986 resultados para 3 D studio


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The vertical radiation loss of three-dimensional (3-D) microresonators is investigated by 3-D finite-difference time-domain (FDTD) simulation. The simulation shows that the vertical radiation causes an important loss in the microresonators with weak waveguiding, and result in decrease of the quality factors (Q-factors) of whispering-gallery (WG) modes. Through the simulation, we find that TM-like modes have much weaker vertical radiation loss than TE-like modes. High Q-factor TM-like modes are observed in the 3-D microresonators with weak vertical waveguiding, but the Q-factors of TE-like modes decrease greatly.

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L’analisi del movimento umano ha come obiettivo la descrizione del movimento assoluto e relativo dei segmenti ossei del soggetto e, ove richiesto, dei relativi tessuti molli durante l’esecuzione di esercizi fisici. La bioingegneria mette a disposizione dell’analisi del movimento gli strumenti ed i metodi necessari per una valutazione quantitativa di efficacia, funzione e/o qualità del movimento umano, consentendo al clinico l’analisi di aspetti non individuabili con gli esami tradizionali. Tali valutazioni possono essere di ausilio all’analisi clinica di pazienti e, specialmente con riferimento a problemi ortopedici, richiedono una elevata accuratezza e precisione perché il loro uso sia valido. Il miglioramento della affidabilità dell’analisi del movimento ha quindi un impatto positivo sia sulla metodologia utilizzata, sia sulle ricadute cliniche della stessa. Per perseguire gli obiettivi scientifici descritti, è necessario effettuare una stima precisa ed accurata della posizione e orientamento nello spazio dei segmenti ossei in esame durante l’esecuzione di un qualsiasi atto motorio. Tale descrizione può essere ottenuta mediante la definizione di un modello della porzione del corpo sotto analisi e la misura di due tipi di informazione: una relativa al movimento ed una alla morfologia. L’obiettivo è quindi stimare il vettore posizione e la matrice di orientamento necessari a descrivere la collocazione nello spazio virtuale 3D di un osso utilizzando le posizioni di punti, definiti sulla superficie cutanea ottenute attraverso la stereofotogrammetria. Le traiettorie dei marker, così ottenute, vengono utilizzate per la ricostruzione della posizione e dell’orientamento istantaneo di un sistema di assi solidale con il segmento sotto esame (sistema tecnico) (Cappozzo et al. 2005). Tali traiettorie e conseguentemente i sistemi tecnici, sono affetti da due tipi di errore, uno associato allo strumento di misura e l’altro associato alla presenza di tessuti molli interposti tra osso e cute. La propagazione di quest’ultimo ai risultati finali è molto più distruttiva rispetto a quella dell’errore strumentale che è facilmente minimizzabile attraverso semplici tecniche di filtraggio (Chiari et al. 2005). In letteratura è stato evidenziato che l’errore dovuto alla deformabilità dei tessuti molli durante l’analisi del movimento umano provoca inaccuratezze tali da mettere a rischio l’utilizzabilità dei risultati. A tal proposito Andriacchi scrive: “attualmente, uno dei fattori critici che rallentano il progresso negli studi del movimento umano è la misura del movimento scheletrico partendo dai marcatori posti sulla cute” (Andriacchi et al. 2000). Relativamente alla morfologia, essa può essere acquisita, ad esempio, attraverso l’utilizzazione di tecniche per bioimmagini. Queste vengono fornite con riferimento a sistemi di assi locali in generale diversi dai sistemi tecnici. Per integrare i dati relativi al movimento con i dati morfologici occorre determinare l’operatore che consente la trasformazione tra questi due sistemi di assi (matrice di registrazione) e di conseguenza è fondamentale l’individuazione di particolari terne di riferimento, dette terne anatomiche. L’identificazione di queste terne richiede la localizzazione sul segmento osseo di particolari punti notevoli, detti repere anatomici, rispetto ad un sistema di riferimento solidale con l’osso sotto esame. Tale operazione prende il nome di calibrazione anatomica. Nella maggior parte dei laboratori di analisi del movimento viene implementata una calibrazione anatomica a “bassa risoluzione” che prevede la descrizione della morfologia dell’osso a partire dall’informazione relativa alla posizione di alcuni repere corrispondenti a prominenze ossee individuabili tramite palpazione. Attraverso la stereofotogrammetria è quindi possibile registrare la posizione di questi repere rispetto ad un sistema tecnico. Un diverso approccio di calibrazione anatomica può essere realizzato avvalendosi delle tecniche ad “alta risoluzione”, ovvero attraverso l’uso di bioimmagini. In questo caso è necessario disporre di una rappresentazione digitale dell’osso in un sistema di riferimento morfologico e localizzare i repere d’interesse attraverso palpazione in ambiente virtuale (Benedetti et al. 1994 ; Van Sint Jan et al. 2002; Van Sint Jan et al. 2003). Un simile approccio è difficilmente applicabile nella maggior parte dei laboratori di analisi del movimento, in quanto normalmente non si dispone della strumentazione necessaria per ottenere le bioimmagini; inoltre è noto che tale strumentazione in alcuni casi può essere invasiva. Per entrambe le calibrazioni anatomiche rimane da tenere in considerazione che, generalmente, i repere anatomici sono dei punti definiti arbitrariamente all’interno di un’area più vasta e irregolare che i manuali di anatomia definiscono essere il repere anatomico. L’identificazione dei repere attraverso una loro descrizione verbale è quindi povera in precisione e la difficoltà nella loro identificazione tramite palpazione manuale, a