265 resultados para gruppi di omotopia di ordine superiore cobordismo con framing gruppi di omotopia delle sfere


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L’idea che il bogomilismo sia “in una qualche maniera” da riconnettere al manicheismo è di per sè molto antica. Fin da quando giunsero le prime voci su questa nuova eresia che si era diffusa in terra bulgara, i bogomili vennero etichettati come manichei. Non necessariamente però chi è più vicino ad un fenomeno, sia nello spazio sia nel tempo, vede meglio i suoi contorni, le sue implicazioni e la sua essenza. Altri campi di studio ci insegnano che la natura umana tende a inquadrare ciò che non è noto all’interno degli schemi del “già conosciuto”: è così che spesso nomi di popoli si fissano al territorio divenendo concetti geografici anche quando i popoli cambiano; non a caso tutta la regione che si estendeva ad est della Germania veniva definita Sarmazia ed i numerosi popoli che si muovevano al seguito ed agli ordini del gran qan venivano chiamati Tartari; analogamente in semantica possiamo assistere al posizionamento di etichette consolidate e particolari su “oggetti” che ne condividono tratti pur essendo sotto molti aspetti del tutto estranei a quella che si potrebbe definire la matrice: il terrorista islamico che si fa esplodere viene chiamato sui giornali kamikaze e non casualmente lo tsunami porta questo nome: l’onda anomala che può sconvolgere coste distanti migliaia di chilometri dall’epicentro di un terremoto sottomarino ricorda la più familiare onda di porto. Se il continuo riconnettere il bogomilismo al manicheismo delle fonti antiche rappresenta un indizio, ma non necessariamente una prova di certa connessione, la situazione si è notevolmente complicata nel corso del XX secolo. Dobbiamo al principe Obolensky l’introduzione del termine neomanicheismo per indicare le eresie di carattere dualistico sviluppatesi dal X secolo in avanti sul territorio europeo con particolare riferimento al bogomilismo. Il termine dal 1948 in avanti è stato ripetutamente utilizzato più o meno a proposito in svariati lavori a volte pubblicati in sedi editoriali d’eccellenza apparsi in Europa occidentale e nell’est europeo. Il problema principale resta definire il valore da attribuire al termine “neomanicheismo”: indica un forte dualismo religioso in generale, ben diffuso e studiato da tempo ad esempio nei lavori del Bianchi dedicati ai popoli siberiani e mongoli, oppure presuppone una reale catena di connessioni che ci conducono fino al manicheismo vero e proprio? A fronte di chi sostiene che il bogomilismo, così come l’eresia catara, può essere spiegato semplicemente come fenomeno interno al cristianesimo sulla base di un’interpretazione contrastante da quella ufficiale dei testi sacri vi è chi ritiene che sia stato un contatto diretto con gli ambienti manichei a generare le caratteristiche proprie del bogomilismo. Da qui nasce la parte più affascinante della ricerca che porta all’individuazione di possibili contatti attraverso gli spostamenti delle popolazioni, alla circolazione delle idee all’interno di quello che fu il commonwealth bizantino ed all’individuazione di quanto sia rimasto di tutto ciò all’interno della dottrina bogomila. Il lavoro è suddiviso in tre capitoli, preceduti dalla bibliografia e seguiti da un indice analitico dei nomi di persona e luogo. Il primo capitolo prende in esame le fonti sul bogomilismo, il tempo ed il luogo in cui si è manifestato e la sua evoluzione. Il secondo analizza la dottrina bogomila, i suoi possibili contatti con le dottrine iraniche ed i possibili canali di trasmissione delle idee. Il terzo capitolo è costituito da una serie di racconti popoloari bulgari di matrice dualistica e da testi antico slavi usati dai bogomili. La maggior parte di questi testi viene presentata per la prima volta qui in traduzione italiana.

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Il confronto in corso tra gli esperti di management sanitario sui dipartimenti ospedalieri, la crescente attenzione sui modelli di organizzazione a rete e le indagini sui servizi sanitari condotte con strumenti di analisi dei network hanno rappresentato la base su cui sviluppare il disegno dello studio. La prospettiva relazionale e le tecniche di social network analysis (Sna) sono state impiegate in un indagine empirica effettuata presso tre Dipartimenti Ospedalieri dell’Azienda USL di Bologna per osservare la struttura delle relazioni che intercorrono nell’ambito dei dipartimenti, tra le unità operative e tra i clinici, al fine di assicurare il quotidiano svolgersi dei processi clinico assistenziali dei pazienti. L’indagine si è posta tre obiettivi. Il primo è quello di confrontare la rete delle relazioni “reali” che intercorrono tra unità operative e tra clinici con le relazioni “progettate” attraverso l’afferenza delle unità operative nei dipartimenti e dei singoli clinici nelle unità operative. In sostanza si tratta di confrontare, con intenti esclusivamente conoscitivi, la struttura organizzativa formale – istituzionale con quella “informale”, che emerge dalle relazioni giornaliere tra i professionisti. In secondo luogo si intende comprendere se e come i fattori di natura attributiva che caratterizzano i singoli rispondenti, (es. età, sesso, laurea, anni di permanenza in azienda, ecc.) incidano sulla natura e sull’intensità delle relazioni e delle collaborazioni intrattenute con i colleghi all’interno dell’azienda. L’analisi ha un intento “esplicativo”, in quanto si cerca di indagare come le similitudini nelle caratteristiche individuali possano o meno incidere sull’intensità degli scambi e quindi delle collaborazioni tra professionisti. Il terzo obiettivo è volto a comprendere se e come i fattori attributivi e/o relazionali siamo in grado di spiegare l’attitudine mostrata dai singoli professionisti rispetto l’adozione di un approccio alla pratica clinica ispirato all’Evidence based medicine. Lo scopo è quello di verificare se la disponibilità / orientamento ad operare in una prospettiva evidence based sia più legata ad elementi e caratteristiche personali piuttosto che all’influenza esercitata da coloro con i quali si entra in contatto per motivi lavorativi. La relativa semplicità della fase di indagine ha indotto ad arricchire i contenuti e gli obiettivi originari del lavoro allo scopo di correlare indicatori relazionali e attributivi con indicatori di “performance”, in particolare di efficienza e appropriatezza. Le relazioni sono state rilevate attraverso un questionario sociometrico inserito in uno spazio web accessibile dalla rete ospedaliera e compilato online da parte dei medici. Il questionario è stato organizzato in tre sezioni: la prima per la raccolta di informazioni anagrafiche e dati attributivi dei clinici; la seconda volta a raccogliere i dati relazionali, funzionali e di consulenza, verso le equipe di professionisti (unità operative) e verso i singoli colleghi clinici; la terza sezione è dedicata alla raccolta di informazioni sull’utilizzo delle evidenze scientifiche a supporto della propria pratica clinica (consultazione di riviste, banche dati, rapporti di HTA, etc,) e sulla effettiva possibilità di accesso a tali strumenti. L’azienda ha fornito i dati di struttura e la base dati degli indicatori di attività delle UO arruolate nello studio. La compliance complessiva per i tre dipartimenti è stata pari a circa il 92% (302 rispondenti su un campione di 329 medici.). Non si sono rilevate differenze significative sulla compliance per i tre dipartimenti considerati. L’elaborazione dei dati è stata effettuata mediante specifici software per l’analisi delle reti sociali, UCINET 6 per il calcolo degli indicatori relazionali (centralità, densità, structural holes etc.), e Pajek per l’analisi grafica dei network. L’ultima fase è stata realizzata con l’ausilio del software statistico STATA vers. 10. L’analisi dei risultati è distinta in due 2 fasi principali. In primis è stato descritto il network di relazioni professionali rilevate, sono stai calcolati i relativi indicatori di centralità relazionale e verificato il grado di sovrapposizione tra struttura formale dei dipartimenti in studio con le relazioni informali che si stabiliscono tra di essi nell’ambito clinico. Successivamente è stato analizzato l’impatto che le relazioni esercitano sulla propensione da parte dei singoli medici a utilizzare nuove evidenze scientifiche I primi risultati emersi dallo studio forniscono interessanti evidenze, con particolare riguardo al dato di un discreto grado di “sovrapposizione” tra struttura formale e informale delle unità organizzative in studio e a correlazioni significative tra fattori relazionali e attitudine dei medici verso l’utilizzo dell’approccio EBM. Altre evidenze, in specie la correlazione tra “centralità” degli attori organizzativi e alcuni indicatori di performance /appropriatezza, meritano ulteriori approfondimenti e una definitiva validazione. In conclusione lo studio dimostra che la prospettiva relazionale e la Sna consentono di porre in evidenza caratteristiche dei dipartimenti, dei suoi attori e delle loro reti di reciproche relazioni, in grado di favorire la comprensione di alcune dinamiche ricercate proprio attraverso l’organizzazione dipartimentale e quindi di specifico interesse per il management, i clinici e quanti altri impegnati nella gestione e nello sviluppo di questo modello di organizzazione dell’ospedale.

