265 resultados para Gestione della risorsa idrica,Piano SIMPO,Regime dei deflussi di magra,Sbarramento in alveo Po,Rubber dum


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Nel presente studio ci si è proposti di valutare la presenza e diffusione della leishmaniosi in una provincia dell’Italia centrale (Rieti) che, per caratteristiche ambientali (prevalentemente montuosa, clima freddo-secco) poco sembra prestarsi al ciclo della malattia. A questo scopo sono stati calcolati: i) sieroprevalenza grezza nella popolazione canina (2006-2013) e prevalenza media annuale ii) casi di leishmaniosi viscerale (LV) e cutanea (LC) (2000-2013). Catture di flebotomi sono state effettuate per due stagioni consecutive (2011-2012) per ogni sito sono stati registrati i dati climatici (temperatura, umidità etc.) ed altitudine. I flebotomi sono stati sottoposti a ricerca di Leishmania mediante PCR. La sieroprevalenza grezza per leishmania varia da 0 a 76,9% e la prevalenza media annuale non presenta un trend lineare. Sono stati registrati 6 casi di LV tutti in pazienti italiani tutti residenti in provincia di Rieti. I flebotomi sono stati rilevati in 5 dei 6 siti monitorati fino agli 800 m s.l.m., seppur con basse densità. Sono state identificate le seguenti specie: P. perniciosus (6,4 %), P. perfiliewi (1,8%), P. mascittii (0,1%) e S. minuta (91,7 %). E’ stata rilevata una correlazione statisticamente significativa (r=0,69, p<0,001) tra numero di flebotomi e temperatura giornaliera (Tmed°C) ed una correlazione negativa significativa (r= -0,51, p<0,05) con l’umidità relativa (Umed%). La ricerca di leishmania ha dato esito negativo in tutti i flebotomi analizzati. Questi rilievi suggeriscono l’endemia della leishmaniosi nella provincia di Rieti.

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La ricerca svolta ha voluto approfondire le possibilità offerte dai sistemi di allevamento dei vigneti a Doppia Cortina (GDC) e a Cordone Libero nei riguardi della meccanizzazione. La ricerca ha considerato gli interventi di potatura invernale, di gestione della chioma (spollonatura, cimatura, defogliazione e pettinatura della doppia cortina) e di vendemmia. Un’operazione particolarmente seguita è stata la potatura invernale realizzando differenti livelli di meccanizzazione. Tutti gli interventi sono stati eseguiti sia manualmente che meccanicamente, confrontando i tempi d’impiego, la qualità del lavoro svolto e gli impegni di manodopera. I risultati sono stati sintetizzati in una valutazione economica, ipotizzando differenti livelli di costo della manodopera impiegata, per ottenere giudizi di convenienza per i singoli interventi e per costruire una valutazione completa e più organica della linea di lavoro proposta. Nelle due forme d’allevamento la meccanizzazione della potatura invernale e della gestione della chioma hanno rispettato pienamente gli obbiettivi tecnici prefissati, dimostrando di essere un valido mezzo per ridurre tempi e costi di gestione. Per questi interventi l’acquisto delle macchine risulta conveniente anche per vigneti di piccola dimensione. Ancor più evidenti in queste due forme d’allevamento sono i vantaggi economici offerti dalla vendemmia meccanica, realizzata con pochi maltrattamenti e perdite di prodotto. La tendenza a meccanizzare integralmente gli interventi di gestione del ciclo colturale della vite, può essere nei prossimi anni un motivo di interesse e di scelta nella realizzazione di nuovi impianti con queste due forme di allevamento, che hanno dimostrato di essere un’espressione completa di sinergia tra macchina e pianta.

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La tesi analizza il mutamento in atto nelle fonti del diritto del lavoro, attraverso uno studio dei casi di rinvio dalla legge al contratto collettivo. Nella Parte I della tesi è affrontato il tema dei rapporti tra legge e contratto collettivo. In una prospettiva statica, i rapporti tra legge e contratto collettivo sono caratterizzati dall’operare dei principii di gerarchia e del favor: la legge prevede il trattamento minimo di tutela e il contratto collettivo può modificare tale trattamento in senso più favorevole al lavoratore. In una prospettiva dinamica, i rapporti tra legge e contratto collettivo sono più complessi: nell’ordinamento italiano, infatti, la disciplina del rapporto e del mercato del lavoro è caratterizzata da una valorizzazione degli apporti dell’autonomia collettiva. In particolare, il contratto collettivo è destinatario di una serie di rinvii, che lo autorizzano a completare la disciplina legale e a modificarla anche in senso meno favorevole al lavoratore, al fine di creare un mercato del lavoro maggiormente dinamico. Nella Parte II della tesi l’analisi si concentra sull’art. 8 della l. n. 148/2011. Tale disposizione è stata introdotta durante la crisi economico-finanziaria che ha colpito l’Italia tra il 2011 e il 2012, a seguito di trattative tra il Governo italiano e le istituzioni dell’UE, al fine di attribuire alle imprese uno strumento per incrementare la loro competitività e produttività. L’art. 8 autorizza il contratto collettivo a derogare in peius alla legge con riferimento a un arco tematico di materie e istituti che comprende l’intero profilo della disciplina del rapporto di lavoro, con alcune eccezioni. L’art. 8 rappresenta il punto di arrivo di una lunga evoluzione legislativa e consente di mettere in discussione la ricostruzione tradizionale dei rapporti tra legge e contratto collettivo basata sui principii di gerarchia e di favore.

