86 resultados para ANSYS, cold-formed, coperture di edifici industriali


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Per quanto riguarda le costruzioni in conglomerato cementizio armato gettato in opera, i sistemi strutturali più comunemente utilizzati sono quelli a telaio (con trasmissione di momento flettente), a setti portanti o una combinazione di entrambi. A partire dagli anni ’60, numerosissimi sono stati gli studi relativamente al comportamento sismico di strutture in c.a. a telaio. Lo stesso si può affermare per le costruzioni costituite da pareti miste a telai. In particolare, l’argomento della progettazione sismica di tali tipologie di edifici ha sempre riguardato soprattutto gli edifici alti nei quali, evidentemente, l’impiego delle pareti avveniva allo scopo di limitarne la elevata deformabilità. Il comportamento sismico di strutture realizzate interamente a pareti portanti in c.a. è stato meno studiato negli anni, nonostante si sia osservato che edifici realizzati mediante tali sistemi strutturali abbiano mostrato, in generale, pregevoli risorse di resistenza nei confronti di terremoti anche di elevata intensità. Negli ultimi 10 anni, l’ingegneria sismica si sta incentrando sull’approfondimento delle risorse di tipologie costruttive di cui si è sempre fatto largo uso in passato (tipicamente nei paesi dell’Europa continentale, in America latina, negli USA e anche in Italia), ma delle quali mancavano adeguate conoscenze scientifiche relativamente al loro comportamento in zona sismica. Tali tipologie riguardano sostanzialmente sistemi strutturali interamente costituiti da pareti portanti in c.a. per edifici di modesta altezza, usualmente utilizzati in un’edilizia caratterizzata da ridotti costi di realizzazione (fabbricati per abitazioni civili e/o uffici). Obiettivo “generale” del lavoro di ricerca qui presentato è lo studio del comportamento sismico di strutture realizzate interamente a setti portanti in c.a. e di modesta altezza (edilizia caratterizzata da ridotti costi di realizzazione). In particolare, le pareti che si intendono qui studiare sono caratterizzate da basse percentuali geometriche di armatura e sono realizzate secondo la tecnologia del cassero a perdere. A conoscenza dello scrivente, non sono mai stati realizzati, fino ad oggi, studi sperimentali ed analitici allo scopo di determinare il comportamento sismico di tali sistemi strutturali, mentre è ben noto il loro comportamento statico. In dettaglio, questo lavoro di ricerca ha il duplice scopo di: • ottenere un sistema strutturale caratterizzato da elevate prestazioni sismiche; • mettere a punto strumenti applicativi (congruenti e compatibili con le vigenti normative e dunque immediatamente utilizzabili dai progettisti) per la progettazione sismica dei pannelli portanti in c.a. oggetto del presente studio. Al fine di studiare il comportamento sismico e di individuare gli strumenti pratici per la progettazione, la ricerca è stata organizzata come segue: • identificazione delle caratteristiche delle strutture studiate, mediante lo sviluppo/specializzazione di opportune formulazioni analitiche; • progettazione, supervisione, ed interpretazione di una estesa campagna di prove sperimentali eseguita su pareti portanti in c.a. in vera grandezza, al fine di verificarne l’efficace comportamento sotto carico ciclico; • sviluppo di semplici indicazioni (regole) progettuali relativamente alle strutture a pareti in c.a. studiate, al fine di ottenere le caratteristiche prestazionali desiderate. I risultati delle prove sperimentali hanno mostrato di essere in accordo con le previsioni analitiche, a conferma della validità degli strumenti di predizione del comportamento di tali pannelli. Le elevatissime prestazioni riscontrate sia in termini di resistenza che in termini di duttilità hanno evidenziato come le strutture studiate, così messe a punto, abbiano manifestato un comportamento sismico più che soddisfacente.

