257 resultados para Studio Ghibli
Resumo:
Oltre alla progressiva perdita dei linfociti T CD4, i pazienti HIV-infetti presentano diverse citopenie periferiche. In particolare l’anemia si riscontra nel 10% dei pazienti asintomatici e nel 92% di quelli con AIDS e la terapia cART non è in grado di risolvere tale problematica. I meccanismi patogenetici alla base di questa citopenia si ritiene che possano riguardare la deregolazione citochinica, il danno alle HPCs, alle cellule in differenziamento e alle cellule stromali. Le cellule progenitrici ematopoietiche CD34+, dopo essere state separate da sangue cordonale e differenziate verso la linea eritroide, sono state trattate con HIV-1 attivo, inattivato al calore e gp120. In prima istanza è stata messa in luce la mancata suscettibilità all’infezione e l’aumento dell’ apoptosi dovuto al legame gp120-CD4/CXCR4 e mediato dal TGF-β1 nelle cellule progenitrici indifferenziate. L’aspetto innovativo di questo studio però si evidenzia esaminando l’effetto di gp120 durante il differenziamento verso la filiera eritrocitaria. Sono stati utilizzati due protocolli sperimentali: nel primo le cellule sono inizialmente trattate per 24 ore con gp120 (o con HIV-1 inattivato al calore) e poi indotte in differenziamento, nel secondo vengono prima differenziate e poi trattate con gp120. Il “priming” negativo determina una apoptosi gp120-indotta molto marcata già dopo 48 ore dal trattamento ed una riduzione del differenziamento. Se tali cellule vengono invece prima differenziate per 24 ore e poi trattate con gp120, nei primi 5 giorni dal trattamento, è presente un aumento di proliferazione e differenziamento, a cui segue un brusco arresto che culmina con una apoptosi molto marcata (anch’essa dipendente dal legame gp120-CD4 e CXCR4 e TGF-β1 dipendente) e con una drastica riduzione del differenziamento. L’insieme dei risultati ha permesso di definire in modo consistente la complessità della genesi dell’anemia in questi pazienti e di poter suggerire nuovi target terapeutici in questi soggetti, già sottoposti a cART.
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Il temperamento può essere definito come l’attitudine che un cane esprime verso le persone e verso altri animali, la combinazione di tratti fisici e mentali, acquisiti e non, che determinano il comportamento del cane. Tale parametro delinea perciò il carattere di un individuo, inclinazioni e tendenze, eccitabilità, tristezza, rabbia e il modo caratteristico di comportarsi di un individuo, con particolare riferimento alle interazioni sociali. La presente tesi di Dottorato rappresenta uno studio su alcuni tratti del temperamento nel cane domestico elaborato in 3 progetti sperimentali. Nei primi due progetti sono state analizzate le differenze attitudinali tra alcune razze canine attraverso l’applicazione di un test di temperamento in cuccioli di 60 giorni e in cani adulti, per valutare e confrontarne il temperamento, la socialità ed identificare profili tipici di razza. Nel terzo progetto un campione di cani morsicatori di canile e di proprietà è stato confrontato con due rispettivi gruppi di controllo. Analizzando i risultati è stato possibile mettere in evidenza caratteristiche di razza omogenee nell’interazione con stimoli inanimati, nelle interazioni sociali e in relazione alla possessività e sono stati delineati profili di razza sia nei cuccioli sia negli adulti. Si sono tuttavia, osservate variabilità individuali, intra-razza e intra-cucciolata, a testimonianza dell’influenza complessa e multifattoriale delle componenti genetica e ambientale sul comportamento dei cani. Il confronto tra cani morsicatori di canile e di proprietà ha messo in luce interessanti differenze tra i soggetti in termini di reattività, socievolezza, propensione all’interazione con il proprietario o con un estraneo, comportamenti di evitamento e velocità di reazione agli stimoli presentati. Il test applicato è risultato un valido strumento per valutare il temperamento di cani dichiarati aggressivi che sono stati sottoposti a situazioni nuove e a stimoli sconosciuti per poter ottenere una migliore visione d’insieme del temperamento del soggetto.