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Secondo il Report IFAD sulla povertà rurale, nel 2008, circa due terzi della popolazione africana viveva nelle aree rurali ed era in qualche modo coinvolta in attività agricole commerciali o di sussistenza (IFAD, 2011). L’agricoltura rappresenta il più importante settore economico per la popolazione africana e le donne risultano cruciali per la produzione agricola: rappresentano infatti il 62,8 per cento della forza lavoro (FAO, 2014). Dopo la crisi alimentare del 2007-2008 si è andato intensificando il fenomeno delle acquisizione di terre su larga scala in paesi del Sud del mondo, in particolare nel continente africano, da parte di multinazionali, governi, aziende nazionali e singoli soggetti privati. Questo processo è stato denominato anche land grabbing dalle principali organizzazioni internazionali e della società civile e ha avuto grande impatto mediatico a livello internazionale. L'intensificarsi del fenomeno ha portato a una progressiva perdita di controllo e accesso ad ampie porzioni di territorio da parte delle comunità locali, che non possono più disporre delle risorse naturali collegate alla terra. La cessione di ampi terreni avviene in molti casi senza trasparenza informativa, con violazione dei diritti umani e senza il consenso delle comunità che vi abitano e che coltivano tali aree, e a cui viene imposto un cambio radicale di vita. La terra è una risorsa centrale per l'identità, il sostentamento e la sicurezza alimentare di una comunità, dunque le conseguenze sono molteplici a livello sociale, culturale, economico e politico. Gli impatti sulle relazioni di genere e in particolare sulle donne delle comunità rurali risultano essere cruciali nel discorso sullo sviluppo. L’obiettivo di questo lavoro è indagare come le relazioni di genere, a seguito delle trasformazioni nella gestione della terra, si modificano amplificando squilibri già esistenti e creando conseguenze sulle logiche di potere delle comunità rurali e sulle vite delle persone che ne fanno parte.

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Il superavvolgimento del DNA nelle cellule, regolato dalle DNA Topoisomerasi, influenza molti processi biologici, quali la trascrizione, la replicazione, la ricombinazione ed il rimodellamento della cromatina. La DNA Topoisomerasi IB eucariotica, (Top1), è un enzima efficiente nella rimozione dei superavvolgimenti del DNA in vitro e la sua principale funzione cellulare è la rimozione dei superavvolgimenti positivi e negativi generati durante la trascrizione e la replicazione. Risultati recenti hanno fornito evidenze sperimentali del coinvolgimento di Top1 in meccanismi multipli di regolazione dell’espressione genica eucariotica, in particolare nella fase di inizio e maturazione dei trascritti. Tuttavia, le funzioni di Top1 non sono ancora state stabilite a livello globale. Pertanto, nella presente tesi di dottorato abbiamo risposto a questa domanda con l’analisi dei profili di trascrizione genica globale e con studi di immunoprecipitazione della cromatina (ChIP) in cellule di S. cerevisiae. Circa il 9% dei geni sono influenzati da Top1, e l’analisi dei profili di espressione mostra che Top1 wt aumenta l’utilizzo del glucosio e dei pathway per la produzione di energia, con specifica diminuzione della trascrizione dei geni telomerici e subtelomerici. Abbiamo inoltre dimostrato che Top1 wt, ma non il suo mutante inattivo, aumenta la velocità di crescita cellulare nelle cellule di lievito studiate. Le analisi di ChIP mostrano che, in confronto all’assenza dell’enzima, Top1 wt diminuisce l’acetilazione dell’istone H4, compresa quella specifica della lisina 16, nel telomero destro del cromosoma XIV mentre la mutazione che inattiva l’enzima aumenta in maniera marcata l’acetilazione dell’istone H4 e la di-metilazione della lisina 4 dell’istone H3. Top1 wt incrementa anche il reclutamento di Sir3 nelle regioni di confine della cromatina silenziata dello stesso telomero. Studi di immunoprecipitazione indicano che l’enzima interagisce direttamente con la struttura della cromatina telomerica poichè entrambe le proteine, quella wt e quella inattiva, sono localizzate sulle ripetizioni telomeriche dei cromosomi di lievito. Questi risultati dimostrano che Top1, una proteina non essenziale in lievito, ottimizza i livelli globali dei trascritti per una crescita più efficiente di cellule in fase esponenziale. Indagando il meccanismo che è alla base della specifica repressione dei geni telomerici, abbiamo dimostrato che Top1 favorisce delle modifiche posttraduzionali degli istoni che indicano una struttura della cromatina repressa nelle regioni telomeriche.