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La recente Direttiva 31/2010 dell’Unione Europea impone agli stati membri di riorganizzare il quadro legislativo nazionale in materia di prestazione energetica degli edifici, affinchè tutte le nuove costruzioni presentino dal 1° gennaio 2021 un bilancio energetico tendente allo zero; termine peraltro anticipato al 1° gennaio 2019 per gli edifici pubblici. La concezione di edifici a energia “quasi” zero (nZEB) parte dal presupposto di un involucro energeticamente di standard passivo per arrivare a compensare, attraverso la produzione preferibilmente in sito di energia da fonti rinnovabili, gli esigui consumi richiesti su base annuale. In quest’ottica la riconsiderazione delle potenzialità dell’architettura solare individua degli strumenti concreti e delle valide metodologie per supportare la progettazione di involucri sempre più performanti che sfruttino pienamente una risorsa inesauribile, diffusa e alla portata di tutti come quella solare. Tutto ciò in considerazione anche della non più procrastinabile necessità di ridurre il carico energetico imputabile agli edifici, responsabili come noto di oltre il 40% dei consumi mondiali e del 24% delle emissioni di gas climalteranti. Secondo queste premesse la ricerca pone come centrale il tema dell’integrazione dei sistemi di guadagno termico, cosiddetti passivi, e di produzione energetica, cosiddetti attivi, da fonte solare nell’involucro architettonico. Il percorso sia analitico che operativo effettuato si è posto la finalità di fornire degli strumenti metodologici e pratici al progetto dell’architettura, bisognoso di un nuovo approccio integrato mirato al raggiungimento degli obiettivi di risparmio energetico. Attraverso una ricognizione generale del concetto di architettura solare e dei presupposti teorici e terminologici che stanno alla base della stessa, la ricerca ha prefigurato tre tipologie di esito finale: una codificazione delle morfologie ricorrenti nelle realizzazioni solari, un’analisi comparata del rendimento solare nelle principali aggregazioni tipologiche edilizie e una parte importante di verifica progettuale dove sono stati applicati gli assunti delle categorie precedenti

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A multidisciplinary study was carried out on the Late Quaternary-Holocene subsurface deposits of two Mediterranean coastal areas: Arno coastal plain (Northern Tyrrhenian Sea) and Modern Po Delta (Northern Adriatic Sea). Detailed facies analyses, including sedimentological and micropalaeontological (benthic foraminifers and ostracods) investigations, were performed on nine continuously-cored boreholes of variable depth (ca. from 30 meters to100 meters). Six cores were located in the Arno coastal plain and three cores in the Modern Po Delta. To provide an accurate chronological framework, twenty-four organic-rich samples were collected along the fossil successions for radiocarbon dating (AMS 14C). In order to reconstruct the depositional and palaeoenvironmental evolution of the study areas, core data were combined with selected well logs, provided by local companies, along several stratigraphic sections. These sections revealed the presence of a transgressive-regressive (T-R) sequence, composing of continental, coastal and shallow-marine deposits dated to the Late Pleistocene-Holocene period, beneath the Arno coastal plain and the Modern Po Delta. Above the alluvial deposits attributed to the last glacial period, the post-glacial transgressive succession (TST) consists of back-barrier, transgressive barrier and inner shelf deposits. Peak of transgression (MFS) took place around the Late-Middle Holocene transition and was identified by subtle micropalaeontological indicators within undifferentiated fine-grained deposits. Upward a thick prograding succession (HST) records the turnaround to regressive conditions that led to a rapid delta progradation in both study areas. Particularly, the outbuilding of modern-age Po Delta coincides with mud-belt formation during the late HST (ca. 600 cal yr BP), as evidenced by a fossil microfauna similar to the foraminiferal assemblage observed in the present Northern Adriatic mud-belt. A complex interaction between allocyclic and autocyclic factors controlled facies evolution during the highstand period. The presence of local parameters and the absence of a predominant factor prevent from discerning or quantifying consequences of the complex relationships between climate and deltaic evolution. On the contrary transgressive sedimentation seems to be mainly controlled by two allocyclic key factors, sea-level rise and climate variability, that minimized the effects of local parameters on coastal palaeoenvironments. TST depositional architecture recorded in both study areas reflects a well-known millennial-scale variability of sea-level rising trend and climate during the Late glacial-Holocene period. Repeated phases of backswamp development and infilling by crevasse processes (parasequences) were recorded in the subsurface of Modern Po Delta during the early stages of transgression (ca. 11,000-9,500 cal yr BP). In the Arno coastal plain the presence of a deep-incised valley system, probably formed at OSI 3/2 transition, led to the development of a thick (ca. 35-40 m) transgressive