fotogrammetrico, mediante recupero, digitalizzazione ed elaborazione di immagini aeree storiche di varie epoche, e, dall’altra, l’aspetto legato all’uso del telerilevamento per la classificazione delle coperture al suolo. Nel capitolo 1 viene fatta una breve introduzione sullo sviluppo delle nuove tecnologie di rilievo con un approfondimento delle applicazioni forestali; nel secondo capitolo è affrontata la tematica legata all’acquisizione dei dati telerilevati e fotogrammetrici con una breve descrizione delle caratteristiche e grandezze principali; il terzo capitolo tratta i processi di elaborazione e classificazione delle immagini per l’estrazione delle informazioni significative. Nei tre capitoli seguenti vengono mostrati tre casi di applicazioni di fotogrammetria e telerilevamento nello studio di ecosistemi forestali. Il primo caso (capitolo 4) riguarda l’area del gruppo montuoso del Prado- Cusna, sui cui è stata compiuta un’analisi multitemporale dell’evoluzione del limite altitudinale degli alberi nell’arco degli ultimi cinquant’anni. E’ stata affrontata ed analizzata la procedura per il recupero delle prese aeree storiche, definibile mediante una serie di successive operazioni, a partire dalla digitalizzazione dei fotogrammi, continuando con la determinazione di punti di controllo noti a terra per l’orientamento delle immagini, per finire con l’ortorettifica e mosaicatura delle stesse, con l’ausilio di un Modello Digitale del Terreno (DTM). Tutto ciò ha permesso il confronto di tali dati con immagini digitali più recenti al fine di individuare eventuali cambiamenti avvenuti nell’arco di tempo intercorso. Nel secondo caso (capitolo 5) si è definita per lo studio della zona del gruppo del monte Giovo una procedura di classificazione per l’estrazione delle coperture vegetative e per l’aggiornamento della cartografia esistente – in questo caso la carta della vegetazione. In particolare si è cercato di classificare la vegetazione soprasilvatica, dominata da brughiere a mirtilli e praterie con prevalenza di quelle secondarie a nardo e brachipodio. In alcune aree sono inoltre presenti comunità che colonizzano accumuli detritici stabilizzati e le rupi arenacee. A questo scopo, oltre alle immagini aeree (Volo IT2000) sono state usate anche immagini satellitari ASTER e altri dati ancillari (DTM e derivati), ed è stato applicato un sistema di classificazione delle coperture di tipo objectbased. Si è cercato di definire i migliori parametri per la segmentazione e il numero migliore di sample per la classificazione. Da una parte, è stata fatta una classificazione supervisionata della vegetazione a partire da pochi sample di riferimento, dall’altra si è voluto testare tale metodo per la definizione di una procedura di aggiornamento automatico della cartografia esistente. Nel terzo caso (capitolo 6), sempre nella zona del gruppo del monte Giovo, è stato fatto un confronto fra la timberline estratta mediante segmentazione ad oggetti ed il risultato di rilievi GPS a terra appositamente effettuati. L’obiettivo è la definizione del limite altitudinale del bosco e l’individuazione di gruppi di alberi isolati al di sopra di esso mediante procedure di segmentazione e classificazione object-based di ortofoto aeree in formato digitale e la verifica sul campo in alcune zone campione dei risultati, mediante creazione di profili GPS del limite del bosco e determinazione delle coordinate dei gruppi di alberi isolati. I risultati finali del lavoro hanno messo in luce come le moderne tecniche di analisi di immagini sono ormai mature per consentire il raggiungimento degli obiettivi prefissi nelle tre applicazioni considerate, pur essendo in ogni caso necessaria una attenta validazione dei dati ed un intervento dell’operatore in diversi momenti del processo. In particolare, le operazioni di segmentazione delle immagini per l’estrazione di feature significative hanno dimostrato grandi potenzialità in tutti e tre i casi. Un software ad “oggetti” semplifica l’implementazione dei risultati della classificazione in un ambiente GIS, offrendo la possibilità, ad esempio, di esportare in formato vettoriale gli oggetti classificati. Inoltre dà la possibilità di utilizzare contemporaneamente, in un unico ambiente, più sorgenti di informazione quali foto aeree, immagini satellitari, DTM e derivati. Le procedure automatiche per l’estrazione della timberline e dei gruppi di alberi isolati e per la classificazione delle coperture sono oggetto di un continuo sviluppo al fine di migliorarne le prestazioni; allo stato attuale esse non devono essere considerate una soluzione ottimale autonoma ma uno strumento per impostare e semplificare l’intervento da parte dello specialista in fotointerpretazione.