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Durante il secolo scorso sono state individuate alcune mutazioni per il colore della buccia della varietà William che invece di essere giallo arriva a maturazione con diverse tonalità di colore rosso. L’intensità e la tipologia del fenotipo dovuto a questa mutazione mostra una variabilità all’interno dei diversi cloni rossi di questa cultivar: Max Red Bartlett, Rosired e Sensation. Questa mutazione è ereditabile e usando come genitore uno dei sopra-citati mutanti per il rosso sono state prodotte altre cultivar caratterizzate da buccia rossa come Cascade. Max Red Bartlett presenta una intensa colorazione rossa nelle prime fasi di maturazione per poi striarsi perdendo di lucentezza e non ricoprendo totalmente la superficie del frutto. Max Red Bartlett ha inoltre il problema di regressione del colore. Questa mutazione infatti non è stabile e dopo qualche anno può regredire e presentare il fenotipo di William. Diverso è invece lo sviluppo per esempio di Rosired che durante le prime fasi di accrescimento del frutto è identica a Williams (di colore verde con la parte del frutto rivolta verso il sole leggermente rossastra) per poi virare e mantenere un vivo colore rosso su tutta la superficie del frutto. Questa tesi si è proposta di caratterizzare questa mutazione che coinvolge in qualche modo la via biosintetica per la sintesi del colore. In particolare si è cercato di investigare sui probabili geni della via degli antociani coinvolti e in quale modo vengono espressi durante la maturazione del frutto, inoltre si è cercato di trovare quali specifiche molecole venissero diversamente sintetizzate. Le cultivar utilizzate sono state William e Max Red Bartlett. Di quest’ultima era già disponibile una mappa molecolare, ottenuta sulla popolazione diincrocio di Abate Fetel (gialla) x MRB (rossa) con AFLP e SSR, quest’ultimi hanno permesso di denominare i diversi linkage group grazie alla sintenia con le altre mappe di pero e di melo. I semenzali appartenenti a questa popolazione, oltre a dimostrare l’ereditarietà del carattere, erano per il 50% gialli e 50% rossi. Questo ha permesso il mappaggio di questo carattere/mutazione che si è posizionato nel linkage group 4. Una ricerca in banca dati eseguita in parallelo ha permesso di trovare sequenze di melo dei geni coinvolti nella via biosintetica degli antociani (CHS, CHI, F3H, DFR, ANS e UFGT), sulle quali è stato possibile disegnare primer degenerati che amplificassero su DNA genomico di pero. Le amplificazioni hanno dato frammenti di lunghezza diversa. Infatti nel caso di F3H e DFR l’altissima omologia tra melo e pero ha permesso l’amplificazione quasi totale del gene, negli altri casi invece è stato necessario utilizzare primer sempre più vicini in modo da facilitare l’amplificazione. I frammenti ottenuti sono stati clonati sequenziati per confermare la specificità degli amplificati. Non sono stati evidenziati polimorfismi di sequenza in nessuna delle sei sequenze tra William e Max Red Bartlett e nessun polimorfismo con Abate, per questo motivo non è stato possibile mapparli e vedere se qualcuno di questi geni era localizzato nella medesima posizione in cui era stato mappato il “colore/mutazione”. Sulle le sequenze ottenute è stato possibile disegnare altri primer, questa volta specifici, sia per analisi d’espressione. Inizialmente è stato sintetizzato il cDNA dei geni suddetti per retrotrascrizione da RNA estratto sia da bucce sia da foglie appena germogliate (le quali presentano solo in questa fase una colorazione rossastra in MRB ma non in William). Al fine di osservare come varia l’espressione dei geni della via biosintetica delle antocianine durante la fase di maturazione dei frutti, sono stati fatti 4 campionamenti, il primo a 45gg dalla piena fioritura, poi a 60, 90, 120 giorni. Foglie e bucce sono state prelevate in campo e poste immediatamente in azoto liquido. Dai risultati con Real Time è emerso che vi è una maggiore espressione nelle prime fasi di sviluppo in Max Red Bartlett per poi calare enormemente in giugno. Si potrebbe ipotizzare che ci sia una reazione di feed back da parte della piante considerando che in questa fase il frutto non si accresce. I livelli di espressione poi aumentano verso la fase finale della maturazione del frutto. In agosto, con l’ultimo campionamento vi è una espressione assai maggiore in Max Red Bartlett per quei geni posti a valle della via biosintetica per la sintesi delle antocianine. Questo risultato è confermato anche dal livello di espressione che si riscontra nelle foglie. In cui i geni F3H, LDOX e UFGT hanno un livello di espressione nettamente maggiore in Max Red Bartlett rispetto a William. Recentemente Takos et al (2006) hanno pubblicato uno studio su un gene regolatore della famiglia Myb e ciò ha permesso di ampliare i nostri studi anche su questo gene. L’altissima omologia di sequenza, anche a livello di introni, non ha permesso di individuare polimorfismi tra le varietà Abate Fetel e Max Red Bartlett, per nessun gene ad eccezione proprio del gene regolatore Myb. I risultati ottenuti in questa tesi dimostrano che in pero l’espressione relativa del gene Myb codificante per una proteina regolatrice mostra una netta sovra-espressione nel primo stadio di maturazione del frutto, in Max Red Bartlett 25 volte maggiore che in William. All’interno della sequenza del gene un polimorfismo prodotto da un microsatellite ha permesso il mappaggio del gene nel linkage group 9 in Max Red Bartlett e in Abate Fetel. Confrontando questo dato di mappa con quello del carattere morfologico rosso, mappato nel linkage group 4, si deduce che la mutazione non agisce direttamente sulla sequenza di questo gene regolatore, benché sia espresso maggiormente in Max Red Bartlett rispetto a William ma agisca in un altro modo ancora da scoprire. Infine per entrambe le varietà (William e Max Red Bartlett) sono state effettuate analisi fenotipiche in diversi step. Innanzi tutto si è proceduto con una analisi preliminare in HPLC per osservare se vi fossero differenze nella produzione di composti con assorbenza specifica delle antocianine e dei flavonoidi in generale. Si è potuto quindi osservare la presenza di due picchi in Max Red Bartlett ma non in William. La mancanza di standard che coincidessero con i picchi rilevati dallo spettro non ha permesso in questa fase di fare alcuna ipotesi riguardo alla loro natura. Partendo da questo risultato l’investigazione è proceduta attraverso analisi di spettrometria di massa associate ad una cromatografia liquida identificando con una certa precisione due composti: la cianidina-3-0-glucoside e la quercitina-3-o-glucoside. In particolare la cianidina sembra essere la molecola responsabile della colorazione della buccia nei frutti di pero. Successive analisi sono state fatte sempre con lo spettrometro di massa ma collegato ad un gas cromatografo per verificare se vi fossero delle differenze anche nella produzione di zuccheri e più in generale di molecole volatili. L’assenza di variazioni significative ha dimostrato che la mutazione coinvolge solo il colore della buccia e non le caratteristiche gustative e organolettiche di William che restano inalterate nel mutante.