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La tesi affronta le problematiche relative ai nuovi scenari educativi nella cosiddetta Società della Conoscenza e alle sfide che essa richiede alla didattica nei nuovi “ambienti” formativi. Partendo dall’analisi della definizione della stessa come Società della Conoscenza si cerca di darne una lettura che ne metta in luce gli elementi principali che la caratterizzano aprendo alla riflessione sullo sguardo che essa dà al suo futuro e agli scenari verso i quali si orientano le sue sfide cognitive ed educative. In tale analisi non può mancare una riflessione sul legame tra la società contemporanea e le cosiddette nuove tecnologie (ICT: Information and Comunication Technologies). Le ICT, infatti, in misura sempre maggiore, hanno invaso la società e influenzato l’evoluzione della stessa assumendo un ruolo significativo nella vita quotidiana e nell’affermarsi della società della conoscenza. Il percorso di ricerca prende il via da questi interrogativi per ampliare la riflessione sulle nuove frontiere dell’educazione nella società della conoscenza. Quest’ultima, infatti, così come si caratterizza e come si evolve, identificando la sua priorità non solo nella diffusione dell’informazione, ma anche e soprattutto nella “costruzione” di conoscenza, impone un nuovo modo di pensare e approcciarsi all’educazione e alla formazione. Il longlife learning diventa l’elemento centrale ma non va inteso solo come possibilità date all’individuo adulto di riprendere percorsi formativi lasciati o intraprenderne di nuovi. Quello che cambia è la finalità stessa della formazione: è il concetto dell’apprendimento come potenzialità individuale (empowerment). Non basta avere accesso e acquisire un numero sempre maggiore di informazioni ma occorre sviluppare la capacità di acquisire strategicamente le informazioni per essere capaci di affrontare i continui cambiamenti e costruire nuove forme di sapere condiviso. Sul piano operativo le ICT permettono numerose nuove possibilità per la formazione, sia come strumenti a supporto della didattica, sia come mezzi di trasmissione delle informazioni e costruzione di conoscenza. L’e-learning si afferma con una sua impostazione e una sua metodologia, nonché con i suoi “oggetti” e i suoi “ambienti”. Nella tesi vengono illustrate le principali problematiche da considerare per la costruzione di percorsi formativi in rete (strumenti, contenuti, ruoli, comunicazione, valutazione) per presentare, infine, i materiali prodotti dall’autrice per l’erogazione on line di moduli didattici in due Unità Formative.

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Definizione del problema: Nonostante il progresso della biotecnologia medica abbia consentito la sopravvivenza del feto, fuori dall’utero materno, ad età gestazionali sempre più basse, la prognosi a breve e a lungo termine di ogni nuovo nato resta spesso incerta e la medicina non è sempre in grado di rimediare completamente e definitivamente ai danni alla salute che spesso contribuisce a causare. Sottoporre tempestivamente i neonati estremamente prematuri alle cure intensive non ne garantisce la sopravvivenza; allo stesso modo, astenervisi non ne garantisce la morte o almeno la morte immediata; in entrambi i casi i danni alla salute (difetti della vista e dell’udito, cecità, sordità, paralisi degli arti, deficit motori, ritardo mentale, disturbi dell’apprendimento e del comportamento) possono essere gravi e permanenti ma non sono prevedibili con certezza per ogni singolo neonato. Il futuro ignoto di ogni nuovo nato, insieme allo sgretolamento di terreni morali condivisi, costringono ad affrontare laceranti dilemmi morali sull’inizio e sul rifiuto, sulla continuazione e sulla sospensione delle cure. Oggetto: Questo lavoro si propone di svolgere un’analisi critica di alcune strategie teoriche e pratiche con le quali, nell’ambito delle cure intensive ai neonati prematuri, la comunità scientifica, i bioeticisti e il diritto tentano di aggirare o di risolvere l’incertezza scientifica e morale. Tali strategie sono accomunate dalla ricerca di criteri morali oggettivi, o almeno intersoggettivi, che consentano ai decisori sostituti di pervenire ad un accordo e di salvaguardare il vero bene del paziente. I criteri esaminati vanno dai dati scientifici riguardanti la prognosi dei prematuri, a “fatti” di natura più strettamente morale come la sofferenza del paziente, il rispetto della libertà di coscienza del medico, l’interesse del neonato a sopravvivere e a vivere bene. Obiettivo: Scopo di questa analisi consiste nel verificare se effettivamente tali strategie riescano a risolvere l’incertezza morale o se invece lascino aperto il dilemma morale delle cure intensive neonatali. In quest’ultimo caso si cercherà di trovare una risposta alla domanda “chi deve decidere per il neonato?” Metodologia e strumenti: Vengono esaminati i più importanti documenti scientifici internazionali riguardanti le raccomandazioni mediche di cura e i pareri della comunità scientifica; gli studi scientifici riguardanti lo stato dell’arte delle conoscenze e degli strumenti terapeutici disponibili ad oggi; i pareri di importanti bioeticisti e gli approcci decisionali più frequentemente proposti ed adoperati; alcuni documenti giuridici internazionali riguardanti la regolamentazione della sperimentazione clinica; alcune pronunce giudiziarie significative riguardanti casi di intervento o astensione dall’intervento medico senza o contro il consenso dei genitori; alcune indagini sulle opinioni dei medici e sulla prassi medica internazionale; le teorie etiche più rilevanti riguardanti i criteri di scelta del legittimo decisore sostituto del neonato e la definizione dei suoi “migliori interessi” da un punto di vista filosofico-morale. Struttura: Nel primo capitolo si ricostruiscono le tappe più importanti della storia delle cure intensive neonatali, con particolare attenzione agli sviluppi dell’assistenza respiratoria negli ultimi decenni. In tal modo vengono messi in luce sia i cambiamenti morali e sociali prodotti dalla meccanizzazione e dalla medicalizzazione dell’assistenza neonatale, sia la continuità della medicina neonatale con il tradizionale paternalismo medico, con i suoi limiti teorici e pratici e con lo sconfinare della pratica terapeutica nella sperimentazione incontrollata. Nel secondo capitolo si sottopongono ad esame critico le prime tre strategie di soluzione dell’incertezza scientifica e morale. La prima consiste nel decidere la “sorte” di un singolo paziente in base ai dati statistici riguardanti la prognosi di tutti i nati in condizioni cliniche analoghe (“approccio statistico”); la seconda, in base alla risposta del singolo paziente alle terapie (“approccio prognostico individualizzato”); la terza, in base all’evoluzione delle condizioni cliniche individuali osservate durante un periodo di trattamento “aggressivo” abbastanza lungo da consentire la raccolta dei dati clinici utili a formulare una prognosi sicura(“approccio del trattamento fino alla certezza”). Viene dedicata una più ampia trattazione alla prima strategia perché l’uso degli studi scientifici per predire la prognosi di ogni nuovo nato accomuna i tre approcci e costituisce la strategia più diffusa ed emblematica di aggiramento dell’incertezza. Essa consiste nella costruzione di un’ “etica basata sull’evidenza”, in analogia alla “medicina basata sull’evidenza”, in quanto ambisce a fondare i doveri morali dei medici e dei genitori solo su fatti verificabili (le prove scientifiche di efficacia delle cure)apparentemente indiscutibili, avalutativi o autocertificativi della moralità delle scelte. Poiché la forza retorica di questa strategia poggia proprio su una (parziale) negazione dell’incertezza dei dati scientifici e sulla presunzione di irrilevanza della pluralità e della complessità dei valori morali nelle decisioni mediche, per metterne in luce i limiti si è scelto di dedicare la maggior parte del secondo capitolo alla discussione dei limiti di validità scientifica degli studi prognostici di cui i medici si avvalgono per predire la prognosi di ogni nuovo nato. Allo stesso scopo, in questo capitolo vengono messe in luce la falsa neutralità morale dei giudizi scientifici di “efficacia”, “prognosi buona”, “prognosi infausta” e di “tollerabilità del rischio” o dei “costi”. Nel terzo capitolo viene affrontata la questione della natura sperimentale delle cure intensive per i neonati prematuri al fine di suggerire un’ulteriore ragione dell’incertezza morale, dell’insostenibilità di obblighi medici di trattamento e della svalutazione dell’istituto del consenso libero e informato dei genitori del neonato. Viene poi documentata l’esistenza di due atteggiamenti opposti manifestati dalla comunità scientifica, dai bioeticisti e dal diritto: da una parte il silenzio sulla natura sperimentale delle terapie e dall’altra l’autocertificazione morale della sperimentazione incontrollata. In seguito si cerca di mostrare come entrambi, sebbene opposti, siano orientati ad occultare l’incertezza e la complessità delle cure ai neonati prematuri, per riaffermare, in tal modo, la precedenza dell’autorità decisionale del medico rispetto a quella dei genitori. Il quarto capitolo, cerca di rispondere alla domanda “chi deve decidere in condizioni di incertezza?”. Viene delineata, perciò, un’altra strategia di risoluzione dell’incertezza: la definizione del miglior interesse (best interest) del neonato, come oggetto, limite e scopo ultimo delle decisioni mediche, qualsiasi esse siano. Viene verificata l’ipotesi che il legittimo decisore ultimo sia colui che conosce meglio di ogni altro i migliori interessi del neonato. Perciò, in questo capitolo vengono esposte e criticate alcune teorie filosofiche sul concetto di “miglior interesse” applicato allo speciale status del neonato. Poiché quest’analisi, rivelando l’inconoscibilità del best interest del neonato, non consente di stabilire con sicurezza chi sia intitolato a prendere la decisione ultima, nell’ultimo capitolo vengono esaminate altre ragioni per le quali i genitori dovrebbero avere l’ultima parola nelle decisioni di fine o di proseguimento della vita. Dopo averle scartate, viene proposta una ragione alternativa che, sebbene non risolutiva, si ritiene abbia il merito di riconoscere e di non mortificare l’irriducibilità dell’incertezza e l’estrema complessità delle scelte morali, senza rischiare, però, la paralisi decisionale, il nichilismo morale e la risoluzione non pacifica dei conflitti.

