7 resultados para numeri trascendenti pi greco numero di Nepero Liouville Lindemann
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Resumo:
Il contenuto di questo volume non vuole rappresentare un testo didattico per lo studio in generale della vulcanologia in quanto in esso si tratta unicamente quell’a-spetto della disciplina che riguarda il vulcanismo esplosivo. In tal senso l’autore ritiene che questo testo possa essere utile per gli studenti di Scienze Geologiche che, vivendo nelle aree vulcaniche italiane di età quaternaria ed anche attive, possano, da laureati, svolgere attività professionali mirate alla individuazione e definizione di Pericolosità, Vulnerabilità e Rischio Vulcanico. Trattare gli argomenti che seguono non è stato facile e forse si poteva, in alcuni casi, renderli più semplici, ma talvolta la semplicità non sempre è sinonimo di precisione; inoltre, per descrivere certi aspetti non quantitativi si è costretti ad utilizzare un linguaggio quanto più possibile “ad hoc”. L’autore ha svolto la propria attività di ricerca in aree vulcaniche, sia in Italia che all’estero. Le ricerche in Italia sono state da sempre concentrate nelle aree di vulcanismo attivo in cui l’attività del vulcanologo è finalizzata fondamentalmente alla definizione della Pericolosità Vulcanica supporto indispensabile per la definizione dell’aree a Rischio Vulcanico, intendendo per Rischio il prodotto della Pericolosità per il Danno in termini, questo, di numero di vite umane ovvero di valore monetario dei beni a rischio nell’area vulcanica attiva. Le ricerche svolte dall’autore in Africa Orientale (Etiopia e Somalia) e nello Yemen hanno contribuito ad assimilare i concetti di vulcanologia regionale, rappresentata dall’ampia diffusione del vulcanismo di plateau, variabile per spessore dai 1500 ai 3000 metri, fra i quali si inseriscono, nella depressione dell’Afar, catene vulcaniche inquadrabili, dal punto di vista geodinamico, come “oceaniche” alcune delle quali attive e che si sviluppano per decine/centinaia di chilometri. Nelle aree vulcaniche italiane le difficoltà che sorgono durante il rilevamento risiedono nella scarsa continuità di affioramenti, talvolta incompleti per la descrizione delle variazioni di facies piroclastiche, non disgiunta dalla fitta vegetazione ovvero ur banizzazione specialmente nelle aree di vulcanismo attivo. Il rilevamento vulcanologico richiede competenze e l’adozione di scale adatte a poter cartografare le variazioni di facies piroclastiche che, a differenza dalle assise sedimentarie, in un’area vulcanica possono essere diffuse arealmente soltanto per alcune centinaia di metri. I metodi di studio delle rocce piroclastiche sono del tutto simili a quelli che si usano per le rocce clastiche, cioè dall’analisi delle strutture e delle tessiture alla litologica fino a quella meccanica; su questi clasti inoltre le determinazioni della densità, della mineralogia e della geochimica (Elementi in tracce e Terre Rare), ottenute sulla frazione vetrosa, rappresentano parametri talvolta identificativi di un’area vulcanica sorgente. Non esistono testi nei quali venga descritto come si debba operare nelle aree vulcaniche per le quali l’unica certezza unificante è rappresentata dall’evidenza che, nelle sequenze stratigrafiche, il termine al top rappresenta quello più relativamente recente mentre quello alla base indica il termine relativo più vecchio. Quanto viene riportato in questo testo nasce dall’esperienza che è stata acquisita nel tempo attraverso una costante azione di rilevamento che rappresenta l’uni- ca sorgente di informazione che un vulcanologo deve ricavare attraverso un attento esame dei depositi vulcanici (dalla litologia alla mineralogia, alla