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La ricerca presentata è un’ampia esplorazione delle possibili applicazioni di concetti, metodi e procedure della Fuzzy Logic all’Ingegneria dei Materiali. Tale nuovo approccio è giustificato dalla inadeguatezza dei risultati conseguiti con i soli metodi tradizionali riguardo alla reologia ed alla durabilità, all’utilizzo di dati di laboratorio nella progettazione e alla necessità di usare un linguaggio (informatizzabile) che consenta una valutazione congiunta degli aspetti tecnici, culturali, economici, paesaggistici della progettazione. – In particolare, la Fuzzy Logic permette di affrontare in modo razionale l’aleatorietà delle variabili e dei dati che, nel settore specifico dei materiali in opera nel costruito dei Beni Culturali, non possono essere trattati con i metodi statistici ordinari. – La scelta di concentrare l’attenzione su materiali e strutture in opera in siti archeologici discende non solo dall’interesse culturale ed economico connesso ai sempre più numerosi interventi in questo nuovo settore di pertinenza dell’Ingegneria dei Materiali, ma anche dal fatto che, in tali contesti, i termini della rappresentatività dei campionamenti, della complessità delle interazioni tra le variabili (fisiche e non), del tempo e quindi della durabilità sono evidenti ed esasperati. – Nell’ambito di questa ricerca si è anche condotto un ampio lavoro sperimentale di laboratorio per l’acquisizione dei dati utilizzati nelle procedure di modellazione fuzzy (fuzzy modeling). In tali situazioni si è operato secondo protocolli sperimentali standard: acquisizione della composizione mineralogica tramite diffrazione di raggi X (XRD), definizione della tessitura microstrutturale con osservazioni microscopiche (OM, SEM) e porosimetria tramite intrusione forzata di mercurio (MIP), determinazioni fisiche quali la velocità di propagazione degli ultrasuoni e rotoviscosimetria, misure tecnologiche di resistenza meccanica a compressione uniassiale, lavorabilità, ecc. – Nell’elaborazione dei dati e nella modellazione in termini fuzzy, la ricerca è articolata su tre livelli: a. quello dei singoli fenomeni chimico-fisici, di natura complessa, che non hanno trovato, a tutt’oggi, una trattazione soddisfacente e di generale consenso; le applicazioni riguardano la reologia delle dispersioni ad alto tenore di solido in acqua (calci, cementi, malte, calcestruzzi SCC), la correlazione della resistenza a compressione, la gelività dei materiali porosi ed alcuni aspetti della durabilità del calcestruzzo armato; b. quello della modellazione della durabilità dei materiali alla scala del sito archeologico; le applicazioni presentate riguardano i centri di cultura nuragica di Su Monte-Sorradile, GennaMaria-Villanovaforru e Is Paras-Isili; c. quello della scelta strategica costituita dalla selezione del miglior progetto di conservazione considerando gli aspetti connessi all’Ingegneria dei Materiali congiuntamente a quelli culturali, paesaggistici ed economici; le applicazioni hanno riguardato due importanti monumenti (Anfiteatro e Terme a Mare) del sito Romano di Nora-Pula.

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Costante è il dibattito relativo ai possibili sprechi nell’amministrazione della giustizia penale ed alle inefficienze dei tribunali, delle procure e, più in generale, dell’organizzazione giudiziaria e del processo. Può essere utile il tentativo di fornire a tale dibattito strumenti analitici innovativi, quali ad esempio l’analisi economica costi/benefici, con cui affrontare congiuntamente questioni di diritto ed osservazioni legate alla produzione degli uffici ed alla loro efficienza. È possibile, cioè, tentare di costruire e rendere disponibili dei semplici modelli economici – già diffusi nella letteratura anglosassone di law and economics – che, considerando le strutture preposte alla giurisdizione in termini di produzione e produttività e l’attore processuale come un’unità produttiva che opera con l’obiettivo di massimizzare i benefici ottenibili con le proprie risorse, facilitino lo studio del settore. Il tentativo di introdurre elementi di semplificazione e formalizzazione del comportamento dei soggetti della giurisdizione ha, infatti, grandissime potenzialità sia di carattere positivo sia di carattere normativo: permette, cioè, di interrogarsi sull’efficienza della funzione svolta dai tribunali e, nel caso di esito negativo, di capire come intervenire sulla struttura produttiva per ottenere una crescita di produttività. Tutto ciò in un contesto ove il court management sta emergendo come un nuovo campo fertile nello studio dei settori pubblici, in coerenza col crescente interesse nel definire quanto le corti (in generale) e le procure (più in particolare) siano performanti.

