175 resultados para Arquivistica Contemporanea


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In questa tesi dottorale viene preso in analisi il tema della famiglia, uno degli elementi fondanti della riflessione pedagogica, crocevia di una molteplicità di nuclei interpretativi con diramazioni e contaminazioni, con mutamenti attraverso le epoche storiche, rappresentati in pagine contenute nei Classici della letteratura per l’infanzia e nei migliori libri di narrativa contemporanea. Si tratta di un tema di grande ampiezza che ha comportato una scelta mirata di Autori che, nei loro romanzi hanno trattato questioni riguardanti la famiglia nelle sue pluralità delle sue tante accezioni, dalla vita familiare agli abbandoni, dalle infanzie senza famiglia alle famiglie altre. Nelle diverse epoche storiche, le loro narrazioni hanno lasciato un segno per l'originalità interpretativa che ancora oggi ci raccontano storie di vie familiale Dai romanzi ottocenteschi alle saghe fantasy degli ultimi cinquant’anni, fino ai picturebook, destinati ai più piccoli, le families stories possono costituire un materiale pedagogico privilegiato, sia offrendo occasioni di scoperta e conoscenza di sé e del mondo, attraverso le quali i lettori bambini, enigmatici frontalieri, varcano soglie verso altrovi misteriosi, sia fornendo spunti agli studiosi per approfondire tematiche multiple e complesse. Le families stories riflettono spesso in maniera critica le divergenze che possono manifestarsi tra le prassi individuate e studiate dalle scienze umane e sociali e le metafore narrative proposte dai numerosi Autori della letteratura per l’infanzia. Proponendo una prospettiva spesso spiazzante, esse interpretano la realtà a fondo, cogliendo i più piccoli ed inosservati particolari che, invece, hanno la capacità di rompere gli schemi socio-educativi dell’epoca storica in cui le storie prendono vita.

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La città ready-made. Partecipazione, relazione e azione nel ‘900 è un percorso storico-critico che si snoda lungo tutto il ‘900 alla ricerca degli episodi in cui è possibile riscontrare la partecipazione nelle pratiche estetiche di diverse generazioni di artisti; per imbastire un racconto puntuale e sistematico, inoltre, si è ricorsi ad una metafora genetica che ha riscontrato una fase — corrispondente alla prima metà del secolo — in cui il cromosoma responsabile di tale afflato partecipativo è risultato recessivo e un’altra — corrispondente stavolta alla seconda metà, più o meno dagli anni ’60 ai ’90 — in cui si è potuto registrare, altresì, una dominanza. Ad influire su questi fenomeni e sul loro svolgimento nei decenni, i protagonisti assoluti di questa trattazione: la Città e il Pubblico che, di volta in volta, facendo sentire la loro presenza o facendola venir meno, hanno dettato l’agenda della socio-relazionalità nel ‘900. Si è, inoltre, provveduto a rileggere alcuni episodi estetici al fine di evidenziarne un andamento ciclico e di ripetizione: mentre nella prima metà della ricerca si è scovato il seme della socio-relazionalità nelle visite e nelle derive di dadaisti e situazionisti, nella seconda ci si è concentrati sull’ampia produzione dei collettivi artistici di New York negli anni ’70. A dimostrazione di come la relazionalità non sia un fenomeno esclusivamente legato alla pratica dell’arte degli anni ’90, ma che, con le opportune distinzioni generazionali, è possibile riscontrarne le tracce in tutta la contemporaneità.