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Con il presente lavoro, che ha ad oggetto l’istituto dello scioglimento anticipato delle Camere nell’ordinamento costituzionale italiano, il candidato si propone tre obiettivi. Il primo è quello della ricostruzione dogmatica dell’istituto che sconta inevitabilmente un grosso debito nei confronti della vasta letteratura giuridica che si è sviluppata nel corso dei decenni. Il secondo obiettivo è quello, ben più originale, dell’indagine sulla prassi che ha contraddistinto il ricorso allo scioglimento nella peculiare realtà italiana. In questo modo si viene colmando uno spazio di ricerca diretto a leggere gli avvenimenti e a ricondurli in un quadro costituzionale sistematico, anche al fine di ricavare utili riflessioni circa la conformità della prassi stessa al dato normativo, nonché sulle modalità di funzionamento concreto dell'istituto. Il terzo obiettivo, quello più ambizioso, è utilizzare le considerazioni così sviluppate per ricercare soluzioni interpretative adeguate all’evoluzione subita dall’assetto politico-istituzionale italiano negli ultimi due decenni. Quanto al metodo, la scelta del candidato è stata quella di ricorrere ad uno strumentario che pone in necessaria sequenza logica: a) i presupposti storici/comparatistici e il dibattito in Assemblea costituente, utili per l’acquisizione del patrimonio del parlamentarismo europeo del tempo e per la comprensione del substrato su cui si costruisce l’edificio costituzionale; b) il testo costituzionale, avvalendosi anche delle importanti considerazioni svolte dalla dottrina più autorevole; c) la prassi costituzionale, consistente nella fase di implementazione concreta del disposto normativo. La finalità che il candidato si pone è dimostrare la possibilità di configurare lo scioglimento secondo un modello di tipo “primoministeriale”. Per quanto riguarda la prima parte della ricerca, dalla pur sintetica descrizione dei precedenti storici (sia rispetto alle realtà europee, inglese e francese in primis, che al periodo prerepubblicano) si trae conferma che l’operatività dell’istituto è intrinsecamente influenzata dalla forma di governo. Una prima indicazione che emerge con forza è come la strutturazione del sistema partitico e il grado di legame tra Assemblea rappresentativa e Gabinetto condizionino la ratio del potere di scioglimento, la sua titolarità ed il suo effettivo rendimento. Infatti, in presenza di regimi bipartitici e di impianti istituzionali che accentuano il raccordo fiduciario, il Capo dello Stato tende all’emarginazione, e lo scioglimento acquisisce carattere di automaticità tutte le volte in cui si verificano crisi ministeriali (eventualità però piuttosto rara); più consueto è invece lo scioglimento primoministeriale libero, come arma politica vera e propria attraverso cui il Governo in carica tende a sfruttare il momento migliore per ricercare il giudizio del popolo. Al contrario, dove il sistema politico è più dinamico, e il pluralismo sociale radicalizzato, il Capo dello Stato interferisce fortemente nella vita istituzionale e, in particolare, nella formazione dell’indirizzo politico: in quest’ottica lo scioglimento viene da questi inglobato, ed il suo ricorso subordinato ad esigenze di recupero della funzionalità perduta; soprattutto, quando si verificano crisi ministeriali (invero frequenti) il ricorso alle urne non è conseguenza automatica, ma semmai gli viene preferita la via della formazione di un Gabinetto poggiante su una maggioranza alternativa. L’indagine svolta dal candidato sui lavori preparatori mostra come il Costituente abbia voluto perseguire l'obiettivo di allargare le maglie della disciplina costituzionale il più possibile, in modo da poter successivamente ammettere più soluzioni interpretative. Questa conclusione è il frutto del modo in cui si sono svolte le discussioni. Le maggiori opzioni prospettate si collocavano lungo una linea che aveva ad un estremo una tassativa preordinazione delle condizioni legittimanti, ed all’altro estremo l’esclusiva e pressoché arbitraria facoltà decisionale dello scioglimento nelle mani del Capo dello Stato; in mezzo, la via mediana (e maggiormente gradita) del potere sì presidenziale, benché circondato da tutta una serie di limiti e garanzie, nel quadro della costruzione di una figura moderatrice dei conflitti tra Esecutivo e Legislativo. Ma non bisogna tralasciare che, seppure rare, diverse voci propendevano per la delineazione di un potere governativo di scioglimento la quale impedisse che la subordinazione del Governo al Parlamento si potesse trasformare in degenerazione assemblearista. Quindi, il candidato intende sottolineare come l’adamantina prescrizione dell’art. 88 non postuli, nell’ambito dell’interpretazione teleologica che è stata data, alcuno specifico indirizzo interpretativo dominante: il che, in altri termini, è l’ammissione di una pluralità di concezioni teoricamente valide. L'analisi del dettato costituzionale non ha potuto prescindere dalla consolidata tripartizione delle teorie interpretative. Dall'analisi della letteratura emerge la preferenza per la prospettiva dualistica, anche in virtù del richiamo che la Costituzione svolge nei confronti delle competenze sia del Presidente della Repubblica (art. 88) che del Governo (art. 89), il che lo convince dell’inopportunità di imporre una visione esclusivista, come invece sovente hanno fatto i sostenitori della tesi presidenziale. Sull’altro versante ciò gli permette di riconferire una certa dignità alla tesi governativa, che a partire dal primo decennio repubblicano era stata accantonata in sede di dibattito dottrinario: in questo modo, entrambe le teoriche fondate su una titolarità esclusiva assumono una pari dignità, benchè parimenti nessuna delle due risulti persuasiva. Invece, accedere alla tesi della partecipazione complessa significa intrinsecamente riconoscere una grande flessibilità nell’esercizio del potere in questione, permettendo così una sua più adeguata idoneità a mutare le proprie sembianze in fase applicativa e a calarsi di volta in volta nelle situazioni contingenti. Questa costruzione si inserisce nella scelta costituente di rafforzare le garanzie, ed il reciproco controllo che si instaura tra Presidente e Governo rappresenta la principale forma di tutela contro potenziali abusi di potere. Ad ognuno dei due organi spettano però compiti differenti, poiché le finalità perseguite sono differenti: come l’Esecutivo agisce normalmente secondo canoni politici, in quanto principale responsabile dell’indirizzo politico, al Capo dello Stato si addice soprattutto il compito di sorvegliare il regolare svolgimento dei meccanismi istituzionali, in posizione di imparzialità. Lo schema costituzionale, secondo il candidato, sembra perciò puntare sulla leale collaborazione tra i poteri in questione, senza però predefinire uno ruolo fisso ed immutabile, ma esaltando le potenzialità di una configurazione così eclettica. Assumendo questa concezione, si ha buon gioco a conferire piena cittadinanza costituzionale all’ipotesi di scioglimento disposto su proposta del Presidente del Consiglio, che si può ricavare in via interpretativa dalla valorizzazione dell’art. 89 Cost. anche secondo il suo significato letterale. Al discorso della titolarità del potere di scioglimento, il candidato lega quello circa i presupposti legittimanti, altro nodo irrisolto. La problematica relativa alla loro definizione troverebbe un decisivo ridimensionamento nel momento in cui si ammette la compartecipazione di Governo e Presidente della Repubblica: il diverso titolo con il quale essi cooperano consentirebbe di prevenire valutazioni pretestuose circa la presenza delle condizioni legittimanti, poichè è nel reciproco controllo che entrambi gli organi individuano i confini entro cui svolgere le rispettive funzioni. Si giustificano così sia ragioni legate ad esigenze di funzionalità del sistema (le più ricorrenti in un sistema politico pluripartitico), sia quelle scaturenti dalla divaricazione tra orientamento dei rappresentati e orientamento dei rappresentanti: purchè, sottolinea il candidato, ciò non conduca il Presidente della Repubblica ad assumere un ruolo improprio di interferenza con le prerogative proprie della sfera di indirizzo politico. Il carattere aperto della disciplina costituzionale spinge inevitabilmente il candidato ad approfondire l'analisi della prassi, la cui conoscenza costituisce un fondamentale modo sia per comprendere il significato delle disposizioni positive che per apprezzare l’utilità reale ed il rendimento sistemico dell’istituto. Infatti, è proprio dall'indagine sulla pratica che affiorano in maniera prepotente le molteplici virtualità dello strumento dissolutorio, con modalità operative che, a seconda delle singole fasi individuate, trovano una strutturazione casistica variabile. In pratica: nel 1953 e nel 1958 è l'interesse del partito di maggioranza relativa ad influenzare il Governo circa la scelta di anticipare la scadenza del Senato; nel 1963 e nel 1968 invece si fa strada l'idea del consenso diffuso allo scioglimento, seppure nel primo caso l'anticipo valga ancora una volta per il solo Senato, e nel secondo ci si trovi di fronte all'unica ipotesi di fine naturale della legislatura; nel 1972, nel 1976, nel 1979, nel 1983 e nel 1987 (con una significativa variante) si manifesta con tutta la sua forza la pratica consociativa, figlia della degenerazione partitocratica che ha svuotato le istituzioni giuridiche (a partire dal Governo) e cristallizzato nei partiti politici il centro di gravità della vita pubblica; nel 1992, a chiusura della prima epoca repubblicana, caratterizzata dal dominio della proporzionale (con tutte le sue implicazioni), si presentano elementi atipici, i quali vanno a combinarsi con le consolidate tendenze, aprendo così la via all'incertezza sulle tendenze future. È con l'avvento della logica maggioritaria, prepotentemente affacciatasi per il tramite dei referendum elettorali, a sconvolgere il quadro delle relazioni fra gli organi costituzionali, anche per quanto concerne ratio e caratteristiche del potere di scioglimento delle Camere. Soprattutto, nella fase di stretta transizione che ha attraversato il quadriennio 1992-1996, il candidato mette in luce come i continui smottamenti del sistema politico abbiano condotto ad una fase di destabilizzazione anche per quanto riguarda la prassi, incrinando le vecchie regolarità e dando vita a potenzialità fino allora sconosciute, addirittura al limite della conformità a Costituzione. La Presidenza Scalfaro avvia un processo di netta appropriazione del potere di scioglimento, esercitandolo in maniera esclusiva, grazie anche alla controfirma offerta da un Governo compiacente (“tecnicco”, perciò debitore della piena fiducia quirinalizia). La piena paternità presidenziale, nel 1994, è accompagnata da un altro elemento di brusca rottura con il passato, ossia quello della ragione legittimante: infatti, per la prima volta viene addotta palesemente la motivazione del deficit di rappresentatività. Altro momento ad aver costituito da spartiacque nell’evoluzione della forma di governo è stato il mancato scioglimento a seguito della crisi del I Governo Berlusconi, in cui forti erano state le pressioni perché si adeguasse il parlamentarismo secondo i canoni del bipolarismo e del concetto di mandato di governo conferito direttamente dagli elettori ad una maggioranza (che si voleva predefinita, nonostante essa in verità non lo fosse affatto). Dopo questa parentesi, secondo il candidato la configurazione dello strumento dissolutorio si allinea su ben altri binari. Dal punto di vista della titolarità, sono i partiti politici a riprendere vigorosamente un certo protagonismo decisionale, ma con una netta differenza rispetto al passato consociativo: ora, il quadro politico pare saldamente attestato su una dinamica bipolare, per cui anche in relazione all’opzione da adottare a seguito di crisi ministeriale sono le forze della maggioranza che decidono se proseguire la legislatura (qualora trovino l’accordo tra di loro) o se sciogliere (allorchè invece si raggiunga una sorta di maggioranza per lo scioglimento). Dal punto di vista dei presupposti, sembra consolidarsi l’idea che lo scioglimento rappresenti solo l’extrema ratio, chiamando gli elettori ad esprimersi solo nel momento in cui si certifica l’assoluta impossibilità di ripristinare la funzionalità perduta. Conclusioni. Il rafforzamento della prospettiva bipolare dovrebbe postulare una riconfigurazione del potere di scioglimento tesa a valorizzare la potestà decisionale del Governo. Ciò discenderebbe dal principio secondo cui il rafforzamento del circuito che unisce corpo elettorale, maggioranza parlamentare e Governo, grazie al collante di un programma politico condiviso, una coalizione che si presenta alle elezioni ed un candidato alla Presidenza del Consiglio che incarna la perfetta sintesi di tutte queste istanze, comporta che alla sua rottura non si può che tornare al giudizio elettorale: e quindi sciogliere le Camere, evitando la composizione di maggioranze che non rappresentano la diretta volontà popolare. Il candidato però non ritiene auspicabile l’adozione di un automatismo analogo alla regola dell'aut simul stabunt aut simul cadent proprio dell’esperienza regionale post 1999, perché soluzione eccessivamente rigida, che ingesserebbe in maniera inappropriata una forma parlamentare che comunque richiede margini di flessiblità. La proposta è invece di rileggere il testo costituzionale, rebus sic stantibus, nel senso di far prevalere un potere libero di proposta da parte del Governo, cui il Capo dello Stato non potrebbe non consentire, salvo svolgere un generale controllo di costituzionalità volto ad accertare l’insussistenza di alcuna forma di abuso. Su queste conclusioni il lavoro esprime solo prime idee, che meritano di essere approfondite. Come è da approfondire un tema che rappresenta forse l’elemento di maggiore originalità: trattasi della qualificazione e descrizione di un mandato a governare, ossia della compatibilità costituzionale (si pensi, in primis, al rapporto con il divieto di mandato imperativo di cui all’art. 67 Cost.) di un compito di governo che, tramite le elezioni, gli elettori affidano ad una determinata maggioranza, e che va ad arricchire il significato del voto rispetto a quello classico della mera rappresentanza delle istanze dei cittadini (e propria del parlamentarismo ottocentesco): riflessi di tali considerazioni si avrebbero inevitabilmente anche rispetto alla concezione del potere di scioglimento, che in siffatta maniera verrebbe percepito come strumento per il ripristino del “circuito di consonanza politica” che in qualche modo si sarebbe venuto a rompere. Ad ogni buon conto, già emergono dei riflessi in questo senso, per cui la strada intrapresa dal candidato pare quella giusta affinchè l’opera risulti completa, ben argomentata ed innovativa.

