659 resultados para Placenta


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Using the yeast two-hybrid system we have identified a human protein, GAIP (G Alpha Interacting Protein), that specifically interacts with the heterotrimeric GTP-binding protein G alpha i3. Interaction was verified by specific binding of in vitro-translated G alpha i3 with a GAIP-glutathione S-transferase fusion protein. GAIP is a small protein (217 amino acids, 24 kDa) that contains two potential phosphorylation sites for protein kinase C and seven for casein kinase 2. GAIP shows high homology to two previously identified human proteins, GOS8 and 1R20, two Caenorhabditis elegans proteins, CO5B5.7 and C29H12.3, and the FLBA gene product in Aspergillus nidulans--all of unknown function. Significant homology was also found to the SST2 gene product in Saccharomyces cerevisiae that is known to interact with a yeast G alpha subunit (Gpa1). A highly conserved core domain of 125 amino acids characterizes this family of proteins. Analysis of deletion mutants demonstrated that the core domain is the site of GAIP's interaction with G alpha i3. GAIP is likely to be an early inducible phosphoprotein, as its cDNA contains the TTTTGT sequence characteristic of early response genes in its 3'-untranslated region. By Northern analysis GAIP's 1.6-kb mRNA is most abundant in lung, heart, placenta, and liver and is very low in brain, skeletal muscle, pancreas, and kidney. GAIP appears to interact exclusively with G alpha i3, as it did not interact with G alpha i2 and G alpha q. The fact that GAIP and Sst2 interact with G alpha subunits and share a common domain suggests that other members of the GAIP family also interact with G alpha subunits through the 125-amino-acid core domain.

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Estradiol is converted to catechol estrogens via 2- and 4-hydroxylation by cytochrome P450 enzymes. 4-Hydroxyestradiol elicits biological activities distinct from estradiol, most notably an oxidant stress response induced by free radicals generated by metabolic redox cycling reactions. In this study, we have examined 2- and 4-hydroxylation of estradiol by microsomes of human uterine myometrium and of associated myomata. In all eight cases studied, estradiol 4-hydroxylation by myoma has been substantially elevated relative to surrounding myometrial tissue (minimum, 2-fold; mean, 5-fold). Estradiol 2-hydroxylation in myomata occurs at much lower rates than 4-hydroxylation (ratio of 4-hydroxyestradiol/2-hydroxyestradiol, 7.9 +/- 1.4) and does not significantly differ from rates in surrounding myometrial tissue. Rates of myometrial 2-hydroxylation of estradiol were also not significantly different from values in patients without myomata. We have used various inhibitors to establish that 4-hydroxylation is catalyzed by a completely different cytochrome P450 than 2-hydroxylation. In myoma, alpha-naphthoflavone and a set of ethynyl polycyclic hydrocarbon inhibitors (5 microM) each inhibited 4-hydroxylation more efficiently (up to 90%) than 2-hydroxylation (up to 40%), indicating > 10-fold differences in Ki (<0.5 microM vs. > 5 microM). These activities were clearly distinguished from the selective 2-hydroxylation of estradiol in placenta by aromatase reported previously (low Km, inhibition by Fadrozole hydrochloride or ICI D1033). 4-Hydroxylation was also selectively inhibited relative to 2-hydroxylation by antibodies raised against cytochrome P450 IB1 (rat) (53 vs. 17%). These data indicate that specific 4-hydroxylation of estradiol in human uterine tissues is catalyzed by a form(s) of cytochrome P450 related to P450 IB1, which contribute(s) little to 2-hydroxylation. This enzyme(s) is therefore a marker for uterine myomata and may play a role in the etiology of the tumor.