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Il traffico veicolare è la principale fonte antropogenica di NOx, idrocarburi (HC) e CO e, dato che la sostituzione dei motori a combustione interna con sistemi alternativi appare ancora lontana nel tempo, lo sviluppo di sistemi in grado di limitare al massimo le emissioni di questi mezzi di trasporto riveste un’importanza fondamentale. Sfortunatamente non esiste un rapporto ottimale aria/combustibile che permetta di avere basse emissioni, mentre la massima potenza ottenibile dal motore corrisponde alle condizioni di elevata formazione di CO e HC. Gli attuali sistemi di abbattimento permettono il controllo delle emissioni da sorgenti mobili tramite una centralina che collega il sistema di iniezione del motore e la concentrazione di ossigeno del sistema catalitico (posto nella marmitta) in modo da controllare il rapporto aria/combustibile (Fig. 1). Le marmitte catalitiche per motori a benzina utilizzano catalizzatori “three way” a base di Pt/Rh supportati su ossidi (allumina, zirconia e ceria), che, dovendo operare con un rapporto quasi stechiometrico combustibile/comburente, comportano una minore efficienza del motore e consumi maggiori del 20-30% rispetto alla combustione in eccesso di ossigeno. Inoltre, questa tecnologia non può essere utilizzata nei motori diesel, che lavorano in eccesso di ossigeno ed utilizzano carburanti con un tenore di zolfo relativamente elevato. In questi ultimi anni è cresciuto l’interesse per il controllo delle emissioni di NOx da fonti veicolari, con particolare attenzione alla riduzione catalitica in presenza di un eccesso di ossigeno, cioè in condizioni di combustione magra. Uno sviluppo recente è rappresentato dai catalizzatori tipo “Toyota” che sono basati sul concetto di accumulo e riduzione (storage/reduction), nei quali l’NO viene ossidato ed accumulato sul catalizzatore come nitrato in condizioni di eccesso di ossigeno. Modificando poi per brevi periodi di tempo le condizioni di alimentazione da ossidanti (aria/combustibile > 14,7 p/p) a riducenti (aria/combustibile < 14,7 p/p) il nitrato immagazzinato viene ridotto a N2 e H2O. Questi catalizzatori sono però molto sensibili alla presenza di zolfo e non possono essere utilizzati con i carburanti diesel attualmente in commercio. Obiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello di ottimizzare e migliorare la comprensione del meccanismo di reazione dei catalizzatori “storage-reduction” per l’abbattimento degli NOx nelle emissioni di autoveicoli in presenza di un eccesso di ossigeno. In particolare lo studio è stato focalizzato dapprima sulle proprietà del Pt, fase attiva nei processi di storage-reduction, in funzione del tipo di precursore e sulle proprietà e composizione della fase di accumulo (Ba, Mg ed una loro miscela equimolare) e del supporto (γ-Al2O3 o Mg(Al)O). Lo studio è stato inizialmente focalizzato sulle proprietà dei precursori del Pt, fase attiva nei processi di storage-reduction, sulla composizione della fase di accumulo (Ba, Mg ed una loro miscela equimolare) e del supporto (γ-Al2O3 o Mg(Al)O). E’ stata effettuata una dettagliata caratterizzazione chimico-fisica dei materiali preparati tramite analisi a raggi X (XRD), area superficiale, porosimetria, analisi di dispersione metallica, analisi in riduzione e/o ossidazione in programmata di temperatura (TPR-O), che ha permesso una migliore comprensione delle proprietà dei catalizzatori. Vista la complessità delle miscele gassose reali, sono state utilizzate, nelle prove catalitiche di laboratorio, alcune miscele più semplici, che tuttavia potessero rappresentare in maniera significativa le condizioni reali di esercizio. Il comportamento dei catalizzatori è stato studiato utilizzando differenti miscele sintetiche, con composizioni che permettessero di comprendere meglio il meccanismo. L’intervallo di temperatura in cui si è operato è compreso tra 200-450°C. Al fine di migliorare i catalizzatori, per aumentarne la resistenza alla disattivazione da zolfo, sono state effettuate prove alimentando in continuo SO2 per verificare la resistenza alla disattivazione in funzione della composizione del catalizzatore. I principali risultati conseguiti possono essere così riassunti: A. Caratteristiche Fisiche. Dall’analisi XRD si osserva che l’impregnazione con Pt(NH3)2(NO2)2 o con la sospensione nanoparticellare in DEG, non modifica le proprietà chimico-fisiche del supporto, con l’eccezione del campione con sospensione nanoparticellare impregnata su ossido misto per il quale si è osservata sia la segregazione del Pt, sia la presenza di composti carboniosi sulla superficie. Viceversa l’impregnazione con Ba porta ad una significativa diminuzione dell’area superficiale e della porosità. B. Caratteristiche Chimiche. L’analisi di dispersione metallica, tramite il chemiassorbimento di H2, mostra per i catalizzatori impregnati con Pt nanoparticellare, una bassa dispersione metallica e di conseguenza elevate dimensioni delle particelle di Pt. I campioni impregnati con Pt(NH3)2(NO2)2 presentano una migliore dispersione. Infine dalle analisi TPR-O si è osservato che: Maggiore è la dispersione del metallo nobile maggiore è la sua interazione con il