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Questa ricerca parte dall’approccio dialogico alle rappresentazioni sociali proposto da Marková (2003), assumendo che obbedienza e disobbedienza sono entrambe costituite da dimensioni socialmente costruttive e distruttive e che la loro interazione si riflette sugli atteggiamenti verso la democrazia. L’ipotesi principale è quella che obbedienza e disobbedienza non si escludano a vicenda, bensì che un’interazione bilanciata tra atteggiamenti favorevoli verso sia l’obbedienza sia la disobbedienza possa promuovere atteggiamenti prodemocratici a livello individuale e un incremento della democrazia a livello societale, come suggerito anche dalle teorie politologiche di Dahl (1999). La ricerca è stata sviluppata in due studi. Il primo è rappresentato da un’analisi cross-culturale condotta su dati provenienti dal World Values Survey ed è suddiviso in tre sottostudi: il primo indaga il rapporto tra la disobbedienza, le dimensioni distruttiva e costruttiva dell’obbedienza e gli atteggiamenti nei confronti della democrazia; il secondo si centra sulle differenze tra le due dimensioni opposte della disobbedienza (costruttiva e distruttiva), mettendo in evidenza come alcuni aspetti della disobbedienza siano legati ad atteggiamenti prodemocratici; il terzo si occupa, invece, di indagare a livello societale gli effetti della diffusione della disobbedienza costruttiva sul livello di democrazia di una nazione, mettendo in evidenza che, sotto determinate circostanze, la disobbedienza può essere intesa come un fattore protettivo per la democrazia. Il secondo studio si basa su un’inchiesta tramite questionari somministrati ad un campione di studenti universitari delle Università di Bologna ed Helsinki. Questo studio ha avuto la finalità di approfondire, da un punto di vista delle rappresentazioni sociali, come la dinamica tra obbedienza e disobbedienza si intrecci agli atteggiamenti verso la democrazia e verso l’assunzione di responsabilità nei confronti della società. I risultati suggeriscono che obbedienza e disobbedienza siano in rapporto di complementarietà, e non di reciproca esclusione, integrandosi l’una con l’altra in maniera disgiunta (Lefkowitz, 2007): laddove l’obbedienza rappresenta un atteggiamento responsabile nei confronti della società e di tutte le sue parti costitutive, la disobbedienza è uno strumento di controllo e azione politica nei confronti dell’autorità. Inoltre a livello societale i risultati mostrano che laddove le disobbedienza costruttiva si diffonde in una società, successivamente aumenta il suo livello di democrazia o, perlomeno, non diminuisce. Ciò suggerisce che la diffusione di una disobbedienza che coinvolge anche gli aspetti costruttivi dell’obbedienza possa rappresentare un fattore protettivo nei confronti della democraticità delle istituzioni e delle libertà politiche e civili.

