15 resultados para Spinoza, Baruch de, 1632-1677 - Critica e interpretación
em Université de Lausanne, Switzerland
Resumo:
Résumé de la thèseLe présent travail analyse la notion d'autonomie en éthique biomédicale et en propose unecompréhension à partir des théories de la délibération éthique. La thèse s'articule en deux parties.La première partie consiste en l'examen de la conception de l'autonomie développée en éthiquebiomédicale. Notamment, on retrace les origines de la notion de l'autonomie du patient dans lecontexte états-unien, on analyse l'élaboration de l'autonomie sous la forme de principe éthique, etl'on considère les critiques qui lui ont été adressées. Cette première partie débouche sur la thèsesuivante: en éthique biomédicale, l'autonomie est pensée comme un outil pour la légitimation deschoix, des pratiques, ou des politiques de santé, non pas comme réflexion critique sur les raisonspour agir ou sur les conditions des choix. Le risque est que l'autonomie se réduise à un dispositif dereproduction des normes et des conditions de l'interaction, sans pour autant remettre en discussionla rationalité médicale qui prédispose les options de choix et qui justifie les pratiques et lespolitiques dans le contexte du soin. Cette conception de l'autonomie présuppose une théorie de ladélibération éthique «en troisième personne». Selon cette théorie, la délibération consiste en uneprise de distance du point de vue subjectif de l'agent, pour assumer un point de vue plus objectif: lepoint de vue d'un «spectateur» impartial. Ainsi, le but de la délibération éthique est l'élaboration deraisons morales objectives, partageables par toute personne raisonnable, pouvant générer unconsensus sur la justification des actions. Cette théorie de la délibération a une implicationimportante pour la conception de l'autonomie en éthique biomédicale: l'autonomie est représentéecomme un principe moral partageable, comme le résultat d'un processus d'abstraction réflexive.Selon une théorie de la délibération éthique différente, que l'on appelle «en première personne», onpeut apprécier la valeur de l'autonomie seulement du point de vue de l'«agent». Ainsi, l'autonomieest la véritable modalité de la délibération éthique, dont le but est la constitution de soi-même, deson intégrité et identité morale. Dans ce travail, on s'est donc demandé si et comment cette manièrede concevoir la délibération du point de vue de l'agent peut apporter quelque chose à lacompréhension de la valeur de l'autonomie personnelle en éthique biomédicale.La deuxième partie de la thèse explore deux modèles de l'autonomie en première personnedéveloppés dans le débat philosophique plus récent: le modèle «hiérarchique» et le modèle«constructiviste kantien». Les deux modèles débouchent sur une compréhension «monologique» del'autonomie, qui est centrée sur l'agent et qui ne tient pas suffisamment compte du contexterelationnel du soin. Pour apprécier la valeur de l'autonomie dans les relations intersubjectives il fautadopter une perspective différente, que l'on appelle «en deuxième personne». Selon cette théorie, ladélibération est un dialogue entre les agents et l'autonomie est issue d'une relation de respect etreconnaissance réciproque. Comme l'autonomie est toujours issue d'une relation de réciprocité,comme elle est essentiellement relationnelle, elle n'est pas une entreprise simplement singulièremais toujours et inévitablement plurielle, collective. Ainsi, l'autonomie peut représenter un idéalnon seulement personnel mais aussi public. Il s'agit d'un idéal qu'on peut adopter dans nos relationsréciproques, un idéal normatif qui nous demande d'interroger la praticabilité de l'autonomie, c'est-àdired'identifier les sources de sa vulnérabilité. Cette vulnérabilité se situe à trois niveaux: au niveaudes relations interpersonnelles, au niveau des pratiques et des institutions, et au niveau des liensd'appartenance à des communautés culturelles ou à des groupes sociaux, qui contribuent à définirles relations réciproques et donc l'exercice de l'autonomie. Ces trois sources de vulnérabilité del'autonomie se retrouvent, toutes les trois, dans le contexte du soin. Selon cette conception del'autonomie, le but de la délibération n'est ni l'élaboration des raisons objectives, ni simplement laconstitution de sa propre identité ou intégrité, quant plutôt la construction de notre monde social.Ainsi, l'autonomie est quelque chose dont on est responsables, quelque chose qui nous engage àentrer en dialogue avec l'autre comme interlocuteurs dans une communauté morale.
