161 resultados para Tecnopolimeri radiopachi, test di radiopacità, prove accelerate


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The needs of customers to improve machinery in recent years have driven tractor manufacturers to reduce product life and development costs. The most significant efforts have concentrated on the attempt to decrease the costs of the experimental testing sector. The validation of the tractor prototypes are presently performed with a replication of a particularly unfavourable condition a defined number of times. These laboratory tests do not always faithfully reproduce the real use of the tractor. Therefore, field tests are also carried out to evaluate the prototype during real use, but it is difficult to perform such tests for a period of time long enough to reproduce tractor life usage. In this context, accelerated tests have been introduced in the automotive sector, producing a certain damage to the structure in a reduced amount of time. The goal of this paper is to define a methodology for the realization of accelerated structural tests on a tractor, through the reproduction of real customer tractor usage. A market analysis was performed on a 80 kW power tractor and a series of measures were then taken to simulate the real use of the tractor. Subsequently, the rainflow matrixes of the signals were extrapolated and used to estimate the tractor loadings for 10 years of tractor life. Finally these loadings were reproduced on testing grounds with special road pavements. The results obtained highlight the possibility of reproducing field loadings during road driving on proving grounds (PGs), but the use of two field operations is also necessary. The global acceleration factor obtained in this first step of the methodology is equal to three.

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La caratterizzazione di sedimenti contaminati è un problema complesso, in questo lavoro ci si è occupati di individuare una metodologia di caratterizzazione che tenesse conto sia delle caratteristiche della contaminazione, con analisi volte a determinare il contenuto totale di contaminanti, sia della mobilità degli inquinanti stessi. Una adeguata strategia di caratterizzazione può essere applicata per la valutazione di trattamenti di bonifica, a questo scopo si è valutato il trattamento di soil washing, andando ad indagare le caratteristiche dei sedimenti dragati e del materiale in uscita dal processo, sabbie e frazione fine, andando inoltre a confrontare le caratteristiche della sabbia in uscita con quelle delle sabbie comunemente usate per diverse applicazioni. Si è ritenuto necessario indagare la compatibilità dal punto di vista chimico, granulometrico e morfologico. Per indagare la mobilità si è scelto di applicare i test di cessione definiti sia a livello internazionale che italiano (UNI) e quindi si sono sviluppate le tecnologie necessarie alla effettuazione di test di cessione in modo efficace, automatizzando la gestione del test a pHstat UNI CEN 14997. Questo si è reso necessario a causa della difficoltà di gestire il test manualmente, per via delle tempistiche difficilmente attuabili da parte di un operatore. Le condizioni redox influenzano la mobilità degli inquinanti, in particolare l’invecchiamento all’aria di sedimenti anossici provoca variazioni sensibili nello stato d’ossidazione di alcune componenti, incrementandone la mobilità, si tratta quindi di un aspetto da considerare quando si individuano le adeguate condizioni di stoccaggio-smaltimento, si è eseguita a questo scopo una campagna sperimentale.

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Nella prima parte di questa tesi di dottorato sono presentate le attività svolte, di carattere numerico, ai fini della modellizzazione di macchine volumetriche ad ingranaggi esterni. In particolare viene dapprima presentato un modello a parametri concentrati utilizzato per l’analisi dei fenomeni che coinvolgono l’area di ingranamento della macchina; un codice di calcolo associato al modello è stato sviluppato ed utilizzato per la determinazione dell’influenza delle condizioni di funzionamento e delle caratteristiche geometriche della macchina sulle sovra-pressioni e sull’eventuale instaurarsi della cavitazione nei volumi tra i denti che si trovano nell’area di ingranamento. In seguito vengono presentati i risultati ottenuti dall’analisi del bilanciamento assiale di diverse unità commerciali, evidenziando l’influenza delle caratteristiche geometriche delle fiancate di bilanciamento; a questo proposito, viene presentato anche un semplice modello a parametri concentrati per valutare il rendimento volumetrico della macchina ad ingranaggi esterni, con l’intenzione di usare tale parametro quale indice qualitativo della bontà del bilanciamento assiale. Infine, viene presentato un modello completo della macchina ad ingranaggi esterni, realizzato in un software commerciale a parametri concentrati, che permette di analizzare nel dettaglio il funzionamento della macchina e di studiare anche l’interazione della stessa con il circuito idraulico in cui è inserita. Nella seconda parte della tesi si presentano le attività legate alla messa in funzione di due banchi prova idraulici per la caratterizzazione sperimentale di macchine volumetriche e componenti di regolazione, con particolare attenzione dedicata alla messa a punto del sistema di acquisizione e gestione dei dati sperimentali; si presentano infine i risultati di alcune prove eseguite su componenti di regolazione e macchine volumetriche.

