45 resultados para Economia del treball
Resumo:
La tesi ha per oggetto lo studio delle politiche pubbliche locali ed in particolare delle politiche sociali che dal 2011 sono diventate politiche esclusivamente territoriali. L’obiettivo è quello di verificare se il differente orientamento politico delle amministrazioni genera politiche differenti. Per verificare le ipotesi si sono scelti 2 Comuni simili sul piano delle variabili socio-economiche, ma guidati da giunte con orientamento politico differente: il Comune di Modena a guida Partito Democratico e il Comune di Verona con un sindaco leghista a capo di una giunta di centro-destra. Nella prima parte vengono esposti ed analizzati i principali paradigmi di studio delle politiche (rational choice, paradigma marxista, economia del benessere, corporativismo e pluralismo, neo-istituzionalismo e paradigma relazionale) e viene presentato il paradigma che verrà utilizzato per l’analisi delle politiche (paradigma relazionale). Per la parte empirica si è proceduto attraverso interviste in profondità effettuate ai due Assessori alle Politiche sociali e ai due Dirigenti comunali dei Comuni e a 18 organizzazioni di Terzo settore impegnate nella costruzione delle politiche e selezionate attraverso la metodologia “a palla di neve”. Sono analizzate le disposizioni normative in materia di politica sociale, sia per la legislazione regionale che per quella comunale. L’analisi dei dati ha verificato l’ipotesi di ricerca nel senso che l’orientamento politico produce politiche differenti per quanto riguarda il rapporto tra Pubblica Amministrazione e Terzo settore. Per Modena si può parlare di una scelta di esternalizzazione dei servizi che si accompagna ad un processo di internalizzazione dei servizi tramite le ASP; a Verona almeno per alcuni settori delle politiche (disabilità e anziani) sono stati realizzati processi di sussidiarietà e di governance. Per la fase di programmazione l’orientamento politico ha meno influenza e la programmazione mostra caratteristiche di tipo “top-down”.
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The thesis concerns, from an economic and institutional point of view, the migration process in connection with development issues, focusing on the Middle East and North Africa region. Adopting a south-south perspective of migration flows, which is focusing on migration from the Maghreb and Mashreq towards the GCC, the research focuses on the linkage between migration and local development (LED), considering the economic implication that temporary migration flows (trough physical and human capital accumulation) have for the labour exporting countries of the region. Since south-south migration flows are both temporary and skilled, the research points out that return migrants from the GCC can have a significant impact for the growth of recipient countries, as they transfer capital through remittances on regular basis and, once back, they can use human capital acquired abroad to promote economic initiatives. Starting from the descriptive analysis on international migration flows (from an historical to a systemic point of view), and focusing on the patterns of people movements in the Gulf Migration System and on the role remittances have in the region as a strategy for both household survival and local development, the research considers the economics of migrant remittances from a micro and macro perspective and the main direct and indirect effects that remittances have on the local communities. The review of the economic literature on international remittances and on local development shows how migration is an alternative strategy of financing local economic development (LED) especially for low-middle income countries (among them the Maghreb countries). The linkage between return migration, remittances, human capital formation and the promotion of local development in the Egyptian case is the focus of the empirical investigation.
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L’analisi condotta nella tesi mira ad indagare le determinanti del debito delle piccole e medie imprese italiane: la domanda di ricerca è indirizzata a capire se la struttura finanziaria di queste ultime segue i modelli teorici sviluppati nell’ambito della letteratura di Corporate Finance o se, d’altro canto, non sia possibile prescindere dalle peculiarità delle piccole e medie imprese per spiegare il ricorso alle diverse fonti di finanziamento. La ricerca empirica effettuata nella dissertazione vuole essere un tentativo di coniugare le teorie di riferimento e le evidenze empiriche relative alle piccole e medie imprese italiane, analizzandone il comportamento attraverso lo studio del campione di dati fornito da Capitalia, relativo alla Nona Indagine per il periodo 2001-2003. Il campione in oggetto fa riferimento a circa 4000 imprese con più di 10 addetti, prevalentemente del settore manifatturiero. Per indagare le determinanti del debito nelle sue componenti più tradizionali, si sono prese in considerazione il debito commerciale e il debito bancario a breve termine come forme di finanziamento correnti mentre, tra le forme di finanziamento di medio-lungo periodo, le variabili usate sono state il ricorso al debito bancario a lungo termine e a strumenti obbligazionari. Inoltre, si è ricorso anche a misure più tradizionali di leva finanziaria, quali il rapporto di indebitamento, la proporzione tra debiti bancari, sia di breve che di lungo periodo, e l’ammontare dei finanziamenti esterni rispetto al valore dell’impresa, distinguendo anche qui, tra finanziamenti a breve e a lungo termine. L’analisi descrittiva ha mostrato il massiccio ricorso al debito bancario e, in generale, alle forme di indebitamento a breve. Le imprese di dimensioni minori, più giovani e opache tendono a ricorrere alle fonti interne e a forme di indebitamento a breve, mentre le imprese maggiormente dimensionate mostrano una struttura del debito più articolata. Questo ha suggerito la definizione di una diversa misura di debito, che tiene conto della complessità della sua