succession composed of coastal plain, bay-head delta and estuarine deposits dated to the Last glacial-Early Holocene period. Within the transgressive valley fill sequence, high-resolution facies analyses allowed the identification and lateral tracing of three parasequences of millennial duration. The parasequences, ca. 8-12 meters thick, are bounded by flooding surfaces and show a typical internal shallowing-upward trend evidenced by subtle micropalaeontological investigations. The vertical stacking pattern of parasequences shows a close affinity with the step-like sea-level rising trend occurred between 14,000-8,000 cal years BP. Episodes of rapid sea-level rise and subsequent stillstand phases were paralleled by changes in climatic conditions, as suggested by pollen analyses performed on a core drilled in the proximal section of the Arno palaeovalley (pollen analyses performed by Dr. Marianna Ricci Lucchi). Rapid shifts to warmer climate conditions accompanied episodes of rapid sea-level rise, in contrast stillstand phases occurred during temporary colder climate conditions. For the first time the palaeoclimatic signature of high frequency depositional cycles is clearly documented. Moreover, two of the three "regressive" pulsations, recorded at the top of parasequences by episodes of partial estuary infilling in the proximal and central portions of Arno palaeovalley, may be correlated with the most important cold events of the post-glacial period: Younger Dryas and 8,200 cal yr BP event. The stratigraphic and palaeoclimatic data of Arno coastal plain and Po Delta were compared with those reported for the most important deltaic and coastal systems in the worldwide literature. The depositional architecture of transgressive successions reflects the strong influence of millennial-scale eustatic and climatic variability on worldwide coastal sedimentation during the Late glacial-Holocene period (ca. 14,000-7,000 cal yr BP). The most complete and accurate record of high-frequency eustatic and climatic events are usually found within the transgressive succession of very high accommodation settings, such as incised-valley systems where exceptionally thick packages of Late glacial-Early Holocene deposits are preserved.

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Il rapido progresso della tecnologia, lo sviluppo di prodotti altamente sofisticati, la forte competizione globale e l’aumento delle aspettative dei clienti hanno messo nuove pressioni sui produttori per garantire la commercializzazione di beni caratterizzati da una qualità sempre crescente. Sono gli stessi clienti che da anni si aspettano di trovare sul mercato prodotti contraddistinti da un livello estremo di affidabilità e sicurezza. Tutti siamo consapevoli della necessità per un prodotto di essere quanto più sicuro ed affidabile possibile; ma, nonostante siano passati oramai 30 anni di studi e ricerche, quando cerchiamo di quantificare ingegneristicamente queste caratteristiche riconducibili genericamente al termine qualità, oppure quando vogliamo provare a calcolare i benefici concreti che l’attenzione a questi fattori quali affidabilità e sicurezza producono su un business, allora le discordanze restano forti. E le discordanze restano evidenti anche quando si tratta di definire quali siano gli “strumenti più idonei” da utilizzare per migliorare l’affidabilità e la sicurezza di un prodotto o processo. Sebbene lo stato dell’arte internazionale proponga un numero significativo di metodologie per il miglioramento della qualità, tutte in continuo perfezionamento, tuttavia molti di questi strumenti della “Total Quality” non sono concretamente applicabili nella maggior parte delle realtà industriale da noi incontrate. La non applicabilità di queste tecniche non riguarda solo la dimensione più limitata delle aziende italiane rispetto a quelle americane e giapponesi dove sono nati e stati sviluppati questi strumenti, oppure alla poca possibilità di effettuare investimenti massicci in R&D, ma è collegata anche alla difficoltà che una azienda italiana avrebbe di sfruttare opportunamente i risultati sui propri territori e propri mercati. Questo lavoro si propone di sviluppare una metodologia semplice e organica per stimare i livelli di affidabilità e di sicurezza raggiunti dai sistemi produttivi e dai prodotti industriali. Si pone inoltre di andare al di là del semplice sviluppo di una metodologia teorica, per quanto rigorosa e completa, ma di applicare in forma integrata alcuni dei suoi strumenti a casi concreti di elevata valenza industriale. Questa metodologia come anche, più in generale, tutti gli strumenti di miglioramento di affidabilità qui presentati, interessano potenzialmente una vasta gamma di campi produttivi, ma si prestano con particolare efficacia in quei settori dove coesistono elevate produzioni e fortissime esigenze qualitative dei prodotti. Di conseguenza, per la validazione ed applicazione ci si è rivolti al settore dell’automotive, che da sempre risulta particolarmente sensibile ai problemi di miglioramento di affidabilità e sicurezza. Questa scelta ha portato a conclusioni la cui validità va al didi valori puramente tecnici, per toccare aspetti non secondari di “spendibilità” sul mercato dei risultati ed ha investito aziende di primissimo piano sul panorama industriale italiano.

