34 resultados para Marinelli, Giovanni (1846-1900) -- Portraits
Resumo:
Die Biodiversität ist unsere Lebensgrundlage - ihr ökonomischer, ökologischer, sozialer und ästhetischer Wert kann nicht hoch genug eingeschätzt werden. Im Jahr 2003 beschlossen die Umweltminister Europas daher, den Verlust der Biodiversität bis ins Jahr 2010 zu stoppen. Haben wir dieses Ziel erreicht?Die vorliegende Studie des Forum Biodiversität Schweiz gibt fundierte Antworten auf diese Frage. Die umfassende Analyse zeigt auf Basis der besten verfügbaren Daten und differenziert für unterschiedliche Aspekte der biologischen Vielfalt, wie sich die Biodiversität in der Schweiz seit 1900 entwickelt hat. Die Resultate zeigen, dass weiterhin ein großer Handlungsbedarf besteht.
Resumo:
La tesi di Dottorato, condotta in accordo di colutela tra l'Università di Roma Tor Vergata e l'UNIL di Losanna, ha affrontato l'analisi di un gruppo di undici disegni custodia presso la National Gallery of Scotland di Edimburgo, copie di alcuni dei più significativi mosaici medioevali delle chiese di Roma, ricostruendone la genesi, quindi le vicende legate alla committenza, e il percorso collezionistico. I disegni scozzesi, oggetto di un importante articolo di Julian Gardner pubblicato sul Burlington Magatine nel 1973, furono commissionati intorno agli anni Settanta del XVII secolo dall'antiquario romano Giovanni Giustino Ciampini (1633-1698) in connessione alla stesura della sua opera di erudizione più avvertita e famosa: i Vetera Mommenta in' quibus praecipue Musiva Opera, sacrarum, profanan,mque, Aedìum structura, ac nonnulli antiqui ritus dissertationibus iconìbusque illustrantur. La composizione dei Vetera Mommenta - un'opera riccamente illustrata che nasce per rispondere alle esigenze della ideologia della Chiesa di Roma in un momento di rinnovata crisi del sistema - impone a Ciampini di porsi da un lato nella prospettiva della più alta tradizione antiquaria cinque e seicentesca, di cui recupera i metodi di lettura e di analisi applicati allo studio delle monete e dei monumenti antichi interpretati quali prove per la ricostruzione storica, e dall'altra, come è emerso dalle mie ricerche, lo pone immediatamente in contatto con gli avamposti del più moderno metodo di indagine storica e filologica applicato alle fonti e ai documenti della storia ecclesiastica, inaugurato dall'ambiente bollandista e inaurino. I monumenti paleocristiani e medioevali assumono in quest'ottica lo status di 'fatti incontestabili', le fonti primarie attraverso le quali Ciampini ricuce le tappe salienti della storia della Chiesa, da Costantino fino al XV secolo. Nel 1700 le copie di Edimburgo arrivano nelle mani del mercante e connoisseur milanese il padre oratoriano Sebastiano Resta (1635-1714), di stanza a Roma presso la Chiesa Nuova della Vallicella dal 1660, che decide di rilegarle tutte insieme in un volume da donare al suo maggiore acquirente e patrono, il vescovo di Arezzo Giovanni Matteo Marchetti. Come spiega Resta in alcune sue lettere, il presente avrebbe dovuto costituire insieme una curiosità ed offrire un confronto: infatti «le copie delli mosaici di Roma che erano di Monsignor Ciampini» - afferma Resta - avrebbero mostrato al Marchetti «le maniere di que' tempi gottici, barbari e divoti de cristiani e [fatto] spiccare i secoli seguenti». Questa indagine infatti ha fatto riemergere aspetti della precoce attenzione di Sebastiano Resta per l'arte dei "secoli bassi", mai debitamente affrontata dagli studi. E' infatti sulla scorta di una profonda conoscenza dei testi della letteratura artistica, e in connessione alla esplosione vivacissima della controversia Malvasia/Baldinucci sul primato del risorgere delle arti in Toscana, che Sebastiano a partire dagli anni Ottanta del Seicento comincia a meditare sul Medioevo artistico con il fine di spiegare l'evoluzione del linguaggio tecnico e formale che ha condotto alla perfezione dell'atte moderna. In questa prospettiva ι disegni del XIV e XV secolo che egli riuscì ad intercettare sul mercato valgono quali testimonianze delle maniere degli artefici più antichi e sono imbastiti nei molteplici album che Resta compone nel rispetto della successione cronologica dei presunti autori, e ordinati in base alle scuole pittoriche di pertinenza. La tesi permette perciò di descrivere nelle loro diverse specificità: da un lato il modo dei conoscitori come Resta, interessati nell'opera al dato stilistico, con immediate e sensibili ricadute sul mercato, e disposti anche con passione a ricercare i documenti relativi all'opera in quanto pressati dall'urgenza di collocarla nella sequenza cronologica dello sviluppo del linguaggio formale e tecnico; dall'altro gli antiquari come Ciampini e come Bianchini, per i quali le opere del passato valgono come prove irrefutabili della ricostruzione storica, e divengono quindi esse stesse, anche nel loro statuto di copia, documento della stona. Sono due approcci che si manifestano nel Seicento, e talvolta in una medesima persona, come mostra il caso anche per questo cruciale di Giovati Pietro Bellori, ma che hanno radici cinquecentesche, di cui i protagonisti di queste vicende sono ben consapevoli: e se dietro Resta c'è palesemente Vasari, dietro Ciampini e soprattutto Bianchini c'è la più alta tradizione antiquaria del XVI secolo, da Antonio Augustin a Fulvio Orsini.