struttura all’interno delle imprese, in base ad un ricorso di tipo gerarchico alle fonti di finanziamento: il grado di complessità dipende dalle tipologie e dalla quantità dei contratti di debito conclusi dall’impresa . E’ plausibile pensare che le imprese ricorrano prima alle fonti interne di finanziamento, perché prive di costi, e poi all’indebitamento nei confronti di diversi stakeholders: rispetto alla prossimità e alla facilità dell’ottenimento del finanziamento, è sembrato naturale pensare che un’impresa ricorra dapprima al debito commerciale, poi al debito bancario e solo infine all’emissione di obbligazioni, in un ordine gerarchico. Ne consegue che se un’impresa (non) ha contratto debiti con fornitori, banche e mercato, la complessità della struttura del suo debito è massima (nulla). L’analisi econometrica successiva è stata indirizzata in tre direzioni. In primis, l’analisi longitudinale dei dati è stata volta ad evidenziare se la struttura finanziaria delle PMI risponde ad un particolare modello teorico, in accordo con le teoria tradizionali di riferimento. In secondo luogo, l’analisi delle determinanti si è allargata allo studio degli aspetti peculiari delle imprese medio-piccole. Infine, si è indagato se, nell’ambito delle imprese di dimensioni minori, si osservano comportamenti omogenei oppure se determinate scelte nelle fonti di finanziamento sono da ricondurre all’esistenza di alcuni vincoli. Quindi, partendo dalla rassegna dei principali riferimenti nella letteratura, costituiti dalla Trade-off theory (Modigliani e Miller, 1963, De Angelo e Masulis, 1980, Miller, 1977), dalla Pecking order theory (Myers 1984, Myers e Majluf, 1984) e dalla Financial growth cycle theory (Berger e Udell, 1998), una prima serie di analisi econometriche è stata rivolta alla verifica empirica delle teorie suddette. Una seconda analisi mira, invece, a capire se il comportamento delle imprese possa essere spiegato anche da altri fattori: il modello del ciclo di vita dell’impresa, mutuato dalle discipline manageriali, così come il contesto italiano e la particolarità del rapporto bancaimpresa, hanno suggerito l’analisi di altre determinanti al ricorso delle diverse fonti di debito. Di conseguenza, si sono usate delle opportune analisi econometriche per evidenziare se la struttura proprietaria e di controllo dell’impresa, il suo livello di complessità organizzativa possano incidere sulla struttura del debito delle imprese. Poi, si è indagato se il massiccio ricorso al debito bancario è spiegato dalle peculiarità del rapporto banca-impresa nel nostro Paese, rintracciabili nei fenomeni tipici del relationship lending e del multiaffidamento. Ancora, si sono verificati i possibili effetti di tale rapporto sulla complessità della struttura del debito delle imprese. Infine, l’analisi della letteratura recente sulla capital structure delle imprese, l’approccio sviluppato da Fazzari Hubbard e Petersen (1988) e Almeida e Campello (2006 , 2007) ha suggerito un ultimo livello di analisi. La presenza di vincoli nelle decisioni di finanziamento, legati essenzialmente alla profittabilità, alla dimensione delle imprese, alle sue opportunità di crescita, e alla reputazione verso l’esterno, secondo la letteratura recente, è cruciale nell’analisi delle differenze sistematiche di comportamento delle imprese. Per di più, all’interno del lavoro di tesi, così come in Almeida e Campello (2007), si è ipotizzato che la propensione agli investimenti possa essere considerata un fattore endogeno rispetto alla struttura del debito delle imprese, non esogeno come la letteratura tradizionale vuole. Per questo motivo, si è proceduto ad un ultimo tipo di analisi econometrica, volta a rilevare possibili differenze significative nel comportamento delle imprese rispetto al ricorso alle fonti di finanziamento a titolo di debito: nel caso in cui esse presentino una dimensione contenuta, una bassa redditività e una scarsa reputazione all’esterno infatti, vi dovrebbe essere un effetto di complementarietà tra fonti interne ed esterne. L’effetto sarebbe tale per cui non sussisterebbe, o per lo meno non sarebbe significativa, una relazione negativa tra fonti interne ed esterne. Complessivamente, i risultati delle analisi empiriche condotte, supportano sia le teorie classiche di riferimento nell’ambito della disciplina della Corporate finance, sia la teoria proposta da Berger e Udell (1998): le variabili che risultano significative nella spiegazione della struttura del debito sono principalmente quelle relative alla dimensione, all’età, al livello e alla qualità delle informazioni disponibili. Inoltre, il ricorso a fonti interne risulta essere la primaria fonte di finanziamento, seguita dal debito. Il ricorso a fonti esterne, in particolare al debito bancario, aumenta quanto più l’impresa cresce, ha una struttura solida e la capacità di fornire delle garanzie, e ha una reputazione forte. La struttura del debito, peraltro, diventa più complessa all’aumentare della dimensione, dell’età e del livello di informazioni disponibili. L’analisi della struttura proprietaria e della componente organizzativa all’interno delle imprese ha evidenziato principalmente che la struttura del debito aumenta di complessità con maggiore probabilità se la proprietà è diffusa, se vi è un management indipendente e se la piramide organizzativa è ben definita. Relativamente al rapporto banca-impresa, i principali risultati mostrano che l’indebitamento bancario sembra essere favorito dai fenomeni di relationship lending e dal multiaffidamento. Tali peculiarità assumono tratti diversi a seconda della fase del ciclo di vita delle imprese della Nona Indagine. Infine, per quanto attiene all’ultima tipologia di analisi condotta, le evidenze empiriche suggeriscono che le piccole e medie imprese possano essere soggette a delle restrizioni che si riflettono nell’ambito delle loro politiche di investimento. Tali vincoli, relativi alla dimensione, ai profitti conseguiti e alla reputazione all’esterno, aiutano a spiegare le scelte di finanziamento delle PMI del campione.