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In the present work qualitative aspects of products that fall outside the classic Italian of food production view will be investigated, except for the apricot, a fruit, however, less studied by the methods considered here. The development of computer systems and the advanced software systems dedicated for statistical processing of data, has permitted the application of advanced technologies including the analysis of niche products. The near-infrared spectroscopic analysis was applied to the chemical industry for over twenty years and, subsequently, was applied in food industry with great success for non-destructive in line and off-line analysis. The work that will be presented below range from the use of spectroscopy for the determination of some rheological indices of ice cream applications to the characterization of the main quality indices of apricots, fresh dates, determination of the production areas of pistachio. Next to the spectroscopy will be illustrated different methods of multivariate analysis for spectra interpretation or for the construction of qualitative models of estimation. The thesis is divided into four separate studies that consider the same number of products. Each one of it is introduced by its own premise and ended with its own bibliography. This studies are preceded by a general discussion on the state of art and the basics of NIR spectroscopy.

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L’unione di approcci differenti durante lo studio dei sistemi petroliferi, come l’accoppiamento dello studio delle emissioni in superficie con le analisi geochimiche e strutturali, è un aspetto principale nelle strategie di sviluppo per la ricerca degli idrocarburi. La presenza di acqua connata nelle sequenze sedimentarie profonde e la sua sovrappressione che viene generata dalle spesse coperture sedimentarie, incrementata inoltre dalla generazione di idrocarburi in profondità, sono fattori di controllo primari per la migrazione e l’emissione di fluidi in superficie. I risultati ottenuti da questo studio forniscono nuovi elementi per la comprensione del ruolo dello studio dei vulcani di fango nell’esplorazione petrolifera, e nuove importanti prove per la caratterizzazione dei sistemi petroliferi nelle aree considerate.

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Il presente studio si colloca all’interno di una ricerca più ampia volta alla definizione di criteri progettuali finalizzati all’ottimizzazione delle prestazioni energetiche delle cantine di aziende vitivinicole, di dimensioni produttive medio - piccole. Nello specifico la ricerca riguarda la riqualificazione di fabbricati rurali esistenti di modeste dimensioni, da convertire a magazzini per la conservazione del vino in bottiglia. Lo studio si pone come obiettivo la definizione di criteri di analisi per la valutazione di interventi di retrofit di tali fabbricati, volto sia al miglioramento delle prestazioni energetiche dell’involucro edilizio, sia alla riduzione del fabbisogno energetico legato al funzionamento di eventuali impianti di controllo termico. La ricerca è stata condotta mediante l’utilizzo del software di simulazione termica Energy Plus, per ottenere i valori simulati di temperatura interna relativi ai diversi scenari migliorativi ipotizzati, e mediante la successiva definizione di indicatori che esplicitino l’influenza delle principali variabili progettuali sull’andamento delle temperature interne dei locali di conservazione e sul fabbisogno energetico del fabbricato necessario a garantire l’intervallo di temperatura di comfort del vino. Tra tutti gli interventi possibili per il miglioramento della prestazione energetica degli edifici, quelli analizzati in questo studio prevedono l’aggiunta di un isolamento a cappotto delle pareti esterne, l’isolamento della copertura e l’aggiunta di una struttura ombreggiante vegetale esterna. I risultati ottenuti danno una prima indicazione sugli interventi più efficaci in termini di miglioramento energetico e mettono in luce l’utilità del criterio proposto nell’evidenziare le criticità degli interventi migliorativi ipotizzati. Il metodo definito nella presente ricerca risulta quindi un valido strumento di valutazione a supporto della progettazione degli interventi di retrofit dei fabbricati rurali da convertire a magazzini per la conservazione del vino.