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La ricerca approfondisce gli studi iniziati dalla dott.ssa Baldini in occasione della tesi di laurea e amplia le indagini critiche avviate per la mostra sull’Aemilia Ars (2001). La ricerca si è interessata alle aree di Bologna e di Faenza individuando le connessioni che tra Otto e Novecento intercorrono tra la cultura artistica locale e quella nazionale ed europea. Nasce infatti in questo periodo Aemilia Ars, uno dei più innovativi movimenti del contesto nazionale nel campo delle arti decorative. I membri del gruppo, raccoltisi intorno alla carismatica figura di Alfonso Rubbiani nei primi anni Ottanta, sono attratti da influenze nordeuropee e sin dall’inizio si mostrano orientati a seguire precetti ruskiniani e preraffaelliti. Molto importante in entrambe le città, per l’evoluzione dello scenario artistico e artigianale – in questi anni più che mai unite in un rapporto di strettissima correlazione – è l’apporto e il sostegno offerto dai salotti, dai circoli, dai caffè e dai cenacoli locali. Dal punto di vista dello stile, forme lineari con una marcata tendenza all’astrazione caratterizzano la produzione dei principali interpreti faentini e bolognesi dell’ultimo ventennio dell’Ottocento allineandoli con le ricerche dei loro contemporanei nel resto d’Europa. I settori produttivi che si sono indagati sono quelli della ceramica, dell’ebanisteria, dei ferri battuti, dell’oreficeria, delle arti tessili e dei cuoi. Gran parte di queste lavorazioni – attardatesi nella realizzazione di oggetti dalle forme di ispirazione seicentesca, certamente poco adatte alla produzione industriale – subiscono ora una decisa accelerazione verso forme più svelte che, adeguandosi alla possibilità di riproduzione seriale degli oggetti, si diffonderanno quasi capillarmente tra l’aristocrazia e la borghesia, faticando tuttavia a raggiungere le classi meno abbienti a causa degli elevati costi di produzione. Nell’ultima parte viene tracciato sinteticamente il quadro delle attività artistiche e artigianali faentine del periodo indicato, con una particolare attenzione all’opera delle personalità afferenti al Cenacolo baccariniano.

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Sperm cells need hexoses as a substrate for their function, for both the maintenance of membrane homeostasis and the movement of the tail. These cells have a peculiar metabolism that has not yet been fully understood, but it is clear that they obtain energy from hexoses through glycolisis and/or oxidative phosphorylation. Spermatozoa are in contact with different external environments, beginning from the testicular and epididymal fluid, passing to the seminal plasma and finally to the female genital tract fluids; in addition, with the spread of reproductive biotechnologies, sperm cells are diluted and stored in various media, containing different energetic substrates. To utilize these energetic sources, sperm cells, as other eukaryotic cells, have a well-constructed protein system, that is mainly represented by the GLUT family proteins. These transporters have a membrane-spanning α-helix structure and work as an enzymatic pump that permit a fast gradient dependent passage of sugar molecules through the lipidic bilayer of sperm membrane. Many GLUTs have been studied in man, bull and rat spermatozoa; the presence of some GLUTs has been also demonstrated in boar and dog spermatozoa. The aims of the present study were - to determine the presence of GLUTs 1, 2, 3, 4 and 5 in boar, horse, dog and donkey spermatozoa and to describe their localization; - to study eventual changes in GLUTs location after capacitation and acrosome reaction in boar, stallion and dog spermatozoa; - to determine possible changes in GLUTs localization after capacitation induced by insulin and IGF stimulation in boar spermatozoa; - to evaluate changes in GLUTs localization after flow-cytometric sex sorting in boar sperm cells. GLUTs 1, 2, 3 and 5 presence and localization have been demonstrated in boar, stallion, dog and donkey spermatozoa by western blotting and immunofluorescence analysis; a relocation in GLUTs after capacitation has been observed only in dog sperm cells, while no changes have been observed in the other species examined. As for boar, the stimulation of the capacitation with insulin and IGF didn’t cause any change in GLUTs localization, as well as for the flow cytometric sorting procedure. In conclusion, this study confirms the presence of GLUTs 1, 2 ,3 and 5 in boar, dog, stallion and donkey spermatozoa, while GLUT 4 seems to be absent, as a confirmation of other studies. Only in dog sperm cells capacitating conditions induce a change in GLUTs distribution, even if the physiological role of these changes should be deepened.