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Il percorso sui Frammenti di Erodoto è cronologico. L'introduzione presenta criteri di lavoro, un esempio di studio sul Proemio delle Storie e la struttura generale. Per ogni momento è preso in considerazione un fenomeno particolare con un esempio. Il primo caso è contemporaneo ad Erodoto. Si tratta di un test che riguarda la criticità di alcuni concetti chiave tradizionali: intertestualità e riferimenti letterali. Il secondo capitolo è uno studio sulla storiografica di IV secolo a.C., periodo di fioritura e determinazione delle norme del genere. Qui si mettono in luce la criticità dei frammenti multipli aprendo in questo modo ampie possibilità di ricerca. Il capitolo successivo, sulla tradizione papiracea mostra il passaggio storico tra la tradizione indiretta a la tradizione manoscritta e permette uno sguardo all'epoca alessandrina. Include un catalogo ed alcuni aggiornamenti. Il capitolo quinto pone invece problemi tradizionali di trasmissione delle tradizioni storiche affrontando lo studio di FGrHist 104, testo che permette di osservare passaggi della storiografia di quinto e quarto secolo avanti Cristo. I due capitoli sulle immagini e sul Rinascimento, paralleli per quanto riguarda i riferimenti cronologici, offrono un ponte per passare dal discorso storiografico a quello in cui la consapevolezza di Erodoto è già maturata come parte della ”cultura”. Alto Medioevo, Umanesimo e Rinascimento offrono spazio a storie delle Storie che iniziano ad essere quasi di ricezione di Erodoto. Questo tema è l'oggetto dei due capitoli finali, studi legati alla presenza o assenza di Erodoto in discipline e pensieri moderni e contemporanei: il pensiero di genere e l’analisi conversazionale. Le appendici completano soprattutto il capitolo su Aristodemo con uno studio sul codice che lo trasmette, il papiro P.Oxy 2469 e il testo stesso, con traduzione e commento storico. Il lavoro si completa con una premessa, una bibliografia strutturata e indici di persone e passi citati.
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OBIETTIVI: Per esplorare il contributo dei fattori di rischio biomeccanico, ripetitività (hand activity level – HAL) e forza manuale (peak force - PF), nell’insorgenza della sindrome del tunnel carpale (STC), abbiamo studiato un’ampia coorte di lavoratori dell’industria, utilizzando come riferimento il valore limite di soglia (TLV©) dell’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH). METODI: La coorte è stata osservata dal 2000 al 2011. Abbiamo classificato l’esposizione professionale rispetto al limite di azione (AL) e al TLV dell’ACGIH in: “accettabile” (sotto AL), “intermedia” (tra AL e TLV) e “inaccettabile” (sopra TLV). Abbiamo considerato due definizioni di caso: 1) sintomi di STC; 2) sintomi e positività allo studio di conduzione nervosa (SCN). Abbiamo applicato modelli di regressione di Poisson aggiustati per sesso, età, indice di massa corporea e presenza di patologie predisponenti la malattia. RISULTATI: Nell’intera coorte (1710 lavoratori) abbiamo trovato un tasso di incidenza (IR) di sintomi di STC di 4.1 per 100 anni-persona; un IR di STC confermata dallo SCN di 1.3 per 100 anni-persona. Gli esposti “sopra TLV” presentano un rischio di sviluppare sintomi di STC di 1.76 rispetto agli esposti “sotto AL”. Un andamento simile è emerso per la seconda definizione di caso [incidence rate ratios (IRR) “sopra TLV”, 1.37 (intervallo di confidenza al 95% (IC95%) 0.84–2.23)]. Gli esposti a “carico intermedio” risultano a maggior rischio per la STC [IRR per i sintomi, 3.31 (IC95% 2.39–4.59); IRR per sintomi e SCN positivo, 2.56 (IC95% 1.47–4.43)]. Abbiamo osservato una maggior forza di associazione tra HAL e la STC. CONCLUSIONI: Abbiamo trovato un aumento di rischio di sviluppare la STC all’aumentare del carico biomeccanico: l’aumento di rischio osservato già per gli esposti a “carico intermedio” suggerisce che gli attuali valori limite potrebbero non essere sufficientemente protettivi per alcuni lavoratori. Interventi di prevenzione vanno orientati verso attività manuali ripetitive.