causa della presenza dei tessuti molli interposti, genera errori sia in precisione che in accuratezza. Tali errori si propagano alla stima della cinematica e della dinamica articolare (Ramakrishnan et al. 1991; Della Croce et al. 1999). Della Croce (Della Croce et al. 1999) ha inoltre evidenziato che gli errori che influenzano la collocazione nello spazio delle terne anatomiche non dipendono soltanto dalla precisione con cui vengono identificati i repere anatomici, ma anche dalle regole che si utilizzano per definire le terne. E’ infine necessario evidenziare che la palpazione manuale richiede tempo e può essere effettuata esclusivamente da personale altamente specializzato, risultando quindi molto onerosa (Simon 2004). La presente tesi prende lo spunto dai problemi sopra elencati e ha come obiettivo quello di migliorare la qualità delle informazioni necessarie alla ricostruzione della cinematica 3D dei segmenti ossei in esame affrontando i problemi posti dall’artefatto di tessuto molle e le limitazioni intrinseche nelle attuali procedure di calibrazione anatomica. I problemi sono stati affrontati sia mediante procedure di elaborazione dei dati, sia apportando modifiche ai protocolli sperimentali che consentano di conseguire tale obiettivo. Per quanto riguarda l’artefatto da tessuto molle, si è affrontato l’obiettivo di sviluppare un metodo di stima che fosse specifico per il soggetto e per l’atto motorio in esame e, conseguentemente, di elaborare un metodo che ne consentisse la minimizzazione. Il metodo di stima è non invasivo, non impone restrizione al movimento dei tessuti molli, utilizza la sola misura stereofotogrammetrica ed è basato sul principio della media correlata. Le prestazioni del metodo sono state valutate su dati ottenuti mediante una misura 3D stereofotogrammetrica e fluoroscopica sincrona (Stagni et al. 2005), (Stagni et al. 2005). La coerenza dei risultati raggiunti attraverso i due differenti metodi permette di considerare ragionevoli le stime dell’artefatto ottenute con il nuovo metodo. Tale metodo fornisce informazioni sull’artefatto di pelle in differenti porzioni della coscia del soggetto e durante diversi compiti motori, può quindi essere utilizzato come base per un piazzamento ottimo dei marcatori. Lo si è quindi utilizzato come punto di partenza per elaborare un metodo di compensazione dell’errore dovuto all’artefatto di pelle che lo modella come combinazione lineare degli angoli articolari di anca e ginocchio. Il metodo di compensazione è stato validato attraverso una procedura di simulazione sviluppata ad-hoc. Relativamente alla calibrazione anatomica si è ritenuto prioritario affrontare il problema associato all’identificazione dei repere anatomici perseguendo i seguenti obiettivi: 1. migliorare la precisione nell’identificazione dei repere e, di conseguenza, la ripetibilità dell’identificazione delle terne anatomiche e della cinematica articolare, 2. diminuire il tempo richiesto, 3. permettere che la procedura di identificazione possa essere eseguita anche da personale non specializzato. Il perseguimento di tali obiettivi ha portato alla implementazione dei seguenti metodi: • Inizialmente è stata sviluppata una procedura di palpazione virtuale automatica. Dato un osso digitale, la procedura identifica automaticamente i punti di repere più significativi, nella maniera più precisa possibile e senza l'ausilio di un operatore esperto, sulla base delle informazioni ricavabili da un osso digitale di riferimento (template), preliminarmente palpato manualmente. • E’ stato poi condotto uno studio volto ad indagare i fattori metodologici che influenzano le prestazioni del metodo funzionale nell’individuazione del centro articolare d’anca, come prerequisito fondamentale per migliorare la procedura di calibrazione anatomica. A tale scopo sono stati confrontati diversi algoritmi, diversi cluster di marcatori ed è stata valutata la prestazione del metodo in presenza di compensazione dell’artefatto di pelle. • E’stato infine proposto un metodo alternativo di calibrazione anatomica basato sull’individuazione di un insieme di punti non etichettati, giacenti sulla superficie dell’osso e ricostruiti rispetto ad un TF (UP-CAST). A partire dalla posizione di questi punti, misurati su pelvi coscia e gamba, la morfologia del relativo segmento osseo è stata stimata senza identificare i repere, bensì effettuando un’operazione di matching dei punti misurati con un modello digitale dell’osso in esame. La procedura di individuazione dei punti è stata eseguita da personale non specializzato nell’individuazione dei repere anatomici. Ai soggetti in esame è stato richiesto di effettuare dei cicli di cammino in modo tale da poter indagare gli effetti della nuova procedura di calibrazione anatomica sulla determinazione della cinematica articolare. I risultati ottenuti hanno mostrato, per quel che riguarda la identificazione dei repere, che il metodo proposto migliora sia la precisione inter- che intraoperatore, rispetto alla palpazione convenzionale (Della Croce et al. 1999). E’ stato inoltre riscontrato un notevole miglioramento, rispetto ad altri protocolli (Charlton et al. 2004; Schwartz et al. 2004), nella ripetibilità della cinematica 3D di anca e ginocchio. Bisogna inoltre evidenziare che il protocollo è stato applicato da operatori non specializzati nell’identificazione dei repere anatomici. Grazie a questo miglioramento, la presenza di diversi operatori nel laboratorio non genera una riduzione di ripetibilità. Infine, il tempo richiesto per la procedura è drasticamente diminuito. Per una analisi che include la pelvi e i due arti inferiori, ad esempio, l’identificazione dei 16 repere caratteristici usando la calibrazione convenzionale richiede circa 15 minuti, mentre col nuovo metodo tra i 5 e i 10 minuti.