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Da 25 anni la letteratura scientifica internazionale riporta studi su varie specie di microcrostacei copepodi ciclopoidi dei generi Macrocyclops, Megacyclops e Mesocyclops predatori di larve di 1a e 2a età di culicidi. Si tratta di prove di predazione in laboratorio e in pieno campo, in diverse aree del pianeta nessuna delle quali riguarda l’Italia o il resto d’Europa, contro principalmente Aedes aegypti (L.), Ae. albopictus (Skuse) e altre specie del genere Anopheles e Culex. L’allevamento massale di copepodi ciclopoidi appare praticabile e questo, assieme alle buone prestazioni predatorie, rende tali ausiliari candidati assai interessanti contro le due principali specie di zanzare, Culex pipiens L. e Ae. albpopictus, che nelle aree urbane e periurbane italiane riescono a sfruttare raccolte d’acqua artificiali di volume variabile e a regime idrico periodico o permanente. Pertanto lo scopo dello studio è stato quello di arrivare a selezionare una o più specie di copepodi candidati per la lotta biologica e valutarne la possibilità applicativa nell’ambito dei programmi di controllo delle zanzare nocive dell’ambiente urbano. L’argomento del tutto nuovo per il nostro paese, è stato sviluppato attraverso varie fasi ciascuna delle quali propedeutica a quella successiva. •Indagine faunistica nell’area di pianura e costiera sulle specie di ciclopoidi associate a varie tipologie di raccolte d’acqua naturali e artificiali (fossi, scoline, canali, risaie e pozze temporanee). I campionamenti sono stati condotti con l’obiettivo di ottenere le specie di maggiori dimensioni (≥1 mm) in ristagni con diverse caratteristiche in termini di qualità dell’acqua e complessità biocenotica. •Prove preliminari di predazione in laboratorio con alcune specie rinvenute negli ambienti campionati, nei confronti delle larve di Ae. albopictus e Cx. pipiens. Le prestazioni di predazione sono state testate sottoponendo ai copepodi larve giovani di zanzare provenienti da allevamento e calcolato il numero giornaliero di larve attaccate. •Implementazione di un allevamento pilota della specie valutata più interessante, Macrocyclops albidus (Jurine) (Cyclopoida, Cyclopidae, Eucyclopinae), per i risultati ottenuti in laboratorio in termini di numero di larve predate/giorno e per le caratteristiche biologiche confacenti agli ambienti potenzialmente adatti ai lanci. Questa parte della ricerca è stata guidata dalla finalità di mettere a punto una tecnica di allevamento in scala in modo da disporre di stock di copepodi dalla primavera, nonchè da criteri di economicità nell’impianto e nella sua gestione. •Prove di efficacia in condizioni di semicampo e di campo in raccolte d’acqua normalmente colonizzate dai culicidi in ambito urbano: bidoni per lo stoccaggio di acqua per l’irrigazione degli orti e tombini stradali. In questo caso l’obiettivo principale è stato quello di ottenere dati sull’efficienza del controllo di M. albidus nei confronti della popolazione culicidica selvatica e sulla capacità del copepode di colonizzare stabilmente tali tipologie di focolai larvali. Risultati e conclusioni Indagine faunistica e prove di predazione in laboratorio L’indagine faunistica condotta nell’area costiera ferrarese, in quella ravennate e della pianura bolognese ha portato al rinvenimento di varie specie di ciclopoidi mantenuti in laboratorio per la conduzione delle prove di predazione. Le specie testate sono state: Acanthocyclops robustus (G. O. Sars), Macrocyclops albidus (Jurine), Thermocyclops crassus (Fischer), Megacyclops gigas (Claus). La scelta delle specie da testare è stata basata sulla loro abbondanza e frequenza di ritrovamento nei campionamenti nonché sulle loro dimensioni. Ciascuna prova è stata condotta sottoponendo a un singolo copepode, oppure a gruppi di 3 e di 5 esemplari, 50 larve di 1a età all’interno di contenitori cilindrici in plastica con 40 ml di acqua di acquedotto declorata e una piccola quantità di cibo per le larve di zanzara. Ciascuna combinazione “copepode/i + larve di Ae. albopictus”, è stata replicata 3-4 volte, e confrontata con un testimone (50 larve di Ae. albopictus senza copepodi). A 24 e 48 ore sono state registrate le larve sopravvissute. Soltanto per M. albidus il test di predazione è stato condotto anche verso Cx. pipiens. Messa a punto della tecnica di allevamento La ricerca è proseguita concentrando l’interesse su M. albidus, che oltre ad aver mostrato la capacità di predare a 24 ore quasi 30 larve di Ae. albopictus e di Cx. pipiens, dalla bibliografia risulta tollerare ampi valori di temperatura, di pH e alte concentrazioni di vari inquinanti. Dalla ricerca bibliografica è risultato che i ciclopoidi sono facilmente allevabili in contenitori di varia dimensione e foggia somministrando agli stadi di preadulto alghe unicellulari (Chlorella, Chilomonas), protozoi ciliati (Paramecium, Euplotes), rotiferi e cladoceri. Ciò presuppone colture e allevamenti in purezza di tali microrganismi mantenuti in parallelo, da utilizzare come inoculo e da aggiungere periodicamente nell’acqua di allevamento dei ciclopoidi. Nel caso di utilizzo di protozoi ciliati, occorre garantirne lo sviluppo che avviene a carico di flora batterica spontanea a sua volta cresciuta su di un substrato organico quale latte, cariossidi bollite di grano o soia, foglie di lattuga, paglia di riso bollita con cibo secco per pesci, lievito di birra. Per evitare il notevole impegno organizzativo e di manodopera nonché il rischio continuo di perdere la purezza della colonia degli organismi da utilizzare come cibo, le prove comparative di allevamento hanno portato ad un protocollo semplice ed sufficientemente efficiente in termini di copepodi ottenibili. Il sistema messo a punto si basa sull’utilizzo di una popolazione mista di ciliati e rotiferi, mantenuti nell'acqua di allevamento dei copepodi mediante la somministrazione periodica di cibo standard e pronto all’uso costituito da cibo secco per gatti. Prova di efficacia in bidoni da 220 l di capacità La predazione è stata studiata nel biennio 2007-2008 in bidoni da 220 l di capacità inoculati una sola volta in aprile 2007 con 100 e 500 esemplari di M. albidus/bidone e disposti all’aperto per la libera ovideposizione della popolazione culicidica selvatica. L’infestazione preimmaginale culicidica veniva campionata ogni due settimane