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La raccolta e l’utilizzo in chiave comparativa di dati di performance sanitaria risponde, tra le altre esigenze, a bisogni di accountability. Si osserva infatti a livello internazionale la diffusione di politiche di pubblicizzazione della qualità dei risultati: uno studio della letteratura di settore consente di confrontare i fattori più rilevanti delle principali esperienze di reporting già realizzate in Paesi dai sistemi sanitari molto diversi. Nel contesto italiano l’attenzione ai diritti dell’utente di concerto con la riforma del sistema informativo sanitario si pongono come premesse alla potenziale diffusione di dati di performance alla cittadinanza. Una interpretazione delle fonti normative e della giurisprudenza tramite il principio di trasparenza pare sostenere la tesi di una doverosità di informazione in capo alle amministrazioni pubbliche; l’analisi dei possibili scenari di impatto delle politiche di comunicazione ne condiziona però l’attuazione ad una programmazione strutturata e consapevole.

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In questa tesi ho analizzato le disposizioni legali che regolano l'associazionismo farmaceutico, oblligatorio o libero; corporativo o scientifico, e la sua relazione con i Sistemi Nazionali di Salute, dal punto di vista delle disposizioni vigenti nell'Unione Europea e le sue diverse applicazioni in due stati rappresentativi dell modello di amministrazione farmaceutica mediterranea, la Spagna e l`Italia, in comparazione con il modello anglosassone (Inghilterra). In primo luogo, si é presa in considerazione l'aggregazione professionale ufficiale dei farmacisti. In secondo luogo, sono analizzate le aggruppazioni economiche degli stessi professionisti e la loro relazione con i corrispondenti Sistemi di Salute. Questo lavoro pretende di mostrare una visione attuale di quello che é stato tradizionalmente l'essenza della professione farmaceutica dalle sue origini ( secolo XIII) e come essa si é inquadrata nei diversi stati grazie alla Pharmaceutical Care.

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PRESUPPOSTI: Le tachicardie atriali sono comuni nei GUCH sia dopo intervento correttivo o palliativo che in storia naturale, ma l’incidenza è significativamente più elevata nei pazienti sottoposti ad interventi che prevedono un’estesa manipolazione atriale (Mustard, Senning, Fontan). Il meccanismo più frequente delle tachicardie atriali nel paziente congenito adulto è il macrorientro atriale destro. L’ECG è poco utile nella previsione della localizzazione del circuito di rientro. Nei pazienti con cardiopatia congenita sottoposta a correzione biventricolare o in storia naturale il rientro peritricuspidale costituisce il circuito più frequente, invece nei pazienti con esiti di intervento di Fontan la sede più comune di macrorientro è la parete laterale dell’atrio destro. I farmaci antiaritmici sono poco efficaci nel trattamento di tali aritmie e comportano un’elevata incidenza di effetti avversi, soprattutto l’aggravamento della disfunzione sinusale preesistente ed il peggioramento della disfunzione ventricolare, e di effetti proaritmici. Vari studi hanno dimostrato la possibilità di trattare efficacemente le IART mediante l’ablazione transcatetere. I primi studi in cui le procedure venivano realizzate mediante fluoroscopia tradizionale, la documentazione di blocco di conduzione translesionale bidirezionale non era routinariamente eseguita e non tutti i circuiti di rientro venivano sottoposti ad ablazione, riportano un successo in acuto del 70% e una libertà da recidiva a 3 anni del 40%. I lavori più recenti riportano un successo in acuto del 94% ed un tasso di recidiva a 13 mesi del 6%. Questi ottimi risultati sono stati ottenuti con l’utilizzo delle moderne tecniche di mappaggio elettroanatomico e di cateteri muniti di sistemi di irrigazione per il raffreddamento della punta, inoltre la dimostrazione della presenza di blocco di conduzione translesionale bidirezionale, l’ablazione di tutti i circuiti indotti mediante stimolazione atriale programmata, nonché delle sedi potenziali di rientro identificate alla mappa di voltaggio sono stati considerati requisiti indispensabili per la definizione del successo della procedura. OBIETTIVI: riportare il tasso di efficia, le complicanze, ed il tasso di recidiva delle procedure di ablazione transcatetere eseguite con le moderne tecnologie e con una rigorosa strategia di programmazione degli obiettivi della procedura. Risultati: Questo studio riporta una buona percentuale di efficacia dell’ablazione transcatetere delle tachicardie atriali in una popolazione varia di pazienti con cardiopatia congenita operata ed in storia naturale: la percentuale di successo completo della procedura in acuto è del 71%, il tasso di recidiva ad un follow-up medio di 13 mesi è pari al 28%. Tuttavia se l’analisi viene limitata esclusivamente alle IART il successo della procedura è pari al 100%, i restanti casi in cui la procedura è stata definita inefficace o parzialmente efficace l’aritmia non eliminata ma cardiovertita elettricamente non è un’aritmia da rientro ma la fibrillazione atriale. Inoltre, sempre limitando l’analisi alle IART, anche il tasso di recidiva a 13 mesi si abbassa dal 28% al 3%. In un solo paziente è stato possibile documentare un episodio asintomatico e non sostenuto di IART al follow-up: in questo caso l’aspetto ECG era diverso dalla tachicardia clinica che aveva motivato la prima procedura. Sebbene la diversa morfologia dell’attivazione atriale all’ECG non escluda che si tratti di una recidiva, data la possibilità di un diverso exit point del medesimo circuito o di un diverso senso di rotazione dello stesso, è tuttavia più probabile l’emergenza di un nuovo circuito di macrorientro. CONCLUSIONI: L'ablazione trancatetere, pur non potendo essere considerata una procedura curativa, in quanto non in grado di modificare il substrato atriale che predispone all’insorgenza e mantenimento della fibrillazione atriale (ossia la fibrosi, l’ipertrofia, e la dilatazione atriale conseguenti alla patologia e condizione anatomica di base)è in grado di assicurare a tutti i pazienti un sostanziale beneficio clinico. È sempre stato possibile sospendere l’antiaritmico, tranne 2 casi, ed anche nei pazienti in cui è stata documentata una recidiva al follow-up la qualità di vita ed i sintomi sono decisamente migliorati ed è stato ottenuto un buon controllo della tachiaritmia con una bassa dose di beta-bloccante. Inoltre tutti i pazienti che avevano sviluppato disfunzione ventricolare secondaria alla tachiaritmia hanno presentato un miglioramento della funzione sistolica fino alla normalizzazione o al ritorno a valori precedenti la documentazione dell’aritmia. Alla base dei buoni risultati sia in acuto che al follow-up c’è una meticolosa programmazione della procedura e una rigorosa definizione degli endpoint. La dimostrazione del blocco di conduzione translesionale bidirezionale, requisito indispensabile per affermare di aver creato una linea continua e transmurale, l’ablazione di tutti i circuiti di rientro inducibili mediante stimolazione atriale programmata e sostenuti, e l’ablazione di alcune sedi critiche, in quanto corridoi protetti coinvolti nelle IART di più comune osservazione clinica, pur in assenza di una effettiva inducibilità periprocedurale, sono obiettivi necessari per una procedura efficace in acuto e a distanza. Anche la disponibilità di moderne tecnologie come i sistemi di irrigazione dei cateteri ablatori e le metodiche di mappaggio elettroanantomico sono requisiti tecnici molto importanti per il successo della procedura.

