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Riassunto La spettrometria di massa (MS) nata negli anni ’70 trova oggi, grazie alla tecnologia Matrix-Assisted Laser Desorption Ionization-Time of Flight (MALDI-TOF), importanti applicazioni in diversi settori: biotecnologico (per la caratterizzazione ed il controllo di qualità di proteine ricombinanti ed altre macromolecole), medico–clinico (per la diagnosi di laboratorio di malattie e per lo sviluppo di nuovi trattamenti terapeutici mirati), alimentare ed ambientale. Negli ultimi anni, questa tecnologia è diventata un potente strumento anche per la diagnosi di laboratorio in microbiologia clinica, rivoluzionando il flusso di lavoro per una rapida identificazione di batteri e funghi, sostituendo l’identificazione fenotipica convenzionale basata su saggi biochimici. Attualmente mediante MALDI-TOF MS sono possibili due diversi approcci per la caratterizzazione dei microrganismi: (1) confronto degli spettri (“mass spectra”) con banche dati contenenti profili di riferimento (“database fingerprints”) e (2) “matching” di bio-marcatori con banche dati proteomiche (“proteome database”). Recentemente, la tecnologia MALDI-TOF, oltre alla sua applicazione classica nell’identificazione di microrganismi, è stata utilizzata per individuare, indirettamente, meccanismi di resistenza agli antibiotici. Primo scopo di questo studio è stato verificare e dimostrare l’efficacia identificativa della metodica MALDI-TOF MS mediante approccio di comparazione degli spettri di differenti microrganismi di interesse medico per i quali l’identificazione risultava impossibile a causa della completa assenza o presenza limitata, di spettri di riferimento all’interno della banca dati commerciale associata allo strumento. In particolare, tale scopo è stato raggiunto per i batteri appartenenti a spirochete del genere Borrelia e Leptospira, a miceti filamentosi (dermatofiti) e protozoi (Trichomonas vaginalis). Secondo scopo di questo studio è stato valutare il secondo approccio identificativo basato sulla ricerca di specifici marcatori per differenziare parassiti intestinali di interesse medico per i quali non è disponibile una banca dati commerciale di riferimento e la sua creazione risulterebbe particolarmente difficile e complessa, a causa della complessità del materiale biologico di partenza analizzato e del terreno di coltura nei quali questi protozoi sono isolati. Terzo ed ultimo scopo di questo studio è stata la valutazione dell’applicabilità della spettrometria di massa con tecnologia MALDI-TOF per lo studio delle resistenze batteriche ai carbapenemi. In particolare, è stato messo a punto un saggio di idrolisi dei carbapenemi rilevata mediante MALDI-TOF MS in grado di determinare indirettamente la produzione di carbapenemasi in Enterobacteriaceae. L’efficacia identificativa della metodica MALDI-TOF mediante l’approccio di comparazione degli spettri è stata dimostrata in primo luogo per batteri appartenenti al genere Borrelia. La banca dati commerciale dello strumento MALDI-TOF MS in uso presso il nostro laboratorio includeva solo 3 spettri di riferimento appartenenti alle specie B. burgdorferi ss, B. spielmani e B. garinii. L’implementazione del “database” con specie diverse da quelle già presenti ha permesso di colmare le lacune identificative dovute alla mancanza di spettri di riferimento di alcune tra le specie di Borrelia più diffuse in Europa (B. afzelii) e nel mondo (come ad esempio B. hermsii, e B. japonica). Inoltre l’implementazione con spettri derivanti da ceppi di riferimento di specie già presenti nel “database” ha ulteriormente migliorato l’efficacia identificativa del sistema. Come atteso, il ceppo di isolamento clinico di B. lusitaniae (specie non presente nel “database”) è stato identificato solo a livello di genere corroborando, grazie all’assenza di mis-identificazione, la robustezza della “nuova” banca dati. I risultati ottenuti analizzando i profili proteici di ceppi di Borrelia spp. di isolamento clinico, dopo integrazione del “database” commerciale, indicano che la tecnologia MALDI-TOF potrebbe essere utilizzata come rapida, economica ed affidabile alternativa ai metodi attualmente utilizzati per identificare ceppi appartenenti a questo genere. Analogamente, per il genere Leptospira dopo la creazione ex-novo della banca dati “home-made”, costruita con i 20 spettri derivati dai 20 ceppi di riferimento utilizzati, è stata ottenuta una corretta identificazione a livello di specie degli stessi ceppi ri-analizzati in un esperimento indipendente condotto in doppio cieco. Il dendrogramma costruito con i 20 MSP-Spectra implementati nella banca dati è formato da due rami principali: il primo formato dalla specie non patogena L. biflexa e dalla specie a patogenicità intermedia L. fainei ed il secondo che raggruppa insieme le specie patogene L. interrogans, L. kirschneri, L. noguchii e L. borgpetersenii. Il secondo gruppo è ulteriormente suddiviso in due rami, contenenti rispettivamente L. borgpetersenii in uno e L. interrogans, L. kirschneri e L. noguchii nell’altro. Quest’ultimo, a sua volta, è suddiviso in due rami ulteriori: il primo comprendente la sola specie L. noguchii, il secondo le specie L. interrogans e L. kirshneri non separabili tra loro. Inoltre, il dendrogramma costruito con gli MSP-Spectra dei ceppi appartenenti ai generi Borrelia e Leptospira acquisiti in questo studio, e appartenenti al genere Brachyspira (implementati in un lavoro precedentemente condotto) mostra tre gruppi principali separati tra loro, uno per ogni genere, escludendo possibili mis-identificazioni tra i 3 differenti generi di spirochete. Un’analisi più approfondita dei profili proteici ottenuti dall’analisi ha mostrato piccole differenze per ceppi della stessa specie probabilmente dovute ai diversi pattern proteici dei distinti sierotipi, come confermato dalla successiva analisi statistica, che ha evidenziato picchi sierotipo-specifici. È stato, infatti, possibile mediante la creazione di un modello statistico dedicato ottenere un “pattern” di picchi discriminanti in grado di differenziare a livello di sierotipo sia i ceppi di L. interrogans sia i ceppi di L. borgpetersenii saggiati, rispettivamente. Tuttavia, non possiamo concludere che i picchi discriminanti da noi riportati siano universalmente in grado di identificare il sierotipo dei ceppi di L. interrogans ed L. borgpetersenii; i picchi trovati, infatti, sono il risultato di un’analisi condotta su uno specifico pannello di sierotipi. È stato quindi dimostrato che attuando piccoli cambiamenti nei parametri standardizzati come l’utilizzo di un modello statistico e di un programma dedicato applicato nella routine diagnostica è possibile utilizzare la spettrometria di massa MALDI-TOF per una rapida ed economica identificazione anche a livello di sierotipo. Questo può significativamente migliorare gli approcci correntemente utilizzati per monitorare l’insorgenza di focolai epidemici e per la sorveglianza degli agenti patogeni. Analogamente a quanto dimostrato per Borrelia e Leptospira, l’implementazione della banca dati dello spettrometro di massa con spettri di riferimento