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Una breve introduzione sulla storia del mosaico: dalle origine alle sue evoluzione tipologiche e tecnologiche nel tempo, di come si organizzavano le antiche botteghe del mosaico e le suddivisione dei compiti tra il pictor imaginarius, pictor parietarius e il musivarius (la gerarchia) all’interno di essi; la tecniche esecutiva per la messa in opera dei mosaici pavimentali romani. Visto che i mosaici si trovano a Suasa, quindi è stata riassunta la storia della città romana di Suasa con le sua varie fase edilizie, con maggior approfondimenti per gli edifici che presentano pavimentazione a mosaico: in primo luogo è la domus dei Coiedii contenente più di diciotto pavimenti in opus tessellatum. Il secondo è quello del così detto Edificio 4 (ancora inedito e di incerta natura e destinazione) portato in luce solo parzialmente con due settore a mosaico. Successivamente è stato effettuato in maniera dettagliata lo studio dello stato di conservazione dei vani musivi che sono state oggetto in senso stretto dei varie interventi conservativi, sia nella domus dei Coiedii (vano AU, oecus G e vano BB) che in Edificio 4 (vano A e vano D), evidenziando così le diverse morfologie di degrado in base “Normativa UNI 11176/2006 con l’aiuto della documentazione grafica ed fotografica. Un ampio e complessivo studio archeometrico-tecnologico dei materiali impiegati per la realizzazione dei musaici a Suasa (tessere e malte) presso i laboratori del CNR di Faenza.. Sono stati prelevati complessivamente 90 campione da tredici vani musivi di Suasa, di cui 28 campione di malte, comprese tra allettamento e di sottofondo,42 tessere lapidee e 20 tessere vitree; questi ultimi appartengono a sette vani della domus. Durante l’operazione del prelevo, è stato presso in considerazione le varie tipologie dei materiali musivi, la cromia ed le morfologie di degrado che erano presente. Tale studio ha lo scopo di individuare la composizione chimico-mineropetrografico, le caratteristiche tessiturali dei materiali e fornire precisa informazione sia per fine archeometrici in senso stretto (tecnologie di produzione, provenienza, datazione ecc.), che come supporto ai interventi di conservazione e restauro. Infine si è potuto costruire una vasta banca dati analitici per i materiali musivi di Suasa, che può essere consultata, aggiornata e confrontata in futuro con altri materiali proveniente dalla stessa province e/o regione. Applicazione dei interventi conservativi: di manutenzione, pronto intervento e di restauro eseguiti sui vani mosaicati di Suasa che presentavano un pessimo stato di conservazione e necessitavano l’intervento conservativo, con la documentazione grafica e fotografica dei varie fase dell’intervento. In particolare lo studio dei pregiatissimi materiali marmorei impiegati per la realizzazione dell’opus sectile centrale (sala G) nella domus dei Coiedii, ha portato alla classificazione e alla schedatura di sedici tipi di marmi impiegati; studio esteso poi al tessellato che lo circonda: studio del andamento, tipologie dei materiali, dei colore, dimensione delle tessere, interstizio ecc., ha permesso con l’utilizzo delle tavole tematiche di ottenere una chiara lettura per l’intero tessellato, di evidenziare così, tutti gli interventi antiche e moderni di risarciture, eseguiti dal II sec. d.C. fio ad oggi. L’aspetto didattico (teorico e pratico) ha accompagnato tutto il lavoro di ricerca Il lavoro si qualifica in conclusione come un esempio assai significativo di ricerca storicoiconografiche e archeometriche, con risultati rilevanti sulle tecnologie antiche e sui criteri di conservazione più idonei.

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In this Thesis, we investigate the cosmological co-evolution of supermassive black holes (BHs), Active Galactic Nuclei (AGN) and their hosting dark matter (DM) halos and galaxies, within the standard CDM scenario. We analyze both analytic, semi-analytic and hybrid techniques and use the most recent observational data available to constrain the assumptions underlying our models. First, we focus on very simple analytic models where the assembly of BHs is directly related to the merger history of DM haloes. For this purpose, we implement the two original analytic models of Wyithe & Loeb 2002 and Wyithe & Loeb 2003, compare their predictions to the AGN luminosity function and clustering data, and discuss possible modifications to the models that improve the match to the observation. Then we study more sophisticated semi-analytic models in which however the baryonic physics is neglected as well. Finally we improve the hybrid simulation of De Lucia & Blaizot 2007, adding new semi-analytical prescriptions to describe the BH mass accretion rate during each merger event and its conversion into radiation, and compare the derived BH scaling relations, fundamental plane and mass function, and the AGN luminosity function with observations. All our results support the following scenario: • The cosmological co-evolution of BHs, AGN and galaxies can be well described within the CDM model. • At redshifts z & 1, the evolution history of DM halo fully determines the overall properties of the BH and AGN populations. The AGN emission is triggered mainly by DM halo major mergers and, on average, AGN shine at their Eddington luminosity. • At redshifts z . 1, BH growth decouples from halo growth. Galaxy major mergers cannot constitute the only trigger to accretion episodes in this phase. • When a static hot halo has formed around a galaxy, a fraction of the hot gas continuously accretes onto the central BH, causing a low-energy “radio” activity at the galactic centre, which prevents significant gas cooling and thus limiting the mass of the central galaxies and quenching the star formation at late time. • The cold gas fraction accreted by BHs at high redshifts seems to be larger than at low redshifts.