supporto, L’aumento della temperatura di riduzione del PtOx è proporzionale alla quantità dei metalli alcalino terrosi, C. Precursore Metallo Nobile. Nelle prove di attività catalitica, con cicli ossidanti e riducenti continui in presenza ed in assenza di CO2, i catalizzatori con Pt nanoparticellare mostrano una minore attività catalitica, specie in presenza di un competitore come la CO2. Al contrario i catalizzatori ottenuti per impregnazione con la soluzione acquosa di Pt(NH3)2(NO2)2 presentano un’ottima attività catalitica, stabile nel tempo, e sono meno influenzabili dalla presenza di CO2. D. Resistenza all’avvelenamento da SO2. Il catalizzatore di riferimento, 17Ba1Pt/γAl2O3, mostra un effetto di avvelenamento con formazione di solfati più stabili che sul sistema Ba-Mg; difatti il campione non recupera i valori iniziali di attività se non dopo molti cicli di rigenerazione e temperature superiori ai 300°C. Per questi catalizzatori l’avvelenamento da SO2 sembra essere di tipo reversibile, anche se a temperature e condizioni più favorevoli per il 1.5Mg8.5Ba-1Pt/γAl2O3. E. Capacità di Accumulo e Rigenerabilità. Tramite questo tipo di prova è stato possibile ipotizzare e verificare il meccanismo della riduzione. I catalizzatori ottenuti per impregnazione con la soluzione acquosa di Pt(NH3)2(NO2)2 hanno mostrato un’elevata capacità di accumulo. Questa è maggiore per il campione bimetallico (Ba-Mg) a T < 300°C, mentre per il riferimento è maggiore per T > 300°C. Per ambedue i catalizzatori è evidente la formazione di ammoniaca, che potrebbe essere utilizzata come un indice che la riduzione dei nitrati accumulati è arrivata al termine e che il tempo ottimale per la riduzione è stato raggiunto o superato. Per evitare la formazione di NH3, sul catalizzatore di riferimento, è stata variata la concentrazione del riducente e la temperatura in modo da permettere alle specie adsorbite sulla superficie e nel bulk di poter raggiungere il Pt prima che l’ambiente diventi troppo riducente e quindi meno selettivo. La presenza di CO2 riduce fortemente la formazione di NH3; probabilmente perché la CO2, occupando i siti degli elementi alcalino-terrosi lontani dal Pt, impedisce ai nitriti/nitrati o all’H2 attivato di percorrere “elevate” distanze prima di reagire, aumentando così le possibilità di una riduzione più breve e più selettiva. F. Tempo di Riduzione. Si è migliorata la comprensione del ruolo svolto dalla concentrazione dell’agente riducente e dell’effetto della durata della fase riducente. Una durata troppo breve porta, nel lungo periodo, alla saturazione dei siti attivi, un eccesso alla formazione di NH3 Attraverso queste ultime prove è stato possibile formulare un meccanismo di reazione, in particolare della fase riducente. G. Meccanismo di Riduzione. La mobilità dei reagenti, nitriti/nitrati o H2 attivato è un elemento fondamentale nel meccanismo della riduzione. La vicinanza tra i siti di accumulo e quelli redox è determinante per il tipo di prodotti che si possono ottenere. La diminuzione della concentrazione del riducente o l’aumento della temperatura concede maggiore tempo o energia alle specie adsorbite sulla superficie o nel bulk per migrare e reagire prima che l’ambiente diventi troppo riducente e quindi meno selettivo.

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Nella prima parte di questa tesi di dottorato sono presentate le attività svolte, di carattere numerico, ai fini della modellizzazione di macchine volumetriche ad ingranaggi esterni. In particolare viene dapprima presentato un modello a parametri concentrati utilizzato per l’analisi dei fenomeni che coinvolgono l’area di ingranamento della macchina; un codice di calcolo associato al modello è stato sviluppato ed utilizzato per la determinazione dell’influenza delle condizioni di funzionamento e delle caratteristiche geometriche della macchina sulle sovra-pressioni e sull’eventuale instaurarsi della cavitazione nei volumi tra i denti che si trovano nell’area di ingranamento. In seguito vengono presentati i risultati ottenuti dall’analisi del bilanciamento assiale di diverse unità commerciali, evidenziando l’influenza delle caratteristiche geometriche delle fiancate di bilanciamento; a questo proposito, viene presentato anche un semplice modello a parametri concentrati per valutare il rendimento volumetrico della macchina ad ingranaggi esterni, con l’intenzione di usare tale parametro quale indice qualitativo della bontà del bilanciamento assiale. Infine, viene presentato un modello completo della macchina ad ingranaggi esterni, realizzato in un software commerciale a parametri concentrati, che permette di analizzare nel dettaglio il funzionamento della macchina e di studiare anche l’interazione della stessa con il circuito idraulico in cui è inserita. Nella seconda parte della tesi si presentano le attività legate alla messa in funzione di due banchi prova idraulici per la caratterizzazione sperimentale di macchine volumetriche e componenti di regolazione, con particolare attenzione dedicata alla messa a punto del sistema di acquisizione e gestione dei dati sperimentali; si presentano infine i risultati di alcune prove eseguite su componenti di regolazione e macchine volumetriche.