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Il lavoro di ricerca è rivolto ad indagare l’emersione di schemi di variazione comuni all’arte e al design, limitatamente al contesto italiano e in un arco di tempo che va dalla metà degli anni Sessanta del secolo scorso a oggi. L’analisi vuole rintracciare, mediante l’applicazione della metodologia fenomenologica, un sentire condiviso tra le due discipline e, nel pieno rispetto dei relativi linguaggi e con nessuna volontà di sudditanza degli uni rispetto agli altri, individuare i rapporti di corrispondenza omologica capaci di mettere in luce lo spirito del tempo che le ha generate. La ricerca si pone l’obiettivo di estendere gli studi sul contemporaneo attraverso un’impostazione che intende applicare gli strumenti metodologici della critica d’arte all’evoluzione stilistica delle tendenze del design italiano. Non si è voluto redigere una “storia” del design italiano ma, considerata anche l’ampiezza dell’argomento, si è necessariamente proceduto a delimitare il territorio di applicazione scegliendo di prendere in considerazione il solo settore del design dell’arredo. Si è dunque optato per una visione globale delle vicende del design del prodotto, tesa ad indagare gli snodi principali, concentrando pertanto l’analisi su alcuni protagonisti della cultura del progetto, ossia su quelle figure risultate dominanti nel proprio tempo perché capaci con il loro lavoro di dare un contribuito determinante alla comprensione delle fasi evolutive del design italiano. Gli strumenti utili a condurre l’analisi provengono principalmente dalla metodologia binaria individuata dallo storico dell’arte Heinrich Wölfflin e dagli studi di Renato Barilli, il cui impianto culturologico ha fornito un indispensabile contributo al processo di sistematizzazione dei meccanismi di variazione interni alle arti; sia quelli di tipo orizzontale, di convergenza reciproca con gli altri saperi, che di tipo verticale, in rapporto cioè con le scoperte scientifiche e tecnologiche della coeva cultura materiale.

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La ricerca affronta il rapporto tra il Partito comunista italiano e le organizzazioni della sinistra extraparlamentare nate nel biennio 1968-1969. Sulla base di documentazione d’archivio e fonti a stampa, vengono ricostruite ed analizzate le relazioni tra questi due soggetti nel periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e la metà del decennio successivo, quando i principali gruppi politici della sinistra extraparlamentare si dotarono di una struttura organizzativa più stabile che segnava una discontinuità con l’esperienza precedente. Nel corso della prima metà degli anni Settanta, i rapporti tra il PCI e queste organizzazioni furono complessi e talvolta contraddittori. Il conflitto si consumò prevalentemente sulla reciproca pretesa di possedere l’esclusiva rappresentanza politica del fermento sociale che attraversava il paese in quegli anni: il PCI rappresentando se stesso come l’unica forza politica capace di mediare tra movimenti sociali e istituzioni; i gruppi della sinistra parlamentare come «avanguardie» di un irrealizzabile progetto «rivoluzionario».

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Questa tesi di dottorato, partendo dall’assunto teorico secondo cui lo sport, pur essendo un fenomeno periferico e non decisivo del sistema politico internazionale, debba considerarsi, in virtù della sua elevata visibilità, sia come un componente delle relazioni internazionali sia come uno strumento di politica estera, si pone l’obiettivo di investigare, con un approccio di tipo storico-politico, l’attività internazionale dello sport italiano nel decennio che va dal 1943 al 1953. Nello specifico viene dedicata una particolare attenzione agli attori e alle istituzioni della “politica estera sportiva”, al rientro dello sport italiano nel consesso internazionale e alla sua forza legittimante di attrazione culturale. Vengono approfonditi altresì alcuni casi relativi a «crisi politiche» che influirono sullo sport e a «crisi sportive» che influenzarono la politica. La ricerca viene portata avanti con lo scopo primario di far emergere, da un lato se e quanto coscientemente lo sport sia stato usato come strumento di politica estera da parte dei governi e della diplomazia dell’Italia repubblicana, dall’altro quanto e con quale intensità lo sviluppo dell’attività internazionale dello sport italiano abbia avuto significative ripercussioni sull’andamento e dai rapporti di forza della politica internazionale.