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Lo studio ha posto l'attenzione sul rapporto costo-efficacia tra le metodiche più utilizzate per la rimozione di carcinomi basocellulari: l'asportazione chirurgica e la terapia fotodinamica. Dai dati si evince che la rimozione chirurgica è la metodica più efficace per la minore frequenza di recidive (4.7%) rispetto alla terapia fotodinamica (6%). Questo dato è valido unicamente per i carcinomi superficiali; per i carcinomi nodulari la frequenza di recidiva con la terapia fotodinamica risulta essere più elevata (35%). La chirurgia è una metodica più costosa rispetto alla fotodinamica. La variabile dolore risulta essere minore per la chirurgia rispetto alla fotodinamica. Il risultato estetico invece è migliore per la fotodinamica rispetto alla terapia chirurgica. I costi invece sono più elevati per la terapia chirurgica. Rimane un'ultima considerazione: la terapia fotodinamica richiede talvolta un nuovo intervento a distanza di mesi o anni e pertanto questa scelta comporta costi aggiuntivi.
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Nel presente progetto di ricerca, da novembre 2011 a novembre 2013 , sono stati trattati chirurgicamente, con l’assistenza del navigatore , pazienti con tumori ossei primitivi degli arti, del bacino e del sacro, analizzando i risultati degli esami istologici dei margini di resezione del tumore e i risultati clinici e radiografici. Materiali e metodi : Abbiamo analizzato 16 pazienti 9 maschi e 7 femmine , con un'età media di 31 anni (range 12-55 ). Di tutti i pazienti valutati 8 avevano una localizzazione agli arti inferiori , 4 al bacino e 4 all'osso sacro . Solo quelli con osteosarcoma parostale , Cordoma e Condrosarcoma non sono stati sottoposti a terapia antiblastica . Solo un paziente è stato sottoposto a radioterapia postoperatoria per una recidiva locale . Tutti gli altri pazienti non sono stati trattati con la radioterapia per l’ adeguatezza dei margini di resezione . Non ci sono state complicanze intraoperatorie . Nel periodo postoperatorio abbiamo osservato una vescica neurologica , una paresi sciatica, due casi di infezione di cui una superficiale e una profonda, tutti e quattro i pazienti con sarcoma sacrale sviluppati hanno avuto ritardato della guarigione della ferita e di questi tre hanno avuto incontinenza sfinterica. In tutti i casi si è ottenuta una eccellente risultato clinico e radiografico , con soddisfazione del paziente , corretto contatto tra l'osteotomia e l'impianto che apparivano stabili ai primi controlli ambulatoriali ( FU 19 mesi). Risultati: La chirurgia assistita da calcolatore ha permesso di migliorare l’esecuzione delle resezioni ossee prevista dal navigatore. Questa tecnologia è valida e utile per la cure dei tumori dell’apparato scheletrico, soprattutto nelle sedi anatomiche più complesse da trattare come la pelvi, il sacro e nelle resezioni intercalari difficoltose nell’ottenere un margine di resezione ampio e quindi di salvare l’articolazione e l’arto stesso.
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La tesi affronta il tema dell'innovazione della scuola, oggetto di costante attenzione da parte delle organizzazioni internazionali e dei sistemi educativi nazionali, per le sue implicazioni economiche, sociali e politiche, e intende portare un contributo allo studio sistematico e analitico dei progetti e delle esperienze di innovazione complessiva dell'ambiente di apprendimento. Il concetto di ambiente di apprendimento viene approfondito nelle diverse prospettive di riferimento, con specifica attenzione al framework del progetto "Innovative Learning Environments" [ILE], dell’Organisation For Economic And Cultural Development [OECD] che, con una prospettiva dichiaratamente olistica, individua nel dispositivo dell’ambiente di apprendimento la chiave per l’innovazione dell’istruzione nella direzione delle competenze per il ventunesimo Secolo. I criteri presenti nel quadro di riferimento del progetto sono stati utilizzati per un’analisi dell’esperienza proposta come caso di studio, Scuola-Città Pestalozzi a Firenze, presa in esame perché nell’anno scolastico 2011/2012 ha messo in pratica appunto un “disegno” di trasformazione dell’ambiente di apprendimento e in particolare dei caratteri del tempo/scuola. La ricerca, condotta con una metodologia qualitativa, è stata orientata a far emergere le interpretazioni dei protagonisti dell’innovazione indagata: dall’analisi del progetto e di tutta la documentazione fornita dalla scuola è scaturita la traccia per un focus-group esplorativo attraverso il quale sono stati selezionati i temi per le interviste semistrutturate rivolte ai docenti (scuola primaria e scuola secondaria di primo grado). Per quanto concerne l’interpretazione dei risultati, le trascrizioni delle interviste sono state analizzate con un approccio fenomenografico, attraverso l’individuazione di unità testuali logicamente connesse a categorie concettuali pertinenti. L’analisi dei materiali empirici ha permesso di enucleare categorie interpretative rispetto alla natura e agli scopi delle esperienze di insegnamento/apprendimento, al processo organizzativo, alla sostenibilità. Tra le implicazioni della ricerca si ritengono particolarmente rilevanti quelle relative alla funzione docente.