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Sebbene il sistema nervoso enterico (“enteric nervous system”, ENS) svolga un ruolo cruciale nella patogenesi della Scrapie ovina, non esistono tuttavia in letteratura dati sulle popolazioni cellulari progressivamente coinvolte nel corso dell’infezione, né sugli eventuali danni morfo-funzionali da esse subiti. Il presente studio è stato condotto sui plessi mienterici e sottomucosi dell’ileo di 46 pecore di razza Sarda, recanti diversi polimorfismi del gene Prnp (ARQ/ARQ, ARQ/AHQ, ARQ/ARR, ARR/ARR). I suddetti animali, infettati per os all’età di 8 mesi con un ceppo di Scrapie precedentemente caratterizzato nel topo, sono stati sacrificati mediante eutanasia a determinati intervalli di tempo post-infezione (p.i.). E’ stata quindi valutata, tramite immunoistochimica ed immunofluorescenza indiretta su sezioni tissutali e su preparati “wholemount”, l’immunoreattività (IR) nei confronti della PrPSc, del “marker” panneuronale Hu C/D, dell’ossido-nitrico sintetasi (nNOS), della calbindina (CALB) e della proteina fibrillare acida gliale (GFAP). In 8 pecore con genotipo ARQ/ARQ, clinicamente sane e sacrificate a 12-24 mesi p.i., nonché in 5 ovini clinicamente affetti (2 con genotipo ARQ/ARQ, 3 con genotipo ARQ/AHQ), questi ultimi sacrificati rispettivamente a 24, 36 e 40 mesi p.i., le indagini immunoistochimiche hanno consentito di dimostrare la presenza di PrPSc a livello sia dell’encefalo (obex), sia dell’ENS, in particolar modo nei plessi mienterici. In tali distretti il deposito della PrPSc risultava pienamente compatibile con un interessamento delle cellule enterogliali (“enteroglial cells”, EGCs), mentre occasionalmente si notava un contestuale coinvolgimento della componente neuronale ivi residente. In conclusione, i dati della presente indagine consentono di ipotizzare un verosimile coinvolgimento delle EGCs e dei neuroni residenti a livello dei plessi dell’ENS nella patogenesi della Scrapie sperimentale realizzata per os in ovini di razza Sarda.

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La letteratura scientifica degli ultimi anni si è arricchita di un numero sempre crescente di studi volti a chiarire i meccanismi che presiedono ai processi di homing di cellule staminali emopoietiche e del loro attecchimento a lungo termine nel midollo osseo. Tali fenomeni sembrano coinvolgere da un lato, l’interazione delle cellule staminali emopoietiche con la complessa architettura e componente cellulare midollare, e dall’altro la riposta ad un’ampia gamma di molecole regolatrici, tra le quali chemochine, citochine, molecole di adesione, enzimi proteolitici e mediatori non peptidici. Fanno parte di quest’ultimo gruppo anche i nucleotidi extracellulari, un gruppo di molecole-segnale recentemente caratterizzate come mediatori di numerose risposte biologiche, tra le quali l’allestimento di fenomeni flogistici e chemiotattici. Nel presente studio è stata investigata la capacità dei nucleotidi extracellulari ATP ed UTP di promuovere, in associazione alla chemochina CXCL12, la migrazione di cellule staminali umane CD34+. E’ così emerso che la stimolazione con UTP è in grado di incrementare significativamente la migrazione dei progenitori emopoietici in risposta al gradiente chemioattrattivo di CXCL12, nonché la loro capacità adesiva. Le analisi citofluorimetriche condotte su cellule migranti sembrano inoltre suggerire che l’UTP agisca interferendo con le dinamiche di internalizzazione del recettore CXCR4, rendendo così le cellule CD34+ maggiormente responsive, e per tempi più lunghi, al gradiente attrattivo del CXCL12. Saggi di homing competitivo in vivo hanno parallelamente mostrato, in topi NOD/SCID, che la stimolazione con UTP aumenta significativamente la capacità dei progenitori emopoeitci umani di localizzarsi a livello midollare. Sono state inoltre indagate alcune possibili vie di trasduzione del segnale attivate dalla stimolazione di recettori P2Y con UTP. Esperimenti di inibizione in presenza della tossina della Pertosse hanno evidenziato il coinvolgimento di proteine Gαi nella migrazione dipendente da CXCL12 ed UTP. Ulteriori indicazioni sono provenute dall’analisi del profilo trascrizionale di cellule staminali CD34+ stimolate con UTP, con CXCL12 o con entrambi i fattori contemporaneamente. Da questa analisi è emerso il ruolo di proteine della famiglia delle Rho GTPasi e di loro effettori a valle (ROCK 1 e ROCK 2) nel promuovere la migrazione UTP-dipendente. Questi dati sono stati confermati successivamente in vitro mediante esperimenti con Tossina B di C. Difficile (un inibitore delle Rho GTPasi) e con Y27632 (in grado di inibire specificatamente le cinasi ROCK). Nel complesso, i dati emersi in questo studio dimostrano la capacità del nucleotide extracellulare UTP di modulare la migrazione in vitro di progenitori emopoietici umani, nonché il loro homing midollare in vivo. L’effetto dell’UTP su questi fenomeni si esplica in concerto con la chemochina CXCL12, attraverso l’attivazione concertata di vie di trasduzione del segnale almeno parzialmente condivise da CXCR4 e recettori P2Y e attraverso il reclutamento comune di proteine ad attività GTPasica, tra le quali le proteine Gαi e i membri della famiglia delle Rho GTPasi.