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La ricerca oggetto di questa tesi, come si evince dal titolo stesso, è volta alla riduzione dei consumi per vetture a forte carattere sportivo ed elevate prestazioni specifiche. In particolare, tutte le attività descritte fanno riferimento ad un ben definito modello di vettura, ovvero la Maserati Quattroporte. Lo scenario all’interno del quale questo lavoro si inquadra, è quello di una forte spinta alla riduzione dei cosiddetti gas serra, ossia dell’anidride carbonica, in linea con quelle che sono le disposizioni dettate dal protocollo di Kyoto. La necessità di ridurre l’immissione in atmosfera di CO2 sta condizionando tutti i settori della società: dal riscaldamento degli edifici privati a quello degli stabilimenti industriali, dalla generazione di energia ai processi produttivi in senso lato. Nell’ambito di questo panorama, chiaramente, sono chiamati ad uno sforzo considerevole i costruttori di automobili, alle quali è imputata una percentuale considerevole dell’anidride carbonica prodotta ogni giorno e riversata nell’atmosfera. Al delicato problema inquinamento ne va aggiunto uno forse ancor più contingente e diretto, legato a ragioni di carattere economico. I combustibili fossili, come tutti sanno, sono una fonte di energia non rinnovabile, la cui disponibilità è legata a giacimenti situati in opportune zone del pianeta e non inesauribili. Per di più, la situazione socio politica che il medio oriente sta affrontando, unita alla crescente domanda da parte di quei paesi in cui il processo di industrializzazione è partito da poco a ritmi vertiginosi, hanno letteralmente fatto lievitare il prezzo del petrolio. A causa di ciò, avere una vettura efficiente in senso lato e, quindi, a ridotti consumi, è a tutti gli effetti un contenuto di prodotto apprezzato dal punto di vista del marketing, anche per i segmenti vettura più alti. Nell’ambito di questa ricerca il problema dei consumi è stato affrontato come una conseguenza del comportamento globale della vettura in termini di efficienza, valutando il miglior compromesso fra le diverse aree funzionali costituenti il veicolo. Una parte consistente del lavoro è stata dedicata alla messa a punto di un modello di calcolo, attraverso il quale eseguire una serie di analisi di sensibilità sull’influenza dei diversi parametri vettura sul consumo complessivo di carburante. Sulla base di tali indicazioni, è stata proposta una modifica dei rapporti del cambio elettro-attuato con lo scopo di ottimizzare il compromesso tra consumi e prestazioni, senza inficiare considerevolmente queste ultime. La soluzione proposta è stata effettivamente realizzata e provata su vettura, dando la possibilità di verificare i risultati ed operare un’approfondita attività di correlazione del modello di calcolo per i consumi. Il beneficio ottenuto in termini di autonomia è stato decisamente significativo con riferimento sia ai cicli di omologazione europei, che a quelli statunitensi. Sono state inoltre analizzate le ripercussioni dal punto di vista delle prestazioni ed anche in questo caso i numerosi dati rilevati hanno permesso di migliorare il livello di correlazione del modello di simulazione per le prestazioni. La vettura con la nuova rapportatura proposta è stata poi confrontata con un prototipo di Maserati Quattroporte avente cambio automatico e convertitore di coppia. Questa ulteriore attività ha permesso di valutare il differente comportamento tra le due soluzioni, sia in termini di consumo istantaneo, che di consumo complessivo rilevato durante le principali missioni su banco a rulli previste dalle normative. L’ultima sezione del lavoro è stata dedicata alla valutazione dell’efficienza energetica del sistema vettura, intesa come resistenza all’avanzamento incontrata durante il moto ad una determinata velocità. Sono state indagate sperimentalmente le curve di “coast down” della Quattroporte e di alcune concorrenti e sono stati proposti degli interventi volti alla riduzione del coefficiente di penetrazione aerodinamica, pur con il vincolo di non alterare lo stile vettura.

