4 resultados para Missa (Musica)

em Université de Lausanne, Switzerland


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L'organisation du premier livre de motets de Tomás Luis de Victoria, publié à Venise en 1572 chez les Fils d'Antonio Gardano (RISM V 1421), repose sur une stratification d'éléments divers mais complémentaires. Les pièces sont organisées en quatre groupes : quatorze à 4 voix, neuf à 5 voix, neuf à 6 voix et une à 8 voix. Elles forment des paires modales. Les derniers motets des groupes reposent sur des écritures individualisées (ad aequales, canon à l'unisson, Tenormotette, motet à double choeur). De plus, un jeu avec le nombre de parties, une et deux essentiellement, intervient entre les groupes et à l'intérieur. Les textes émanent de plusieurs rites (avilais, prétridentin et tridentin) et sources. Lorsque c'est nécessaire, le compositeur les remanie pour qu'ils s'adaptent à l'organisation du recueil. Au bout du compte, le livre veut être un objet ayant un certain poids et qui dit quelque chose de plus qu'une simple addition de pièces. C'est précisément ce dont a besoin le jeune compositeur pour prendre une place sur le marché du motet avec ce qui constitue son premier « opus ». Dans la dédicace qu'il signe lui-même, Victoria inscrit son édition dans la mouvance de la musica reservata puisqu'il la destine d'abord aux connaisseurs. Or, c'est précisément cette organisation complexe qui permet au musicien d'inscrire son recueil dans une lignée de publications savantes, initiées semble-t-il par le livre de motets à 5 voix d'Adrian Willaert, qui date de 1539.

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Contrary to what Felipe Pedrell indicates, the second Ave maris stella in his Victoria's collected works (vol. V, 1908, pp. 100-3, n° 33) doesn't appear in the collection published in 1600 in Madrid by the composer, nor in any other of the musician's books. In the 1600 edition, Victoria reissues the two first verses (plainchant followed by polyphony) of the Ave maris stella published in 1576 and then again in 1581. The earliest source of the problematic Ave maris stella is Munich, Bayerische Staatsbibliothek, Musik-Abteilung, 2 Mus. pr. 23 handschriftlicher Beiband, dating from the third quarter oft he seventeenth century. This source is a manuscrit that runs as an appendix to the 1581 edition of Victoria's hymns. No attributions are given in the manuscript. The first attributions of the piece to Victoria arise in the nineteenth century, in manuscripts copied by Johann Michael Hauber, Johann Caspar Aiblinger, August Baumgartner and Carl Proske, and preserved in Munich and Regensburg. Proske pubished the piece in his Musica divina in 1859 (Annus primus, vol. III, pp. 419-24). The most probable hypothesis ist that Pedrell had knowledge of the second Ave maris stella, under the spanish composer's name, via Proske's Musica divina. In all likelihood the piece is not by Victoria, not least because the composer has never written odd polyphonic verses of hymns. In his Studies in the Music of Tomás Luis de Victoria (2001), Eugene Casjen Cramer relies on the supposed authenticity of the work to ascribe the others pieces of Munich, Bayerische Staatsbibliothek, Musik-Abteilung, 2 Mus. pr. 23 handschriftlicher Beiband to the composer. These attributions should therefore be refuted.

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Contrairement à l'opinion formulée dans la littérature, les motets de Victoria sont majoritairement homophoniques. Cette prééminence se manifeste notamment dans le premier livre de motets du compositeur (Venise, 1572), qui comporte plus de la moitié des pièces qu'il a laissées dans le genre. Dans cette publication, 58% de l'ensemble des sections qui composent les motets sont homophoniques. En outre, plus le nombre de voix des pièces est élevé (5, 6 et 8 voix, par opposition aux motets à 4 voix), plus l'homophonie est utilisée. Cependant, les débuts des motets sont majoritairement imitatifs. Deux types de sections homophoniques jouent un rôle de poids. Le premier fait intervenir des sous-sections basées sur le même sujet dans une combinatoire répétition/variation. Dans les motets à 6, une opposition de registre aigu/grave renforce le procédé. Le second type voit se succéder des sous-sections nouvelles qui reposent sur des unités textuelles non répétées. Les sections homophoniques déploient une grande variété d'écriture, qui va de l'extrême « simplicité » à une complexité marquée. L'immédiate succession de sections bien différenciées constitue un marqueur formel fort. L'écriture, quel que soit le degré de complexité, repose régulièrement sur des modèles de progression intervallique. Si l'homophonie est prépondérante, son utilisation conjointe avec l'imitation reste primordiale dans la conception du motet qu'a le compositeur. Ces deux facteurs participent de la « modernité » des pièces. Ils répondent aux préoccupations humanistes des érudits de la musique, à qui le recueil est destiné et appartiennent de ce fait à la musica reservata.