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Steroidogenic acute regulatory protein (StAR) appears to mediate the rapid increase in pregnenolone synthesis stimulated by tropic hormones. cDNAs encoding StAR were isolated from a human adrenal cortex library. Human StAR, coexpressed in COS-1 cells with cytochrome P450scc and adrenodoxin, increased pregnenolone synthesis > 4-fold. A major StAR transcript of 1.6 kb and less abundant transcripts of 4.4 and 7.5 kb were detected in ovary and testis. Kidney had a lower amount of the 1.6-kb message. StAR mRNA was not detected in other tissues including placenta. Treatment of granulosa cells with 8-bromo-adenosine 3',5'-cyclic monophosphate for 24 hr increased StAR mRNA 3-fold or more. The structural gene encoding StAR was mapped using somatic cell hybrid mapping panels to chromosome 8p. Fluorescence in situ hybridization placed the StAR locus in the region 8p11.2. A StAR pseudogene was mapped to chromosome 13. We conclude that StAR expression is restricted to tissues that carry out mitochondrial sterol oxidations subject to acute regulation by cAMP and that StAR mRNA levels are regulated by cAMP.

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L’allevamento in cattività dei rettili è in costante crescita negli ultimi anni e richiede conoscenze mediche sempre più specialistiche per far fronte ai numerosi problemi legati a questi animali. Il corretto approccio medico prevede una profonda conoscenza delle specie prese in esame dal momento che la maggior parte delle problematiche riproduttive di questi animali sono legate ad una non corretta gestione dei riproduttori. L’apparato riproduttore dei rettili è estremamente vario a seconda delle specie prese in considerazione. Sauri ed ofidi possiedono due organi copulatori denominati emipeni e posizionati alla base della coda caudalmente alla cloaca che vengono estroflessi alternativamente durante l’accoppiamento per veicolare lo spera all’interno della cloaca della femmina. In questi animali il segmento posteriore renale è chiamato segmento sessuale, perché contribuisce alla formazione del fluido seminale. Tale porzione, durante la stagione dell’accoppiamento, diventa più voluminosa e cambia drasticamente colore, tanto che può essere confusa con una manifestazione patologica. I cheloni al contrario possiedono un unico pene che non viene coinvolto nella minzione. In questi animali. I testicoli sono due e sono situati all’interno della cavità celomatica in posizione cranioventrale rispetto ai reni. I testicoli possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione a seconda del periodo dell’anno. Il ciclo estrale dei rettili è regolato, come pure nei mammiferi, dagli ormoni steroidei. La variazione di questi ormoni a livello ematico è stata studiato da diversi autori con il risultato di aver dimostrato come la variazione dei dosaggi degli stessi determini l’alternanza delle varie fasi del ciclo riproduttivo. La relazione tra presenza di uova (anche placentari) ed alti livelli di progesterone suggerisce che questo ormone gioca un ruolo importante nelle riproduzione delle specie ovipare per esempio stimolando la vascolarizzazione degli ovidutti durante i tre mesi in cui si ha lo sviluppo delle uova. Il 17-beta estradiolo è stato descritto come un ormone vitellogenico grazie alla sua capacità di promuovere lo sviluppo dei follicoli e la formazione di strati protettivi dell’uovo. L’aumento del livello di estradiolo osservato esclusivamente nelle femmine in fase vitellogenica è direttamente responsabile della mobilizzazione delle riserve materne in questa fase del ciclo. Va sottolineato come il progesterone sia in effetti un antagonista dell’estradiolo, riducendo la vitellogenesi e intensificando gli scambi materno fetali a livello di ovidutto. Le prostaglandine (PG) costituiscono un gruppo di molecole di origine lipidica biologicamente attive, sintetizzate sotto varie forme chimiche. Sono noti numerosi gruppi di prostaglandine ed è risputo che pesci, anfibi, rettili e mammiferi sintetizzano una o più prostaglandine partendo da acidi grassi precursori. Queste sostanze anche nei rettili agiscono sulla mucosa dell’utero aumentandone le contrazioni e sui corpi lutei determinandone la lisi. La maturità sessuale dei rettili, dipende principalmente dalla taglia piuttosto che dall’età effettiva dell’animale. In cattività, l’alimentazione e le cure dell’allevatore, possono giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento della taglia necessaria all’animale per maturare sessualmente. Spesso, un