di miceti filamentosi (dermatofiti) si è rilevata di particolare importanza non solo per l’identificazione di tutte le specie circolanti nella nostra area ma anche per l’identificazione di specie la cui frequenza nel nostro Paese è in aumento a causa dei flussi migratori dalla zone endemiche (M. audouinii, T. violaceum e T. sudanense). Inoltre, l’aggiornamento del “database” ha consentito di superare la mis-identificazione dei ceppi appartenenti al complesso T. mentagrophytes (T. interdigitale e T. mentagrophytes) con T. tonsurans, riscontrata prima dell’implementazione della banca dati commerciale. Il dendrogramma ottenuto dai 24 spettri implementati appartenenti a 13 specie di dermatofiti ha rivelato raggruppamenti che riflettono quelli costruiti su base filogenetica. Sulla base dei risultati ottenuti mediante sequenziamento della porzione della regione ITS del genoma fungino non è stato possibile distinguere T. interdigitale e T. mentagrophytes, conseguentemente anche gli spettri di queste due specie presentavano picchi dello stesso peso molecoalre. Da sottolineare che il dendrogramma costruito con i 12 profili proteici già inclusi nel database commerciale e con i 24 inseriti nel nuovo database non riproduce l’albero filogenetico per alcune specie del genere Tricophyton: gli spettri MSP già presenti nel database e quelli aggiunti delle specie T. interdigitale e T. mentagrophytes raggruppano separatamente. Questo potrebbe spiegare le mis-identificazioni di T. interdigitale e T. mentagrophytes con T. tonsurans ottenute prima dell’implementazione del database. L’efficacia del sistema identificativo MALDI-TOF è stata anche dimostrata per microrganismi diversi da batteri e funghi per i quali la metodica originale è stata sviluppata. Sebbene tale sistema identificativo sia stato applicato con successo a Trichomonas vaginalis è stato necessario apportare modifiche nei parametri standard previsti per l’identificazione di batteri e funghi. Le interferenze riscontrate tra i profili proteici ottenuti per i due terreni utilizzati per la coltura di questo protozoo e per i ceppi di T. vaginalis hanno, infatti, reso necessario l’utilizzo di nuovi parametri per la creazione degli spettri di riferimento (MSP-Spectra). L’importanza dello sviluppo del nuovo metodo risiede nel fatto che è possibile identificare sulla base del profilo proteico (e non sulla base di singoli marcatori) microorganismi cresciuti su terreni complessi che potrebbero presentare picchi nell'intervallo di peso molecolare utilizzato a scopo identificativo: metaboliti, pigmenti e nutrienti presenti nel terreno possono interferire con il processo di cristallizzazione e portare ad un basso punteggio identificativo. Per T. vaginalis, in particolare, la “sottrazione” di picchi dovuti a molecole riconducibili al terreno di crescita utilizzato, è stata ottenuta escludendo dall'identificazione l'intervallo di peso molecolare compreso tra 3-6 kDa, permettendo la corretta identificazione di ceppi di isolamento clinico sulla base del profilo proteico. Tuttavia, l’elevata concentrazione di parassita richiesta (105 trofozoiti/ml) per una corretta identificazione, difficilmente ottenibile in vivo, ha impedito l’identificazione di ceppi di T. vaginalis direttamente in campioni clinici. L’approccio identificativo mediante individuazione di specifici marcatori proteici (secondo approccio identificativo) è stato provato ed adottato in questo studio per l’identificazione e la differenziazione di ceppi di Entamoeba histolytica (ameba patogena) ed Entamoeba dispar (ameba non patogena), specie morfologiacamente identiche e distinguibili solo mediante saggi molecolari (PCR) aventi come bersaglio il DNA-18S, che codifica per l’RNA della subunità ribosomiale minore. Lo sviluppo di tale applicazione ha consentito di superare l’impossibilità della creazione di una banca dati dedicata, a causa della complessità del materiale fecale di partenza e del terreno di coltura impiagato per l’isolamento, e di identificare 5 picchi proteici in grado di differenziare E. histolytica da E. dispar. In particolare, l’analisi statistica ha mostrato 2 picchi specifici per E. histolytica e 3 picchi specifici per E. dispar. L’assenza dei 5 picchi discriminanti trovati per E. histolytica e E. dispar nei profili dei 3 differenti terreni di coltura utilizzati in questo studio (terreno axenico LYI-S-2 e terreno di Robinson con e senza E. coli) permettono di considerare questi picchi buoni marcatori in grado di differenziare le due specie. La corrispondenza dei picchi con il PM di due specifiche proteine di E. histolytica depositate in letteratura (Amoebapore A e un “unknown putative protein” di E. histolytica ceppo di riferimento HM-1:IMSS-A) conferma la specificità dei picchi di E. histolytica identificati mediante analisi MALDI-TOF MS. Lo stesso riscontro non è stato possibile per i picchi di E. dispar in quanto nessuna proteina del PM di interesse è presente in GenBank. Tuttavia, va ricordato che non tutte le proteine E. dispar sono state ad oggi caratterizzate e depositate in letteratura. I 5 marcatori hanno permesso di differenziare 12 dei 13 ceppi isolati da campioni di feci e cresciuti in terreno di Robinson confermando i risultati ottenuti mediante saggio di Real-Time PCR. Per un solo ceppo di isolamento clinico di E. histolytica l’identificazione, confermata mediante sequenziamento della porzione 18S-rDNA, non è stata ottenuta mediante sistema MALDI-TOF MS in quanto non sono stati trovati né i picchi corrispondenti a E. histolytica né i picchi corrispondenti a E. dispar. Per questo ceppo è possibile ipotizzare la presenza di mutazioni geno/fenotipiche a livello delle proteine individuate come marcatori specifici per E. histolytica. Per confermare questa ipotesi sarebbe necessario analizzare un numero maggiore di ceppi di isolamento clinico con analogo profilo proteico. L’analisi condotta a diversi tempi di incubazione del campione di feci positivo per E. histolytica ed E. dipar ha mostrato il ritrovamento dei 5 picchi discriminanti solo dopo 12 ore dall’inoculo del campione nel terreno iniziale di Robinson. Questo risultato suggerisce la possibile applicazione del sistema MALDI-TOF MS per identificare ceppi di isolamento clinico di E. histolytica ed E. dipar nonostante la presenza di materiale fecale che materialmente può disturbare e rendere difficile l’interpretazione dello spettro ottenuto mediante analisi MALDI-TOF MS. Infine in questo studio è stata valutata l’applicabilità della tecnologia MALDI-TOF MS come saggio fenotipico rapido per la determinazione di ceppi produttori di carbapenemasi, verificando l'avvenuta idrolisi del meropenem (carbapeneme di riferimento utilizzato in questo studio) a contatto con i ceppi di riferimento e ceppi di isolamento clinico potenzialmente produttori di carbapenemasi dopo la messa a punto di un protocollo analitico dedicato. Il saggio di idrolisi del meropenem mediante MALDI-TOF MS ha dimostrato la presenza o l’assenza indiretta di carbapenemasi nei 3 ceppi di riferimento e nei 1219 (1185 Enterobacteriaceae e 34 non-Enterobacteriaceae) ceppi di isolamento clinico inclusi nello studio. Nessuna