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La tesi descrive il fenomeno di ricezione del mito faustiano all'interno della tradizione letteraria italiana di Otto e Novecento (1808-1945) nel suo sviluppo diacronico, individuando i nodi processuali emergenti ritenuti sistematici accanto alle tipologie predominanti della risposta testuale e alle più proficue rifunzionalizzazioni letterarie. La storia del mito di Faust è stata considerata aristotelicamente nella sua natura complessa ed evolutiva di fabula rinarrata, e di volta in volta risemantizzata in nuovi sistemi di valori, estetici e ideologici. Ma soprattutto in nuovi sistemi testuali. Scopo primario è stato infatti quello di comprendere come il mito di Faust sia entrato dentro alla cultura letteraria italiana e come abbia agito al suo interno, interferendo con essa. Naturalmente lo scambio e gli sviluppi hanno investito in modo reciproco e la tradizione accogliente e il mito stesso, producendo un allargamento esegetico delle sue possibilità semantiche: è infatti emersa una storia testuale che tematizza nel tempo il medesimo mito lungo assi interpretative anche estremamente divergenti. La ricerca ha portato alla scoperta di una ricca testualità rimossa dal canone della storia della letteratura italiana, anche se spesso prevalgono i testi-documento sui testi esteticamente più validi e significativi in sé; si tratta di una testualità talmente quantitativamente ricca da invitare ad un ripensamento qualitativo del fenomeno generale. Il mito di Faust, per due secoli percepito dalla critica dominante come distante ed estraneo alla cultura letteraria italiana, è invece riuscito ad entrare nella tradizione letteraria italiana, anche se attraverso modalità molto controverse: in linea di massima è potuto passare dal canone statico al canone dinamico laddove ha saputo influenzare e stimolare nuove vie significative di sviluppo formale. Il confronto della cultura letteraria italiana con il mito di Faust è stato in effetti caratterizzato subito da un doppio movimento discratico di rifiuto e dialogo. Il principale fattore di rifiuto è stato di carattere culturale: la difficoltà ad accettare un equilibrio fatto non di antitesi risolte in una sintesi ma di polarità aperte, irrisolte, in perpetuo bilanciamento, anche a livello formale reso in una tragedia franta in scene apparentemente autonome, divisa in due parti così diverse e chiusa da un lieto fine, mal si confaceva ai diffusi canoni classicisti di equilibrio formale, nonché alle esigenze romantiche di poesia moralmente chiara nel suo messaggio. Da qui le diffuse accuse di scarsa chiarezza e ambiguità morale, che andavano direttamente ad incontrarsi e sommarsi con i pregiudizi più propriamente teologico- religiosi di estraneità a quel mito nato come saga luterana dichiaratamente anti-papale. La condanna di carattere moralistico-cattolico risulta nei fatti propria più di certa cultura che non del largo pubblico che invece nel corso dell'Ottocento dimostra di gradire le versioni per musica e balletto di argomento faustiano, per quanto semplificata ed edulcorate rispetto alla leggenda originaria così come rispetto alla tragedia goethiana. Rispetto a tutti questi elementi di resistenza e rifiuto l'opera Mefistofele di Boito si presenta come snodo di opposizione consapevole e riferimento duraturo d'interrogazione critica. La principale linea di avvicinamento invece tra la cultura letteraria italiana e il mito di Faust resta quella del parallelo, già ideato dagli stessi intellettuali tedeschi d'inizio Ottocento, con l'opera ritenuta massima nel nuovo canone nazionale italiano da fine Settecento ad oggi: la Divina Commedia. Tanta critica, almeno fino alla metà del XX secolo, si rifà più o meno esplicitamente a questo parallelo pregiudiziale e testualmente piuttosto infondato ma molto produttivo, come si è attestato, a livello creativo. Questa ricostruzione ha voluto nel suo complesso dimostrare sul campo il valore di questo macrotesto faustiano come una delle vie maestre della dialettica tra tradizione e modernità, ancor più significativa nell'ambito di una cultura letteraria come quella italiana che, dopo l'estinguersi della sua centralità in epoca rinascimentale, si è rivelata particolarmente resistente al dialogo con le altre letterature fino al pieno Novecento.