10 resultados para Biomeccanica, Protesi mioelettrica, Mano protesica, Guanto, Analisi del movimento

em Université de Lausanne, Switzerland


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Riassunto Il presente studio verte sull'analisi del voto relativo all'iniziativa popolare 'contro l'immigrazione di massa' del 9 febbraio 2014. In particolare, l'analisi si concentra sul voto avvenuto nel Ticino, il cantone svizzero in cui l'iniziativa ha avuto maggiore sostegno. Lo studio si è avvalso di un'inchiesta d'opinione rappresentativa realizzata dall'Osservatorio della vita politica regionale dell'Università di Losanna presso 1.429 cittadini ticinesi nei giorni successivi allo scrutinio. Dopo una contestualizzazione del voto del 9 febbraio rispetto alla storia delle votazioni sui temi di politica estera e migratoria, l'analisi si è concentrata sulla partecipazione al voto. Il ricorso a tre modelli interpretativi (delle risorse, della competenza e della mobilitazione) ha permesso di mostrare come il voto del 9 febbraio sia caratterizzato in particolare modo dal senso del dovere, dall'interesse per la politica e dal legame di partito. L'analisi dell'orientamento di voto evidenzia l'influenza delle dimensioni economiche, politiche, identitarie, e soprattutto, alla stregua di altri voti nel passato recente di questo cantone, una forte tensione tra centro e periferia. Dall'analisi del voto del 9 febbraio emerge un forte timore che vede nel Ticino una 'doppia periferia', verso Berna e in relazione alla vicina Lombardia. Parole chiave: iniziativa popolare, partecipazione, orientamento di voto, centro-periferia. Résumé Cette étude porte sur l'analyse du vote sur l'initiative populaire 'contre l'immigration de masse' du 9 février 2014 et, plus précisément, sur le vote qui s'est déroulé au Tessin, canton suisse dans lequel l'initiative a obtenu le plus large soutien. L'étude a été menée à l'aide d'une enquête d'opinion représentative réalisée par l'Observatoire de la vie politique régionale de l'Université de Lausanne auprès de 1.429 citoyens tessinois dans les jours suivant le scrutin. Après une contextualisation du vote du 9 février par rapport à l'histoire des votations sur les thèmes de la politique étrangère et de l'immigration, l'analyse a porté sur la participation au vote. À ce propos, l'utilisation de trois modèles explicatifs (des ressources, de la compétence et de la mobilisation) a permis de dévoiler que le vote a été caractérisé plus particulièrement par le sens du devoir (habitus du vote), par l'intérêt pour la politique et par le lien avec un parti. L'analyse de l'orientation du vote montre l'influence des aspects économiques, politiques et identitaire ainsi que, à l'instar d'autres votations récemment passées dans le canton italophone, des raisons qui mettent en évidence une vision contrastée du Tessin et notamment le risque de devenir une 'double périphérie' par rapport à Berne et à la Lombardie. Mots-clés: initiative populaire, participation, choix du vote, centre-périphérie. Zusammenfassung Die vorliegende Studie analysiert das Abstimmungsverhalten anlässlich der eidgenössischen Volksinitiative 'Gegen Masseneinwanderung' vom 9. Februar 2014. Die Analyse beschränkt sich auf die Abstimmung im Kanton Tessin, wo die Initiative am stärksten unterstützt wurde. Die Studie wurde vom Observatorium des regionalen politischen Lebens der Universität Lausanne durchgeführt und basiert auf einer repräsentativen Umfrage, bei welcher 1429 Bürger des Kantons Tessin in den Tagen nach der Abstimmung teilnahmen. Zunächst wird die Abstimmung vom 9. Februar in Bezug auf die Geschichte verschiedener anderer Abstimmungen zum Thema Aussen- und Immigrationspolitik kontextualisiert. Die Analyse analysiert dann als erstes die Wahlbeteiligung: Der Gebrauch von drei Erklärungsmodellen (Ressourcen, Kompetenz und Mobilisierung) zeigt auf, dass der Entscheid, an der Abstimmung vom 9. Februar überhaupt teilzunehmen, vor allem von Pflichtbewusstsein, politischem Interesse und Parteibindung geprägt war. Das Abstimmungsverhalten selber war dann von ökonomischen und politischen Faktoren, von der eigenen Identität sowie insbesondere - und wie auch schon andere Abstimmungen in der jüngsten Vergangenheit des italienisch-sprechenden Kantons -von einer grossen Angst geprägt, dass das Tessin eine 'doppelte Peripherie' zwischen Bern und der Lombardei werden könnte. Stichwörter: Volksinitiative, Teilnahme, Abstimmungsverhalten, Zentrum-Peripherie Abstract This study focuses on the analysis of the federal vote on the popular initiative 'against mass immigration' of 9 February 2014. More precisely, the analysis focuses on the vote that took place in Ticino, the Swiss canton in which the popular initiative has received the widest support. The study was carried out by the Research Observatory for Regional Politics at the University of Lausanne using a representative survey among 1.429 citizens of Ticino during the days following the vote. After a contextualization of the vote of 9 February with respect to the history of referenda about foreign policy and immigration issues, the analysis first discusses voter turnout. In this regard, the use of three explanatory models (resources, expertise and mobilisation) reveals that participation in the vote of 9 February was especially characterized by one's sense of duty, political interest, and links with a political party. The decision how to vote was then influenced by economic, political and identity factors as well as - like other votes in the recent past in the Italian-speaking canton - the particular fear that Ticino would become a 'double periphery' vis-à-vis both Berne and Lombardy. Keywords: popular initiative, participation, vote, centre-periphery.