tessitura, etc.) la cui distribuzione, talvolta, può assumere un carattere interegionale in Italia nell’ambito dell’Olocene. Soltanto l’esperienza acquisita con il rilevamento produce, in un’area di vulcanismo attivo, risultati positivi per la definizione della Pericolosità, sapendo però che le aree vulcaniche italiane presentano caratteristiche ampiamente differenti e di conseguenza il modo di operare non può essere sempre lo stesso. Un esempio? Immaginate di eseguire un rilevamento vulcanico prima al Somma-Vesuvio e poi nei Campi Flegrei: sono mondi completamente differenti. L’autore desidera ribadire che questo testo si basa sulla esperienza acquisita sia come geologo sia come docente di Vulcanologia; pertanto il libro potrà forse risultare più o meno bilanciato, in forza dell’argomento trattato, in quanto durante l’attività di ricerca l’autore, come tutti, ha affrontato alcuni argomenti più di altri. Questo approccio può essere considerato valido per chiunque voglia scrivere un libro in maniera autonoma e originale, non limitandosi, come molte volte avviene, a tradurre in italiano un libro su tematiche analoghe diffuso, ad esempio, nel mondo anglosassone.Diversamente, si sarebbe potuto concepire un libro come un collage di capitoli scritti da vari autori, che magari avevano esperienza più specifica nei singoli argomenti, ma in tal senso si sarebbe snaturato lo spirito con cui si è impostato il progetto. L’autore, infine, ha fatto ricorso al contributo di altri autorevoli colleghi solo per temi importantissimi, ma in qualche modo complementari rispetto al corpus costitutivo del Vulcanismo Esplosivo.
Resumo:
L’espressione di geni eterologhi in Escherichia coli rappresenta uno dei metodi più veloci, semplici ed economici per la produzione di ampie quantità di proteine target. Tuttavia, meccanismi di folding e le modifiche post traduzionali inducono a volte un non corretto ripiegamento delle proteine nella conformazione nativa, con successiva aggregazione in quelli che vengono definiti corpi di inclusione. Nel nostro caso, l’attenzione è stata focalizzata su una Green Fluorescent Protein (GFP) di 228 aa estratta da Anemonia sulcata, contenente un fluoroforo composto da tre amminoacidi Gln63, Tyr64, Gly65 all'interno di una struttura a barile. Il corretto folding della proteina era correlato strettamente alla funzionalità del fluoroforo. Il nostro obiettivo è stato quello, quindi, di ottimizzare il processo di biosintesi della GFP espressa in E. coli, ovviando alla formazione di corpi di inclusione contenenti la proteina (non funzionale), definendo e standardizzando inoltre, le condizioni che consentivano di produrre la più alta percentuale di GFP correttamente ripiegata (in condizioni non denaturanti) e quindi funzionale.
Resumo:
Parlare di KeyCrime significa rapportarsi con un software che si fonda prioritariamente su di un metodo scientifico che fa proprio il ragionamento conclusivo (conclusive reasoning), applicato al decison making , pertanto all’intelligence investigativa e alla predictive policing. Potremmo pensare a KeyCrime come un paradigma operativo che si pone in sinergia tra la filosofia, il cognitivismo giuridico e le scienze applicate (Romeo F., 2006). Quando analisi e decision making trovano in un unico contesto il terreno fertile dove svilupparsi, ma ancor più, creare presupposti di ragionamento, ecco che da queste è facile comprendere da quale altra condizione sono nate, attivate e soprattutto utilizzate ai fini di un risultato: questa non è altro che “l’osservazione”; se ben fatta, profonda e scientifica offre una sistematica quanto utile predisposizione alle indagini, specialmente di carattere preventivo per l’anticrimine e la sicurezza.