fino ad ottobre, mediante un retino immanicato a maglia fitta e confrontata con quella dei bidoni testimone (senza copepodi). Nel 2007 il tasso di riduzione medio delle infestazioni di Ae. albopictus nei bidoni con copepodi, rispetto al testimone, è del 99,90% e del 100,00% rispettivamente alle dosi iniziali di inoculo di 100 e 500 copepodi/bidone; per Cx. pipiens L. tale percentuale media è risultata di 88,69% e di 84,65%. Similmente, nel 2008 si è osservato ad entrambe le dosi iniziali di inoculo una riduzione di Ae. albopictus del 100,00% e di Cx. pipiens del 73,3%. La dose di inoculo di 100 copepodi per contenitore è risultata sufficiente a garantire un rapido incremento numerico della popolazione che ha raggiunto la massima densità in agosto-settembre e un eccellente controllo delle popolazioni di Ae. albopictus. Prova di efficacia in campo in serbatoi per l’acqua irrigua degli orti La prova è stata condotta a partire dalla metà di agosto 2008 interessando 15 serbatoi di varia foggia e capacità, variabile tra 200 e 600 l, utilizzati per stoccare acqua orti famigliari nel comune di Crevalcore (BO). Ai proprietari dei serbatoi era chiesto di gestire il prelievo dell’acqua e i rifornimenti come da abitudine con l’unica raccomandazione di non svuotarli mai completamente. In 8 contenitori sono stati immessi 100 esemplari di M.albidus e una compressa larvicida a base di Bacillus thuringiensis var. israelensis (B.t.i.); nei restanti 7 è stata soltanto immessa la compressa di B.t.i.. Il campionamento larvale è stato settimanale fino agli inizi di ottobre. Dopo l’introduzione in tutti i serbatoi sono stati ritrovati esemplari di copepodi, nonostante il volume di acqua misurato settimanalmente sia variato da pochi litri, in qualche bidone, fino a valori della massima capacità, per effetto del prelievo e dell’apporto dell’acqua da parte dei gestori degli orti. In post-trattamento sono state osservate differenze significative tra le densità larvali nelle due tesi solo al 22 settembre per Ae.albopictus Tuttavia in termini percentuali la riduzione media di larve di 3a-4a età e pupe nei bidoni con copepodi, rispetto al testimone, è stata de 95,86% per Ae. albopictus e del 73,30% per Cx. pipiens. Prova di efficacia in tombini stradali Sono state condotte due prove in due differenti località, interessando 20 tombini (Marano di Castenaso in provincia di Bologna nel 2007) e 145 tombini (San Carlo in provincia di Ferrara nel 2008), quest’ultimi sottoposti a spurgo e pulizia completa nei precedenti 6 mesi l’inizio della prova. L’introduzione dei copepodi nei tombini è stata fatta all’inizio di luglio nella prova di Marano di Castenaso e alla fine di aprile e giugno in quelli di San Carlo, a dosi di 100 e 50 copepodi/tombino. Prima dell’introduzione dei copepodi e successivamente ogni 2 settimane per due mesi, in ogni tombino veniva campionata la presenza culicidica e dei copepodi con dipper immanicato. Nel 2007 dopo l’introduzione dei copepodi e per tutto il periodo di studio, mediamente soltanto nel 77% dei tombini i copepodi sono sopravvissuti. Nel periodo di prova le precipitazioni sono state scarse e la causa della rarefazione dei copepodi fino alla loro scomparsa in parte dei tombini è pertanto da ricercare non nell’eventuale dilavamento da parte della pioggia, quanto dalle caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua. Tra queste innanzitutto la concentrazione di ossigeno che è sempre stata molto bassa (0÷1,03 mg/l) per tutta la durata del periodo di studio. Inoltre, a questo fattore probabilmente è da aggiungere l’accumulo, a concentrazioni tossiche per M. albidus, di composti organici e chimici dalla degradazione e fermentazione dell’abbondante materiale vegetale (soprattutto foglie) in condizioni di ipossia o anossia. Nel 2008, dopo il primo inoculo di M. albidus la percentuale di tombini che al campionamento presentano copepodi decresce in modo brusco fino a raggiungere il 6% a 2 mesi dall’introduzione dei copepodi. Dopo 40 giorni dalla seconda introduzione, la percentuale di tombini con copepodi è del 6,7%. Nell’esperienza 2008 è le intense precipitazioni hanno avuto probabilmente un ruolo determinante sul mantenimento dei copepodi nei tombini. Nel periodo della prova infatti le piogge sono state frequenti con rovesci in varie occasioni di forte intensità per un totale di 342 mm. Sotto questi livelli di pioggia i tombini sono stati sottoposti a un continuo e probabilmente completo dilavamento che potrebbe aver impedito la colonizzazione stabile dei copepodi. Tuttavia non si osservano influenze significative della pioggia nella riduzione percentuale dei tombini colonizzati da copepodi e ciò fa propendere all’ipotesi che assieme alla pioggia siano anche le caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua a impedire una colonizzazione stabile da parte di M. albidus. In definitiva perciò si è dimostrato che i tombini stradali sono ambienti ostili per la sopravvivenza di M. albidus, anche se, dove il ciclopoide si è stabilito permanentemente, ha dimostrato un certo impatto nei confronti di Ae. albopictus e di Cx. pipiens, che tuttavia è risultato non statisticamente significativo all’analisi della varianza. Nei confronti delle larve di Culex pipiens il copepode non permette livelli di controllo soddisfacente, confermando i dati bibliografici. Nei confronti invece di Ae. albopictus la predazione raggiunge buoni livelli; tuttavia ciò non è compensato dalla percentuale molto alta di tombini che, dopo periodi di pioggia copiosa o singoli episodi temporaleschi o per le condizioni di anossia rimangono senza i copepodi. Ciò costringerebbe a ripetute introduzioni di copepodi i cui costi attualmente non sono inferiori a quelli per trattamenti con prodotti larvicidi. In conclusione la ricerca ha portato a considerare Macrocyclops albidus un interessante ausiliario applicabile anche nelle realtà urbane del nostro paese nell’ambito di programmi integrati di contrasto alle infestazioni di Aedes albopictus. Tuttavia il suo utilizzo non si presta a tutti i focolai larvali ma soltanto a raccolte di acqua artificiali di un certo volume come i bidoni utilizzati per stoccare acqua da impiegare per l’orto e il giardino familiare nelle situazioni in cui non è garantita la copertura ermetica, lo svuotamento completo settimanale o l’utilizzo di sostanze ad azione larvozanzaricida.