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Introduzione : Plinio il Giovane erogò una somma di denaro per costruire una biblioteca e assicurarne il funzionamento. Una cittadina donò al Municipio di Balerna due case di appartamenti con lo scopo di mantenervi pigioni moderate e di mettere i vani a disposizione quale abitazione primaria per la popolazione del Comune. Questi due esempi illustrano casi di donazioni gravate da un onere. Da essi si evince che la donazione modale consta di due elementi: un dono e una finalità posta allo stesso. Una tale donazione esemplifica l'idea di alterità dell'unità, come Giano - dio del Pantheon romano - il quale è rappresentato con due volti, che gli permettevano di vedere il passato e di scrutare il futuro. Così, il presente lavoro - anch'esso paradigma dell'alterità dell'unità - si prefigge lo scopo di creare un ponte tra il passato e il potenziale futuro, sulla scorta anche di testi filosofici e letterari, senza tacere la sua dimensione giuridica. Un'invocazione a Giano si giustifica: anche Seneca, nel suo canzonatorio poema sulla trasformazione in zucca dell'imperatore Claudio - l'Apocolocintosi - narra che il dio patrocinò l'interessato, siccome abile oratore e aduso all'arte forense poiché i suoi due volti indicano in senso metaforico - e ironico - la capacità di esaminare le questioni sotto tutti i loro aspetti. Ciò posto, giovi considerare che la donazione modale è costituita di due scorciatoie cognitive che espongono la sua alterità: l'una, il dono, rimanda all'idea di gratuità, di benevolenza, di amicizia, di reciprocità; l'altra, l'onere, riconduce all'onerosità, allo scambio, al contratto, alla commutatività. Così, per enucleare l'unità della donazione gravata da un onere occorre chinarsi sulla sua alterità e percorrere i cammini che essa propone: la gratuità e l'onerosità, per poi ridurre gli esiti nell'unitarietà dell'istituto. Il presente lavoro vaglia invero la donazione modale. Esso è nondimeno condito di riflessioni più generali inerenti alla teoria dei contratti e alla filosofia del diritto, in una digressione temporale che dal diritto romano porta al diritto svizzero, passando per alcuni glossatori e umanisti e, anche, attraverso alcune legislazioni regionali del XIX secolo. Donde un lavoro che, in ultima analisi, abbraccia più tematiche, suddivise come esposto in appresso. Il primo capitolo, di introduzione al tema, è un compendio della terminologia latina del dono, ottenuto individuando esempi addotti dalle fonti giuridiche e fatti narrati da scrittori latini. Dacché la legge si palesa mediante uno scritto insieme di segni che esprimono concetti - mi è parso opportuno soffermarmi sulle sfaccettature linguistiche del "dono". La società romana era tributaria di molteplici rapporti di amicizia, i cui contenuti hanno poi dato adito ai cosiddetti contratti gratuiti. A Roma, la gratuità era un concetto bicefalo. Esisteva una gratuità propriamente detta e una gratuità qualificata di lucrativa. L'una escludeva l'altra. Esse godevano di un campo d'applicazione autonomo e indipendente. Queste due nozioni sono l'oggetto del secondo capitolo. Dato che la donazione modale è una commistione tra gratuità e onerosità, dopo aver esposto i criteri della gratuità, il terzo capitolo si incentra sull'analisi del modus testamentario e del concetto di donazione remuneratoria. Lungo le pagine del quarto capitolo, preludio al nucleo stesso della tesi, si tratteggia lo sviluppo giuridico della donazione nel diritto romano: da causa di atti a contratto indipendente. Dopo avere tracciato i contorni degli elementi che si fondono nel concetto di donazione gravata da un onere (dono, gratuità, onerosità), il quinto capitolo contiene la base del presente studio: l'analisi della donazione modale. Assemblando i risultati emersi nei capitoli precedenti, si definisce e si delimita questo istituto, si elabora la sua maturazione storica e concettuale. L'incedere della tesi, in ambito svizzero, segue quasi pedissequamente la struttura romanistica del primo titolo. Dopo una presentazione di alcune legislazioni del XIX secolo, nel preludio, il secondo capitolo si concentra sulla nozione di gratuità, quale può essere estrapolata dal Codice