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Il danno epatico indotto dall'assunzione di farmaci viene comunemente indicato con il termine inglese DILI (Drug-Induced Liver Injury). Il paracetamolo rappresenta la causa più comune di DILI, seguito da antibiotici, FANS e farmaci antitubercolari. In particolare, i FANS sono una delle classi di farmaci maggiormente impiegate in terapia. Numerosi case report descrivono pazienti che hanno sviluppato danno epatico fatale durante il trattamento con FANS; molti di questi farmaci sono stati ritirati dal commercio in seguito a gravi reazioni avverse a carico del fegato. L'ultimo segnale di epatotossicità indotto da FANS è associato alla nimesulide; in alcuni paesi europei come la Finlandia, la Spagna e l'Irlanda, la nimesulide è stata sospesa dalla commercializzazione perché associata ad un'alta frequenza di epatotossicità. Sulla base dei dati disponibili fino a questo momento, l'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha recentemente concluso che i benefici del farmaco superano i rischi; un possibile aumento del rischio di epatotossicità associato a nimesulide rimane tuttavia una discussione aperta di cui ancora molto si dibatte. Tra le altre classi di farmaci che possono causare danno epatico acuto la cui incidenza tuttavia non è sempre ben definita sono gli antibiotici, quali amoxicillina e macrolidi, le statine e gli antidepressivi.Obiettivo dello studio è stato quello di determinare il rischio relativo di danno epatico indotto da farmaci con una prevalenza d'uso nella popolazione italiana maggiore o uguale al 6%. E’ stato disegnato uno studio caso controllo sviluppato intervistando pazienti ricoverati in reparti di diversi ospedali d’Italia. Il nostro studio ha messo in evidenza che il danno epatico da farmaci riguarda numerose classi farmacologiche e che la segnalazione di tali reazioni risulta essere statisticamente significativa per numerosi principi attivi. I dati preliminari hanno mostrato un valore di odds ratio significativo statisticamente per la nimesulide, i FANS, alcuni antibiotici come i macrolidi e il paracetamolo.
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La maggior parte dei pazienti che vengono sottoposti a interventi chirurgici per tumori solidi hanno un’età superiore a 70 anni1. Circa il 30% di questi pazienti vengono considerati “fragili”. Questi infatti presentano numerose comorbidità ed hanno un più elevato rischio di sviluppare complicanze postoperatorie con perdita della riserva funzionale residua. Per questo non esistono sistemi semplici di screening che permettano ai medici responsabili del trattamento di identificare questi pazienti con aumentato rischio postoperatorio. Identificare i pazienti a rischio è infatti il primo passo nel processo attraverso il quale è possibile prevenire in necessarie complicanze postoperatorie come delirio, eventi cardiovascolari e perdita della funzionalità complessiva con conseguente perdita di autonomia. Scopo di questo studio è quello di confrontare l’accuratezza nella previsione di mortalità e morbidità a 30 giorni dei tre test preditivi “Groningen Frailty Index” (GFI); “Vulnerable Elders Survey” (VES-13); “timed up and go test” con alcune componenti del Preoperative Assessment of Cancer in the Elderly (PACE). Lo studio verrà effettuato sui pazienti con età maggiore di 70 anni che dovranno essere sottoposti a intervento chirurgico in anestesia generale per la presenza di una neoplasia solida.