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Al fine di migliorare le tecniche di coltura cellulare in vitro, sistemi a bioreattore sono sempre maggiormente utilizzati, e.g. ingegnerizzazione del tessuto osseo. Spinner Flasks, bioreattori rotanti e sistemi a perfusione di flusso sono oggi utilizzati e ogni sistema ha vantaggi e svantaggi. Questo lavoro descrive lo sviluppo di un semplice bioreattore a perfusione ed i risultati della metodologia di valutazione impiegata, basata su analisi μCT a raggi-X e tecniche di modellizzazione 3D. Un semplice bioreattore con generatore di flusso ad elica è stato progettato e costruito con l'obiettivo di migliorare la differenziazione di cellule staminali mesenchimali, provenienti da embrioni umani (HES-MP); le cellule sono state seminate su scaffold porosi di titanio che garantiscono una migliore adesione della matrice mineralizzata. Attraverso un microcontrollore e un'interfaccia grafica, il bioreattore genera tre tipi di flusso: in avanti (senso orario), indietro (senso antiorario) e una modalità a impulsi (avanti e indietro). Un semplice modello è stato realizzato per stimare la pressione generata dal flusso negli scaffolds (3•10-2 Pa). Sono stati comparati tre scaffolds in coltura statica e tre all’interno del bioreattore. Questi sono stati incubati per 21 giorni, fissati in paraformaldehyde (4% w/v) e sono stati soggetti ad acquisizione attraverso μCT a raggi-X. Le immagini ottenute sono state poi elaborate mediante un software di imaging 3D; è stato effettuato un sezionamento “virtuale” degli scaffolds, al fine di ottenere la distribuzione del gradiente dei valori di grigio di campioni estratti dalla superficie e dall’interno di essi. Tale distribuzione serve per distinguere le varie componenti presenti nelle immagini; in questo caso gli scaffolds dall’ipotetica matrice cellulare. I risultati mostrano che sia sulla superficie che internamente agli scaffolds, mantenuti nel bioreattore, è presente una maggiore densità dei gradienti dei valori di grigio ciò suggerisce un migliore deposito della matrice mineralizzata. Gli insegnamenti provenienti dalla realizzazione di questo bioreattore saranno utilizzati per progettare una nuova versione che renderà possibile l’analisi di più di 20 scaffolds contemporaneamente, permettendo un’ulteriore analisi della qualità della differenziazione usando metodologie molecolari ed istochimiche.