interferenza è stata riscontrata per i ceppi di Enterobacteriaceae variamente resistenti ai tre carbapenemi ma risultati non produttori di carbapenemasi mediante i saggi fenotipici comunemente impiegati nella diagnostica routinaria di laboratorio: nessuna idrolisi del farmaco è stata infatti osservata al saggio di idrolisi mediante MALDI-TOF MS. In un solo caso (ceppo di K. pneumoniae N°1135) è stato ottenuto un profilo anomalo in quanto presenti sia i picchi del farmaco intatto che quelli del farmaco idrolizzato. Per questo ceppo resistente ai tre carbapenemi saggiati, negativo ai saggi fenotipici per la presenza di carbapenemasi, è stata dimostrata la presenza del gene blaKPC mediante Real-Time PCR. Per questo ceppo si può ipotizzare la presenza di mutazioni a carico del gene blaKPC che sebbene non interferiscano con il suo rilevamento mediante PCR (Real-Time PCR positiva), potrebbero condizionare l’attività della proteina prodotta (Saggio di Hodge modificato e Test di Sinergia negativi) riducendone la funzionalità come dimostrato, mediante analisi MALDI-TOF MS, dalla presenza dei picchi relativi sia all’idrolisi del farmaco sia dei picchi relativi al farmaco intatto. Questa ipotesi dovrebbe essere confermata mediante sequenziamento del gene blaKPC e successiva analisi strutturale della sequenza amminoacidica deducibile. L’utilizzo della tecnologia MALDI-TOF MS per la verifica dell’avvenuta idrolisi del maropenem è risultato un saggio fenotipico indiretto in grado di distinguere, al pari del test di Hodge modificato impiegato comunemente nella routine diagnostica in microbiologia, un ceppo produttore di carbapenemasi da un ceppo non produttore sia per scopi diagnostici che per la sorveglianza epidemiologica. L’impiego del MALDI-TOF MS ha mostrato, infatti, diversi vantaggi rispetto ai metodi convenzionali (Saggio di Hodge modificato e Test di Sinergia) impiegati nella routine diagnostica di laboratorio i quali richiedono personale esperto per l’interpretazione del risultato e lunghi tempi di esecuzione e di conseguenza di refertazione. La semplicità e la facilità richieste per la preparazione dei campioni e l’immediata acquisizione dei dati rendono questa tecnica un metodo accurato e rapido. Inoltre, il metodo risulta conveniente dal punto di vista economico, con un costo totale stimato di 1,00 euro per ceppo analizzato. Tutte queste considerazioni pongono questa metodologia in posizione centrale in ambito microbiologico anche nel caso del rilevamento di ceppi produttori di carbapenemasi. Indipendentemente dall’approccio identificativo utilizzato, comparato con i metodi convenzionali il MALDI-TOF MS conferisce in molti casi un guadagno in termini di tempo di lavoro tecnico (procedura pre-analititca per la preparazione dei campioni) e di tempo di ottenimento dei risultati (procedura analitica automatizzata). Questo risparmio di tempo si accentua quando sono analizzati in contemporanea un maggior numero di isolati. Inoltre, la semplicità e la facilità richieste per la preparazione dei campioni e l’immediata acquisizione dei dati rendono questo un metodo di identificazione accurato e rapido risultando più conveniente anche dal punto di vista economico, con un costo totale di 0,50 euro (materiale consumabile) per ceppo analizzato. I risultati ottenuti dimostrano che la spettrometria di massa MALDI-TOF sta diventando uno strumento importante in microbiologia clinica e sperimentale, data l’elevata efficacia identificativa, grazie alla disponibilità sia di nuove banche dati commerciali sia di aggiornamenti delle stesse da parte di diversi utenti, e la possibilità di rilevare con successo anche se in modo indiretto le antibiotico-resistenze.

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Helicobacter pylori è un batterio Gram-negativo in grado di colonizzare la mucosa gastrica umana e persistere per l'intero arco della vita dell'ospite. E' associato a patologie gastrointestinali, quali gastrite cronica, ulcere gastriche e duodenali, adenocarcinomi e linfomi gastrici. Si tratta di uno dei patogeni più diffusi, presente in circa metà della popolazione mondiale, e il solo che si è adattato a vivere nell'ambiente ostile dello stomaco umano. Molteplici sono i fattori di virulenza che permettono al batterio la colonizzazione della nicchia gastrica e contribuiscono, anche attraverso l' induzione di una risposta infiammatoria, a profonde modificazioni dell' omeostasi gastrica. Queste ultime si associano, ad esempio, all'iperproduzione di fattori proinfiammatori, ad alterazioni sia della regolazione della secrezione acida gastrica sia del ciclo cellulare e della morte cellulare programmata (apoptosi) delle cellule epiteliali gastriche, a disordini nel metabolismo del ferro e a carenze di elementi essenziali. Studi sulla diversità genetica di H. pylori osservata in ceppi isolati da varie regioni del mondo, dimostrano che tale batterio ha avuto una coevoluzione col genere umano attraverso la storia, ed è verosimile che H. pylori sia stato un costituente del microbiota gastrico per almeno 50.000 anni. Scopo della tesi è stato quello di identificare e caratterizzare proteine importanti per la colonizzazione e l'adattamento di H. pylori alla nicchia gastrica. In particolare gli sforzi si sono concentrati su due proteine periplasmatiche, la prima coinvolta nella difesa antiossidante (l'enzima catalasi-like, HP0485), e la seconda nel trasporto di nutrienti presenti nell'ambiente dello stomaco all'interno della cellula (la componente solubile di un ABC transporter, HP0298). La strategia utilizzata prevede un'analisi bioinformatica preliminare, l'ottenimento del gene per amplificazione, mediante PCR, dal genoma dell'organismo, la costruzione di un vettore per il clonaggio, l'espressione eterologa in E. coli e la successiva purificazione. La proteina così ottenuta viene caratterizzata mediante diverse tecniche, quali spettroscopia UV, dicroismo circolare, gel filtrazione analitica, spettrometria di massa. Il capitolo 1 contiene un'introduzione generale sul batterio, il capitolo 2 e il capitolo 3 descrivono gli studi relativi alle due proteine e sono entrambi suddivisi in un abstract iniziale, un'introduzione, la presentazione dei risultati, la discussione di questi ultimi, i materiali e i metodi utilizzati. La catalasi-like (HP0485) è una proteina periplasmatica con struttura monomerica, appartenente ad una famiglia di enzimi a funzione per la maggior parte sconosciuta, ma evolutivamente correlati alla ben nota catalasi, attore fondamentale nella difesa di H. pylori, grazie alla sua azione specifica di rimozione dell'acqua ossigenata. HP0485, pur conservando il fold catalasico e il legame al cofattore eme, non può compiere la reazione di dismutazione dell'acqua ossigenata; possiede invece un'attività perossidasica ad ampio spettro, essendo in grado di accoppiare la riduzione del perossido di idrogeno all'ossidazione di diversi substrati. Come la catalasi, lavora ad alte concentrazioni di aqua ossigenata e non arriva a saturazione a concentrazioni molto elevate di questo substrato (200 mM); la velocità di reazione catalizzata rimane lineare anche a questi