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L’attuale rilevanza rappresentata dalla stretta relazione tra cambiamenti climatici e influenza antropogenica ha da tempo posto l’attenzione sull’effetto serra e sul surriscaldamento planetario così come sull’aumento delle concentrazioni atmosferiche dei gas climaticamente attivi, in primo luogo la CO2. Il radiocarbonio è attualmente il tracciante ambientale per eccellenza in grado di fornire mediante un approccio “top-down” un valido strumento di controllo per discriminare e quantificare il diossido di carbonio presente in atmosfera di provenienza fossile o biogenica. Ecco allora che ai settori applicativi tradizionali del 14C, quali le datazioni archeometriche, si affiancano nuovi ambiti legati da un lato al settore energetico per quanto riguarda le problematiche associate alle emissioni di impianti, ai combustibili, allo stoccaggio geologico della CO2, dall’altro al mercato in forte crescita dei cosiddetti prodotti biobased costituiti da materie prime rinnovabili. Nell’ambito del presente lavoro di tesi è stato quindi esplorato il mondo del radiocarbonio sia dal punto di vista strettamente tecnico e metodologico che dal punto di vista applicativo relativamente ai molteplici e diversificati campi d’indagine. E’ stato realizzato e validato un impianto di analisi basato sul metodo radiometrico mediante assorbimento diretto della CO2 ed analisi in scintillazione liquida apportando miglioramenti tecnologici ed accorgimenti procedurali volti a migliorare le performance del metodo in termini di semplicità, sensibilità e riproducibilità. Il metodo, pur rappresentando generalmente un buon compromesso rispetto alle metodologie tradizionalmente usate per l’analisi del 14C, risulta allo stato attuale ancora inadeguato a quei settori applicativi laddove è richiesta una precisione molto puntuale, ma competitivo per l’analisi di campioni moderni ad elevata concentrazione di 14C. La sperimentazione condotta su alcuni liquidi ionici, seppur preliminare e non conclusiva, apre infine nuove linee di ricerca sulla possibilità di utilizzare questa nuova classe di composti come mezzi per la cattura della CO2 e l’analisi del 14C in LSC.
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La formazione, in ambito sanitario, è considerata una grande leva di orientamento dei comportamenti, ma la metodologia tradizionale di formazione frontale non è la più efficace, in particolare nella formazione continua o “long-life education”. L’obiettivo primario della tesi è verificare se l’utilizzo della metodologia dello “studio di caso”, di norma utilizzata nella ricerca empirica, può favorire, nel personale sanitario, l’apprendimento di metodi e strumenti di tipo organizzativo-gestionale, partendo dalla descrizione di processi, decisioni, risultati conseguiti in contesti reali. Sono stati progettati e realizzati 4 studi di caso con metodologia descrittiva, tre nell’Azienda USL di Piacenza e uno nell’Azienda USL di Bologna, con oggetti di studio differenti: la continuità di cura in una coorte di pazienti con stroke e l’utilizzo di strumenti di monitoraggio delle condizioni di autonomia; l’adozione di un approccio “patient-centred” nella presa in carico domiciliare di una persona con BPCO e il suo caregiver; la percezione che caregiver e Medici di Medicina Generale o altri professionisti hanno della rete aziendale Demenze e Alzheimer; la ricaduta della formazione di Pediatri di Libera Scelta sull’attività clinica. I casi di studio sono stati corredati da note di indirizzo per i docenti e sono stati sottoposti a quattro referee per la valutazione dei contenuti e della metodologia. Il secondo caso è stato somministrato a 130 professionisti sanitari all’interno di percorso di valutazione delle competenze e dei potenziali realizzato nell’AUSL di Bologna. I referee hanno commentato i casi e gli strumenti di lettura organizzativa, sottolineando la fruibilità, approvando la metodologia utilizzata, la coniugazione tra ambiti clinico-assistenziali e organizzativi, e le teaching note. Alla fine di ogni caso è presente la valutazione di ogni referee.