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Oggetto di studio in questa tesi è stato il ruolo modulatorio svolto dal neuropeptide nocicettina/orfanina FQ a carico della trasmissione nocicettiva. A scopo introduttivo, sono state illustrate le conoscenze attuali sul sistema nocicettina-NOP; sono state descritte le funzioni, la struttura e la distribuzione del recettore NOP, le azioni farmacologiche finora note e la distribuzione della nocicettina stessa al livello del S.N.C. e in periferia. Lo studio è stato condotto principalmente con due approcci differenti A) E’ stata studiata la capacità della nocicettina esogena o di suoi analoghi agonisti e antagonisti, di modificare la trasmissione nocicettiva. B) Sono state studiate le variazioni a carico del sistema endogeno nocicettina/recettore NOP in seguito a trattamenti di tipo farmacologico. A) E’ stata indagata la capacità della nocicettina e degli analoghi sintetici [Arg14, Lys15]N/OFQ e UFP-101 di modificare la soglia nocicettiva nel ratto, rilevata con il test del tail-flick, a seguito di somministrazione diretta nello spazio subaracnoideo, in confronto con la nocicettina stessa. La somministrazione intratecale del neuropeptide nocicettina (10 nmol/ratto) ha determinato un innalzamento statisticamente significativo delle latenze di risposta al test del tail-flick. L’analogo [Arg14, Lys15]N/OFQ è stato somministrato alla dose di 1 nmole/ratto i.t. provocando un innalzamento massimale delle soglie di latenza per tutto il periodo di osservazione, mentre alla dose 0,2 nmoli/ratto i.t ha provocato un effetto antinocicettivo sottomassimale pur dimostrandosi significativo rispetto ai controlli (p < 0,05 vs controlli a tutti i tempi di rilevazione). Il composto antagonista UFP-101 è risultato capace di antagonizzare l’azione sulla soglia analgesica sia della nocicettina sia dell’analogo [Arg14, Lys15]N/OFQ nel suo dosaggio minore, mentre contro la dose di 1 nmole/ratto i.t ha prodotto solamente una riduzione di effetto. Anche la somministrazione intratecale di MAP-N/OFQ si è dimostrata in grado di modificare la soglia nocicettiva determinata mediante il test del tail-flick, nel ratto, in modo dose dipendente. differentementeuna seconda somministrazione di MAP-N/OFQ dopo 24 ore, si è dimostrata totalmente inefficace nel modificare la soglia nocicettiva nei ratti precedentemente trattati, pur permanendo la loro suscettibilità all’azione analgesica della morfina, mostrando quindi il rapido sviluppo di tolerance al potente peptide nocicettinergico somministrato per via i.t.. Inoltre l’antagonista UFP-101 oltre ad essere ingrado di antagonizzare l’effetto della MAP-N/OFQ, ha mostrato la capacità di ridurre la tolerance sviluppata nei confronti del dendrimero. La somministrazione di MAP-N/OFQ per via i.c.v. ha prodotto variazione della soglia nocicettiva, producendo un innalzamento del volore soglia, dato contrastante con la maggior parte dei dati riguardanti la nocicettina in letteratura. Ha invece replicato l’effetto di antagonismo funzionale nei confronti della morfina, la quale dopo somministrazione di MAP-N/OFQ è risultata essere incapace di modificare la soglia nocicettiva nel ratto. Tale effetto perdura dopo 24 ore, quando una somministrazione di morfina produce un effetto analgesico inversamente proporzionale alla dose ricevuta di MAP-N/OFQ 24 ore prima. E’stato indagato il possibile ruolo neuromodulatorio del neuropeptide nocicettina esogeno, nell’analgesia prodotta da un farmaco di natura non oppiacea. In tal senso si è proceduto ad indagare l’eventuale capacità della nocicettina esogena, somministrata per via intracerebroventricolare e del suo analogo [Arg14, Lys15]N/OFQ, di antagonizzare l’analgesia prodotta dal farmaco paracetamolo. La nocicettina ha evidenziato la capacità di antagonizzare il potere antinocicettivo del paracetamolo fino a bloccarne completamente l’effetto al dosaggio più elevato, mostrando quindi proprietà antagonista dose-dipendente. Inoltre l’UFP-101, che di per se non altera l’analgesia indotta da paracetamolo, è ingrado di antagonizzare l’effetto della nocicettina sul paracetamolo in maniera dose-dipendente. Medesimo è risultato il comportamento dell’analogo della nocicettina, la Arg-Lys nocicettina. B) Sono state indagate le relazioni tra il sistema nocicettina/NOP e le proprietà farmacologiche di un noto farmaco oppiaceo quale la buprenorfina, le cui peculiari caratteristiche farmacodinamiche sano state recentemente collegate alla sua capacità di agire come agonista diretto al recettore NOP. In tal senso si è proceduto ad osservare l’effetto della somministrazione di buprenorfina sull’ assetto recettoriale di NOP, inseguito ad un trattamento prolungato con somministrazione sottocutanea mediante minipompe osmotiche nel ratto, rilevando successivamente, tramite uno studio di binding, le variazioni della densità recettoriale di NOP in alcune aree di interesse per la trasmissione nocicettiva. Sia nell’ippocampo che nel talamo e nella frontal cortex, la somministrazione prolungata di buprenorfina ha causato una riduzione significativa della densità recettoriale di NOP. Come ultimo aspetto indagato, al fine di determinare la presenza del neuropeptide nel liquido cerebrospinale e le sue eventuali modificazioni a seguito di manipolazioni farmacologiche e non farmacologiche, è stata messa a punto una metodica di perfusione dello spazio subaracnoideo nel ratto, che consentisse di ottenere materiale biologico su cui compiere la ricerca e quantificazione della presenza di nocicettina mediante dosaggio radioimmunologico. La perfusione di CSF artificiale arricchito di ione potassio ad una concentrazione pari a 60 mM ha evidenziato la possibilità di stimolare la liberazione della nocicettina nel liquido cerebrospinale di ratto, suggerendo quindi una sua provenienza da elementi eccitabili. E’ stato quindi possibile osservare l’andamento dei livelli di peptide a seguito della stimolazione nocicettiva prodotta da due agenti irritanti con caratteristiche differenti, la carragenina e la formalina. La somministrazione sottocutanea di carragenina (100 µl al 3 %) nella regione subplantare di entrambe le zampe posteriori del ratto non ha determinato alterazioni significative dei livelli di neuropeptide. Invece, la somministrazione di formalina (50 µl al 5 %), dopo un iniziale periodo di 30 minuti, ha causato un incremento significativo della liberazione di N/OFQ a partire dal terzo intervallo di raccolta seguente la somministrazione della sostanza. Questo rispecchia l’andamento di risposta al formalin test ottenuto anche mediante test di natura differente dagli analgesimetrici (es. comportamentale, elettrofisiologico), in quest’ottica l’aumento di nocicettina può essere interpretato come un evento dovuto alla sensibilizzazione centrale all’effetto pronocicettivo.