valori, aspetto che la differenzia dalle perossidasi che vengono in genere inattivate da concentrazioni di perossido di idrogeno superiori a 10-50 mM. Queste caratteristiche di versatilità e robustezza suggeriscono che la catalasi-like abbia un ruolo di scavenger dell'acqua ossigenata e probabilmente anche un'altra funzione connessa al suo secondo substrato, ossia l'ossidazione di composti nello spazio periplasmatico cellulare. Oltre alla caratterizzazione dell'attività è descritta anche la presenza di un ponte disolfuro, conservato nelle catalasi-like periplasmatiche, con un ruolo nell'assemblaggio dell'eme per ottenere un enzima attivo e funzionale. La proteina periplasmatica HP0298, componente di un sistema di trasporto ABC, è classificata come trasportatore di dipeptidi e appartiene a una famiglia di proteine in grado di legare diversi substrati, tra cui di- e oligopeptidi, nichel, eme, glutatione. Benchè tutte associate a trasportatori di membrana batterici, queste proteine presentano un dominio di legame al substrato che risulta essere conservato nei domini extracellulari di recettori specifici di mammifero e uomo. Un esempio sono i recettori ionotropici e metabotropici del sistema nervoso. Per caratterizzare questa proteina è stato messo a punto un protocollo di ligand-fishing accoppiato alla spettrometria di massa. La proteina purificata, avente un tag di istidine, è stata incubata con un estratto cellulare di H. pylori per poter interagire con il suo substrato specifico all'interno dell'ambiente naturale in cui avviene il legame. Il complesso proteina-ligando è stato poi purificato per cromatografia di affinità e analizzato mediante HPLC-MS. L'identificazione dei picchi differenziali tra campioni con la proteina e 5 campioni di controllo ha portato alla caratterizzazione di pentapeptidi particolarmente ricchi in aminoacidi idrofobici e con almeno un residuo carico negativamente. Considerando che H. pylori necessita di alcuni aminoacidi essenziali, per la maggior parte idrofobici, e che lo stomaco umano è particolarmente ricco di peptidi prodotti dalla digestione delle proteine introdotte con il cibo, il ruolo fisiologico di HP0298 potrebbe essere l'internalizzazione di peptidi, con caratteristiche specifiche di lunghezza e composizione, che sono naturalmente presenti nella nicchia gastrica.

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Picobirnavirus (PBV) pertencem à família Picobirnaviridae, divididos em duas espécies Human Picobirnavirus e Rabbit Picobirnavirus. São pequenos vírus constituídos de genoma bissegmentado de cadeia dupla de RNA (dsRNA), não envelopados, com capsídeo de simetria icosaédrica, sendo divididos em dois genogrupos, GI e GII. Já foram detectados em fezes humanas e de uma ampla gama de espécies animais, com ou sem sinais diarreicos, sendo considerados agentes emergentes e oportunistas, e seu potencial zoonótico foi sugerido. Entretanto, os estudos epidemiológicos e moleculares de PBV em bovinos são raros na literatura nacional e internacional. Devido à carência de dados a respeito de PBV em bovinos, o presente estudo foi realizado objetivando-se a detecção e caracterização moleculares de cepas de PVB bovinos dos genogrupos GI e GII em amostras fecais de bovinos com ou sem sintomatologia diarreica de diferentes idades e regiões do Brasil. O estudo foi conduzido a partir de 77 animais, obtendo-se 18 (23,3%) amostras positivas para GI, compreendendo animais provenientes dos estados de São Paulo, Minas Gerais e Goiás. Não foram detectadas amostras positivas para GII. A identidade nucleotídica das amostras obtidas apresentou média de 67,4% quando comparadas uma com as outras e de até 83,77% quando comparadas com amostras de PBV de referência. Na reconstrução filogenética, três amostras agruparam-se em clado de PVB humano e somente uma agrupou-se em clado de PVB bovino. Em síntese, os resultados obtidos indicam, de maneira inédita, a circulação de PVB bovino pertencente ao genogrupo GI em diferentes estados brasileiros, com perfis filogenéticos heterogêneos.

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Atualmente, o Brasil é o maior produtor de cana-de-açúcar (Saccharum ssp.), no qual o estado de São Paulo é responsável por mais de 50% da produção. Esta cultura é hospedeira de diversos patógenos que podem limitar sua produção, dentre os quais se destaca a bactéria Leifsonia xyli subsp. xyli (Lxx), agente causal do raquitismo da soqueira (ratoon stunting disease - RSD). Pouco se sabe sobre a fisiologia deste organismo e quais as estratégias utilizadas por este para colonizar seu hospedeiro. No entanto, sabemos que para infectar e colonizar seus hospedeiros, é necessário que bactérias parasíticas superem estresses de diversas naturezas impostas durante estes processos, como os estresses oxidativo e o osmótico. Neste contexto, os objetivos deste trabalho foram identificar in silico e analisar a expressão in vitro, por qPCR, de genes relacionados a estes dois estresses. Uma análise da sequência do genoma de Lxx identificou 35 genes, sendo 8 relacionados ao estresse oxidativo, 9 relacionados ao estresse osmótico e 11 relacionados a estresse gerais, incluindo um cluster de 6 genes envolvidos na síntese de carotenoides. A expressão destes foi avaliada 60 minutos após exposição a 30mM de H2O2 ou 7% (p/v) de polietilenoglicol 6000 (PEG 6000). Sete genes foram avaliados como normalizadores das reações de qPCR. A quantificação do grau de peroxidação lipídica indicou que ambos os tratamentos resultaram em sensível peroxidação, muito embora o efeito do tratamento com PEG 6000 tenha sido maior do que o tratamento com H2O2. A exposição ao H2O2 aumentou a expressão dos genes katA (catalase), sodA (superóxido dismutase), msrA (Sulfóxido de metionina redutase) e msrB (Sulfóxido de metionina redutase) bem como de todos os genes responsáveis pela síntese de carotenoides. Por outro lado, todos os genes relacionados ao estresse osmótico foram menos expressos na presença deste composto. Já quando a bactéria foi exposta a PEG 6000, o oposto ocorreu, ou seja, os genes relacionados ao estresse osmótico, que são otsA (Trealose-6-fosfato sintase), otsB (Trealose fosfatase), treY (Malto-oligosil trealose sintase), treZ (Malto-oligosil trealose trealoidrolase), treS (Trealose sintase), proX (Proteína de ligamento em substrato, tipo ABC glicina betaína transportadora), proW (Proteína permease, tipo ABC glicina betaína transportadora), proZ (Proteína permease, tipo ABC glicina betaína transportadora) e Naggn (Amidotransferase), além dos genes do cluster carotenoide, foram mais expressos, ao passo que alguns dos genes ligados à resposta ao estresse oxidativo foram menos expressos. Verificou-se também, através de PCR convencional utilizando primers para amplificar as regiões entre os genes carotenoides, que estes são expressos como um RNA policistrônico, constituindo assim um operon. Estes resultados validam predições anteriores baseadas na análise in silico da sequência do genoma de Lxx, confirmando que Lxx possui mecanismos responsivos aos estresses osmótico e oxidativo aos quais é submetida durante o processo de infecção de seu hospedeiro.