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L’irrigidimento del contesto regolamentare europeo dovuto all’attuale condizione di contaminazione diffusa dell’ambiente, riscontrata in Italia e in molti altri paesi europei, ha visto l’esigenza sempre più pressante di razionalizzare le dosi dei fitofarmaci utilizzati in agricoltura. Lo sviluppo e l’utilizzo di nuovi prodotti coadiuvanti come specifici antideriva per erbicidi, rappresenta in questo senso, un’importante risorsa su cui si inizia a fare affidamento. In Francia, per esempio, già da alcuni anni ci sono normative che obbligano l’utilizzo in agricoltura di tali prodotti, mentre in Italia non si hanno ancora direttive precise a riguardo. In tal contesto l’obiettivo principale di questa ricerca, effettuata in collaborazione con la ditta Intrachem, è stato quello di studiare alcune caratteristiche funzionali relative a due prodotti, che verranno lanciati a breve sul mercato, come specifici antideriva per erbicidi. In particolar modo è stato fatto uno studio per verificare se ed eventualmente come, questi coadiuvanti (Gondor e Zarado) possono influenzare l’attività del principio attivo a cui vengono aggiunti, apportando variazioni relative alla sua efficacia. Lo schema di lavoro seguito ha previsto una prima fase di saggio dove venivano effettuati test dose-risposta, utilizzando diversi erbicidi a diverse concentrazioni. I test sono stati effettuati su alcune malerbe mono e dicotiledoni. In ciascuna di queste prove è stata valutata e confrontata la percentuale di sopravvivenza e il peso dei sopravvissuti tra le tesi trattate. Le tesi prevedevano trattamenti con erbicida e trattamenti con erbicida più uno dei due coadiuvanti. Nella seconda fase si è effettuato un approfondimento sulle tesi che hanno mostrato i risultati più interessanti, per capirne possibilmente le basi fisiologiche. In particolare si è verificato se l’aggiunta dei due antideriva potesse determinare cambiamenti durante la fase di assorbimento e di traslocazione del principio attivo all’interno della piantina, utilizzando molecole radiomarcate con C14. Dai risultati ottenuti si è potuto evidenziare come l’aggiunta dei coadiuvanti possa rendere più efficace l’azione dell’erbicida nei casi in cui le infestanti non vengono completamente controllate dagli stessi (stadio vegetativo troppo avanzato e resistenza all’erbicida). Non è stato sempre verificato che ad un miglioramento dell’efficacia coincida un aumento dell’assorbimento e della traslocazione del principio attivo, all’interno della pianta. In conclusione si è potuto constatare che Gondor e Zarado oltre a svolgere la loro funzione antideriva, non influenzano negativamente l’efficacia dell’erbicida, salvo poche eccezioni, ma al contrario possono potenziarne l’azione, nelle situazioni “border line”.

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Dal 1999 presso il laboratorio del Centro Agricoltura Ambiente “G. Nicoli” a Crevalcore (BO) è in corso una sperimentazione finalizzata a verificare la possibilità di attuare la tecnica del maschio sterile (SIT) in Italia contro Aedes albopictus. Alcuni aspetti per migliorare l’efficienza di questa struttura pilota, oggetto della presente ricerca, sono stati: 1) studio degli effetti di determinati costituenti della dieta larvale a) sullo sviluppo larvale stesso, per individuare intervalli limite di densità larvale e di concentrazione di cibo in cui è possibile lo sviluppo di tale specie, e b) sulla qualità dei maschi adulti ottenuti; 2) la valutazione di attrezzatura per l’allevamento massale e 3) la possibilità di migliorare la dieta larvale mediante integrazione di carboidrati. Dalle prove di valutazione della dieta larvale si è potuto osservare che, per quanto riguarda i parametri larvali, le due diete denominate “IAEA” (1 e 2) sono risultate più efficaci rispetto alla dieta standard “CAA”. Tali diete sono perciò da preferirsi nel loro possibile impiego in biofabbriche per l’allevamento massale. Le prove condotte sugli adulti allevati con le diverse diete hanno suggerito la necessità di valutare una possibile integrazione di componenti per migliorarne la longevità. Risulta altresì opportuno continuare la ricerca per ottimizzare la dieta larvale così da ottenere maschi di elevata qualità. Grazie ai risultati ottenuti dalle prove per valutare l’impiego di attrezzatura massale (vassoi di grandi dimensioni e carrello) si è potuto definire un modello per l’allevamento di Ae. albopictus con parametri standardizzati di densità larvale, dose di dieta, temperatura dell’acqua di allevamento, percentuale di maschi passati al setacciamento e rendimento di allevamento. Prove future saranno necessarie per testare altri componenti della dieta ricchi in carboidrati, quali saccarosio, da aggiungere alla dieta larvale per migliorare le qualità degli adulti ottenuti senza provocare effetti negativi sui parametri dello sviluppo larvale.