Resumo:
Résumé II lavoro verte sui volgarizzamenti quattro-cinquecenteschi di Luciano di Samosata, importante capitolo nella fortuna dell'autore greco, che diede l'avvio a quel vasto fenomeno chiamato "lucianesimo", esteso in Europa fino al XIX sec. In particolare fornisco l'edizione critica e commentata delle Storie vere volgarizzate, contenute nella prima, assai ampia (41 opuscoli), e per molto tempo unica, silloge lucianea in volgare, che ho datato a poco prima del 1480. Essa ci è giunta tramite un unico manoscritto, il Vaticano Chigiano L.VI.215, confezionato a Ferrara per Ercole I d'Este, nonché in almeno otto edizioni veneziane apparse fra il 1525 e il 1551. La princeps, da cui dipendono in vario modo tutte le edizioni successive, è pubblicata da Niccolò Zoppino. I1 ms. e le prime due edizioni (1525; 1527 Bindoni e Pasini) tacciono il nome del traduttore, che compare solo nell'edizione del 1529 (Zoppino): Niccolò Leoniceno (1428-1524), medico umanista e valente grecista, attivo a Ferrara dal 1464 al 1524, studioso e traduttore di Ippocrate e Galeno, editore di Aristotele e volgarizzatore di storici per Ercole d'Este. L'edizione ha richiesto uno studio preliminare sulle numerose traduzioni in latino e in volgare di Luciano, per valutare meglio le modalità della sua fortuna umanistica. Confrontando ms. e stampe, per le Storie vere si hanno due volgarizzamenti totalmente diversi, fin dal titolo: La vera historia nel ms., Le vere narrazioni nelle cinquecentine. Ma per l'ultimo quarto di testo, ms. e stampe in sostanza coincidono. La collazione ha coinvolto anche il testo greco (con gli apparati delle edizioni critiche) e la versione latina dell'umanista umbro Lilio Tifernate (1417/18-1486) risalente al 1439-43 ca., intitolata De veris narrationibus, di cui si hanno almeno tre redazioni d'autore; una quarta è invece dovuta probabilmente a Benedetto Bordon, che la inserì nella sua silloge latina di Luciano del 1494. Ho cosa stabilito che il volgarizzamento del ms. Chigiano, La vera historia, è stato eseguito direttamente dal greco, fatto eccezionale nel panorama delle traduzioni umanistiche, mentre quello a stampa, Le vere narrazioni, deriva dalla redazione Bordon del De veris narrationibus. La diversità dei titoli dipende dalle varianti dei codici greci utilizzati dai traduttori: il Vat. gr. 1323, o una sua copia, è utilizzato sia dal volgarizzatore del Chigiano, sia da Bordon, indipendentemente l'uno dall'altro; il Marc. gr. 434, o una sua copia, dal Tifernate. Il titolo latino mantenuto da Bordon risale al Tifernate. Per quanto riguarda l'attribuzione dei due volgarizzamenti, come già per altri due testi della silloge da me studiati (Lucio 01 Asino e Timone), anche per La vera historia del Chigiano è accettabile il nome di Niccolò Leoniceno, poiché: 1) essa è tradotta direttamente dal greco, correttamente e con buona resa in volgare, 2) Paolo Giovio -che conobbe di persona il Leoniceno -, negli Elogia veris clarorum virorum imaginibus apposita ricorda che i volgarizzamenti di Luciano e di Dione eseguiti dal Leoniceno piacquero molto ad Ercole d'Este, 3) nessuno nella prima metà del sec. XVI rivendica, per sé o per un suo maestro, il volgarizzamento di Luciano. Le vere narrazioni a stampa, tradotte dal latino del Bordon, dopo il 1494 e prima del 1525, per la parte che diverge dalla Vera historia rimangono invece anonime. Dato che si tratta di due volgarizzamenti distinti, ho allestito l'edizione a fronte dei due testi fin dove essi divergono, seguendo per l'uno il ms., per l'altro la princeps; per la parte finale, in cui confluiscono, mi baso invece sul manoscritto e relego in apparato le varianti più vistose della princeps (non è emerso un chiaro rapporto di dipendenza fra i due testimoni). Oltre all'apparato critico con le lezioni rifiutate, fornisco un commento con la giustificazione delle scelte e il confronto con i corrispondenti passi greci e latini.