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Il lavoro è incentrato sull’applicazione ed integrazione di differenti tecniche di indagine geofisica in campo ambientale e ingegneristico/archeologico. Alcuni esempi sono stati descritti al fine di dimostrare l’utilità delle metodologie geofisiche nella risoluzione di svariate problematiche. Nello specifico l’attenzione è stata rivolta all’utilizzo delle tecniche del Ground Penetrating Radar e del Time Domain Reflectometry in misure condotte su un corpo sabbioso simulante una Zona Insatura. L’esperimento è stato realizzato all’interno di un’area test costruita presso l’azienda agricola dell’Università La Tuscia di Viterbo. Hanno partecipato al progetto le Università di Roma Tre, Roma La Sapienza, La Tuscia, con il supporto tecnico della Sensore&Software. Nello studio è stato condotto un approccio definito idrogeofisico al fine di ottenere informazioni da misure dei parametri fisici relativi alla Zona Insatura simulata nell’area test. Il confronto e l’integrazione delle due differenti tecniche di indagine ha offerto la possibilità di estendere la profondidi indagine all’interno del corpo sabbioso e di verificare l’utilità della tecnica GPR nello studio degli effetti legati alle variazioni del contenuto d’acqua nel suolo, oltre a determinare la posizione della superficie piezometrica per i differenti scenari di saturazione. Uno specifico studio è stato realizzato sul segnale radar al fine di stabilire i fattori di influenza sulla sua propagazione all’interno del suolo. Il comportamento dei parametri dielettrici nelle condizioni di drenaggio e di imbibizione del corpo sabbioso è stato riprodotto attraverso una modellizzazione delle proprietà dielettriche ed idrologiche sulla base della dimensione, forma e distribuzione dei granuli di roccia e pori, nonché sulla base della storia relativa alla distribuzione dei fluidi di saturazione all’interno del mezzo. La modellizzazione è stata operata sulle basi concettuali del Differential Effective Medium Approximation.

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L’obiettivo della tesi riguarda l’utilizzo di immagini aerofotogrammetriche e telerilevate per la caratterizzazione qualitativa e quantitativa di ecosistemi forestali e della loro evoluzione. Le tematiche affrontate hanno riguardato, da una parte, l’aspetto fotogrammetrico, mediante recupero, digitalizzazione ed elaborazione di immagini aeree storiche di varie epoche, e, dall’altra, l’aspetto legato all’uso del telerilevamento per la classificazione delle coperture al suolo. Nel capitolo 1 viene fatta una breve introduzione sullo sviluppo delle nuove tecnologie di rilievo con un approfondimento delle applicazioni forestali; nel secondo capitolo è affrontata la tematica legata all’acquisizione dei dati telerilevati e fotogrammetrici con una breve descrizione delle caratteristiche e grandezze principali; il terzo capitolo tratta i processi di elaborazione e classificazione delle immagini per l’estrazione delle informazioni significative. Nei tre capitoli seguenti vengono mostrati tre casi di applicazioni di fotogrammetria e telerilevamento nello studio di ecosistemi forestali. Il primo caso (capitolo 4) riguarda l’area del gruppo montuoso del Prado- Cusna, sui cui è stata compiuta un’analisi multitemporale dell’evoluzione del limite altitudinale degli alberi nell’arco degli ultimi cinquant’anni. E’ stata affrontata ed analizzata la procedura per il recupero delle prese aeree storiche, definibile mediante una serie di successive operazioni, a partire dalla digitalizzazione dei fotogrammi, continuando con la determinazione di punti di controllo noti a terra per l’orientamento delle immagini, per finire con l’ortorettifica e mosaicatura delle stesse, con l’ausilio di un Modello Digitale del Terreno (DTM). Tutto ciò ha permesso il confronto di tali dati con immagini digitali più recenti al fine di individuare eventuali cambiamenti avvenuti nell’arco di tempo intercorso. Nel secondo caso (capitolo 5) si è definita per lo studio della zona del gruppo del monte Giovo una procedura di classificazione per l’estrazione delle coperture vegetative e per l’aggiornamento della cartografia esistente – in questo caso la carta della vegetazione. In particolare si è cercato di classificare la vegetazione soprasilvatica, dominata da brughiere a mirtilli e praterie con prevalenza di quelle secondarie a nardo e brachipodio. In alcune aree sono inoltre presenti comunità che colonizzano accumuli detritici stabilizzati e le rupi arenacee. A questo scopo, oltre alle immagini aeree (Volo IT2000) sono state usate anche immagini satellitari ASTER e altri dati ancillari (DTM e derivati), ed è stato applicato un sistema di classificazione delle coperture di tipo objectbased. Si è cercato di definire i migliori parametri per la segmentazione e il numero migliore di sample per la classificazione. Da una parte, è stata fatta una classificazione supervisionata della vegetazione a partire da pochi sample di riferimento, dall’altra si è voluto testare tale metodo per la definizione di una procedura di aggiornamento automatico della cartografia esistente. Nel terzo caso (capitolo 6), sempre nella zona del gruppo del monte Giovo, è stato fatto un confronto fra la timberline estratta mediante segmentazione ad oggetti ed il risultato di rilievi GPS a terra