civile, dal Codice delle obbligazioni e dalla Legge federale sulla esecuzione e sul fallimento. Il terzo capitolo tratta dell'onerosità, limitata al Codice civile e, principalmente, all'onere successorio. La tesi si chiude, nel quarto capitolo, con una digressione sulla donazione gravata da un onere nel diritto svizzero. In questo lavoro i quesiti di fondo, cui si cerca di fornire una risposta, riguardano la natura e la struttura dell'istituto in esame: di che tipo di contratto si tratta? È gratuito, lucrativo o oneroso? Come risponde il donatario inadempiente? Permettetemi un'avvertenza preliminare: i testi letterari, giuridici e filosofici su cui poggia il primo titolo sono vecchi di un paio di millenni, e, prima di giungere nelle nostre biblioteche e nelle nostre case, hanno subito un percorso tortuoso. Alcuni sono stati alterati, altri modificati. Errori di trascrizione si sommano ad adeguamenti alle nuove realtà storiche. Ciò premesso, i testi letterari e filosofici sono presentati nelle versioni indicate nelle pagine della bibliografia e non sono stati l'oggetto di particolari attenzioni interpolazionistiche, critiche che affiorano tuttavia per i frammenti giuridici più interessanti per il presente lavoro.

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Sintesi II presente lavoro di ricerca, maturato nel quadro di un dottorato in storia contemporanea, propone una ricostruzione dei percorsi materiali e dei percorsi culturali degli emigrati italiani in Svizzera tra la tìne della Seconda guerra mondiale e i primi anni Settanta. Le principali fonti di prima mano adoperate nella ricerca consistono in tre diversi generi di narrazioni autobiogratìche: le fonti orali (cento interviste complessive raccolte e analizzate); le scritture epistolari (tre fondi per un totale di circa duecento lettere); le scritture scolastiche di adolescenti e giovani emigrati italiani, iscritti, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, ad una scuola privata del Canton Zurigo (circa seicento temi validi come prova di lingua italiana per il conseguimento della licenza media tra il 1973 e il 1974). Le fonti soggettive raccolte hanno permesso di tracciare i profili di numerosi di percorsi migratori vissuti da queste persone, lavorando, in primo luogo, sulla loro dimensione materiale, ovvero sulle tappe íìsiche, dal viaggio, alla ricerca del posto di lavoro e dell'alloggio, alla formazione di una famiglia, agli strumenti utilizzati per mantenersi in contatto con il proprio paese d'origine. Si sono poi inquadrate alcune delle possibili evoluzioni ideologiche e culturali, nei termini consentiti dallo studio della memoria e delle rappresentazioni di sé, offerte dagli emigrati stessi. In sintesi, quindi, il lavoro propone una ricostruzione di un frammento di storia dell'emigrazione italiana, con tutte le specitìcità legate a un paese di accoglienza, la Svizzera, e a un periodo storico, il Secondo dopoguerra. Alcuni dei caratteri principali dei percorsi materiali sono senz'altro legati alle peculiarità della legislazione svizzera, con la detìnizione di "straniero" che dava, le condizioni di vita che rendeva praticabili e possibili, i passaggi di tempo che imponeva per avere una permesso a tempo indeterminato, per raggiungere una certa stabilità, per ricomporre il proprio nucleo familiare. Anche alcuni fenomeni culturali erano legati a queste dimensioni specitïche, per cui non hanno riscontro, negli stessi termini, in altri contesti e in altri periodi. Accanto alle peculiarità e alle differenze che questa storia ha rispetto ad altre storie di emigrazione legate ad altri paesi e ad altri contesti, dal lavoro emergono processi e fenomeni di interesse più generale, qualora ci si interessi di fenomeni migratori, di conflitti, di inclusione e di esclusione di gruppi umani differenti. Alcune delle problematiche che si sono poste nella storia in analisi -per esempio quelle relative alla scolarizzazione dei minori, al rapporto tra diritto di residenza e obbligo di impiego, alla presenza di clandestini e al loro rapporto con associazioni o gruppi di assistenza legali o illegali -sono senza dubbio utili riferimenti per chi oggi voglia ragionare su problematiche analoghe poste in diversi contesti.