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La tesi si pone come finalità quella di analizzare un comprensorio territoriale dal punto di vista insediativo, cercando di coglierne le peculiarità e i mutamenti nel lungo periodo attraverso un uso incrociato di fonti scritte e archeologiche. La ricerca ha preso avvio dall’analisi del Saltopiano, uno dei distretti di ambito rurale che si ritrova nelle fonti tra IX-XII secolo, in passato già affrontato dalla storiografia specialmente in relazione all’organizzazione istituzionale delle aree rurali tra Longobardia e Romania durante i secoli altomedievali. Attraverso l’esame delle fonti scritte edite si è cercato di ricostruire il quadro dell’organizzazione territoriale, partendo dalla disamina dei centri di potere laici ed ecclesiastici che a questa area avevano rivolto il proprio interesse patrimoniale e politico, ma proponendo in modo analitico i dati che forniscono indicazioni dirette in relazione all’organizzazione insediativa e quindi alla gestione del territorio dal punto di vista socioeconomico. E’ stato posto in risalto il carattere di un insediamento rurale a maglie larghe, secondo la scansione in fundi e la presenza di poli di accentramento importanti come pievi, castra, vici e con una compresenza, per quanto ristretta a pochi esempi significativi, di altre forme di organizzazione come la curtis e la massa. Con la prosecuzione dello studio del territorio in senso diacronico, prima la scomparsa del riferimento al Saltopiano, poi la progressiva conquista del contado da parte del Comune di Bologna ha determinato un vero e proprio mutamento nell’approccio di analisi. E’ stato dato spazio all’analisi di fondi inediti (conservati principalmente all’Archivio di Stato di Bologna) e specificamente legati alla realtà territoriale studiata. In primo luogo, sono stati esaminati gli estimi del contado (Galliera e Massumatico), una fonte già frequentata in passato da altri studiosi, soprattutto con un interesse dal punto di vista demografico e economico. Nel caso specifico, sono stati estrapolati dalle prime rilevazioni fiscali del 1235 e del 1245 e poi da quelle di primo Trecento i dati che restituiscono l’organizzazione del territorio in modo concreto. Partendo dalle riflessioni di studi svolti in passato, che avevano considerato il fondamentale inserimento di importanti famiglie cittadine nella gestione sempre più ampia dei beni agricoli nel contado è stata avviata l’analisi di un altro fondo inedito, quello dei registri del Vicariato di Galliera (in particolare quelli concernenti la denuncia dei “danni dati” sulle proprietà agricole), da cui emerge in modo evidente la presenza di famiglie come i Guastavillani, i Caccianemici, i Lambertini. Tali dati, in associazione a quelli tratti dagli estimi, hanno fornito elementi essenziali per la comprensione del territorio rurale nel suo complesso e nei rapporti di interdipendenza tra le diverse componenti sociali. Una terza parte della tesi è dedicata nella sua totalità all’analisi delle fonti materiali che forniscono dati per lo studio dell’insediamento medievale nel territorio compreso tra gli attuali comuni di S. Pietro in Casale e Galliera. Partendo da alcune ricerche preliminari compiute negli anni ’90 del secolo scorso, è stato impostato un progetto di ricerca archeologica articolatosi in due campagne di ricognizione di superficie e in una prima campagna di scavo tramite sondaggio presso la torre di Galliera, al fine di ricavare dati di prima mano in un’area pressoché inesplorata dal punto di vista archeologico. Nonostante i limiti riscontrati dal punto di vista pratico, a causa del terreno fortemente alluvionato, si sono raccolti dati specifici che aiutano a inquadrare questo comprensorio e a confrontarlo con altre aree della regione e in particolare del comitato bolognese studiate in ricerche analoghe, mettendone in evidenza le specificità e le caratterizzazioni. Inoltre, alcune importanti persistenze materiali (un sistema di torri di cui rimangono alcuni esempi ancora conservati in alzato) hanno permesso di gettare luce sul valore commerciale e quindi strategico dell’area, soprattutto in funzione del passaggio delle merci lungo una via fluviale fondamentale tra XIII-XIV secolo nel collegare Ferrara a Bologna.