Resumo:
La legge n.354 del 1975 ha apportato importanti cambiamenti nella vita detentiva. Viene messa in luce un nuovo senso della sanzione: una pena più umana in cui il detenuto non può più essere considerato un soggetto da diagnosticare, ma da conoscere e reinserire nel contesto sociale. Tuttavia il carcere resta una realtà complessa piena di problematiche e contraddizioni. Il seguente lavoro ha cercato di comprendere l’opinione dei detenuti su tematiche che quotidianamente ruotano intorno al carcere: recidiva, finalità rieducativa e sorveglianza dinamica. A tal proposito è stato somministrato un questionario appositamente strutturato su tali tematiche ad un campione di 161 detenuti. Il carcere aperto e la sorveglianza dinamica risultano una nuova conquista trattamentale. Solo un carcere più vivibile, pieno di opportunità può realmente rieducare il soggetto ed insegnargli ad essere libero nel rispetto della legge.
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Nel presente articolo verrà presa in considerazione una forma di abuso che ha colto l’attenzione degli operatori da non molti anni: la patologia delle cure. Saranno trattate le tre forme di patologia nella somministrazione delle cure che la costituiscono, soffermandoci principalmente sull’incuria e su una forma di ipercura quale la Sindrome di Munchausen per procura, sindrome rara e difficile da riconoscere. Assistiamo ad un paradosso, da un lato l’incuria: bambini abbandonati, denutriti, trascurati fisicamente e psicologicamente; e il suo contrario l’eccessiva cura, che porta in casi estremi ad “un’eccessiva medicalizzazione”. Quantificare il fenomeno del maltrattamento in ogni sua forma è difficile e lo è ancora di più quantificare quello di una forma di abuso piuttosto recente, ma riconoscere il fenomeno è il primo passo per preparare il terreno alla prevenzione.
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Il numero di nuove sostanze psicoattive (NSP) acquistabile in internet e le informazioni relative alla loro modalità di assunzione a scopi curativi, ricreazionali e spirituali, stanno aumentando costantemente. Nomi come “legal highs”, “herbal highs” e “etno-drugs”, inducono i consumatori a credere che questi prodotti siano sicuri e naturali, sottostimandone o volutamente trascurandone le loro potenzialità farmaco-tossicologiche. Oltre a questo, l’impiego di sostanze naturali tradizionalmente impiegate all’interno di un rituale ben definito in etnie specifiche, in nuovi contesti ricreativi, porta spesso all’abuso delle stesse sostanze (Marti, 2013; 2015). Infatti, mentre l’uso tradizionale/etnico di queste sostanze naturali, non sembra essere associato a dipendenza, intossicazioni o problemi legati alla salute, una volta raggiunto il mercato mondiale, si assiste invece ad una escalation di problematiche ed intossicazioni. Queste derivano soprattutto dal fatto che uscendo da un contesto tradizionale per accedere in uno prettamente ricreazionale, cambiano numerosi fattori fondamentali tra cui: la via di somministrazione, la quantità assunta, l’assunzione di sostanze pure e la co-somministrazione con altre sostanze psicoattive.
Resumo:
Andiamo ad inquadrare la figura femminile nell’organizzazione criminale presa in esame, ovvero la ‘Ndrangheta, mafia calabrese il cui nome deriva dal sostantivo greco andragathòs, che si traduce in forza, virilità, valore. È una mafia definita da molti come “liquida” per lo straordinario potere di penetrare in ogni ambito del sociale ed estendere i propri confini ben oltre il territorio calabro. Fondata sullo stretto ed indissolubile vincolo di sangue, la struttura interna della ‘Ndrangheta viene suddivisa in due livelli: la “Società Minore”, di cui fanno parte picciotto, camorrista e sgarrista, e la “Società Maggiore” che prevede “doti” di santista, vangelo, quartino, quintino e associazione. Più cosche, legate tra loro, danno vita al “Locale”, che costituisce l’unità fondamentale di aggregazione mafiosa su un determinato territorio, quasi sempre coincidente con un villaggio o con un rione di una città. Per la costituzione del “Locale” è necessaria la presenza di almeno 49 affiliati. Ogni locale è diretto da una terna di ‘ndranghetisti, detta copiata, quasi sempre rappresentata dal capobastone, dal contabile e dal capocrimine.