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It has previously been found that complexes comprised of vitronectin and growth factors (VN:GF) enhance keratinocyte protein synthesis and migration. More specifically, these complexes have been shown to significantly enhance the migration of dermal keratinocytes derived from human skin. In view of this, it was thought that these complexes may hold potential as a novel therapy for healing chronic wounds. However, there was no evidence indicating that the VN:GF complexes would retain their effect on keratinocytes in the presence of chronic wound fluid. The studies in this thesis demonstrate for the first time that the VN:GF complexes not only stimulate proliferation and migration of keratinocytes, but also these effects are maintained in the presence of chronic wound fluid in a 2-dimensional (2-D) cell culture model. Whilst the 2-D culture system provided insights into how the cells might respond to the VN:GF complexes, this investigative approach is not ideal as skin is a 3-dimensional (3-D) tissue. In view of this, a 3-D human skin equivalent (HSE) model, which reflects more closely the in vivo environment, was used to test the VN:GF complexes on epidermopoiesis. These studies revealed that the VN:GF complexes enable keratinocytes to migrate, proliferate and differentiate on a de-epidermalised dermis (DED), ultimately forming a fully stratified epidermis. In addition, fibroblasts were seeded on DED and shown to migrate into the DED in the presence of the VN:GF complexes and hyaluronic acid, another important biological factor in the wound healing cascade. This HSE model was then further developed to enable studies examining the potential of the VN:GF complexes in epidermal wound healing. Specifically, a reproducible partial-thickness HSE wound model was created in fully-defined media and monitored as it healed. In this situation, the VN:GF complexes were shown to significantly enhance keratinocyte migration and proliferation, as well as differentiation. This model was also subsequently utilized to assess the wound healing potential of a synthetic fibrin-like gel that had previously been demonstrated to bind growth factors. Of note, keratinocyte re-epitheliasation was shown to be markedly improved in the presence of this 3-D matrix, highlighting its future potential for use as a delivery vehicle for the VN:GF complexes. Furthermore, this synthetic fibrin-like gel was injected into a 4 mm diameter full-thickness wound created in the HSE, both keratinocytes and fibroblasts were shown to migrate into this gel, as revealed by immunofluorescence. Interestingly, keratinocyte migration into this matrix was found to be dependent upon the presence of the fibroblasts. Taken together, these data indicate that reproducible wounds, as created in the HSEs, provide a relevant ex vivo tool to assess potential wound healing therapies. Moreover, the models will decrease our reliance on animals for scientific experimentation. Additionally, it is clear that these models will significantly assist in the development of novel treatments, such as the VN:GF complexes and the synthetic fibrin-like gel described herein, ultimately facilitating their clinical trial in the treatment of chronic wounds.

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Computer tomography has been used to image and reconstruct in 3-D an Egyptian mummy from the collection of the British Museum. This study of Tjentmutengebtiu, a priestess from the 22nd dynasty (945-715 BC) revealed invaluable information of a scientific, Egyptological and palaeopathological nature without mutilation and destruction of the painted cartonnage case or linen wrappings. Precise details on the removal of the brain through the nasal cavity and the viscera from the abdominal cavity were obtained. The nature and composition of the false eyes were investigated. The detailed analysis of the teeth provided a much closer approximation of age at death. The identification of materials used for the various amulets including that of the figures placed in the viscera was graphically demonstrated using this technique.

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Coral reefs are biologically complex ecosystems that support a wide variety of marine organisms. These are fragile communities under enormous threat from natural and human-based influences. Properly assessing and measuring the growth and health of reefs is essential to understanding impacts of ocean acidification, coastal urbanisation and global warming. In this paper, we present an innovative 3-D reconstruction technique based on visual imagery as a non-intrusive, repeatable, in situ method for estimating physical parameters, such as surface area and volume for efficient assessment of long-term variability. The reconstruction algorithms are presented, and benchmarked using an existing data set. We validate the technique underwater, utilising a commercial-off-the-shelf camera and a piece of staghorn coral, Acropora cervicornis. The resulting reconstruction is compared with a laser scan of the coral piece for assessment and validation. The comparison shows that 77% of the pixels in the reconstruction are within 0.3 mm of the ground truth laser scan. Reconstruction results from an unknown video camera are also presented as a segue to future applications of this research.