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La tesi di Dottorato, condotta in accordo di colutela tra l'Università di Roma Tor Vergata e l'UNIL di Losanna, ha affrontato l'analisi di un gruppo di undici disegni custodia presso la National Gallery of Scotland di Edimburgo, copie di alcuni dei più significativi mosaici medioevali delle chiese di Roma, ricostruendone la genesi, quindi le vicende legate alla committenza, e il percorso collezionistico. I disegni scozzesi, oggetto di un importante articolo di Julian Gardner pubblicato sul Burlington Magatine nel 1973, furono commissionati intorno agli anni Settanta del XVII secolo dall'antiquario romano Giovanni Giustino Ciampini (1633-1698) in connessione alla stesura della sua opera di erudizione più avvertita e famosa: i Vetera Mommenta in' quibus praecipue Musiva Opera, sacrarum, profanan,mque, Aedìum structura, ac nonnulli antiqui ritus dissertationibus iconìbusque illustrantur. La composizione dei Vetera Mommenta - un'opera riccamente illustrata che nasce per rispondere alle esigenze della ideologia della Chiesa di Roma in un momento di rinnovata crisi del sistema - impone a Ciampini di porsi da un lato nella prospettiva della più alta tradizione antiquaria cinque e seicentesca, di cui recupera i metodi di lettura e di analisi applicati allo studio delle monete e dei monumenti antichi interpretati quali prove per la ricostruzione storica, e dall'altra, come è emerso dalle mie ricerche, lo pone immediatamente in contatto con gli avamposti del più moderno metodo di indagine storica e filologica applicato alle fonti e ai documenti della storia ecclesiastica, inaugurato dall'ambiente bollandista e inaurino. I monumenti paleocristiani e medioevali assumono in quest'ottica lo status di 'fatti incontestabili', le fonti primarie attraverso le quali Ciampini ricuce le tappe salienti della storia della Chiesa, da Costantino fino al XV secolo. Nel 1700 le copie di Edimburgo arrivano nelle mani del mercante e connoisseur milanese il padre oratoriano Sebastiano Resta (1635-1714), di stanza a Roma presso la Chiesa Nuova della Vallicella dal 1660, che decide di rilegarle tutte insieme in un volume da donare al suo maggiore acquirente e patrono, il vescovo di Arezzo Giovanni Matteo Marchetti. Come spiega Resta in alcune sue lettere, il presente avrebbe dovuto costituire insieme una curiosità ed offrire un confronto: infatti «le copie delli mosaici di Roma che erano di Monsignor Ciampini» - afferma Resta - avrebbero mostrato al Marchetti «le maniere di que' tempi gottici, barbari e divoti de cristiani e [fatto] spiccare i secoli seguenti». Questa indagine infatti ha fatto riemergere aspetti della precoce attenzione di Sebastiano Resta per l'arte dei "secoli bassi", mai debitamente affrontata dagli studi. E' infatti sulla scorta di una profonda conoscenza dei testi della letteratura artistica, e in connessione alla esplosione vivacissima della controversia Malvasia/Baldinucci sul primato del risorgere delle arti in Toscana, che Sebastiano a partire dagli anni Ottanta del Seicento comincia a meditare sul Medioevo artistico con il fine di spiegare l'evoluzione del linguaggio tecnico e formale che ha condotto alla perfezione dell'atte moderna. In questa prospettiva ι disegni del XIV e XV secolo che egli riuscì ad intercettare sul mercato valgono quali testimonianze delle maniere degli artefici più antichi e sono imbastiti nei molteplici album che Resta compone nel rispetto della successione cronologica dei presunti autori, e ordinati in base alle scuole pittoriche di pertinenza. La tesi permette perciò di descrivere nelle loro diverse specificità: da un lato il modo dei conoscitori come Resta, interessati nell'opera al dato stilistico, con immediate e sensibili ricadute sul mercato, e disposti anche con passione a ricercare i documenti relativi all'opera in quanto pressati dall'urgenza di collocarla nella sequenza cronologica dello sviluppo del linguaggio formale e tecnico; dall'altro gli antiquari come Ciampini e come Bianchini, per i quali le opere del passato valgono come prove irrefutabili della ricostruzione storica, e divengono quindi esse stesse, anche nel loro statuto di copia, documento della stona. Sono due approcci che si manifestano nel Seicento, e talvolta in una medesima persona, come mostra il caso anche per questo cruciale di Giovati Pietro Bellori, ma che hanno radici cinquecentesche, di cui i protagonisti di queste vicende sono ben consapevoli: e se dietro Resta c'è palesemente Vasari, dietro Ciampini e soprattutto Bianchini c'è la più alta tradizione antiquaria del XVI secolo, da Antonio Augustin a Fulvio Orsini.