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Self-organisation is increasingly being regarded as an effective approach to tackle modern systems complexity. The self-organisation approach allows the development of systems exhibiting complex dynamics and adapting to environmental perturbations without requiring a complete knowledge of the future surrounding conditions. However, the development of self-organising systems (SOS) is driven by different principles with respect to traditional software engineering. For instance, engineers typically design systems combining smaller elements where the composition rules depend on the reference paradigm, but typically produce predictable results. Conversely, SOS display non-linear dynamics, which can hardly be captured by deterministic models, and, although robust with respect to external perturbations, are quite sensitive to changes on inner working parameters. In this thesis, we describe methodological aspects concerning the early-design stage of SOS built relying on the Multiagent paradigm: in particular, we refer to the A&A metamodel, where MAS are composed by agents and artefacts, i.e. environmental resources. Then, we describe an architectural pattern that has been extracted from a recurrent solution in designing self-organising systems: this pattern is based on a MAS environment formed by artefacts, modelling non-proactive resources, and environmental agents acting on artefacts so as to enable self-organising mechanisms. In this context, we propose a scientific approach for the early design stage of the engineering of self-organising systems: the process is an iterative one and each cycle is articulated in four stages, modelling, simulation, formal verification, and tuning. During the modelling phase we mainly rely on the existence of a self-organising strategy observed in Nature and, hopefully encoded as a design pattern. Simulations of an abstract system model are used to drive design choices until the required quality properties are obtained, thus providing guarantees that the subsequent design steps would lead to a correct implementation. However, system analysis exclusively based on simulation results does not provide sound guarantees for the engineering of complex systems: to this purpose, we envision the application of formal verification techniques, specifically model checking, in order to exactly characterise the system behaviours. During the tuning stage parameters are tweaked in order to meet the target global dynamics and feasibility constraints. In order to evaluate the methodology, we analysed several systems: in this thesis, we only describe three of them, i.e. the most representative ones for each of the three years of PhD course. We analyse each case study using the presented method, and describe the exploited formal tools and techniques.

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Low-pressure/high-temperature (LP/HT) metamorphic belts are characterised by rocks that experienced abnormal heat flow in shallow crustal levels (T > 600 °C; P < 4 kbar) resulting in anomalous geothermal gradients (60-150 °C/km). The abnormal amount of heat has been related to crustal underplating of mantle-derived basic magmas or to thermal perturbation linked to intrusion of large volumes of granitoids in the intermediate crust. In particular, in this latter context, magmatic or aqueous fluids are able to transport relevant amounts of heat by advection, thus favouring regional LP/HT metamorphism. However, the thermal perturbation consequent to heat released by cooling magmas is responsible also for contact metamorphic effects. A first problem is that time and space relationships between regional LP/HT metamorphism and contact metamorphism are usually unclear. A second problem is related to the high temperature conditions reached at different crustal levels. These, in some cases, can completely erase the previous metamorphic history. Notwithstanding this problem is very marked in lower crustal levels, petrologic and geochronologic studies usually concentrate in these attractive portions of the crust. However, only in the intermediate/upper-crustal levels of a LP/HT metamorphic belt the tectono-metamorphic events preceding the temperature peak, usually not preserved in the lower crustal portions, can be readily unravelled. The Hercynian Orogen of Western Europe is a well-documented example of a continental collision zone with widespread LP/HT metamorphism, intense crustal anatexis and granite magmatism. Owing to the exposure of a nearly continuous cross-section of the Hercynian continental crust, the Sila massif (northern Calabria) represents a favourable area to understand large-scale relationships between granitoids and LP/HT metamorphic rocks, and to discriminate regional LP/HT metamorphic events from contact metamorphic effects. Granulite-facies rocks of the lower crust and greenschist- to amphibolite-facies rocks of the intermediate-upper crust are separated by granitoids emplaced into the intermediate level during