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I test di qualifica a vibrazioni vengono usati in fase di progettazione di un componente per verificarne la resistenza meccanica alle sollecitazioni dinamiche (di natura vibratoria) applicate durante la sua vita utile. La durata delle vibrazioni applicate al componente durante la sua vita utile (migliaia di ore) deve essere ridotta al fine di realizzare test fattibili in laboratorio, condotti in genere utilizzando uno shaker elettrodinamico. L’idea è quella di aumentare l’intensità delle vibrazioni riducendone la durata. Esistono diverse procedure di Test Tailoring che tramite un metodo di sintesi definiscono un profilo vibratorio da applicare in laboratorio a partire dalle reali vibrazioni applicate al componente: una delle metodologie più comuni si basa sull’equivalenza del danno a fatica prodotto dalle reali vibrazioni e dalle vibrazioni sintetizzate. Questo approccio è piuttosto diffuso tuttavia all’autore non risulta presente nessun riferimento in letteratura che ne certifichi la validità tramite evidenza sperimentalmente. L’obiettivo dell’attività di ricerca è stato di verificare la validità del metodo tramite una campagna sperimentale condotta su opportuni provini. Il metodo viene inizialmente usato per sintetizzare un profilo vibratorio (random stazionario) avente la stessa durata di un profilo vibratorio non stazionario acquisito in condizioni reali. Il danno a fatica prodotto dalla vibrazione sintetizzata è stato confrontato con quello della vibrazione reale in termini di tempo di rottura dei provini. I risultati mostrano che il danno prodotto dalla vibrazione sintetizzata è sovrastimato, quindi l’equivalenza non è rispettata. Sono stati individuati alcuni punti critici e sono state proposte alcune modifiche al metodo per rendere la teoria più robusta. Il metodo è stato verificato con altri test e i risultati confermano la validità del metodo a condizione che i punti critici individuati siano correttamente analizzati.

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Lo stretch film è una diffusa applicazione per imballaggio dei film in polietilene (PE), utilizzato per proteggere diversi prodotti di vari dimensioni e pesi. Una caratteristica fondamentale del film è la sua proprietà adesiva in virtù della quale il film può essere facilmente chiuso su se stesso. Tipicamente vengono scelti gradi lineari a bassa densità (LLDPE) con valori relativamente bassi di densità a causa delle loro buone prestazioni. Il mercato basa la scelta del materiale adesivo per tentativi piuttosto che in base alla conoscenza delle caratteristiche strutturali ottimali per l’applicazione. Come per i pressure sensitive adhesives, le proprietà adesive di film stretch in PE possono essere misurati mediante "peel testing". Esistono molti metodi standard internazionali ma i risultati di tali prove sono fortemente dipendenti dalla geometria di prova, sulla possibile deformazione plastica che si verificano nel peel arm(s), e la velocità e temperatura. Lo scopo del presente lavoro è quello di misurare l'energia di adesione Gc di film stretch di PE, su se stessi e su substrati diversi, sfruttando l'interpretazione della meccanica della frattura per tener conto dell'elevata flessibilità e deformabilità di tali film. Quindi, la dipendenza velocità/temperatura di Gc sarà studiata con riferimento diretto al comportamento viscoelastico lineare dei materiali utilizzati negli strati adesivi, per esplorare le relazioni struttura-proprietà che possono mettere in luce i meccanismi molecolari coinvolti nei processi di adesione e distacco. Nella presente caso, l’adesivo non è direttamente disponibile come materiale separato che può essere messo tra due superfici di prova e misurato per la determinazione delle sue proprietà. Il presupposto principale è che una parte, o fase, della complessa struttura semi-cristallina del PE possa funzionare come adesivo, e un importante risultato di questo studio può essere una migliore identificazione e caratterizzazione di questo "fase adesiva".