Resumo:
Peu reconnus par la critique postcoloniale, souvent assimilés sans nuances aux enjeux géopolitiques du Grand Jeu en Asie centrale à la même période, les récits des explorateurs français du Tibet manifestent pourtant des traits culturels spécifiques dont on se propose ici de mener l'archéologie. Missionnaires, aventuriers, nobles bannis, scientifiques républicains, diplomates, officiers coloniaux, intellectuels et orientalistes éclairés indiquent tous que la culture de l'exploration dont, de 1846 à 1912, ils sont les représentants se conçoit intrinsèquement comme une culture paysagère. Aussi révèlent-ils une évolution originale des savoirs sur le Tibet et des représentations du paysage tibétain qui se découvre progressivement à eux. La description du paysage participe ainsi globalement d'une histoire des sensibilités et d'une histoire des sciences, ce que l'on peut appeler une géosensibilité. Mais la description scientifique du paysage, liée à la pratique du voyage et à une confrontation à l'ailleurs, ne doit pas masquer le primat expérientiel qui lui donne sens. C'est ainsi que le paysage, en tant qu'expérience vécue, en vient à jouer le rôle d'une médiation interculturelle invitant à un renouvellement des questionnaires des explorateurs. Par ailleurs, la description scientifique participe tout autant de différents orientalismes, de différentes perceptions d'un Tibet associé par les voyageurs à un « paysage sacré ». La diversité dont ceux-ci témoignent, mais aussi les croisements de représentations issues d'autres cultures de l'exploration du Tibet - la tradition anglo-saxonne en premier lieu -, nous plongent aux origines de l'« image du Tibet » qui, au loin de la rencontre vivante des explorateurs - la Première Guerre, la Convention de Simla et l'avènement du Guomindang marquent le terme de la culture française de l'exploration du Tibet -, se cristallisera et s'unifiera dans l'imaginaire occidental du XXe siècle.
Resumo:
Résumé: Depuis plusieurs années, le thème des réseaux sociaux est au centre de l'intérêt des études historiques. Est-il possible de formaliser l'analyse de réseaux sociaux spécifiques - parenté, clientèle, solidarités locales, etc. - afin d'en analyser l'influence sur des événements historiques et des individus précis ? L'étude présentée prend en considération les luttes souvent violentes entre radicaux et conservateurs dans le Val de Bagnes, en Valais (Suisse), entre 1839 et 1900. La comparaison entre les généalogies des familles de la vallée et les informations sur la vie politique et sociale nous permet de relever l'influence de la parenté dans l'organisation des factions politiques. Les réseaux de parenté sont toutefois ouverts et souples, permettant des adaptations aux évolutions de la situation politique, économique et sociale. L'affaire autour du faux-monnayeur italien Joseph S. Farinet, dans les années 1870, nous permet par exemple de suivre l'évolution des réseaux de solidarité, à la suite d'une crise politique, ainsi que l'émergence de nouvelles activités économiques, notamment le tourisme, avec les hôteliers, les aubergistes et les guides de montagne souvent liés au milieu radical. L'analyse permet également de nuancer l'influence des réseaux de patronage : les collaborations horizontales, à l'intérieur des classes populaires, semblent mieux expliquer les solidarités politiques. Abstract: For several years, historians have been closely concerned with the question of social networks. Is it possible to conceptualize specific networks - like kinship, patronage or local solidarities - and to analyze their influence on concrete individuals or historical events? This paper considers the violent struggles between a radical political faction and a conservative one in a Swiss alpine valley, the Val de Bagnes (Valais) between 1839 and 1900. It compares information about political and social conflicts in the valley with genealogies of local families. By this way the eminent influence of kinship ties on political organizations becomes visible. But kinship networks are open and very supple, allowing adaptations to new political and social configurations. The trials against the Italian smuggler and counterfeiter Joseph S. Farinet in the Seventies allow to describe the evolution of local cooperation networks as a consequence of a political crisis in the canton of Valais and of new economic activities. The paper stresses the active role of a emerging group of hotel- or inn-owners and mountain guides, often closely tied with the radical milieu. The analysis of social transactions raises critical questions about the role of patronage in political mobilization: horizontal cooperation and kinship ties between peasants, small cattle owners and artisans seem to explain political solidarities better than patronage structures.