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Ce travail n'a pas pour but d'établir une histoire du choeur tragique pour ainsi dire 'd'anthologie', mais bien plutôt de tracer un parcours sélectif et dynamique, en suivant l'évolution de ses formes et de ses fonctions dans la tragédie italienne, à partir du début du XVIe siècle jusqu' à la production alfiérienne et au retour du choeur dans le théâtre de Manzoni ; à cela s'ajoute un exercice en dehors du genre dramatique tel que le Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie dans les Operette morali di Giacomo Leopardi. Dans la première partie - la plus ample et complexe, portant sur l'emploi du choeur dans la tragédie de la Renaissance - on essaye de cerner le contexte qui favorise la persistance d'un espace choral en examinant plusieurs commentaires de la Poétique aristotélicienne, et des essais de théorie dramaturgique comme Della poesia rappresentativa de Angelo Ingegneri, ou le Discorso intorno al comporre de Giambattista Giraldi Cinzio. À côté de la discussion sur le rôle du choeur on envisage aussi le profil formel des sections chorales, en s'appuyant sur l'analyse métrique, dans le cadre plus général du 'petrarchismo metrico', et en particulier de la réception de la chanson pétrarquesque. Interroger la présence de trois constantes thématiques - par exemple la forme de l'hymne à Éros - signifie en suite relever l'importance de Sophocle pour le théâtre de la Renaissance dans la perspective du choeur. Cette première section est complétée par un chapitre entièrement consacré à Torquato Tasso et à son Re Torrismondo, qui présente un troisième chant choral de grande épaisseur philosophique, central dans l'économie du drame et analysé ici à travers un exercice de lecture qui utilise à la fois les instruments de la stylistique, de l'intertextualité, et de l'intratextualité concernant l'entier corpus poétique et philosophique tassien, de ses Rime aux Dialoghi. La deuxième section, qui commence par une exploration théorique de la question du choeur, conduite par exemple sur les textes de Paolo Beni e Tommaso Campanella, a pour cible principale de expliquer comment le choeur assume le rôle d'un vrai 'personnage collectif' dans le théâtre de Federico Della Valle : un choeur bien installé dans l'action tragique, mais conservant au même temps les qualités lyriques et philosophiques d'un chant riche de mémoire culturelle et intertextuelle, de la Phaedra de Sénèque à la Commedia dantesque dans la Reina di Scozia, centre principal de l'analyse et coeur du catholicisme contreréformiste dellavallien. Dans la troisième partie le discours se concentre sur les formes de la métamorphose, pour ainsi dire, du choeur : par exemple la figure du confident, conçu comme un substitut du groupe choral dans les discussions des théoriciens et des auteurs français - voir Corneille, D'Aubignac, Dacier - et italiens, de Riccoboni à Calepio et Maffei. Cependant dans cette section il est surtout question de la définition de l'aria mélodramatique compris comme le 'nouveau choeur' des Modernes, formulée par Ranieri Calzabigi et par Metastasio. Il s'agit donc ici de mettre en relation l'élaboration théorique contenue dans la Dissertazione de Calzabigi et dans l'Estratto de l'Arte poetica de Metastasio avec le premier et unique essai tragique de jeunesse de ce dernier, le Giustino, et le livret de son Artaserse. On essaye de montrer le profond lien entre l'aria et l'action dramatique : donc c'est le dramma musicale qui est capable d'accueillir la seule forme de choeur - l'aria - encore possible dans le théâtre moderne, tandis que le choeur proprement tragique est désormais considéré inutilisable et pour ainsi dire hors-contexte (sans toutefois oublier qu'à la fin du siècle Vittorio Alfieri essayait de ne pas renoncer au choeur dans sa traduction des Perses d'Eschyle ; et surtout dans un essai tragique comme l'Alceste seconda ou dans sa tramelogedia, l'Abele). Comme conclusion une section contenant des remarques qui voudrait juste indiquer trois possibles directions de recherche ultérieure : une comparaison entre Manzoni et Leopardi - dans la perspective de leur intérêt pour le