appositamente effettuati. L’obiettivo è la definizione del limite altitudinale del bosco e l’individuazione di gruppi di alberi isolati al di sopra di esso mediante procedure di segmentazione e classificazione object-based di ortofoto aeree in formato digitale e la verifica sul campo in alcune zone campione dei risultati, mediante creazione di profili GPS del limite del bosco e determinazione delle coordinate dei gruppi di alberi isolati. I risultati finali del lavoro hanno messo in luce come le moderne tecniche di analisi di immagini sono ormai mature per consentire il raggiungimento degli obiettivi prefissi nelle tre applicazioni considerate, pur essendo in ogni caso necessaria una attenta validazione dei dati ed un intervento dell’operatore in diversi momenti del processo. In particolare, le operazioni di segmentazione delle immagini per l’estrazione di feature significative hanno dimostrato grandi potenzialità in tutti e tre i casi. Un software ad “oggetti” semplifica l’implementazione dei risultati della classificazione in un ambiente GIS, offrendo la possibilità, ad esempio, di esportare in formato vettoriale gli oggetti classificati. Inoltre dà la possibilità di utilizzare contemporaneamente, in un unico ambiente, più sorgenti di informazione quali foto aeree, immagini satellitari, DTM e derivati. Le procedure automatiche per l’estrazione della timberline e dei gruppi di alberi isolati e per la classificazione delle coperture sono oggetto di un continuo sviluppo al fine di migliorarne le prestazioni; allo stato attuale esse non devono essere considerate una soluzione ottimale autonoma ma uno strumento per impostare e semplificare l’intervento da parte dello specialista in fotointerpretazione.

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Le soluzioni tecnologiche rese oggi disponibili dalle discipline della moderna Geomatica, offrono opportunità di grande interesse per il rilevamento nel settore dei Beni Culturali, sia per quanto riguarda il momento primario del rilievo, cioè la fase di acquisizione del dato metrico, sia per quanto concerne la questione della rappresentazione per oggetti di interesse archeologico, artistico, architettonico. Lo studio oggetto della presente tesi si propone, sulla base di numerose esperienze maturate nel corso del Dottorato dal Laboratorio di Topografia e Fotogrammetria del DISTART, di affrontare e approfondire le problematiche connesse all’utilizzo della fotogrammetria digitale e del laser a scansione terrestre per applicazioni nell’ambito dei Beni Culturali. La ricerca condotta è prettamente applicata, quindi è stata primaria l’esigenza di avere a disposizione reali casi di studio su cui sperimentare le tecniche di interesse; è però importante sottolineare che questo è un campo in cui ogni esperienza presenta proprie caratteristiche e peculiarità che la rendono interessante e difficilmente descrivibile con schemi convenzionali e metodologie standardizzate, quindi le problematiche emerse hanno di volta in volta indirizzato e spinto la ricerca all’approfondimento di certi aspetti piuttosto che altri. A tal proposito è stato evidenziato dalle esperienze effettuate che il campo dei Beni Culturali è forse il più emblematico delle potenzialità rese oggi disponibili dalle moderne tecnologie della Geomatica, e soprattutto dalle possibilità offerte da un approccio integrato e multi – disciplinare di tecniche e tecnologie diverse; per questo nell’Introduzione si è voluto sottolineare questo aspetto, descrivendo l’approccio metodologico adottato in molti lavori in contesto archeologico, che include generalmente diverse tecniche integrate tra loro allo scopo di realizzare in modo veloce e rigoroso un rilievo multi – scala che parte dal territorio, passa attraverso l’area del sito archeologico e degli scavi, ed arriva fino al singolo reperto; questo approccio è caratterizzato dall’avere tutti i dati e risultati in un unico e ben definito sistema di riferimento. In questa chiave di lettura l’attenzione si è poi focalizzata sulle due tecniche che rivestono oggi nel settore in esame il maggiore interesse, cioè fotogrammetria digitale e laser a scansione terrestre. La struttura della tesi segue le fasi classiche del processo che a partire dal rilievo porta alla generazione dei prodotti di rappresentazione; i primi due capitoli, incentrati sull’acquisizione del dato metrico, riguardano quindi da un lato le caratteristiche delle immagini e dei sensori digitali, dall’altro le diverse tipologie di sistemi laser con le corrispondenti specifiche tecniche; sempre nei primi capitoli vengono descritte le caratteristiche metodologiche e tecnico – operative e le relative problematiche delle due tipologie di rilievo. Segue un capitolo sulle procedure di calibrazione delle camere digitali non professionali, imperniato sull’utilizzo di software diversi, commerciali e sviluppati in house per questo scopo, prestando attenzione anche agli strumenti che essi offrono in termini di risultati ottenibili e di controllo statistico sugli stessi. La parte finale della tesi è dedicata al problema della rappresentazione, con l’obiettivo di presentare un quadro generale delle possibilità offerte dalle moderne tecnologie: raddrizzamenti, ortofoto, ortofoto di precisione e infine modelli tridimensionali foto – realistici, generati a partire sia da dati fotogrammetrici sia da dati laser.