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In Italia, il contesto legislativo e l’ambiente competitivo dei Confidi è profondamente mutato negli ultimi anni a seguito dell’emanazione di due nuove normative: la “Legge Quadro” sui Confidi e la nuova regolamentazione del capitale di vigilanza nelle banche (c.d. "Basilea 2"). la Legge Quadro impone ai Confidi di adottare uno dei seguenti status societari: i) ente iscritto all’albo di cui all’art. 106 del Testo Unico Bancario (TUB); ii) ente iscritto all’albo di cui all’art. 107 del Testo Unico Bancario; iii) banca cooperativa di garanzia collettiva dei fidi. Fermi restando i requisiti soggettivi sui garanti ammessi da Basilea 2, la modalità tecnica finora utilizzata dai Confidi non risponde ai requisiti oggettivi. Il pensiero strategico si enuclea nelle seguenti domande: A) qual è la missione del Confidi (perché esistono i Confidi)? B) Quali prodotti e servizi dovrebbero offrire per raggiungere la loro missione? C) Quale modello organizzativo e di governance si conforma meglio per l'offerta dei prodotti e servizi individuati come necessari per il raggiungimento della missione? Le riflessioni condotte nell’ambito di un quadro di riferimento delineato dal ruolo delle garanzie nel mercato del credito bancario, dalle “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche”, dalla “Legge Quadro” sui e, infine, dall’assetto istituzionale ed operativo dei Confidi si riassumono nelle seguenti deduzioni: Proposizione I: segmentare la domanda prima di adeguare l’offerta; Proposizione II: le operazioni tranched cover sono un'alternativa relativamente efficiente per l'operatività dei Confidi, anche per quelli non vigilati; Proposizione III: solo i Confidi‐banca hanno la necessità di dotarsi di un rating esterno; Proposizione IV: le banche sono nuovi Clienti dei Confidi: offrire servizi di outsourcing (remunerati), ma non impieghi di capitale; Proposizione V: le aggregazioni inter settoriali nel medesimo territorio sono da preferirsi alle aggregazioni inter territoriali fra Confidi del medesimo settore. Alle future ricerche è affidato il compito di verificare: quali opzioni strategiche nel concreato siano state applicate; quali siano state le determinati di tali scelte; il grado di soddisfacimento dei bisogni degli stakeholder dei Confidi; misurare i benefici conseguiti nell'efficienza allocativa del credito.
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This thesis focuses on the limits that may prevent an entrepreneur from maximizing her value, and the benefits of diversification in reducing her cost of capital. After reviewing all relevant literature dealing with the differences between traditional corporate finance and entrepreneurial finance, we focus on the biases occurring when traditional finance techniques are applied to the entrepreneurial context. In particular, using the portfolio theory framework, we determine the degree of under-diversification of entrepreneurs. Borrowing the methodology developed by Kerins et al. (2004), we test a model for the cost of capital according to the firms' industry and the entrepreneur's wealth commitment to the firm. This model takes three market inputs (standard deviation of market returns, expected return of the market, and risk-free rate), and two firm-specific inputs (standard deviation of the firm returns and correlation between firm and market returns) as parameters, and returns an appropriate cost of capital as an output. We determine the expected market return and the risk-free rate according to the huge literature on the market risk premium. As for the market return volatility, it is estimated considering a GARCH specification for the market index returns. Furthermore, we assume that the firm-specific inputs can be obtained considering new-listed firms similar in risk to the firm we are evaluating. After we form a database including all the data needed for our analysis, we perform an empirical investigation to understand how much of the firm's total risk depends on market risk, and which explanatory variables can explain it. Our results show that cost of capital declines as the level of entrepreneur's commitment decreases. Therefore, maximizing the value for the entrepreneur depends on the fraction of entrepreneur's wealth invested in the firm and the fraction she sells to outside investors. These results are interesting both for entrepreneurs and policy makers: the former can benefit from an unbiased model for their valuation; the latter can obtain some guidelines to overcome the recent financial market crisis.