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A seca é um dos estresses abióticos mais importantes na cultura do milho, o qual ocasiona reduções significativas na produção de grãos. A arquitetura genética da tolerância à seca é complexa, fazendo-se necessária a melhor compreensão desse caráter. Estudos envolvendo mapeamento associativo são úteis por explorarem a variação genética de caracteres quantitativos e, adicionalmente, levam em conta informações acerca de genótipos, ambientes e interações genótipo por ambiente (G × E). Ao considerar efeitos de G × E em modelos de mapeamento associativo há possibilidade de identificar regiões no genoma associadas à condições e ambientes específicos. Este trabalho teve como objetivo detectar associações relacionadas à tolerância à seca em milho por meio de um modelo de mapeamento associativo para múltiplos ambientes e múltiplos locos, o qual permitiu distinguir associações com efeitos ambiente-específico daquelas com efeitos principais e de interação associação por ambiente (QEI). O painel associativo foi composto por 190 linhagens, classificadas de acordo com os grupos heteróticos quanto ao tipo de grão. Marcadores SNPs (∼500k) foram utilizados para a genotipagem do painel associativo. Duas linhagens (L228-3 e L3) foram usadas como testadores comuns e os híbridos obtidos foram avaliados em duas localidades (Janaúba-MG e Teresina-PI), dois anos agrícolas (2010 e 2011), sob duas condições de tratamento (irrigado e não irrigado). Ao total, consideraram-se seis caracteres: peso de grãos, intervalo de florescimento, florescimento feminino e masculino, altura de planta e de espiga. Consideraram-se dois grupos de mapeamento, agrupados de acordo com os testadores utilizados. SNPs foram úteis para testar associações ao longo do genoma do milho e investigar o relacionamento genético entre indivíduos. O modelo de mapeamento associativo, com inclusão de informações sobre interação G × E, detectou o total de 179 associações, e o maior número de associações foram relacionadas aos caracteres de florescimento. A maioria das associações (168) apresentaram QEI significativo, sendo que o tamanho e a magnitude desses efeitos distinguiram-se de acordo com o ambiente em avaliação. Apenas o caráter florescimento feminino não apresentou associações com efeitos estáveis ao longo dos ambientes em estudo. A detecção de algumas associações em posições próximas do genoma evidenciam possíveis efeitos de pleiotropia. Algumas associações foram co-localizadas em regiões do genoma do milho relacionadas à tolerância à seca, sendo que algumas dessas associações estavam envolvidas a fatores pertencentes à vias metabólicas de interesse. O presente estudo forneceu informações úteis para a compreensão da base genética da tolerância à seca em milho sob os ambientes específicos em avaliação.

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A persistência bacteriana correlacionada à formação de biofilmes bacterianos é, há algum tempo, fonte de grande preocupação médica em virtude de sua ampla associação com a dificuldade de tratamento de infecções crônicas. Por outro lado, as perspectivas de utilização de biofilmes bacterianos em novas aplicações biotecnológicas e até mesmo para fins terapêuticos são promissoras. Há, portanto, grande interesse em compreender os mecanismos que levam as células bacterianas a deixar o estado planctônico, de vida livre, e associarem-se nesses conglomerados celulares altamente complexos. Ao longo das últimas décadas, o segundo mensageiro c-di-GMP – em conjunto com as moléculas que catalisam sua síntese (diguanilato ciclases) e sua degradação (fosfodiesterases) e seus receptores – estabeleceu-se como um elemento central de regulação de uma série de respostas celulares que determinam a formação ou a dispersão de biofilmes. Curiosamente, as proteínas que participam do metabolismo deste segundo mensageiro estão, frequentemente, codificadas múltiplas vezes em um mesmo genoma bacteriano. Em vista dessa observação, estudos mais recentes apontam que, para reger paralelamente uma variedade tão ampla de fenótipos, este sistema opera em modo de alta especificidade de sinalização e que, portanto, o sinal metabolizado por determinados conjuntos de diguanilato ciclases e fosfodiesterases tem alvos celulares específicos. Evidências robustas, porém isoladas até o momento, apontaram que um dos meios pelo qual ocorre a segregação entre sinal produzido e alvo específico é a interação direta entre as proteínas componentes das vias de sinalização. Mais, demonstrou-se que, em algumas vias, a transmissão de sinal ocorre exclusivamente via interação proteica, dispensando a intermediação do sinalizador em si. Para avaliar a validade e relevância global deste mecanismo, propôs-se, neste estudo, a investigação da rede total de interações entre as proteínas tipicamente associadas às vias de sinalização por c-di-GMP em Pseudomonas aeruginosa, utilizando ensaios de duplo-hibrido bacteriano. Para tanto, foram construídas duas bibliotecas de DNA direcionadas e foram feitos testes de interação de forma estratégica para possibilitar o esgotamento e averiguação de todas as possíveis interações entre as proteínas alvo identificadas. O resultado obtido, um mapa inicial, porém abrangente, da rede de interações proteicas em P. aeruginosa, indica uma grande probabilidade de que os mecanismos previamente descritos sejam realmente recorrentes e relevantes para o intermédio da sinalização nesse organismo. Algumas das interações mais robustas encontradas são bastante interessantes e serão, em estudos futuros, mais extensivamente estudadas.