choeur et de la différence entre le sujet lyrique manzonien et celui léopardien ; une incursion dans le livret du mélodrame verdien, afin de comprendre la fonction du choeur manzonien et sa persistance dans le texte pour l'opéra ; et enfin quelque note sur la réception du choeur manzonien et du Coro di morti léopardien dans le XXe siècle, en assumant comme point d'observation la poésie de Carlo Michelstaedter, Andrea Zanzotto et Franco Fortini. Il lavoro non intende tracciare una storia 'da manuale' del coro tragico, ma piuttosto indicare un percorso selettivo e dinamico, seguendo l'evoluzione delle sue forme e delle sue funzioni nella tragedia italiana, a partire dall'inizio del sedicesimo secolo per arrivare alla produzione alfieriana e al ritorno del coro nel teatro di Manzoni; a ciò si aggiunge una prova estranea al genere drammatico come il Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie nelle Operette morali di Giacomo Leopardi. Nella prima parte - la più ampia e complessa, riguardante l'impiego del coro nella tragedia rinascimentale - si cerca di ricostruire il contesto che favorisce la persistenza dello spazio corale attraverso l'esame di diversi commenti alla Poetica aristotelica, e di alcuni saggi di teoria drammaturgica come Della poesia rappresentativa di Angelo Ingegneri, o il Discorso intorno al comporre di Giambattista Giraldi Cinzio. La discussione sul ruolo del coro è affiancata dall'esame del profilo formale delle sezioni corali, grazie a un'indagine metrica nel quadro del più ampio petrarchismo metrico cinquecentesco, e in particolare nel quadro della ricezione della formacanzone petrarchesca. Interrogare la presenza di tre costanti tematiche - per esempio la forma dell'inno a Eros - significherà in seguito rilevare l'importanza di Sofocle per il teatro rinascimentale anche nella prospettiva angolata del coro. Questa prima sezione è completata da un capitolo interamente dedicato a Torquato Tasso e al suo Re Torrismondo, che presenta un terzo canto corale di grande spessore stilistico e filosofico, centrale nell'economia del dramma e analizzato qui attraverso un esercizio di lettura che si serve degli strumenti della stilistica e dell'intertestualità, oltre che del rapporto intratestuale fra i vari luoghi del corpus tassiano, dalle Rime ai suoi Dialoghi. La seconda sezione, che si avvia con un'esplorazione teorica della questione del coro nel Seicento - condotta per esempio sui testi di Paolo Beni e Tommaso Campanella - ha per fulcro la descrizione di un coro quale 'personaggio collettivo' nelle tragedie di Federico Della Valle: un coro ben inserito nell'azione tragica, ma che conserva allo stesso tempo le qualità liriche e filosofiche di un canto ricco di memoria culturale e intertestuale, dalla Fedra di Seneca alla Commedia dantesca, nella sua Reina di Scozia, centro dell'analisi e cardine del cattolicesimo controriformista dellavalliano. Nella terza sezione il discorso si concentra sulle forme della metamorfosi, per così dire, del coro: per esempio la figura del confidente, interpretato come un sostituto del gruppo corale nelle discussioni di teorici e autori francesi - Corneille, D'Aubignac, Dacier - e italiani, da Riccoboni a Calepio e Maffei. Ma qui ci si rivolge anzitutto alla definizione dell'aria melodrammatica, sentita quale 'nuovo coro' dei Moderni da Ranieri Calzabigi e Pietro Metastasio. Si tratterà dunque di mettere in relazione l'elaborazione teorica svolta nella Dissertazione di Calzabigi e nell'Estratto dell'arte poetica di Metastasio con il primo e unico - e giovanile - tentativo tragico di quest'ultimo, il Giustino, e con il libretto del suo Artaserse. L'intenzione è quella di mostrare il profondo legame tra l'aria e l'azione drammatica: è perciò il dramma musicale che è capace di accogliere la sola forma di coro - l'aria - ancora possibile nel teatro moderno, mentre il vero e proprio coro tragico si rassegna ormai a essere considerato inutile e per così dire fuori contesto (senza dimenticare, tuttavia, che al chiudersi del secolo Vittorio Alfieri tentava di non rinunciare al coro nella sua traduzione dei Persiani di Eschilo; e soprattutto in un tentativo tragico come la sua Alceste seconda o nella tramelogedia Abele). In conclusione una più veloce sezione che vorrebbe semplicemente indicare qualche altra possibile direzione di ricerca: un confronto fra Manzoni e Leopardi - nella prospettiva del coro interesse per il coro, e della differenza fra il soggetto lirico manzoniano e quello leopardiano; un'incursione nel libretto del melodramma verdiano, per misurarvi la funzione del coro manzoniano e la sua persistenza nel testo operistico; e infine qualche appunto sulla ricezione del coro manzoniano e del Coro di morti di Leopardi nel Novecento, assumendo quale punto d'osservazione la poesia di Carlo Michelstaedter, Andrea Zanzotto e Franco Fortini.