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Background: sebbene la letteratura recente abbia suggerito che l’utilizzo degli impianti corti possa rappresentare una alternative preferibile alle procedure di rigenerazione ossea nelle aree posteriori atrofiche, perché è un trattamento più semplice e con meno complicazioni, esistono solo pochi studi a medio e lungo termine che abbiano comparato queste tecniche. Scopo: lo scopo di questo studio retrospettivo è quello di valutare se gli impianti corti (6-8 mm) (gruppo impianti corti) possano presentare percentuali di sopravvivenza e valori di riassorbimento osseo marginali simili a impianti di dimensioni standard (≥11 mm) inseriti contemporaneamente ad una grande rialzo di seno mascellare. Materiali e Metodi: in totale, 101 pazienti sono stati inclusi: 48 nel gruppo impianti corti e 53 nel gruppo seno. In ciascun paziente da 1 a 3 impianti sono stati inseriti e tenuti sommersi per 4-6 mesi. I parametri clinici e radiografici valutati sono: i fallimenti implantari, le complicazioni, lo stato dei tessuti molli, e il riassorbimento osseo marginale. Tutti i pazienti sono stati seguiti per almeno 3 anni dal posizionamento implantare. Risultati: il periodo di osservazione medio è stato di 43.47 ± 6.1 mesi per il gruppo impianti corti e 47.03 ± 7.46 mesi per il gruppo seno. Due su 101 impianti corti e 6 su 108 impianti standard sono falliti. Al follow-up finale, si è riscontrato un riassorbimento osseo medio di 0.47 ± 0.48 mm nel gruppo impianti corti versus 0.64 ± 0.58 mm nel gruppo seno. Non sono presenti differenze statisticamente significative fra i gruppi in termini di fallimenti implantari, complicazioni protesiche, tessuti molli, e riassorbimento osseo. Il gruppo seno ha presentato, invece, un maggior numero di complicazioni chirurgiche. Conclusioni: entrambe le tecniche hanno dimostrato un simile tasso di successo clinico e radiografico, ma gli impianti corti hanno ridotto il numero di complicazioni chirurgiche.
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Scopo dello studio: valutare i cambiamenti indotti da diversi trattamenti di mordenzatura sulla morfologia superficiale e sulla microstruttura di due vetro-ceramiche a base disilicato di litio (IPS e.max® Press e IPS e.max® CAD) ed esaminarne gli effetti sia sull’adesione con un cemento resinoso che sulla resistenza alla flessione. Materiali e metodi: Settanta dischetti (12 mm di diametro, 2 mm di spessore) di ogni ceramica sono stati preparati e divisi in 5 gruppi: nessun trattamento (G1), HF 5% 20s (G2), HF 5% 60s (G3), HF 9.6% 20s (G4), HF 9.6% 60s (G5). Un campione per ogni gruppo è stato analizzato mediante profilometro ottico e osservato al SEM. Per gli altri campioni è stato determinato lo shear bond strength (SBS) con un cemento resinoso. Dopo l’SBS test, i campioni sono stati caricati fino a frattura utilizzando il piston-on-three-ball test per determinarne la resistenza biassiale alla flessione. Risultati: L’analisi morfologica e microstrutturale dei campioni ha rivelato come diversi trattamenti di mordenzatura producano delle modifiche nella rugosità superficiale che non sono direttamente collegate ad un aumento dei valori di adesione e dei cambiamenti microstrutturali che sono più rilevanti con l’aumento del tempo di mordenzatura e di concentrazione dell’acido. I valori medi di adesione (MPa) per IPS e.max® CAD sono significativamente più alti in G2 e G3 (21,28 +/- 4,9 e 19,55 +/- 5,41 rispettivamente); per IPS e.max® Press, i valori più elevati sono in G3 (16,80 +/- 3,96). La resistenza biassiale alla flessione media (MPa) è più alta in IPS e.max® CAD (695 +/- 161) che in IPS e.max® Press (588 +/- 117), ma non è non influenzata dalla mordenzatura con HF. Conclusioni: il disilicato di litio va mordenzato preferibilmente con HF al 5%. La mordenzatura produce alcuni cambiamenti superficiali e microstrutturali nel materiale, ma tali cambiamenti non ne influenzano la resistenza in flessione.