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Questa tesi riguarda l'analisi delle trasmissioni ad ingranaggi e delle ruote dentate in generale, nell'ottica della minimizzazione delle perdite di energia. È stato messo a punto un modello per il calcolo della energia e del calore dissipati in un riduttore, sia ad assi paralleli sia epicicloidale. Tale modello consente di stimare la temperatura di equilibrio dell'olio al variare delle condizioni di funzionamento. Il calcolo termico è ancora poco diffuso nel progetto di riduttori, ma si è visto essere importante soprattutto per riduttori compatti, come i riduttori epicicloidali, per i quali la massima potenza trasmissibile è solitamente determinata proprio da considerazioni termiche. Il modello è stato implementato in un sistema di calcolo automatizzato, che può essere adattato a varie tipologie di riduttore. Tale sistema di calcolo consente, inoltre, di stimare l'energia dissipata in varie condizioni di lubrificazione ed è stato utilizzato per valutare le differenze tra lubrificazione tradizionale in bagno d'olio e lubrificazione a “carter secco” o a “carter umido”. Il modello è stato applicato al caso particolare di un riduttore ad ingranaggi a due stadi: il primo ad assi paralleli ed il secondo epicicloidale. Nell'ambito di un contratto di ricerca tra il DIEM e la Brevini S.p.A. di Reggio Emilia, sono state condotte prove sperimentali su un prototipo di tale riduttore, prove che hanno consentito di tarare il modello proposto [1]. Un ulteriore campo di indagine è stato lo studio dell’energia dissipata per ingranamento tra due ruote dentate utilizzando modelli che prevedano il calcolo di un coefficiente d'attrito variabile lungo il segmento di contatto. I modelli più comuni, al contrario, si basano su un coefficiente di attrito medio, mentre si può constatare che esso varia sensibilmente durante l’ingranamento. In particolare, non trovando in letteratura come varia il rendimento nel caso di ruote corrette, ci si è concentrati sul valore dell'energia dissipata negli ingranaggi al variare dello spostamento del profilo. Questo studio è riportato in [2]. È stata condotta una ricerca sul funzionamento di attuatori lineari vite-madrevite. Si sono studiati i meccanismi che determinano le condizioni di usura dell'accoppiamento vite-madrevite in attuatori lineari, con particolare riferimento agli aspetti termici del fenomeno. Si è visto, infatti, che la temperatura di contatto tra vite e chiocciola è il parametro più critico nel funzionamento di questi attuatori. Mediante una prova sperimentale, è stata trovata una legge che, data pressione, velocità e fattore di servizio, stima la temperatura di esercizio. Di tale legge sperimentale è stata data un'interpretazione sulla base dei modelli teorici noti. Questo studio è stato condotto nell'ambito di un contratto di ricerca tra il DIEM e la Ognibene Meccanica S.r.l. di Bologna ed è pubblicato in [3].

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Il problema della sicurezza/insicurezza delle città, dalle grandi metropoli sino ai più piccoli centri urbani, ha sollecitato negli ultimi anni un’attenzione crescente da parte degli studiosi, degli analisti, degli organi di informazione, delle singole comunità. La delinquenza metropolitana viene oggi diffusamente considerata «un aspetto usuale della società moderna»: «un fatto – o meglio un insieme di fatti – che non richiede nessuna speciale motivazione o predisposizione, nessuna patologia o anormalità, e che è iscritto nella routine della vita economica e sociale». Svincolata dagli schemi positivistici, la dottrina criminologica ha maturato una nuova «cultura del controllo sociale» che ha messo in risalto, rispetto ad ogni visione enfatizzante del reo, l’esigenza di pianificare adeguate politiche e pratiche di prevenzione della devianza urbana attraverso «tutto l’insieme di istituzioni sociali, di strategie e di sanzioni, che mirano a ottenere la conformità di comportamento nella sfera normativa penalmente tutelata». Tale obiettivo viene generalmente perseguito dagli organismi istituzionali, locali e centrali, con diverse modalità annoverabili nel quadro degli interventi di: prevenzione sociale in cui si includono iniziative volte ad arginare la valenza dei fattori criminogeni, incidendo sulle circostanze sociali ed economiche che determinano l’insorgenza e la proliferazione delle condotte delittuose negli ambienti urbani; prevenzione giovanile con cui si tende a migliorare le capacità cognitive e relazionali del minore, in maniera tale da controllare un suo eventuale comportamento aggressivo, e ad insegnare a genitori e docenti come gestire, senza traumi ed ulteriori motivi di tensione, eventuali situazioni di crisi e di conflittualità interpersonale ed interfamiliare che coinvolgano adolescenti; prevenzione situazionale con cui si mira a disincentivare la propensione al delitto, aumentando le difficoltà pratiche ed il rischio di essere scoperti e sanzionati che – ovviamente – viene ponderato dal reo. Nella loro quotidianità, le “politiche di controllo sociale” si sono tuttavia espresse in diversi contesti – ed anche nel nostro Paese - in maniera a tratti assai discutibile e, comunque, con risultati non sempre apprezzabili quando non - addirittura – controproducenti. La violenta repressione