Resumo:
La tesi propone l'edizione critica dele traduzioni del Bellum Catilinae e del Bellum Iugurthinum di Sallustio eseguite dall'umanista ferrarese Ludovico Carbone intorno agli anni '70 del Quattrocento. I testi sono accompagnati dagli apparati delle varianti e delle correzioni d'autore; dal testo latino dell'edizione Ernout, con la segnalazione in corsivo delle parti in cui pare evidente che l'umanista aveva di fronte un testo latino diverso; e da note di commento in cui si riportano eventualmente lezioni della tradizione dell'opera sallustiana che potrebbero essere all'origine della traduzione. Nell'introduzione viene delineato il ruolo svolto da Ludovico Carbone nella Ferrara del secondo Quattrocento, tra corte, università e vita cittadina; particolare attenzione è data alle osservazioni sulla lingua italiana dell'umanista e alla sua frequentazione della letteratura in volgare. L'esame della tradizione e della diffusione dell'opera di Sallustio ha lo scopo di comprendere il significato della scelta operata dal traduttore e di cercar di capire che tipo di modello poteva trovarsi di fronte. I due volgarizzamenti sono inseriti nel contesto storico e culturale di Ferrara, che vide in questi anni un'intensa attività di traduzione - spesso su diretta richiesta del principe -, tra i cui autori si distinsero Matteo Maria Boiardo e Niccolò Leoniceno. Inoltre, per una comprensione più completa dell'operazione del Carbone, viene ricostruita la figura del dedicatario delle due traduzioni, Alberto d'Este, e la sua importanza all'interno della storia di Ferrara sia dal punto di vista politico che cultuale; operazione che permette di aggiungere elementi utili a una datazione più precisa delle opere qui pubblicate. Una parte centrale del lavoro riguarda l'analisi delle modalità di traduzione che mostra come l'operazione del Carbone, pur mantenendosi molto rispettosa del testo di partenza, abbia ambizioni letterarie. Lo sforzo del traduttore è incentrato in particolar modo sulla resa dei vocaboli e sul ritmo del periodare. E' interessante notare come l'umanista, la cui prosa latina ha un periodare ampio e ricco di subordinate su modello ciceroniano, in volgare mantenga queste caratteristiche stilistiche solo nelle lettere dedicatorie, mentre nella traduzione il suo stile si uniforma in gran parte al modello di Sallustio. La Nota al testo dà conto dei rapporti tra i manoscritti e dei criteri di edizione delle due opere. Nella Nota linguistica si trova un'analisi sistematica e approfondita della lingua del manoscritto autografo del Catilinario, mentre per gli altri manoscritti sono segnalati gli usi linguistici solo in funzione di una loro collocazione geografica. Un esame contrastivo delle abitudini linguistiche dei copisti rispetto a quelle del Carbone è alla base della scelta del manoscritto da utilizzare per l'edizione del Giugurtino, per il quale non si dispone di un autografo. Un capitolo è dedicato all'analisi delle varianti evolutive del manoscritto londinese contenente il Catilinario. Lo studio del lessico utilizzato nelle traduzioni ha portato alla costituzione del Glossario, che - attraverso un confronto con numerosi vocabolari e testi di area ferrarese o limitrofa - registra e illustra le più significative forme dialettali, i tecnicismi e i latinismi particolarmente crudi, rari o il cui significato si discosta da quello assunto più frequentemente in volgare. Si segnalano alcuni termini le cui prime attestazioni compaiono nella lingua volgare proprio in questo periodo.
Resumo:
Cette étude se donne pour objet de dégager la visée poursuivie par Spinoza dans son Traité politique et d'en extraire l'enseignement politique. Après avoir brièvement reconstruit la théorie spinoziste du droit naturel et l'advenue nécessaire d'un corps politique, elle s'attache, en se basant principalement sur une lecture des chapitres 6 à 11, à déterminer les conditions de la position d'une multitude libre plutôt que serve. On montre que ces conditions se résument dans le principe d'un renforcement circulaire de la puissance du souverain et de celle de la multitude et que la possibilité de son instauration repose sur une juste compréhension de la dynamique passionnelle ; et qu'à défaut, s'installe un régime de servitude marqué par le clivage des gouvernants et de la multitude. On conclut par un regard sur le présent à la lumière de la leçon de ce traité.