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Nella mia tesi di dottorato mi concentro sul poema di Lucrezia Marinelli, L'Enrico, ovvero Bisanzio acquistato, pubblicato a Venezia nel 1635, indagando le strategie messe in atto dall'autrice per rivisitare il genere epico in un'ottica di riscatto femminile. Rispetto al canone epico e, in particolare, al modello di riferimento - la Gerusalemme liberata del Tasso - le vicende nodali sono, infatti, riscritte da un punto di vista chiaramente femminile. Pur occupandomi principalmente dell'opera di Marinelli, in alcuni casi nel corso del mio lavoro propongo dei confronti con altri poemi epici e cavallereschi prodotti da donne - in particolare I tredici canti del Floridoro di Moderata Fonte (1581) - volti a mostrare come le scrittrici avessero degli intenti comuni, dialogando in maniera critica con i modelli maschili da cui, tuttavia, traggono ispirazione. Nei primi capitoli del mio lavoro prendo in esame alcuni personaggi tradizionali dell'epica (le guerriere, la maga, ...) presenti ne L'Enrico e ne ripercorro gli episodi topici (le sortite notturne, l'eroe sull'isola, ...) dimostrando come, pur inserendosi coerentemente nel genere epico, siano caratterizzati in modo sostanzialmente diverso rispetto alla precedente tradizione maschile. Il primo capitolo si concentra sulle figure di guerriere, le quali presentano - rispetto ai precedenti modelli - differenze notevoli: non si lasciano coinvolgere in vicende amorose e non finiscono per essere sottomesse o uccise da un uomo, mantenendo così coerentemente intatti i valori di forza e indipendenza. Neppure la maga sull'isola - presa in esame nel capitolo dedicato alle Altre figure di donne idealizzate - è coinvolta in vicende sentimentali o caratterizzata sensualmente. L'autrice la rappresenta, non alla stregua di una tentatrice al servizio delle forze del male, ma come una donna colta, casta e disposta ad aiutare il cavaliere naufragato sulla sua isola. Nello stesso capitolo sono indagate anche altre figure femminili idealizzate, per taluni aspetti meno innovative, ma ugualmente interessanti: la Vergine, la personificazione di Venezia e la Musa. Queste rappresentazioni dal carattere iconico, presentano, infatti, diverse caratteristiche in comune con i personaggi più attivi del poema, le guerriere e la maga. Il capitolo Delle pene e delle tragedie amorose è dedicato all'amore e ai suoi esiti tragici. Le figure di donna coinvolte sono le madri, le mogli e Idillia, in cui è riconoscibile il personaggio topico della "damigella in difficoltà". Queste protagoniste, destinate a soffrire perché abbandonate dall'uomo che amano - il quale sente più forte il richiamo della guerra rispetto a quello dell'amore - servono da exempla, dimostrando che attaccamento affettivo e dipendenza conducono inesorabilmente all'infelicità. Rispetto al canone epico Marinelli riscatta alcune figure femminili, permettendo alle sue guerriere di prendersi la rivincita, vendicando la morte di eroine quali Camilla e Clorinda. Conseguentemente, alcuni guerrieri sono destinati a morire per mano di una donna. Nel quarto capitolo, mi concentro proprio su La sconfitta degli eroi, mettendo in luce come l'autrice proponga una sua personale regola del contrappasso, volta a cambiare (e addirittura invertire) le sorti dei personaggi che animano il suo poema. Questi aspetti risultano essere ancora più significativi se confrontati con l'opera - data alle stampe per la prima volta nel 1600 - intitolata Nobiltà et eccellenza delle donne. In questo trattato Marinelli sosteneva la superiorità del genere femminile su quello maschile. Alcune delle posizioni assunte nello scritto giovanile sono confermate dai personaggi e dalle vicende che animano l'Enrico. Confronti puntuali fra trattato e poema epico sono effettuati nell'ultimo capitolo del mio lavoro, sottolineando come fra le due opere vi siano delle affinità volte a confermare l'eccellenza delle donne.