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O objetivo principal deste estudo foi avaliar fatores virais associados com a evolução para o carcinoma hepatocelular (CHC) em pacientes com hepatite B crônica. Para tanto caracterizamos os subgenótipos do HBV, investigamos a ocorrência de mutações nos genes pré-core/core do HBV associadas à presença de CHC avaliamos por análise filogenética a associação de linhagens virais com a ocorrência de CHC e por fim a associação de outros fatores de risco com o desenvolvimento de CHC. Foram incluídos 119 amostras de soro de pacientes com infecção crônica pelo HBV, destas amostras 60 pertencem ao grupo 1 (CHC), que são pacientes com diagnóstico confirmado de carcinoma hepatocelular e 59 amostras pertencem ao grupo 2 (sem CHC) que são pacientes com hepatite crônica sem detecção prévia de nódulos hepáticos. Foram obtidas informações acerca da idade, sexo e naturalidade. Além disso, os pacientes responderam a um questionário sobre fatores de riscos associados ao desenvolvimento de CHC. Foram realizados exames bioquímicos, sorológicos, determinação da carga viral, e amplificação por nested PCR e sequenciamento das regiões S/polimerase e pré-core/core do genoma viral para posterior caracterização dos genótipos/subgenótipos do HBV e pesquisa de mutações associadas com evolução da doença hepática. Em relação à idade e sexo não houve grande variação entre os grupos. Quanto à naturalidade a maioria era procedente da região sudeste, seguido pela região nordeste; e por fim seis pacientes eram procedentes de outros países. Com base no sobrenome dos pacientes avaliou-se também a frequência de etnia oriental na casuística estudada, que foi similar nos 2 grupos. O perfil sorológico HBeAg negativo foi o mais frequente nos dois grupos de pacientes, assim como níveis de carga viral abaixo de 2.000 UI/mL. Em relação aos exames bioquímicos foram observadas diferenças estatisticamente significantes nos níveis séricos de AFP (p= 0,0013), FA (p= 0,0003) e GGT (p= 0,005). Dentre os fatores de risco analisados neste estudo, o consumo de amendoim foi o único que apresentou significância estatística (p= 0,003). A região S/pol foi amplificada e sequenciada com sucesso em 58 amostras (28 do grupo 1 e 30 do grupo 2). Entre as 58 amostras analisadas 4 genótipos e 8 subgenótipos do HBV foram identificados, sendo o subgenótipo A1 o mais frequente nos dois grupos. Não se observou diferença estatisticamente significante na distribuição dos subgenótipos entre os dois grupos de pacientes. Na topologia da árvore filogenética construída com sequências do HBV isoladas dos pacientes incluídos neste estudo e sequências disponíveis no GenBank não se observou padrões de agrupamento associados com o perfil clinico do paciente (com e sem CHC). Foram obtidas sequências de boa qualidade da região précore/ core em 44 amostras, sendo 20 amostras do grupo 1 e 24 do grupo 2. Diversas das mutações investigadas foram identificadas na região précore/ core, as quais foram avaliadas estatisticamente para verificar a existência de diferença na frequência das mesmas entre os grupos de pacientes estudados. Entre as mutações identificadas se destacaram com significância estatística as seguintes mutações: T1768A (p= 0,006), a combinação das mutações C1766T + T1768A (p= 0,043) e G1888H (p= 0,05). Na análise de regressão logística simples foi possível identificar que a chance de um paciente do grupo 2 desenvolver CHC aumenta 14,7 vezes na presença de infecção por cepas do HBV com a mutação T1768A, enquanto que a infecção com cepas do HBV que albergam a mutação G1888H reduz tal chance 2,5 vezes

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Os rotavírus do grupo A (RVA) são importantes causadores de diarreias virais em crianças e animais jovens de diferentes espécies, com impactos na saúde pública e animal. Visando contribuir para o entendimento e prevenção das rotaviroses assim como suas possíveis relações zoonóticas, caracterizou-se os 11 segmentos de dsRNA de rotavírus codificadores das proteínas estruturais e não estruturais presentes em amostras fecais positivas de suínos coletadas nos anos de 2012-2013, em 2 estados brasileiros. Mediante o emprego de RT-PCR, sequenciamento nucleotídico e análises filogenéticas, todos os segmentos genéticos oriundos de 12 amostras de RVA detectados em suínos foram analisados e comparados com os de outras amostras descritas previamente. As sequências obtidas para os genes codificadores das proteínas NSP2, NSP3 e VP6 contemplaram a open reading frame (ORF) completa do gene, enquanto que a ORF parcial foi determinada para os genes codificadores das proteínas VP1, VP2, VP3, VP4, VP7, NSP1, NSP4, NSP5 e NSP6. Os genotipos de rotavírus suíno provenientes das regiões amostradas concordam com os mais frequentemente descritos nesta espécie animal, apresentando, assim, uma matriz genética suína com a maioria dos segmentos pertencentes à constelação genotípica 1, com exceção dos genes codificadores das proteínas VP6 e NSP1, os quais foram os genotipos I5 e A8, respectivamente. Apesar de predominar o genotipo 1 (Wa-like) nas sequências deste estudo, a análise genômica sugere a existência de uma variação intragenotípica no genoma do rotavírus do grupo A atualmente circulante nas populações suína amostradas dos estados de São Paulo e Mato Grosso. Adicionalmente, buscou-se identificar os aminoácidos relacionados com a adaptação dos rotavírus no hospedeiro e assinaturas genéticas que distinguissem RVA suíno e humano. Para isso, as sequências obtidas neste estudo foram comparadas com outras cepas de RVA detectadas nestas duas espécies e pertencentes ao genotipo 1 (Wa-like) disponíveis no Genbank. Como resultados foram encontrados mais de 75 sítios de mudanças deaminoácidos que diferenciam RVA suíno e humano além de sítios de substituiçãopresentes em algumas proteínas virais que frequentemente covariaram entre elas. Estes resultados proporcionam um maior entendimento da diversidade viral circulante em unidades de produção suína e uma melhor compreensão dos animaiscomo reservatórios genéticos de cepas de rotavírus emergentes em humanos.

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Xylella fastidiosa (Xf) é o agente etiológico causador de doenças em uma grande variedade de cultivos de grande importância econômica, causando a c1orose variegada dos citros, uma das doenças mais danosas à indústria de citros no Brasil. Os genomas de algumas cepas deste fitopatógeno foram completamente seqüenciados promovendo assim estudos funcionais do genoma em larga escala. Neste trabalho nós nos propusemos a investigar o perfil de transcrição de Xf através da técnica microarranjos (no título da dissertação microarrays, mas a partir de agora usaremos microaarranjos) de DNA usando todo o genoma do fitopatógeno e cultivando-a sob meio definido variando a concentração de glicose. O objetivo inicial deste trabalho era observar se Xf comportava-se da mesma forma que Xac, que tem a expressão de goma aumentada devido ao aumento da concentração de glicose do meio. Nossas análises revelaram que enquanto os transcritos relacionados à goma não se mostraram afetados com a concentração de glicose, genes que codificam para análogos a Colicina-V e precursores de fimbria foram induzidos em alta concentração de glicose. Baseados nestes resultados, nós propusemos um modelo de mecanismo de produção e defesa contra a Colicina em Xf.