dei soggetti ritenuti “devianti” (zero tolerance policy), l’ulteriore ghettizzazione di individui di per sé già emarginati dal contesto sociale, l’edificazione di interi quartieri fortificati, chiusi anche simbolicamente dal resto della comunità urbana, si sono rivelate, più che misure efficaci nel contrasto alla criminalità, come dei «cortocircuiti semplificatori in rapporto alla complessità dell’insieme dei problemi posti dall’insicurezza». L’apologia della paura è venuta così a riflettersi, anche fisicamente, nelle forme architettoniche delle nuove città fortificate ed ipersorvegliate; in quelle gated-communities in cui l’individuo non esita a sacrificare una componente essenziale della propria libertà, della propria privacy, delle proprie possibilità di contatto diretto con l’altro da sé, sull’altare di un sistema di controllo che malcela, a sua volta, implacabili contraddizioni. Nei pressanti interrogativi circa la percezione, la diffusione e la padronanza del rischio nella società contemporanea - glocale, postmoderna, tardomoderna, surmoderna o della “seconda modernità”, a seconda del punto di vista al quale si aderisce – va colto l’eco delle diverse concezioni della sicurezza urbana, intesa sia in senso oggettivo, quale «situazione che, in modo obiettivo e verificabile, non comporta l’esposizione a fattori di rischio», che in senso soggettivo, quale «risultante psicologica di un complesso insieme di fattori, tra cui anche indicatori oggettivi di sicurezza ma soprattutto modelli culturali, stili di vita, caratteristiche di personalità, pregiudizi, e così via». Le amministrazioni locali sono direttamente chiamate a garantire questo bisogno primario di sicurezza che promana dagli individui, assumendo un ruolo di primo piano nell’adozione di innovative politiche per la sicurezza urbana che siano fra loro complementari, funzionalmente differenziate, integrali (in quanto parte della politica di protezione integrale di tutti i diritti), integrate (perché rivolte a soggetti e responsabilità diverse), sussidiarie (perché non valgono a sostituire i meccanismi spontanei di prevenzione e controllo della devianza che si sviluppano nella società), partecipative e multidimensionali (perché attuate con il concorso di organismi comunali, regionali, provinciali, nazionali e sovranazionali). Questa nuova assunzione di responsabilità da parte delle Amministrazioni di prossimità contribuisce a sancire il passaggio epocale «da una tradizionale attività di governo a una di governance» che deriva «da un’azione integrata di una molteplicità di soggetti e si esercita tanto secondo procedure precostituite, quanto per una libera scelta di dar vita a una coalizione che vada a vantaggio di ciascuno degli attori e della società urbana nel suo complesso». All’analisi dei diversi sistemi di governance della sicurezza urbana che hanno trovato applicazione e sperimentazione in Italia, negli ultimi anni, e in particolare negli ambienti territoriali e comunitari di Roma e del Lazio che appaiono, per molti versi, esemplificativi della complessa realtà metropolitana del nostro tempo, è dedicata questa ricerca. Risulterà immediatamente chiaro come il paradigma teorico entro il quale si dipana il percorso di questo studio sia riconducibile agli orientamenti della psicologia topologica di Kurt Lewin, introdotti nella letteratura sociocriminologica dall’opera di Augusto Balloni. Il provvidenziale crollo di antichi steccati di divisione, l’avvento di internet e, quindi, la deflagrante estensione delle frontiere degli «ambienti psicologici» in cui è destinata a svilupparsi, nel bene ma anche nel male, la personalità umana non hanno scalfito, a nostro sommesso avviso, l’attualità e la validità della «teoria del campo» lewiniana per cui il comportamento degli individui (C) appare anche a noi, oggi, condizionato dalla stretta interrelazione che sussiste fra le proprie connotazioni soggettive (P) e il proprio ambiente di riferimento (A), all’interno di un particolare «spazio di vita». Su queste basi, il nostro itinerario concettuale prende avvio dall’analisi dell’ambiente urbano, quale componente essenziale del più ampio «ambiente psicologico» e quale cornice straordinariamente ricca di elementi di “con-formazione” dei comportamenti sociali, per poi soffermarsi sulla disamina delle pulsioni e dei sentimenti soggettivi che agitano le persone nei controversi spazi di vita del nostro tempo. Particolare attenzione viene inoltre riservata all’approfondimento, a tratti anche critico, della normativa vigente in materia di «sicurezza urbana», nella ferma convinzione che proprio nel diritto – ed in special modo nell’ordinamento penale – vada colto il riflesso e la misura del grado di civiltà ma anche delle tensioni e delle contraddizioni sociali che tormentano la nostra epoca. Notevoli spunti ed un contributo essenziale per l’elaborazione della parte di ricerca empirica sono derivati dall’intensa attività di analisi sociale espletata (in collaborazione con l’ANCI) nell’ambito dell’Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio, un organismo di supporto della Presidenza della Giunta Regionale del Lazio al quale compete, ai sensi dell’art. 8 della legge regionale n. 15 del 2001, la funzione specifica di provvedere al monitoraggio costante dei fenomeni criminali nel Lazio.