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Oggetto della tesi è la poesia volgare prodotta nell'orbita della corte viscontea nel corso del Trecento e del primo Quattrocento. La presente ricerca si propone di illustrare il contesto culturale lombardo e correggere alcuni giudizi di colore avanzati dagli studi positivistici di fine Ottocento e inizio Novecento, attraverso un'indagine rigorosa sui testi scritti attorno ai Visconti, dei quali si propone un'edizione filologicamente sorvegliata, accompagnata da uno studio sulla tradizione manoscritta, da cappelli introduttivi, apparati critici e note di commento. Una prima sezione ospita il corpus di rime dell'aretino Braccio Bracci: tre canzoni {Silenzio posto aveva al dire in rima-, O aspettato dalla giusta verga e lo scambio epistolare fittizio Soldan di Bambilonia et ceterà-Illustri e serenissimo, alto e vero) e quindici sonetti (O tesorier, che 7 bel tesor d'Omero-, Antonio mio, tua fama era inmortale; Deh, non guastare il popol cristiano; O santo Pietro, per Dio, non restare; El tempio tuo, che tu edificasti-, Veggio l'antica, dritta e ferma Scala-, Messer Luigi, vostra nobil fama-, Volse Traian, quando la vedovella-, Firenze, or ti rallegra, or ti conforta-, O infamato da ' lucenti raggi-, Sette sorelle sono a mme venute-, Sempre son stato con gran signoria; Se Ile cose terrene al possesore; Sia con voi pace, signor' fiorentini). La seconda sezione accoglie dodici sonetti attribuiti al fiorentino Marchionne di Matteo Arrighi {Deh, quant 'egli è in villa un bello stare; Omé, e ' mi par che Ila mia rota torca; Acciò che veggi chiaro il mio sonetto; Tu non potrai più bere alle stagioni; O Iscatizza di vii condizione; Se mille volte il dì tu m'uccidessi; Io n'ò 'n dispetto il Sole e Ila Luna; Tanto mi piace l'angelico sono; Lasso, tapino a mme, quando riguardo; Era venuta nella mente mia; Io ti ricordo, caro amico fino; Solo soletto ma non di pensieri). Nella terza sezione si propongono due canzoni viscontee del magister Giovanni da Modena, La mia gravosa e disformata vita e Ne l'ora che la caligin nocturna . La quarta e ultima sezione è dedicata ad alcune poesie anonime viscontee: sei sonetti (Egli è gran tempo, dolce Signor mio; Quela dolce saeta che nel core; Stan le cita lombarde co le chiave; Cesere in arme fu feroce e franco; l'pensava stancar la destra mano; Poniam silenzio a tutti i gran Signori), due ballate (Chi troppo al fuoco si lassa apressare e Io udii già cantare), due Lamenti di Bernabò Visconti in ottava rima (Novo lamento con doglioxo pianto e l'prego Idio eh 'è Signore e Padre, quest'ultimo pronunciato da un tal Matteo da Milano) e una canzone in morte del duca Gian Galeazzo {Fortuna c 'ogni ben mundan remuti).