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Lo studio si tratta di mettere in evidenza il cambiamento che ha subito il termine Oriente nel secolo XX in alcuni testi della letteratura italiana contemporanea. L’opera di Edward Said, L’Orientalismo è un testo di riferimento per i nostri studi. Nel quale abbiamo focalizzato l’attenzione su alcuni aspetti salienti: il concetto di orientalismo; l’interesse nei confronti dell’Oriente sul piano politico, scientifico, letterario; l’impossibilità di separare lo studioso dalle circostanze biografiche e sociali. Siamo riusciti, quindi, a stabilire che il cambiamento dell’immagine orientale dipende da tre fattori: lo scrittore (emittente), il soggetto (la fonte) ed il lettore (destinatario), dai quali si origina l’oggetto (il testo). Basandoci su questi tre elementi abbiamo cercato di inquadrare l’interesse letterario per l’Oriente vista da una triplice prospettiva: imperialismo, fascino ed erotismo. Per studiare le prime due prospettive, abbiamo scelto due opere. La prima presenta l’immagine dell’imperialismo, si tratta di Sanya, La moglie egiziana e il Romanzo dell’Oriente Moderno (1927) di Bruno Corra. La seconda prospettiva dove troviamo l’immagine dell’Oriente fascinoso è nello scritto di Annie Vivanti, La terra di Cleopatra (1925). Il punto centrale della tesi si tratta di studiare Annie Messina (1910-1996), è una scrittrice che ha uno stile peculiare ed un approccio tutto suo al tema dell’Oriente. I testi studiati sono : "Il mirto e la rosa" (1982), "Il banchetto dell'emiro" (1997) e "La principessa e il wâlî" (1996), tutti pubblicati dalla casa editrice Sellerio.L’unico pubblicato da Mondadori è "La palma di Rusafa" (1989). L’ultima parte del lavoro abbiamo esposto un profilo storico e socio-religioso della letteratura erotica araba. In cui abbiamo rintracciato le origini dell’immagine erotico dell’Oriente e il tema dell’omosessualità, mettendo a confronto il testo omosessuale di Messina con la letteratura italiana contemporanea.

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L’obiettivo di questa tesi è rilevare se e quanto i medical dramas abbiano contribuito a ridefinire conoscenze, aspettative e pratiche dei telespettatori/pazienti rispetto a questioni concernenti la salute e il loro ruolo all’interno della relazione medico-paziente. Grazie ad un lavoro di campo, fatto di questionari e interviste con utenti, operatori della sanità di Centro e Nord Italia e studenti di Medicina, sono state poi registrate le modalità di interazione che i protagonisti della scena della cura dichiarano di sperimentare quotidianamente. Ciò ha permesso di rendere conto delle trasformazioni più recenti della professione medica e di come viene elaborato oggi il sapere sulla malattia da parte dei soggetti implicati, fra tecnicismi, atteggiamenti difensivi, sfiducia e affidamento. La tesi restituisce anche alcune modalità sperimentali di interazione fra pazienti e medici, messe in atto in contesti locali, che testimoniano l’esigenza di approdare a un sapere partecipato delle relazioni di cura. Infine, raccogliendo la sfida posta dalle medical humanities, immagina un utilizzo del medical drama nella formazione degli studenti di medicina per l’apprendimento di competenze narrative necessarie ad una pratica medica più umana e efficace.

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Questa ricerca indaga come il “caso Ustica” si è articolato nell’opinione pubblica italiana negli anni compresi tra il 1980 e il 1992. Con l'espressione “caso Ustica” ci si riferisce al problema politico determinato dalle vicende legate all’abbattimento dell’aereo civile DC-9 dell’Itavia, avvenuto il 27 giugno 1980 in circostanze che, come noto, furono chiarite solamente a distanza di molti anni dal fatto. L’analisi intende cogliere le specificità del processo che ha portato la vicenda di Ustica ad acquisire rilevanza politica nell’ambito della sfera pubblica italiana, in particolare prendendo in considerazione il ruolo svolto dall’opinione pubblica in un decennio, quale quello degli anni ’80 e dei primi anni ’90 italiani, caratterizzato da una nuova centralità dei media rispetto alla sfera politica. Attraverso l’analisi di un’ampia selezione di fonti a stampa (circa 1500 articoli dei principali quotidiani italiani e circa 700 articoli tratti dagli organi dei partiti politici italiani) si sono pertanto messe in luce le dinamiche mediatiche e politiche che hanno portato alla tematizzazione di una vicenda che era rimasta fino al 1986 totalmente assente dall’agenda politica nazionale. L’analisi delle fonti giudiziarie ha permesso inoltre di verificare come la politicizzazione del caso Ustica, costruita intorno alla tensione opacità/trasparenza del potere politico e all’efficace quanto banalizzante paradigma delle “stragi di Stato”, sia risultata funzionale al raggiungimento, dopo il 1990, dei primi elementi di verità sulla tragedia e all’ampiamento del caso a una dimensione internazionale.