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Sebbene Anarsia lineatella sia un fitofago ormai da anni introdotto e diffuso in Italia, ancora poco si conosce circa le sue abitudini riproduttive. In considerazione della elevata dannosità di A. lineatella nei pescheti del nord Italia e delle scarse conoscenze sulla sua biologia, si è evidenziata la necessità di approfondire la conoscenza di questo fitofago. Pertanto gli scopi di questa ricerca hanno riguardato l’approfondimento delle conoscenze sui sistemi di comunicazione intraspecifici utilizzati da A. lineatella; la valutazione dell’efficacia di diverse miscele di feromone sintetico, in laboratorio utilizzando anche densità diverse di popolazioni di anarsia e in campo utilizzando gabbie di accoppiamento appositamente costruite, posizionate in frutteti a conduzione biologica nel nord Italia e messe a confronto con gabbie che utilizzavano come fonte attrattiva femmine vergini di tre giorni di età. Sono state condotte prove sul comportamento di maschi di A. lineatella di differenti età in risposta al feromone emesso da femmine vergini di tre giorni di età e al feromone emesso da erogatori di materiale plastico contenenti differenti miscele di feromone sintetico. Sono stati condotti studi per verificare l’influenza del contenuto di alcol ((E)5-10:OH) nella miscela feromonica sulla capacità di inibizione degli accoppiamenti, sottoponendo gli insetti a differenti concentrazioni di feromone in modo da verificare eventuali differenze di attività delle diverse miscele, differenze che emergerebbero con evidenza maggiore alle minori concentrazioni. Alcune prove sono state effettuate anche con differenti densità di popolazione, poiché una maggiore densità di popolazione determina una maggiore probabilità di accoppiamento, evidenziando più chiaramente i limiti di efficacia della miscela utilizzata. Inoltre sono state effettuate prove di campo per confrontare due modelli di erogatore per la confusione sessuale di anarsia contenenti miscele con differenti percentuali di alcol Inoltre, poiché nei pescheti la presenza di A. lineatella è pressoché sempre associata a quella di Cydia molesta e l’applicazione del metodo della confusione deve spesso essere applicato per controllare entrambi gli insetti, può risultare vantaggioso disporre di un unico erogatore contenente entrambi i feromoni; è stato quindi valutato un erogatore contenente una miscela dei due feromoni per verificare eventuali interazioni che possano ridurre l’efficacia.

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Il nostro studio è incentrato sul confronto fra l’Unione Europea e il Mercado Común del Sur (Mercosur, particolarmente, in relazione a due aspetti: (i) aspetto giuridico-strutturale e, (ii) aspetto giurisprudenziale. L’obiettivo principale di tale confronto è quello di tracciare un parallelismo tra i due sistemi d’integrazione in modo da comprendere il livello d’integrazione e di efficienza del Mercosur in relazione ad un parametro ineludibile in materia quale è l’Unione Europea. Con tale obiettivo, il lavoro è stato suddiviso in quattro capitoli che mettono a fuoco aspetti molto precisi dei sistemi d’integrazione regionale. Il Capitolo I Diritto e integrazione nell’ambito del Mercosur, ha una funzione introduttiva al sistema mercosurino e funge da asse dell’intera tesi dato che illustra le origini del Mercosur, le sue istituzioni, i suoi fini ed obiettivi e, da ultimo, l’attuale assetto istituzionale del medesimo ed ipotizza i suoi possibili sviluppi futuri. Nel Capitolo II, L’evoluzione del diritto del Mercosur alla luce del primo parere consultivo del Tribunal Permanente de Revisión, è analizzato il primo parere emesso dai Tribunali mercosurini – nell’anno 2007. Vengono delineati gli elementi che caratterizzano tali pareri mercosurini e vengono altresì messi in evidenza gli aspetti di convergenza con i rinvii pregiudiziali della Corte di giustizia e quelli che, invece, rappresentano elementi di profonda divergenza. Attraverso l’analisi del Parere 1/2007 ci proponiamo in primo luogo di mettere a fuoco specifici spunti giuridici rintracciabili nella sua motivazione che ci permetteranno di dare una reale dimensione al Diritto mercosurino. In secondo luogo, ci proponiamo di mettere in evidenza il fondamentale ruolo che possono acquisire i pareri emessi dal Tribunal Permanente de Revisión nello sviluppo dell’intero sistema giuridico ed istituzionale del Mercosur. Nel capitolo successivo, Un caso di conflitto di giurisdizione, abbiamo voluto studiare una particolare controversia che, curiosamente, è stata affrontata e risolta da differenti organi giurisdizionali con competenze materiali e territoriali diverse. Facciamo riferimento alla causa “dei polli” esportati in Argentina, con presunto dumping, da parte di alcuni produttori brasiliani dal gennaio 1998 al gennaio 1999. Tale causa ebbe origine in Argentina dinanzi un’autorità amministrativa, fu parallelamente portata dinanzi la giustizia federale argentina, successivamente davanti ad un Tribunale mercosurino e, infine, dinanzi l’OMC. Con lo scopo di trovare una risposta al perché sia stato possibile adire più tribunali ed applicare normativa diversa ad una stessa controversia abbiamo indagato due aspetti di diritto di vitale rilevanza nell’ambito del diritto internazionale dei nostri giorni. Da una parte ci siamo focalizzati sullo studio delle normative internazionali che legiferando su materie simili e, in certi casi, pressoché identiche, e avendo origine in sistemi giuridici diversi hanno, tuttavia, la capacità di esplicare i loro effetti in più giurisdizioni e sono, pertanto, potenzialmente in grado di influenzarsi a vicenda. D’altra parte, abbiamo compiuto un’indagine sull’esistenza o meno di una normativa che funga da raccordo tra i sistemi di risoluzione delle controversie degli spazi d’integrazione economica e il sistema di risoluzione delle controversie dell’OMC. Infine, il quarto ed ultimo capitolo, L’attività giurisdizionale negli spazi d’integrazione regionale, è dedicato alla valutazione degli sviluppi compiuti dal Mercosur in 18 anni di vita alla luce dei lodi emessi dai Tribunali mercosurini. Difatti, l’obiettivo concreto di questo capitolo è capire se i Tribunali mercosurini svolgono una funzione dinamica e costruttiva dell’assetto del Mercosur, tesa a sviluppare il sistema normativo, oppure se essi abbiano, piuttosto, una funzione passiva e una visione statica nell’applicazione del diritto. È risaputo che la funzione della Corte di giustizia è stata determinante nell’evoluzione e nell’affermazione del sistema giuridico in vigore attraverso una giurisprudenza costante. Mediante il confronto dell’attività svolta da entrambe le giurisdizioni sarà possibile avanzare ipotesi riguardo i futuri progressi dell’assetto mercosurino grazie all’apporto giurisprudenziale.