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L’attenta analisi della letteratura scientifica su argomenti riguardanti i contaminanti ambientali oggetto di studio (i policlorodifenili) ha permesso di raccogliere dati utili riguardanti le proprietà di queste molecole, la loro diffusione e la loro pericolosità. Oggetto della ricerca è stato lo studio in vitro del potenziale citotossico e trasformante dei PCB, utilizzando come riferimento una miscela commerciale di PCB, l’Aroclor 1260, e di un MIX di 18 congeneri ricostituito in laboratorio. Il lavoro è proseguito con la valutazione degli effetti di queste miscele e di due congeneri singoli (PCB 118 e PCB 153) su linee cellulari diverse in test di vitalità a breve termine. L’utilizzo di test specifici ha poi permesso la valutazione di un possibile potenziale estrogenico. Una volta ottenuto un quadro generale sui possibili effetti delle miscele grazie ai risultati dei test funzionali, è stata valutata la modulazione, da parte delle molecole e/o di miscele delle stesse, dell’espressione di geni coinvolti nella risposta ad estrogeni o a composti diossino simili, andando ad effettuare un’analisi di tipo molecolare con Real-Time PCR (RT-PCR) e analizzando nello specifico marcatori di pathway dell’Aryl Hydrocarbon Receptor (AhR) o dell’Estrogen Receptor (ER). In ultima analisi al fine di verificare l’applicabilità di biomarkers di espressione a situazioni di contaminazioni reali, ci si è focalizzati su campioni estratti da matrici ambientali, ed in particolare linee cellulari di interesse sono state esposte a estratti di sedimenti provenienti da siti inquinati. L’approccio scelto è stato di tipo molecolare, con lo scopo di individuare pathway da valutare in un secondo momento in test funzionali specifici. L’attività di ricerca si è avvalsa della tecnica del DNA-microarray per valutare la modulazione dell’espressione genica in risposta all’esposizione a contaminanti ambientali. In questo modo è possibile definire i profili di espressione genica che sottendono a risposte biologiche complesse nell’intento di individuare biomarcatori in grado di predire il rischio per l’uomo, e di consentire la stima di una relazione diretta tra esposizione ed effetti possibili.

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Il temperamento può essere definito come l’attitudine che un cane esprime verso le persone e verso altri animali, la combinazione di tratti fisici e mentali, acquisiti e non, che determinano il comportamento del cane. Tale parametro delinea perciò il carattere di un individuo, inclinazioni e tendenze, eccitabilità, tristezza, rabbia e il modo caratteristico di comportarsi di un individuo, con particolare riferimento alle interazioni sociali. La presente tesi di Dottorato rappresenta uno studio su alcuni tratti del temperamento nel cane domestico elaborato in 3 progetti sperimentali. Nei primi due progetti sono state analizzate le differenze attitudinali tra alcune razze canine attraverso l’applicazione di un test di temperamento in cuccioli di 60 giorni e in cani adulti, per valutare e confrontarne il temperamento, la socialità ed identificare profili tipici di razza. Nel terzo progetto un campione di cani morsicatori di canile e di proprietà è stato confrontato con due rispettivi gruppi di controllo. Analizzando i risultati è stato possibile mettere in evidenza caratteristiche di razza omogenee nell’interazione con stimoli inanimati, nelle interazioni sociali e in relazione alla possessività e sono stati delineati profili di razza sia nei cuccioli sia negli adulti. Si sono tuttavia, osservate variabilità individuali, intra-razza e intra-cucciolata, a testimonianza dell’influenza complessa e multifattoriale delle componenti genetica e ambientale sul comportamento dei cani. Il confronto tra cani morsicatori di canile e di proprietà ha messo in luce interessanti differenze tra i soggetti in termini di reattività, socievolezza, propensione all’interazione con il proprietario o con un estraneo, comportamenti di evitamento e velocità di reazione agli stimoli presentati. Il test applicato è risultato un valido strumento per valutare il temperamento di cani dichiarati aggressivi che sono stati sottoposti a situazioni nuove e a stimoli sconosciuti per poter ottenere una migliore visione d’insieme del temperamento del soggetto.

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Il trattamento dell’osteoartrosi (OA) del cane è una sfida nella pratica clinica veterinaria. Molti trattamenti sono stati proposti, tuttavia la risposta clinica agli stessi non è sempre soddisfacente. Molti farmaci sono utilizzati per il trattamento dell’OA, tra cui farmaci anti-infiammatori non steroidei, corticosteroidi, ed inibitori della produzione dell’ossido nitrico. Lo stanozololo è un derivato sintetico del testosterone; oltre alle sue proprietà anaboliche/androgeniche , a basse dosi lo stanozololo ha un affinità per i recettori glucocorticoidi. Per questa attività antinfiammatoria e rigenerativa sui tessuti articolari danneggiati viene utilizzato nella degenerative joint desease del cavallo. Lo scopo di questo studio è stato di valutare l’efficacia clinica dello stanozololo intra-articolare a 15, 30, 45 e 60 giorni dal trattamento di gomiti con OA di cane. E’ stato eseguito uno studio cieco, multicentrico e randomizzato. Previo consenso informato, sono stati arruolati 48 cani, suddivisi in 3 gruppi e trattati con stanozololo, mavacoxib e con entrambi i farmaci. Sono state valutate zoppia, tollerabilità del trattamento, range of motion, e punteggio radiografico. Inoltre sono state stabilite e annoverate quantità e qualità del liquido sinoviale. Ai dati ottenuti sono stati applicati i test di Kruskal-Wallis, Chi-quadro e Fischer, i quali hanno dimostrato l’efficacia della terapia nei singoli gruppi e tra i diversi gruppi di studio. I risultati ottenuti hanno mostrato la riduzione di almeno un grado di zoppia e la riduzione della progressione dell’OA nei casi trattati con stanozololo. Si può quindi affermare che tale molecola per via intra-articolare può essere una valida alternativa per il trattamento dell’OA di gomito nel cane.