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A infecção por papilomavirus é a principal causa de desenvolvimento de neoplasias intraepiteliais cervicais (NIC) e câncer do colo do útero (CCU). Estudos epidemiológicos têm demonstrado que a persistência do genoma viral encontra-se associado a variantes moleculares específicas de papilomavirus humano (HPV) de alto risco. As moléculas HLA de classe II têm um importante papel na resposta imune. Associações entre HLA e CCU ou infecção por HPV tem sido demonstrado em diferentes populações. O nosso objetivo foi verificar se a variabilidade de HLA-DRB1 e DQB1 estavam associada ao CCU e NIC III em mulheres de Belém, uma população formada pelos 3 principais grupos étnicos humanos e uma área de alto risco para o CCU no Norte do Brasil. Foi investigada a existência de diferenças na distribuição de alelos HLA entre mulheres com CCU e NIC III portadoras de diferentes variantes de HPV-16 e mulheres citologicamente normais. Os genes HLA DQB1 e DRB1 foram tipados pelo método de PCR-SSO em 95 casos e 287 controles de mulheres com citologia normal atendidas em um centro de prevenção do colo do útero na mesma cidade. As variantes de HPV-16 foram tipadas por sequenciamento de um fragmento da região controladora do genoma viral (LCR). O polimorfismo na posição 350 do gene E6 foi tipado baseado em um protocolo de hibridização em pontos, para identificar a alteração na posição 350T→G. A magnitude das associações foi estimada por odds ratio (OR) e os respectivos intervalos de confiança (IC), ajustados para potenciais fatores de confusão. Uma associação positiva foi observada entre CCU e os haplótipos DRB1* 150 l-DQB1*0602, DRB1*04-DQB1*0301 e DRB1*1602-DQB1*0301. Ao contrário, DRB1*01-DQB1*0501 mostrou um efeito protetor. Os alelos DRB1*0804, DQB1*0402 apresentaram efeito protetor contra positividade por HPV. O alelo DQB1*0502 e o grupo DRB1*15 foram positivamente associados. Os nossos resultados mostram que as associações positivas de DRB1*1501 e DRB1*1602 podem ser atribuídas a variantes asiático-americanas quando comparado a variantes européias. O risco conferido a DRB1*1501 foi encontrado associado tanto a variantes E6350G quanto a variantes E6350T, entretanto, o maior efeito foi devido às variantes E6250T. A associação positiva de DRB1*1602 foi significativa somente no grupo de mulheres positivas para E6350G. Estes resultados estão de acordo com a composição étnica da população estudada bem como um maior potencial oncogênico de certas variantes. Nossos dados sugerem que a contribuição dos alelos HLA na susceptibilidade genética ao CCU difere de acordo com a distribuição das variantes de HPV em uma dada região geográfica ou grupo étnico.

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A maioria dos casos de puberdade precoce central (PPC) em meninas permanece idiopática. A hipótese de uma causa genética vem se fortalecendo após a descoberta de alguns genes associados a este fenótipo, sobretudo aqueles implicados com o sistema kisspeptina (KISS1 e KISS1R). Entretanto, apenas casos isolados de PPC foram relacionados à mutação na kisspeptina ou em seu receptor. Até recentemente, a maioria dos estudos genéticos em PPC buscava genes candidatos selecionados com base em modelos animais, análise genética de pacientes com hipogonadismo hipogonadotrófico, ou ainda, nos estudos de associação ampla do genoma. Neste trabalho, foi utilizado o sequenciamento exômico global, uma metodologia mais moderna de sequenciamento, para identificar variantes associadas ao fenótipo de PPC. Trinta e seis indivíduos com a forma de PPC familial (19 famílias) e 213 casos aparentemente esporádicos foram inicialmente selecionados. A forma familial foi definida pela presença de mais de um membro afetado na família. DNA genômico foi extraído dos leucócitos do sangue periférico de todos os pacientes. O estudo de sequenciamento exômico global realizado pela técnica ILLUMINA, em 40 membros de 15 famílias com PPC, identificou mutações inativadoras em um único gene, MKRN3, em cinco dessas famílias. Pesquisa de mutação no MKRN3 realizada por sequenciamento direto em duas famílias adicionais (quatro pacientes) identificou duas novas variantes nesse gene. O MKRN3 é um gene de um único éxon, localizado no cromossomo 15 em uma região crítica para a síndrome de Prader Willi. O gene MKRN3 sofre imprinting materno, sendo expresso apenas pelo alelo paterno. A descoberta de mutações em pacientes com PPC familial despertou o interesse para a pesquisa de mutações nesse gene em 213 pacientes com PPC aparentemente esporádica por meio de reação em cadeia de polimerase seguida de purificação enzimática e sequenciamento automático direto (Sanger). Três novas mutações e duas já anteriormente identificadas, incluindo quatro frameshifts e uma variante missense, foram encontradas, em heterozigose, em seis meninas não relacionadas. Todas as novas variantes identificadas estavam ausentes nos bancos de dados (1000 Genomes e Exome Variant Server). O estudo de segregação familial em três dessas meninas com PPC aparentemente esporádica e mutação no MKRN3 confirmou o padrão de herança autossômica dominante com penetrância completa e transmissão exclusiva pelo alelo paterno, demonstrando que esses casos eram, na verdade, também familiares. A maioria das mutações encontradas no MKRN3 era do tipo frameshift ou nonsense, levando a stop códons prematuros e proteínas truncadas e, portanto, confirmando a associação com o fenótipo. As duas mutações missenses (p.Arg365Ser e p.Phe417Ile) identificadas estavam localizadas em regiões de dedo ou anel de zinco, importantes para a função da proteína. Além disso, os estudos in silico dessas duas variantes demonstraram patogenicidade. Todos os pacientes com mutação no MKRN3 apresentavam características clínicas e hormonais típicas de ativação prematura do eixo reprodutivo. A mediana de idade de início da puberdade foi de 6 anos nas meninas (variando de 3 a 6,5) e 8 anos nos meninos (variando de 5,9 a 8,5). Tendo em vista o fenômeno de imprinting, análise de metilação foi também realizada em um subgrupo de 52 pacientes com PPC pela técnica de MS-MLPA, mas não foram encontradas alterações no padrão de metilação. Em conclusão, este trabalho identificou um novo gene associado ao fenótipo de PPC. Atualmente, mutações inativadoras no MKRN3 representam a causa genética mais comum de PPC familial (33%). O MKRN3 é o primeiro gene imprintado associado a distúrbios puberais em humanos. O mecanismo preciso de ação desse gene na regulação da secreção de GnRH necessita de estudos adicionais

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São inegáveis o caráter universal e a importância dos avanços tecnológicos e científicos originados das pesquisas genéticas. O sequenciamento do genoma humano, a identificação das principais sequências de DNA contidas nos seus genes e suas respectivas funções biológicas, bem como suas possíveis aplicações biomédicas, são de incalculável importância. Os genes, muito embora possam ser biologicamente caracterizados como compostos químicos, possuem um conteúdo informacional que se revela indispensável ao desenvolvimento da engenharia genética, figurando como elemento básico e central de suporte às inovações biotecnológicas. Desta forma, importante analisar a relevância da aplicação de mecanismos jurídicos como forma de fomento à contínua evolução biotecnológica sob a ótica do desenvolvimento econômico e social do país, princípios constitucionais justificadores da proteção de referidos desenvolvimentos técnicos por meio do intelecto e intervenção humanos na natureza. Para tanto, deve-se levar em consideração que a inexistência de tutela jurídica específica pode gerar desincentivo aos investimentos capazes de possibilitar o desenvolvimento de tais tecnologias, ao passo que uma tutela jurídica muito ampla poderá ocasionar indevida restrição ao acesso a tais insumos biológicos, de modo a gerar um efeito adverso àquele buscado. Assim, deve-se compatibilizar a proteção dos resultados obtidos através do desenvolvimento biotecnológico em relação à potencial dificuldade originada de uma eventual restrição ao acesso a tais elementos fundamentais à pesquisa e desenvolvimento genéticos. É neste contexto que se procura um balizamento entre os diferentes interesses e posicionamentos a respeito da patenteabilidade dos genes humanos, visando solução jurídica que permita um ambiente seguro e propício ao desenvolvimento da engenharia genética, e dos inúmeros benefícios que poderão daí se originar. O presente estudo se voltará, portanto, à análise da necessidade, condições, suficiência e extensão da tutela jurídica a ser conferida pela outorga de direitos patentários aos genes humanos.