Resumo:
Nella mia tesi di dottorato mi concentro sul poema di Lucrezia Marinelli, L'Enrico, ovvero Bisanzio acquistato, pubblicato a Venezia nel 1635, indagando le strategie messe in atto dall'autrice per rivisitare il genere epico in un'ottica di riscatto femminile. Rispetto al canone epico e, in particolare, al modello di riferimento - la Gerusalemme liberata del Tasso - le vicende nodali sono, infatti, riscritte da un punto di vista chiaramente femminile. Pur occupandomi principalmente dell'opera di Marinelli, in alcuni casi nel corso del mio lavoro propongo dei confronti con altri poemi epici e cavallereschi prodotti da donne - in particolare I tredici canti del Floridoro di Moderata Fonte (1581) - volti a mostrare come le scrittrici avessero degli intenti comuni, dialogando in maniera critica con i modelli maschili da cui, tuttavia, traggono ispirazione. Nei primi capitoli del mio lavoro prendo in esame alcuni personaggi tradizionali dell'epica (le guerriere, la maga, ...) presenti ne L'Enrico e ne ripercorro gli episodi topici (le sortite notturne, l'eroe sull'isola, ...) dimostrando come, pur inserendosi coerentemente nel genere epico, siano caratterizzati in modo sostanzialmente diverso rispetto alla precedente tradizione maschile. Il primo capitolo si concentra sulle figure di guerriere, le quali presentano - rispetto ai precedenti modelli - differenze notevoli: non si lasciano coinvolgere in vicende amorose e non finiscono per essere sottomesse o uccise da un uomo, mantenendo così coerentemente intatti i valori di forza e indipendenza. Neppure la maga sull'isola - presa in esame nel capitolo dedicato alle Altre figure di donne idealizzate - è coinvolta in vicende sentimentali o caratterizzata sensualmente. L'autrice la rappresenta, non alla stregua di una tentatrice al servizio delle forze del male, ma come una donna colta, casta e disposta ad aiutare il cavaliere naufragato sulla sua isola. Nello stesso capitolo sono indagate anche altre figure femminili idealizzate, per taluni aspetti meno innovative, ma ugualmente interessanti: la Vergine, la personificazione di Venezia e la Musa. Queste rappresentazioni dal carattere iconico, presentano, infatti, diverse caratteristiche in comune con i personaggi più attivi del poema, le guerriere e la maga. Il capitolo Delle pene e delle tragedie amorose è dedicato all'amore e ai suoi esiti tragici. Le figure di donna coinvolte sono le madri, le mogli e Idillia, in cui è riconoscibile il personaggio topico della "damigella in difficoltà". Queste protagoniste, destinate a soffrire perché abbandonate dall'uomo che amano - il quale sente più forte il richiamo della guerra rispetto a quello dell'amore - servono da exempla, dimostrando che attaccamento affettivo e dipendenza conducono inesorabilmente all'infelicità. Rispetto al canone epico Marinelli riscatta alcune figure femminili, permettendo alle sue guerriere di prendersi la rivincita, vendicando la morte di eroine quali Camilla e Clorinda. Conseguentemente, alcuni guerrieri sono destinati a morire per mano di una donna. Nel quarto capitolo, mi concentro proprio su La sconfitta degli eroi, mettendo in luce come l'autrice proponga una sua personale regola del contrappasso, volta a cambiare (e addirittura invertire) le sorti dei personaggi che animano il suo poema. Questi aspetti risultano essere ancora più significativi se confrontati con l'opera - data alle stampe per la prima volta nel 1600 - intitolata Nobiltà et eccellenza delle donne. In questo trattato Marinelli sosteneva la superiorità del genere femminile su quello maschile. Alcune delle posizioni assunte nello scritto giovanile sono confermate dai personaggi e dalle vicende che animano l'Enrico. Confronti puntuali fra trattato e poema epico sono effettuati nell'ultimo capitolo del mio lavoro, sottolineando come fra le due opere vi siano delle affinità volte a confermare l'eccellenza delle donne.