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Nella presente tesi indaghiamo la potenzialità di LCM e Reverse Phase Protein microarray negli studi clinici. Si analizza la possibilità di creare una bio banca con line cellular primarie, al fine di conseguire drug test di sensibilità prima di decidere il trattamento da somministrare ai singoli pazienti. Sono stati ottenuti profili proteomici da biopsie pre e post terapia. I risultati dimostrano che questa piattaforma mostra il meccanismo di resistenza acquisito durante la terapia biologica. Questo ci ha portato ad analizzare una possibile stratificazione per pazienti con mCRC . I dati hanno rivelato distinti pathway di attivazione tra metastasi resecabile e non resecabili. I risultati mostrano inoltre due potenziali bersagli farmacologici. Ma la valutazione dell'intero tumore tramite singole biopsie sembra essere un problema a causa dell’eterogeneità intratumorale a livello genomico. Abbiamo indagato questo problema a livello dell'architettura del segnale in campioni di mCRC e ccRCC . I risultati indicano una somiglianza complessiva nei profili proteomici all'interno dello stesso tumore. Considerando che una singola biopsia è rappresentativa di un intera lesione , abbiamo studiato la possibilità di creare linee di cellule primarie, per valutare il profilo molecolare di ogni paziente. Fino ad oggi non c'era un protocollo per creare linee cellulari immortalizzate senza alcuna variazione genetica . abbiamo cosiderato, però, l'approccio innovativo delle CRCs. Ad oggi , non è ancora chiaro se tali cellule mimino il profilo dei tessuti oppure I passaggi in vitro modifichino i loro pathways . Sulla base di un modello di topo , i nostri dati mostrano un profilo di proteomica simile tra le linee di cellule e tessuti di topo LCM. In conclusione, i nostri dati dimostrano l'utilità della piattaforma LCM / RPPA nella sperimentazione clinica e la possibilità di creare una bio - banca di linee cellulari primarie, per migliorare la decisione del trattamento.

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Introduzione: L’indicazione alla rivascolarizzazione carotidea è comunemente posta in base alla percentuale di stenosi, alla presenza di sintomi neurologici ed alle condizioni cliniche del paziente. Una placca ad elevato potenziale embolico viene definita “vulnerabile”; la sua caratterizzazione, tuttavia, non è universalmente accettata ai fini della rivascolarizzazione. Lo scopo dello studio è indagare il ruolo del mezzo di contrasto ecografico (CEUS) nell’identificazione della placca carotidea vulnerabile. Materiali e Metodi: I pazienti sottoposti a endoarterectomia carotidea, sono stati valutati mediante TC cerebrale preoperatoria e CEUS. Le microbolle di contrasto rilevate nella placca, indicative di neovascolarizzazione, sono state quantificate in dB-E ed istologicamente valutate per cinque caratteristiche: (densità dei microvasi, spessore del cappuccio fibroso, estensione delle calcificazioni, infiltrato infiammatorio e core lipidico) il valore da 1 a 5, ottenuto in cieco, indica in grado di vulnerabilità della placca. L'ANOVA test, il test di Fisher e t Student sono stati usati per correlare le caratteristiche dei pazienti ed istologiche col valore di dB-E. Risultati: Di 22 pazienti (range 2-7.8, media 4.85 ±1.9 SD) vi era un numero più alto di sintomatici (7.40 ± 0.5) rispetto agli asintomatici (3.5 ± 1.4) (p = 0.002). Un più alto valore di dB-E si associava con la presenza di un sottile cappuccino fibroso (<200 µm, 5.96±1.5 vs. 3 ± 1,p = 0.01) ed un maggiore infiltrato infiammatorio (3.2 ± 0.9 vs. 6.4 ± 1.2, p = 0.03). Placche con vulnerabilità 5 si associavano ad un valore più alto di dB-E rispetto alle placche con vulnerabilità 1 (7.6 ± 0.2 vs. 2.5 ± 0.6, rispettivamente, p=0.001). Preoperatoriamente, le lesioni emboliche ipsilaterali alla TC, correlavano con un più alto valore di dB-E (5.96±1.5 vs. 3.0±1.0, p=0.01). Conclusioni: Il valore di dB-E alla CEUS indica l’estensione della neovascolarizzazione della placca carotidea e può essere utilizzato come marker di vulnerabilità della placca.