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La anemia de Fanconi es una enfermedad hereditaria de baja prevalencia, descrita por primera vez por el pediatra Guido Fanconi en 1927. Esta enfermedad se produce como consecuencia de mutaciones en cualquiera de los 19 genes de Fanconi descritos hasta la actualidad, y que participan en la ruta de Fanconi/BRCA. Esta ruta se encarga de la reparación de enlaces intercatenarios del ADN y de coordinar los distintos mecanismos de reparación de las dobles roturas en el ADN. La anemia de Fanconi está caracterizada por generar inestabilidad genómica, lo que da lugar a anomalías esqueléticas y predisposición al cáncer, si bien la principal causa de muerte de pacientes pediátricos es el fallo de médula ósea. Uno de los tratamientos alternativos al trasplante alogénico de progenitores hematopoyéticos de pacientes con anemia de Fanconi se basa en la reinfusión de células madre hematopoyéticas autólogas, tras su corrección con vectores lentivirales. Para limitar al máximo los riesgos de este tipo de terapias se están desarrollando nuevas tecnologías de edición génica basadas en la inserción dirigida de los genes terapéuticos. Esta nueva aproximación se fundamenta en la generación de dobles roturas en regiones específicas del genoma, cuya reparación por recombinación homóloga facilitaría la entrada de los genes terapéuticos aportados por ADNs donadores externos con homología por dicha región. En este trabajo se ha desarrollado una aproximación de edición génica en un nuevo “sitio seguro” del genoma denominado SH6. Para ello se ha trabajado con la línea celular HEK-293H, así como también con progenitores hematopoyéticos humanos purificados en base a la expresión del marcador CD34. Para su desarrollo se han utilizado nucleasas de edición, tales como meganucleasas y TALEN, en combinación con matrices donadoras portadoras del gen marcador EGFP (GM) o del gen terapéutico FANCA (TM). En todos los casos los genes marcadores y terapéuticos estaban regulados por el promotor EF1α, y flanqueados por dos brazos de homología para el sitio SH6. Estos plásmidos han servido como molde para realizar la terapia génica de edición en el sitio seguro SH6...

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Los nematodos fitopatógenos y en particular los agalladores causan graves pérdidas al tomate, un cultivo de gran importancia económica en España, la Unión Europea y en todo el mundo. El manejo de enfermedades por nematicidas químicos y fumigantes está muy limitado por la prohibición en la Unión Europea y a escala mundial del uso de muchos nematicidas químicos y de fumigantes como el bromuro de metilo. Los suelos supresivos a nematodos son ejemplos de control biológico natural que incluyen antagonistas de nematodos con potencial para su uso en el manejo de dichos patógenos vegetales. Nuestro grupo posee una dilata experiencia en estudio de la biología y en particular en el análisis del modo de acción del hongo parásito de huevos de nematodos, Pochonia chlamydosporia. En este artículo incluimos un resumen de nuestros estudios sobre presencia de P. chlamydosporia en suelos agrícolas. A continuación abordamos el estudio de aspectos celulares y moleculares de la infección de huevos de nematodos por P. chlamydosporia. Nuestro grupo fue pionero al demostrar que los hongos nematófagos se comportan como endófitos colonizando las raíces de mono y dicotiledóneas. Recientemente hemos secuenciado el genoma de P. chlamydosporia. El estudio de sus relaciones filogenómicas y el análisis de sus familias génicas apoyan el comportamiento multitrófico del hongo. Finalmente aportamos nuestros resultados del análisis metabolómico de la interacción tomate-nematodo agallador-P. chlamydosporia. Nuestra actual hipótesis de trabajo es que el estudio de dicha interacción por técnicas de análisis molecular masivo abren nuevas vías al manejo sostenible de nematodos bloqueando su comunicación con la planta y activando o modulando las defensas de los cultivos por hongos antagonistas como P. chlamydosporia.

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La ingeniería genética y la reprogramación de organismos vivos representan las nuevas fronteras biotecnológicas que permitirán generar animales con modificaciones precisas en sus genomas para un sinnúmero de aplicaciones biomédicas y agropecuarias. Las técnicas para inducir modificaciones génicas intencionales en animales, especialmente en especies mayores de interés agropecuario, se encuentran rezagadas si se compara con los avances significativos que se han producido en el área de la transgénesis de roedores de laboratorio, especialmente el ratón. Es así que, el presente proyecto persigue desarrollar y optimizar protocolos para generar embriones bovinos transgénicos para aplicaciones biotecnológicas. La estrategia propuesta, se basa en conseguir la presencia simultánea en el interior celular de una enzima de restricción (I-SceI) más un transgén (formado por casetes de expresión de una proteína fluorescente -ZsGreen1- y neomicina fosfotransferasa). Específicamente, proyectamos estudiar una vía alternativa para generar embriones bovinos transgénicos mediante la incorporación del transgén (casetes ZsGreen1 y neo) flanqueado por sitios I-SceI más la enzima I-SceI al interior del ovocito junto con el espermatozoide durante la técnica conocida como inyección intracitoplasmática de espermatozoides (ICSI). Los embriones así generados se cultivarán in vitro, inspeccionándolos diariamente para detectar la emisión de fluorescencia, indicativa de la expresión de la proteína ZsGreen1. Los embriones que alcancen el estado de blastocisto y expresen el transgén se transferirán quirúrgicamente al útero de ovejas sincronizadas y se mantendrán durante 7 días. Al cabo de este período, los embriones se recolectarán quirúrgicamente del útero ovino y se transportarán al laboratorio para determinar el número de sitios de integración y número de copias del transgén mediante el análisis de su ADN por Southern blot. Se prevé que los resultados de esta investigación permitirán sentar las bases para el desarrollo de métodos eficientes para obtener modificaciones precisas en el genoma de los animales domésticos para futuras aplicaciones biotecnológicas.