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Recently, some authors have considered a new diffusion model–space and time fractional Bloch-Torrey equation (ST-FBTE). Magin et al. (2008) have derived analytical solutions with fractional order dynamics in space (i.e., _ = 1, β an arbitrary real number, 1 < β ≤ 2) and time (i.e., 0 < α < 1, and β = 2), respectively. Yu et al. (2011) have derived an analytical solution and an effective implicit numerical method for solving ST-FBTEs, and also discussed the stability and convergence of the implicit numerical method. However, due to the computational overheads necessary to perform the simulations for nuclear magnetic resonance (NMR) in three dimensions, they present a study based on a two-dimensional example to confirm their theoretical analysis. Alternating direction implicit (ADI) schemes have been proposed for the numerical simulations of classic differential equations. The ADI schemes will reduce a multidimensional problem to a series of independent one-dimensional problems and are thus computationally efficient. In this paper, we consider the numerical solution of a ST-FBTE on a finite domain. The time and space derivatives in the ST-FBTE are replaced by the Caputo and the sequential Riesz fractional derivatives, respectively. A fractional alternating direction implicit scheme (FADIS) for the ST-FBTE in 3-D is proposed. Stability and convergence properties of the FADIS are discussed. Finally, some numerical results for ST-FBTE are given.

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The paper presents a detailed analysis on the collective dynamics and delayed state feedback control of a three-dimensional delayed small-world network. The trivial equilibrium of the model is first investigated, showing that the uncontrolled model exhibits complicated unbounded behavior. Then three control strategies, namely a position feedback control, a velocity feedback control, and a hybrid control combined velocity with acceleration feedback, are then introduced to stabilize this unstable system. It is shown in these three control schemes that only the hybrid control can easily stabilize the 3-D network system. And with properly chosen delay and gain in the delayed feedback path, the hybrid controlled model may have stable equilibrium, or periodic solutions resulting from the Hopf bifurcation, or complex stranger attractor from the period-doubling bifurcation. Moreover, the direction of Hopf bifurcation and stability of the bifurcation periodic solutions are analyzed. The results are further extended to any "d" dimensional network. It shows that to stabilize a "d" dimensional delayed small-world network, at least a "d – 1" order completed differential feedback is needed. This work provides a constructive suggestion for the high dimensional delayed systems.

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Purpose To develop a novel 3-D cell culture model with the view to studying the pathomechanisms underlying the development of age-related macular degeneration (AMD). Our central hypothesis is that the silk structural protein fibroin used in conjunction with cultured human cells can be used to mimic the structural relationships between the RPE and choriocapillaris in health and disease. Methods Co-cultures of human RPE cells (ARPE-19 cells grown in Miller’s medium) and microvascular endothelial cells (HMEC-1 cells grown in endothelial culture medium) were established on opposing sides of a synthetic Bruch’s membrane (3 microns thick) constructed from B mori silk fibroin. Cell attachment was facilitated by pre-coating the fibroin membrane with vitronectin (for ARPE-19 cells) and gelatin (for HMEC-1 cells) respectively. The effects of tropoelastin on attachment of ARPE-19 cells was also examined. Barrier function was examined by measurement of trans-epithelial resistance (TER) using a voltohmmeter (EVOM-2). The phagocytic activity of the synthetic RPE was tested using vitronectin-coated microspheres (2 micron diameter FluoSpheres). In some cultures, membrane defects were created by puncturing within a 24 G needle. The architecture of the synthetic tissue before and after wounding was examined by confocal microscopy after staining for ZO-1 and F-actin. Results The RPE layer of the 3D model developed a cobblestoned morphology (validated by staining for ZO-1 and F-actin), displayed barrier function (validated by measurement of TER) and demonstrated cytoplasmic uptake of vitronectin-coated microspheres. Attachment of ARPE-19 cells to fibroin was unaffected by tropoelastin. Microvascular endothelial cells attached well to the gelatin-coated surface of the fibroin membrane and remained physically separated from the overlaying RPE layer. The fibroin membranes were amenable to puncturing without collapse thus providing the opportunity to study transmembrane migration of the endothelial cells. Conclusions Synthetic Bruch’s membranes constructed from silk fibroin, vitronectin and gelatin, support the co-cultivation of RPE cells and microvascular endothelial cells. The resulting RPE layer displays functions similar to that of native RPE and the entire tri-layered structure displays potential to be used as an in vitro model of choroidal neovascularization.