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Degli anni Settanta si parla, ormai quasi canonicamente, come gli anni della crisi, una crisi che compare quasi simultaneamente fuori e dentro i confini nazionali, e si configura come vera e propria crisi di sistema. Considerando il turning point rappresentato dai Seventies, è diffusa l'interpretazione nel contesto italiano del paradigma politologico secondo il quale è nella mancanza e nelle assenze del sistema politico-istituzionale alle domande di modernizzazione democratica provenienti dalle soggettività che emergono in quella che è stata definita la “stagione dei movimenti” che andrebbero individuate le radici prima della scelta della violenza come strumento di lotta politica e poi del cosiddetto “riflusso”. Questo studio cerca di analizzare le dinamiche e gli sviluppi nella relazione tra movimento femminista e violenza politica in Italia tra anni settanta e anni ottanta. Per comprendere ed analizzare le dinamiche di tale sviluppo è stato necessario prima ricostruire la genealogia del concetto di violenza politica elaborato dalla filosofia politica nel XX secolo e poi confrontarlo con il concetto di violenza proposto dal pensiero femminista nello stesso arco temporale. Allo stesso tempo si è considerato il fenomeno della violenza politicamente motivata agita nel decennio settanta, analizzando le specificità del femminismo stesso, ma anche, la possibilità di individuare lo scarto – politico, ideologico e esistenziale – tra le definizioni date dalla pratica femminista alla categoria di violenza e le peculiarità degli altri movimenti che si muovevano nella scena politica e sociale tra anni settanta e anni ottanta

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Anche se la politica editoriale comunista rappresenta un campo di indagine fondamentale nella ricerca sul Pci, la sua attività editoriale è caduta in un oblio storico. Assumendo il libro come supporto materiale e veicolo della cultura politica comunista, e la casa editrice come canale di socializzazione, questa ricerca s’interroga sui suoi processi di costruzione e di diffusione. La ricerca si muove in due direzioni. Nel primo capitolo si è tentato di dare conto delle ragioni metodologiche dell’indagine e della messa a punto delle ipotesi di ricerca sul “partito editore”, raccogliendo alcune sfide poste alla storia politica da altri ambiti disciplinari, come la sociologia e la scienza politica, che rappresentano una vena feconda per la nostra indagine. La seconda direzione, empirica, ha riguardato la ricognizione delle fonti e degli strumenti di analisi per ricostruire le vicende del “partito editore” dal 1944 al 1956. La suddivisione della ricerca in due parti – 1944-1947 e 1947-1956 – segue a grandi linee la periodizzazione classica individuata dalla storiografia sulla politica culturale del Pci, ed è costruita su quattro fratture storiche – il 1944, con la “svolta di Salerno”; il 1947, con la “svolta cominformista”; il 1953, con la morte di Stalin e il disgelo; il 1956, con il XX Congresso e i fatti d’Ungheria – che sono risultate significative anche per la nostra ricerca sull’editoria comunista. Infine, il presente lavoro si basa su tre livelli di analisi: l’individuazione dei meccanismi di decisione politica e dell’organizzazione assunta dall’editoria comunista, esaminando gli scopi e i mutamenti organizzativi interni al partito per capire come i mutamenti strategici e tattici si sono riflessi sull’attività editoriale; la ricostruzione della produzione editoriale comunista; infine, l’identificazione dei processi di distribuzione e delle politiche per la lettura promosse dal Pci.