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Oggetto di studio in questa tesi è stato il ruolo modulatorio svolto dal neuropeptide nocicettina/orfanina FQ a carico della trasmissione nocicettiva. A scopo introduttivo, sono state illustrate le conoscenze attuali sul sistema nocicettina-NOP; sono state descritte le funzioni, la struttura e la distribuzione del recettore NOP, le azioni farmacologiche finora note e la distribuzione della nocicettina stessa al livello del S.N.C. e in periferia. Lo studio è stato condotto principalmente con due approcci differenti A) E’ stata studiata la capacità della nocicettina esogena o di suoi analoghi agonisti e antagonisti, di modificare la trasmissione nocicettiva. B) Sono state studiate le variazioni a carico del sistema endogeno nocicettina/recettore NOP in seguito a trattamenti di tipo farmacologico. A) E’ stata indagata la capacità della nocicettina e degli analoghi sintetici [Arg14, Lys15]N/OFQ e UFP-101 di modificare la soglia nocicettiva nel ratto, rilevata con il test del tail-flick, a seguito di somministrazione diretta nello spazio subaracnoideo, in confronto con la nocicettina stessa. La somministrazione intratecale del neuropeptide nocicettina (10 nmol/ratto) ha determinato un innalzamento statisticamente significativo delle latenze di risposta al test del tail-flick. L’analogo [Arg14, Lys15]N/OFQ è stato somministrato alla dose di 1 nmole/ratto i.t. provocando un innalzamento massimale delle soglie di latenza per tutto il periodo di osservazione, mentre alla dose 0,2 nmoli/ratto i.t ha provocato un effetto antinocicettivo sottomassimale pur dimostrandosi significativo rispetto ai controlli (p < 0,05 vs controlli a tutti i tempi di rilevazione). Il composto antagonista UFP-101 è risultato capace di antagonizzare l’azione sulla soglia analgesica sia della nocicettina sia dell’analogo [Arg14, Lys15]N/OFQ nel suo dosaggio minore, mentre contro la dose di 1 nmole/ratto i.t ha prodotto solamente una riduzione di effetto. Anche la somministrazione intratecale di MAP-N/OFQ si è dimostrata in grado di modificare la soglia nocicettiva determinata mediante il test del tail-flick, nel ratto, in modo dose dipendente. differentementeuna seconda somministrazione di MAP-N/OFQ dopo 24 ore, si è dimostrata totalmente inefficace nel modificare la soglia nocicettiva nei ratti precedentemente trattati, pur permanendo la loro suscettibilità all’azione analgesica della morfina, mostrando quindi il rapido sviluppo di tolerance al potente peptide nocicettinergico somministrato per via i.t.. Inoltre l’antagonista UFP-101 oltre ad essere ingrado di antagonizzare l’effetto della MAP-N/OFQ, ha mostrato la capacità di ridurre la tolerance sviluppata nei confronti del dendrimero. La somministrazione di MAP-N/OFQ per via i.c.v. ha prodotto variazione della soglia nocicettiva, producendo un innalzamento del volore soglia, dato contrastante con la maggior parte dei dati riguardanti la nocicettina in letteratura. Ha invece replicato l’effetto di antagonismo funzionale nei confronti della morfina, la quale dopo somministrazione di MAP-N/OFQ è risultata essere incapace di modificare la soglia nocicettiva nel ratto. Tale effetto perdura dopo 24 ore, quando una somministrazione di morfina produce un effetto analgesico inversamente proporzionale alla dose ricevuta di MAP-N/OFQ 24 ore prima. E’stato indagato il possibile ruolo neuromodulatorio del neuropeptide nocicettina esogeno, nell’analgesia prodotta da un farmaco di natura non oppiacea. In tal senso si è proceduto ad indagare l’eventuale capacità della nocicettina esogena, somministrata per via intracerebroventricolare e del suo analogo [Arg14, Lys15]N/OFQ, di antagonizzare l’analgesia prodotta dal farmaco paracetamolo. La nocicettina ha evidenziato la capacità di antagonizzare il potere antinocicettivo del paracetamolo fino a bloccarne completamente l’effetto al dosaggio più elevato, mostrando quindi proprietà antagonista dose-dipendente. Inoltre l’UFP-101, che di per se non altera l’analgesia indotta da paracetamolo, è ingrado di antagonizzare l’effetto della nocicettina sul paracetamolo in maniera dose-dipendente. Medesimo è risultato il comportamento dell’analogo della nocicettina, la Arg-Lys nocicettina. B) Sono state indagate le relazioni tra il sistema nocicettina/NOP e le proprietà farmacologiche di un noto farmaco oppiaceo quale la buprenorfina, le cui peculiari caratteristiche farmacodinamiche sano state recentemente collegate alla sua capacità di agire come agonista diretto al recettore NOP. In tal senso si è proceduto ad osservare l’effetto della somministrazione di buprenorfina sull’ assetto recettoriale di NOP, inseguito ad un trattamento prolungato con somministrazione sottocutanea mediante minipompe osmotiche nel ratto, rilevando successivamente, tramite uno studio di binding, le variazioni della densità recettoriale di NOP in alcune aree di interesse per la trasmissione nocicettiva. Sia nell’ippocampo che nel talamo e nella frontal cortex, la somministrazione prolungata di buprenorfina ha causato una riduzione significativa della densità recettoriale di NOP. Come ultimo aspetto indagato, al fine di determinare la presenza del neuropeptide nel liquido cerebrospinale e le sue eventuali modificazioni a seguito di manipolazioni farmacologiche e non farmacologiche, è stata messa a punto una metodica di perfusione dello spazio subaracnoideo nel ratto, che consentisse di ottenere materiale biologico su cui compiere la ricerca e quantificazione della presenza di nocicettina mediante dosaggio radioimmunologico. La perfusione di CSF artificiale arricchito di ione potassio ad una concentrazione pari a 60 mM ha evidenziato la possibilità di stimolare la liberazione della nocicettina nel liquido cerebrospinale di ratto, suggerendo quindi una sua provenienza da elementi eccitabili. E’ stato quindi possibile osservare l’andamento dei livelli di peptide a seguito della stimolazione nocicettiva prodotta da due agenti irritanti con caratteristiche differenti, la carragenina e la formalina. La somministrazione sottocutanea di carragenina (100 µl al 3 %) nella regione subplantare di entrambe le zampe posteriori del ratto non ha determinato alterazioni significative dei livelli di neuropeptide. Invece, la somministrazione di formalina (50 µl al 5 %), dopo un iniziale periodo di 30 minuti, ha causato un incremento significativo della liberazione di N/OFQ a partire dal terzo intervallo di raccolta seguente la somministrazione della sostanza. Questo rispecchia l’andamento di risposta al formalin test ottenuto anche mediante test di natura differente dagli analgesimetrici (es. comportamentale, elettrofisiologico), in quest’ottica l’aumento di nocicettina può essere interpretato come un evento dovuto alla sensibilizzazione centrale all’effetto pronocicettivo.