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Lo studio CAVE PTX ha lo scopo di valutare la reale prevalenza della paratiroidectomia nei pazienti dializzati in Italia, verificare l’aderenza ai targets ematochimici proposti dalle linee guida internazionali K/DOQI e ricercare la presenza di fratture vertebrali e calcificazioni vascolari. Al momento attuale riportiamo i dati preliminari sulla prevalenza e le caratteristiche cliniche generali dei pazienti finora arruolati. Il nostro studio ha ricevuto contributi da 149 centri dialisi italiani, su un totale di 670, pari al 22%. La popolazione dialitica dalla quale sono stati ottenuti i casi di paratiroidectomia è risultata pari a 12515 pazienti;l’87,7% dei pazienti effettuava l’emodialisi mentre il 12,3% la dialisi peritoneale. Cinquecentoventotto, pari al 4,22%, avevano effettuato un intervento di paratiroidectomia (4,5%emodializzati, 1,9% in dialisi peritoneale;p<0.001). Abbiamo considerato tre gruppi differenti di PTH: basso (<150 pg/ml), ottimale (150 -300 pg/ml) ed elevato (>300 pg/ml). I valori medi di PTH e calcemia sono risultati significativamente diversi (più alti) tra casi e controlli nei due gruppi con PTH basso (PTX = 40±39 vs controllo = 92±42 pg/ml; p<.0001) e PTH alto (PTX= 630 ± 417 vs controllo 577 ±331; p<.05). La percentuale di pazienti con PTH troppo basso è risultata più elevata nei pazienti chirurgici rispetto al resto della popolazione (64vs23%; p<0.0001), mentre la percentuale dei casi con PTH troppo alto è risultata significativamente più alta nel gruppo di controllo (38%vs19%; p<0.003). Il 61% dei casi assumeva vitamina D rispetto al 64 % dei controlli; l’88% vs 75% un chelante del fosforo ed il 13%vs 35% il calciomimentico. In conclusione, la paratiroidectomia ha una bassa prevalenza in Italia, i pazienti sono più spesso di sesso femminile, in emodialisi e con età relativamente giovane ma da più tempo in dialisi.
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Premesse: Gli eventi ischemici (EI) e le emorragie cerebrali (EIC) sono le più temute complicanze della fibrillazione atriale (FA) e della profilassi antitrombotica. Metodi: in 6 mesi sono stati valutati prospetticamente i pazienti ammessi in uno dei PS dell’area di Bologna con FA associata ad EI (ictus o embolia periferica) o ad EIC. Risultati: sono stati arruolati 178 pazienti (60 maschi, età mediana 85 anni) con EI. Il trattamento antitrombotico in corso era: a) antagonisti della vitamina K (AVK) in 31 (17.4%), INR all’ingresso: <2 in 16, in range (2.0-3.0) in 13, >3 in 2; b) aspirina (ASA) in 107 (60.1%); c) nessun trattamento in 40 (22.5%), soprattutto in FA di nuova insorgenza. Nei 20 pazienti (8 maschi; età mediana 82) con EIC il trattamento era: a)AVK in 13 (65%), INR in range in 11 pazienti, > 3 in 2, b) ASA in 6 (30%). La maggior parte degli EI (88%) ed EIC (95%) si sono verificati in pazienti con età > 70 anni. Abbiamo valutato l’incidenza annuale di eventi nei soggetti con età > 70 anni seguiti neo centri della terapia anticoagulante (TAO) e nei soggetti con FA stimata non seguiti nei centri TAO. L’incidenza annuale di EI è risultata 12% (95%CI 10.7-13.3) nei pazienti non seguiti nei centri TAO, 0.57% (95% CI 0.42-0.76) nei pazienti dei centri TAO ( RRA 11.4%, RRR 95%, p<0.0001). Per le EIC l’incidenza annuale è risultata 0.63% (95% CI 0.34-1.04) e 0.30% (95% CI 0.19-0.44) nei due gruppi ( RRA di 0.33%/anno, RRR del 52%/anno, p=0.040). Conclusioni: gli EI si sono verificati soprattutto in pazienti anziani in trattamento con ASA o senza trattamento. La metà dei pazienti in AVK avevano un INR sub terapeutico. L’approccio terapeutico negli anziani con FA deve prevedere un’ adeguata gestione della profilassi antitrombotica.