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La ricerca svolta ha individuato fra i suoi elementi promotori l’orientamento determinato da parte della comunità europea di dare vita e sostegno ad ambiti territoriali intermedi sub nazionali di tipo regionale all’interno dei quali i sistemi di città potessero raggiungere le massime prestazioni tecnologiche per cogliere gli effetti positivi delle innovazioni. L’orientamento europeo si è confrontato con una realtà storica e geografica molto variata in quanto accanto a stati membri, nei quali le gerarchie fra città sono storicamente radicate e funzionalmente differenziate secondo un ordine che vede la città capitale dominante su città subalterne nelle quali la cultura di dominio del territorio non è né continua né gerarchizzata sussistono invece territori nazionali compositi con una città capitale di riconosciuto potere ma con città di minor dimensione che da secoli esprimono una radicata incisività nella organizzazione del territorio di appartenenza. Alla prima tipologia di stati appartengono ad esempio i Paesi del Nord Europa e l’Inghilterra, esprimendo nella Francia una situazione emblematica, alla seconda tipologia appartengono invece i Paesi dell’aera mediterranea, Italia in primis, con la grande eccezione della Germania. Applicando gli intendimenti comunitari alla realtà locale nazionale, questa tesi ha avviato un approfondimento di tipo metodologico e procedurale sulla possibile organizzazione a sistema di una regione fortemente policentrica nel suo sviluppo e “artificiosamente” rinata ad unità, dopo le vicende del XIX secolo: l’Emilia-Romagna. Anche nelle regioni che si presentano come storicamente organizzate sulla pluralità di centri emergenti, il rapporto col territorio è mediato da centri urbani minori che governano il tessuto cellulare delle aggregazioni di servizi di chiara origine agraria. Questo stato di cose comporta a livello politico -istituzionale una dialettica vivace fra territori voluti dalle istituzioni e territori legittimati dal consolidamento delle tradizioni confermato dall’uso attuale. La crescente domanda di capacità di governo dello sviluppo formulata dagli operatori economici locali e sostenuta dalle istituzioni europee si confronta con la scarsa capacità degli enti territoriali attuali: Regioni, Comuni e Province di raggiungere un livello di efficienza sufficiente ad organizzare sistemi di servizi adeguati a sostegno della crescita economica. Nel primo capitolo, dopo un breve approfondimento sulle “figure retoriche comunitarie”, quali il policentrismo, la governance, la coesione territoriale, utilizzate per descrivere questi fenomeni in atto, si analizzano gli strumenti programmatici europei e lo S.S.S.E,. in primis, che recita “Per garantire uno sviluppo regionale equilibrato nella piena integrazione anche nell’economia mondiale, va perseguito un modello di sviluppo policentrico, al fine di impedire un’ulteriore eccessiva concentrazione della forza economica e della popolazione nei territori centrali dell’UE. Solo sviluppando ulteriormente la struttura, relativamente decentrata, degli insediamenti è possibile sfruttare il potenziale economico di tutte le regioni europee.” La tesi si inserisce nella fase storica in cui si tenta di definire quali siano i nuovi territori funzionali e su quali criteri si basa la loro riconoscibilità; nel tentativo di adeguare ad essi, riformandoli, i territori istituzionali. Ai territori funzionali occorre riportare la futura fiscalità, ed è la scala adeguata per l'impostazione della maggior parte delle politiche, tutti aspetti che richiederanno anche la necessità di avere una traduzione in termini di rappresentanza/sanzionabilità politica da parte dei cittadini. Il nuovo governo auspicato dalla Comunità Europea prevede una gestione attraverso Sistemi Locali Territoriali (S.Lo.t.) definiti dalla combinazione di milieu locale e reti di attori che si comportano come un attore collettivo. Infatti il secondo capitolo parte con l’indagare il concetto di “regione funzionale”, definito sulla base della presenza di un nucleo e di una corrispondente area di influenza; che interagisce con altre realtà territoriali in base a relazioni di tipo funzionale, per poi arrivare alla definizione di un Sistema Locale territoriale, modello evoluto di regione funzionale che può essere pensato come una rete locale di soggetti i quali, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. Identificare un sistema territoriale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire qualsiasi forma di pianificazione o governance territoriale, perchè si deve soprattutto tener conto dei processi di integrazione funzionale e di networking che si vengono a generare tra i diversi sistemi urbani e che sono specchio di come il territorio viene realmente fruito., perciò solo un approccio metodologico capace di sfumare e di sovrapporre le diverse perimetrazioni territoriali riesce a definire delle aree sulle quali definire un’azione di governo del territorio. Sin dall’inizio del 2000 il Servizio Sviluppo Territoriale dell’OCSE ha condotto un’indagine per capire come i diversi paesi identificavano empiricamente le regioni funzionali. La stragrande maggioranza dei paesi adotta una definizione di regione funzionale basata sul pendolarismo. I confini delle regioni funzionali sono stati definiti infatti sulla base di “contorni” determinati dai mercati locali del lavoro, a loro volta identificati sulla base di indicatori relativi alla mobilità del lavoro. In Italia, la definizione di area urbana funzionale viene a coincidere di fatto con quella di Sistema Locale del Lavoro (SLL). Il fatto di scegliere dati