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La tesi analizza i collegamenti tra la dimensione interna e la dimensione esterna del diritto europeo dell’energia al fine valutare l’efficacia e la coerenza della politica energetica europea in un approccio realmente globale ed integrato. Lo scopo della ricerca è quello di interrogarsi sull’evoluzione della competenza dell’Unione in tema di energia e su quale possa essere il suo contributo allo studio del diritto dell’Unione. L’analisi mira a chiarire i principi cardine della politica energetica europea ed i limiti che incontra l’azione dell’Unione nella disciplina dei settori energetici. Nonostante la centralità e l’importanza dell’energia, tanto per il buon funzionamento del mercato interno, quanto per la protezione dell’ambiente e per la sicurezza internazionale, la ricerca ha riscontrato come manchi ancora in dottrina una sufficiente elaborazione dell’energia in chiave organica e sistematica. L’analisi è svolta in quattro capitoli, ciascuno dei quali è suddiviso in due sezioni. Lo studio si apre con l’indagine sulla competenza energetica dell’Unione, partendo dai trattati settoriali (CECA ed Euratom) fino ad arrivare all’analisi delle disposizioni contenute nel Trattato di Lisbona che prevedono una base giuridica ad hoc (art. 194 TFUE) per l’energia. Lo scopo del primo capitolo è quello di fornire un inquadramento teorico alla materia, analizzando le questioni riguardanti l’origine del ‘paradosso energetico’ ed i limiti della competenza energetica dell’Unione, con un sguardo retrospettivo che tenga conto del dinamismo evolutivo che ha caratterizzato il diritto europeo dell’energia. Nel corso del secondo capitolo, la ricerca analizza l’impatto del processo di liberalizzazione sulla struttura dei mercati dell’elettricità e del gas con la graduale apertura degli stessi al principio della libera concorrenza. L’analisi conduce ad una ricognizione empirica sulle principali categorie di accordi commerciali utilizzate nei settori energetici; la giurisprudenza della Corte sulla compatibilità di tali accordi rispetto al diritto dell’Unione mette in evidenza il difficile bilanciamento tra la tutela della sicurezza degli approvvigionamenti e la tutela del corretto funzionamento del mercato interno. L’applicazione concreta del diritto antitrust rispetto alle intese anticoncorrenziali ed all’abuso di posizione dominante dimostra la necessità di tener conto dei continui mutamenti indotti dal processo di integrazione dei mercati dell’elettricità e del gas. Il terzo capitolo introduce la dimensione ambientale della politica energetica europea, sottolineando alcune criticità relative alla disciplina normativa sulle fonti rinnovabili, nonché gli ostacoli al corretto funzionamento del mercato interno delle quote di emissione, istituito dalla legislazione europea sulla lotta ai cambiamenti climatici. I diversi filoni giurisprudenziali, originatisi dalle controversie sull’applicazione delle quote di emissioni, segnalano le difficoltà ed i limiti della ‘sperimentazione legislativa’ adottata dal legislatore europeo per imporre, attraverso il ricorso a strumenti di mercato, obblighi vincolanti di riduzione delle emissioni inquinanti che hanno come destinatari, non solo gli Stati, ma anche i singoli. Infine, il quarto ed ultimo capitolo, affronta il tema della sicurezza energetica. Nel corso del capitolo vengono effettuate considerazioni critiche sulla mancanza di collegamenti tra la dimensione interna e la dimensione esterna del diritto europeo dell’energia, evidenziando i limiti all’efficacia ed alla coerenza dell’azione energetica dell’Unione. L’inquadramento teorico e normativo della dimensione estera della politica energetica europea tiene conto del processo di allargamento e della creazione del mercato interno dell’energia, ma viene inserito nel più ampio contesto delle relazioni internazionali, fondate sul delicato rapporto tra i Paesi esportatori ed i Paesi importatori di energia. Sul piano internazionale, l’analisi ricostruisce la portata ed i limiti del principio di interdipendenza energetica. Lo studio si concentra sulle disposizioni contenute nei trattati internazionale di cooperazione energetica, con particolare riferimento ai diversi meccanismi di risoluzione delle controversie in tema di protezione degli investimenti sull’energia. Sul piano interno, la ricerca pone in evidenza l’incapacità dell’Unione di ‘parlare con una sola voce’ in tema di sicurezza energetica a causa della contrapposizione degli interessi tra i vecchi ed i nuovi Stati membri rispetto alla conclusione degli accordi di fornitura di lunga durata con i Paesi produttori di gas. Alla luce delle nuove disposizioni del Trattato di Lisbona, il principio solidaristico viene interpretato come limite agli interventi unilaterali degli Stati membri, consentendo il ricorso ai meccanismi comunitari previsti dalla disciplina sul mercato interno dell’elettricità e del gas, anche in caso di grave minaccia alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici.

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The "sustainability" concept relates to the prolonging of human economic systems with as little detrimental impact on ecological systems as possible. Construction that exhibits good environmental stewardship and practices that conserve resources in a manner that allow growth and development to be sustained for the long-term without degrading the environment are indispensable in a developed society. Past, current and future advancements in asphalt as an environmentally sustainable paving material are especially important because the quantities of asphalt used annually in Europe as well as in the U.S. are large. The asphalt industry is still developing technological improvements that will reduce the environmental impact without affecting the final mechanical performance. Warm mix asphalt (WMA) is a type of asphalt mix requiring lower production temperatures compared to hot mix asphalt (HMA), while aiming to maintain the desired post construction properties of traditional HMA. Lowering the production temperature reduce the fuel usage and the production of emissions therefore and that improve conditions for workers and supports the sustainable development. Even the crumb-rubber modifier (CRM), with shredded automobile tires and used in the United States since the mid 1980s, has proven to be an environmentally friendly alternative to conventional asphalt pavement. Furthermore, the use of waste tires is not only relevant in an environmental aspect but also for the engineering properties of asphalt [Pennisi E., 1992]. This research project is aimed to demonstrate the dual value of these Asphalt Mixes in regards to the environmental and mechanical performance and to suggest a low environmental impact design procedure. In fact, the use of eco-friendly materials is the first phase towards an eco-compatible design but it cannot be the only step. The eco-compatible approach should be extended also to the design method and material characterization because only with these phases is it possible to exploit the maximum potential properties of the used materials. Appropriate asphalt concrete characterization is essential and vital for realistic performance prediction of asphalt concrete pavements. Volumetric (Mix design) and mechanical (Permanent deformation and Fatigue performance) properties are important factors to consider. Moreover, an advanced and efficient design method is necessary in order to correctly use the material. A design method such as a Mechanistic-Empirical approach, consisting of a structural model capable of predicting the state of stresses and strains within the pavement structure under the different traffic and environmental conditions, was the application of choice. In particular this study focus on the CalME and its Incremental-Recursive (I-R) procedure, based on damage models for fatigue and permanent shear strain related to the surface cracking and to the rutting respectively. It works in increments of time and, using the output from one increment, recursively, as input to the next increment, predicts the pavement conditions in terms of layer moduli, fatigue cracking, rutting and roughness. This software procedure was adopted in order to verify the mechanical properties of the study mixes and the reciprocal relationship between surface layer and pavement structure in terms of fatigue and permanent deformation with defined traffic and environmental conditions. The asphalt mixes studied were used in a pavement structure as surface layer of 60 mm thickness. The performance of the pavement was compared to the performance of the same pavement structure where different kinds of asphalt concrete were used as surface layer. In comparison to a conventional asphalt concrete, three eco-friendly materials, two warm mix asphalt and a rubberized asphalt concrete, were analyzed. The First Two Chapters summarize the necessary steps aimed to satisfy the sustainable pavement design procedure. In Chapter I the problem of asphalt pavement eco-compatible design was introduced. The low environmental impact materials such as the Warm Mix Asphalt and the Rubberized Asphalt Concrete were described in detail. In addition the value of a rational asphalt pavement design method was discussed. Chapter II underlines the importance of a deep laboratory characterization based on appropriate materials selection and performance evaluation. In Chapter III, CalME is introduced trough a specific explanation of the different equipped design approaches and specifically explaining the I-R procedure. In Chapter IV, the experimental program is presented with a explanation of test laboratory devices adopted. The Fatigue and Rutting performances of the study mixes are shown respectively in Chapter V and VI. Through these laboratory test data the CalME I-R models parameters for Master Curve, fatigue damage and permanent shear strain were evaluated. Lastly, in Chapter VII, the results of the asphalt pavement structures simulations with different surface layers were reported. For each pavement structure, the total surface cracking, the total rutting, the fatigue damage and the rutting depth in each bound layer were analyzed.