the late stages of the Hercynian orogeny. Up to now, advanced petrologic studies have been focused mostly in understanding P-T evolution of deeper crustal levels and magmatic bodies, whereas the metamorphic history of the shallower crustal levels is poorly constrained. The Hercynian upper crust exposed in Sila has been subdivided in two different metamorphic complexes by previous authors: the low- to very low-grade Bocchigliero complex and the greenschist- to amphibolite-facies Mandatoriccio complex. The latter contains favourable mineral assemblages in order to unravel the tectono-metamorphic evolution of the Hercynian upper crust. The Mandatoriccio complex consists mainly of metapelites, meta-arenites, acid metavolcanites and metabasites with rare intercalations of marbles and orthogneisses. Siliciclastic metasediments show a static porphyroblastic growth mainly of biotite, garnet, andalusite, staurolite and muscovite, whereas cordierite and fibrolite are less common. U-Pb ages and internal features of zircons suggest that the protoliths of the Mandatoriccio complex formed in a sedimentary basin filled by Cambrian to Silurian magmatic products as well as by siliciclastic sediments derived from older igneous and metamorphic rocks. In some localities, metamorphic rocks are injected by numerous aplite/pegmatite veins. Small granite bodies are also present and are always associated to spotted schists with large porphyroblasts. They occur along a NW-SE trending transcurrent cataclastic fault zone, which represents the tectonic contact between the Bocchigliero and the Mandatoriccio complexes. This cataclastic fault zone shows evidence of activity at least from middle-Miocene to Recent, indicating that brittle deformation post-dated the Hercynian orogeny. P-T pseudosections show that micaschists and paragneisses of the Mandatoriccio complex followed a clockwise P-T path characterised by four main prograde phases: thickening, peak-pressure condition, decompression and peak-temperature condition. During the thickening phase, garnet blastesis started up with spessartine-rich syntectonic core developed within micaschists and paragneisses. Coevally (340 ± 9.6 Ma), mafic sills and dykes injected the upper crustal volcaniclastic sedimentary sequence of the Mandatoriccio complex. After reaching the peak-pressure condition (≈4 kbar), the upper crust experienced a period of deformation quiescence marked by the static overgrowths of S2 by Almandine-rich-garnet rims and by porphyroblasts of biotite and staurolite. Probably, this metamorphic phase is related to isotherms relaxation after the thickening episode recorder by the Rb/Sr isotopic system (326 ± 6 Ma isochron age). The post-collisional period was mainly characterised by decompression with increasing temperature. This stage is documented by the andalusite+biotite coronas overgrown on staurolite porphyroblasts and represents a critical point of the metamorphic history, since metamorphic rocks begin to record a significant thermal perturbation. Peak-temperature conditions (≈620 °C) were reached at the end of this stage. They are well constrained by some reaction textures and mineral assemblages observed almost exclusively within paragneisses. The later appearance of fibrolitic sillimanite documents a small excursion of the P-T path across the And-Sil boundary due to the heating. Stephanian U-Pb ages of monazite crystals from the paragneiss, can be related to this heating phase. Similar monazite U-Pb ages from the micaschist combined with the lack of fibrolitic sillimanite suggest that, during the same thermal perturbation, micaschists recorded temperatures slightly lower than those reached by paragneisses. The metamorphic history ended with the crystallisation of cordierite mainly at the expense of andalusite. Consequently, the Ms+Bt+St+And+Sill+Crd mineral assemblage observed in the paragneisses is the result of a polyphasic evolution and is characterised by the metastable persistence of the staurolite in the stability fields of the cordierite. Geologic, geochronologic and petrographic data suggest that the thermal peak recorded by the intermediate/upper crust could be strictly connected with the emplacement of large amounts of granitoid magmas in the middle crust. Probably, the lithospheric extension in the relatively heated crust favoured ascent and emplacement of granitoids and further exhumation of metamorphic rocks. After a comparison among the tectono-metamorphic evolutions of the different Hercynian crustal levels exposed in Sila, it is concluded that the intermediate/upper crustal level offers the possibility to reconstruct a more detailed tectono-metamorphic history. The P-T paths proposed for the lower crustal levels probably underestimate the amount of the decompression. Apart from these considerations, the comparative analysis indicates that P-T paths at various crustal levels in the Sila cross section are well compatible with a unique geologic scenario, characterized by post-collisional extensional tectonics and magmas ascent.