statistici legati a caratteristiche demografiche è un elemento fondamentale che determina l’ubicazione di alcuni servizi ed attrezzature e una mappa per gli investimenti nel settore sia pubblico che privato. Nell’ambito dei programmi europei aventi come obiettivo lo sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio fatto di aree funzionali in relazione fra loro, uno degli studi di maggior rilievo è stato condotto da ESPON (European Spatial Planning Observation Network) e riguarda l’adeguamento delle politiche alle caratteristiche dei territori d’Europa, creando un sistema permanente di monitoraggio del territorio europeo. Sulla base di tali indicatori vengono costruiti i ranking dei diversi FUA e quelli che presentano punteggi (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In questo senso, i MEGA sono FUA/SLL particolarmente performanti. In Italia ve ne sono complessivamente sei, di cui uno nella regione Emilia-Romagna (Bologna). Le FUA sono spazialmente interconnesse ed è possibile sovrapporre le loro aree di influenza. Tuttavia, occorre considerare il fatto che la prossimità spaziale è solo uno degli aspetti di interazione tra le città, l’altro aspetto importante è quello delle reti. Per capire quanto siano policentrici o monocentrici i paesi europei, il Progetto Espon ha esaminato per ogni FUA tre differenti parametri: la grandezza, la posizione ed i collegamenti fra i centri. La fase di analisi della tesi ricostruisce l’evoluzione storica degli strumenti della pianificazione regionale analizzandone gli aspetti organizzativi del livello intermedio, evidenziando motivazioni e criteri adottati nella suddivisione del territorio emilianoromagnolo (i comprensori, i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro…). La fase comprensoriale e quella dei distretti, anche se per certi versi effimere, hanno avuto comunque il merito di confermare l’esigenza di avere un forte organismo intermedio di programmazione e pianificazione. Nel 2007 la Regione Emilia Romagna, nell’interpretare le proprie articolazioni territoriali interne, ha adeguato le proprie tecniche analitiche interpretative alle direttive contenute nel Progetto E.S.P.O.N. del 2001, ciò ha permesso di individuare sei S.Lo.T ( Sistemi Territoriali ad alta polarizzazione urbana; Sistemi Urbani Metropolitani; Sistemi Città – Territorio; Sistemi a media polarizzazione urbana; Sistemi a bassa polarizzazione urbana; Reti di centri urbani di piccole dimensioni). Altra linea di lavoro della tesi di dottorato ha riguardato la controriprova empirica degli effettivi confini degli S.Lo.T del PTR 2007 . Dal punto di vista metodologico si è utilizzato lo strumento delle Cluster Analisys per impiegare il singolo comune come polo di partenza dei movimenti per la mia analisi, eliminare inevitabili approssimazioni introdotte dalle perimetrazioni legate agli SLL e soprattutto cogliere al meglio le sfumature dei confini amministrativi dei diversi comuni e province spesso sovrapposti fra loro. La novità è costituita dal fatto che fino al 2001 la regione aveva definito sullo stesso territorio una pluralità di ambiti intermedi non univocamente circoscritti per tutte le funzioni ma definiti secondo un criterio analitico matematico dipendente dall’attività settoriale dominante. In contemporanea col processo di rinnovamento della politica locale in atto nei principali Paesi dell’Europa Comunitaria si va delineando una significativa evoluzione per adeguare le istituzioni pubbliche che in Italia comporta l’attuazione del Titolo V della Costituzione. In tale titolo si disegna un nuovo assetto dei vari livelli Istituzionali, assumendo come criteri di riferimento la semplificazione dell’assetto amministrativo e la razionalizzazione della spesa pubblica complessiva. In questa prospettiva la dimensione provinciale parrebbe essere quella tecnicamente più idonea per il minimo livello di pianificazione territoriale decentrata ma nel contempo la provincia come ente amministrativo intermedio palesa forti carenze motivazionali in quanto l’ente storico di riferimento della pianificazione è il comune e l’ente di gestione delegato dallo stato è la regione: in generale troppo piccolo il comune per fare una programmazione di sviluppo, troppo grande la regione per cogliere gli impulsi alla crescita dei territori e delle realtà locali. Questa considerazione poi deve trovare elementi di compatibilità con la piccola dimensione territoriale delle regioni italiane se confrontate con le regioni europee ed i Laender tedeschi. L'individuazione di criteri oggettivi (funzionali e non formali) per l'individuazione/delimitazione di territori funzionali e lo scambio di prestazioni tra di essi sono la condizione necessaria per superare l'attuale natura opzionale dei processi di cooperazione interistituzionale (tra comuni, ad esempio appartenenti allo stesso territorio funzionale). A questo riguardo molto utile è l'esperienza delle associazioni, ma anche delle unioni di comuni. Le esigenze della pianificazione nel riordino delle istituzioni politico territoriali decentrate, costituiscono il punto finale della ricerca svolta, che vede confermato il livello intermedio come ottimale per la pianificazione. Tale livello è da intendere come dimensione geografica di riferimento e non come ambito di decisioni amministrative, di governance e potrebbe essere validamente gestito attraverso un’agenzia privato-pubblica dello sviluppo, alla quale affidare la formulazione del piano e la sua gestione. E perché ciò avvenga è necessario che il piano regionale formulato da organi politici autonomi, coordinati dall’attività dello stato abbia caratteri definiti e fattibilità economico concreta.