animale d’allevamento raggiunge prima la maturità sessuale rispetto ai suoi simili in natura. La maggior parte dei rettili sono ovipari, ovvero depongono uova con guscio sulla sabbia o in nidi creati appositamente. La condizione di ovoviviparità è riscontrabile in alcuni rettili. Le uova, in questo caso, vengono ritenute all’interno del corpo, fino alla nascita della progenie. Questa può essere considerata una strategia evolutiva di alcuni animali, che in condizioni climatiche favorevoli effettuano l’ovo deposizione, ma se il clima non lo permette, ritengono le uova fino alla nascita della prole. Alcuni serpenti e lucertole sono vivipari, ciò significa che l’embrione si sviluppa all’interno del corpo dell’animale e che è presente una placenta. I piccoli fuoriescono dal corpo dell’animale vivi e reattivi. La partenogenesi è una modalità di riproduzione asessuata, in cui si ha lo sviluppo dell’uovo senza che sia avvenuta la fecondazione. Trenta specie di lucertole e alcuni serpenti possono riprodursi con questo metodo. Cnemidophorus uniparens, C. velox e C. teselatus alternano la partenogenesi a una riproduzione sessuata, a seconda della disponibilità del maschio. La maggior parte dei rettili non mostra alcuna cura materna per le uova o per i piccoli che vengono abbandonati al momento della nascita. Esistono tuttavia eccezioni a questa regola generale infatti alcune specie di pitoni covano le uova fino al momento della schiusa proteggendole dai predatori e garantendo la giusta temperatura e umidità. Comportamenti di guardia al nido sono poi stati documentati in numerosi rettili, sia cheloni che sauri che ofidi. Nella maggior parte delle tartarughe, la riproduzione è legata alla stagione. Condizioni favorevoli, possono essere la stagione primaverile nelle zone temperate o la stagione umida nelle aree tropicali. In cattività, per riprodurre queste condizioni, è necessario fornire, dopo un periodo di ibernazione, un aumento del fotoperiodo e della temperatura. L’ atteggiamento del maschio durante il corteggiamento è di notevole aggressività, sia nei confronti degli altri maschi, con i quali combatte copiosamente, colpendoli con la corazza e cercando di rovesciare sul dorso l’avversario, sia nei confronti della femmina. Infatti prima della copulazione, il maschio insegue la femmina, la sperona, la morde alla testa e alle zampe e infine la immobilizza contro un ostacolo. Il comportamento durante la gravidanza è facilmente riconoscibile. La femmina tende ad essere molto agitata, è aggressiva nei confronti delle altre femmine e inizia a scavare buche due settimane prima della deposizione. La femmina gravida costruisce il nido in diverse ore. Scava, con gli arti anteriori, buche nel terreno e vi depone le uova, ricoprendole di terriccio e foglie con gli arti posteriori. A volte, le tartarughe possono trattenere le uova, arrestando lo sviluppo embrionale della prole per anni quando non trovano le condizioni adatte a nidificare. Lo sperma, inoltre, può essere immagazzinato nell’ovidotto fino a sei anni, quindi la deposizione di uova fertilizzate può verificarsi senza che sia avvenuto l’accoppiamento durante quel ciclo riproduttivo. I comportamenti riproduttivi di tutte le specie di lucertole dipendono principalmente dalla variazione stagionale, correlata al cambiamento di temperatura e del fotoperiodo. Per questo, se si vuole far riprodurre questi animali in cattività, è necessario valutare per ogni specie una temperatura e un’illuminazione adeguata. Durante il periodo riproduttivo, un atteggiamento caratteristico di diverse specie di lucertole è quello di riprodurre particolari danze e movimenti ritmici della testa. In alcune specie, possiamo notare il gesto di estendere e retrarre il gozzo per mettere in evidenza la sua brillante colorazione e richiamare l’attenzione della femmina. L’aggressività dei maschi, durante la stagione dell’accoppiamento, è molto evidente, in alcuni casi però, anche le femmine tendono ad essere aggressive nei confronti delle altre femmine, specialmente durante l’ovo deposizione. La fertilizzazione è interna e durante la copulazione, gli spermatozoi sono depositati nella porzione anteriore della cloaca femminile, si spostano successivamente verso l’alto, dirigendosi nell’ovidotto, in circa 24-48 ore; qui, fertilizzano le uova che sono rilasciate nell’ovidotto dall’ovario. Negli ofidi il corteggiamento è molto importante e i comportamenti durante questa fase possono essere diversi da specie a specie. I feromoni specie specifici giocano un ruolo fondamentale nell’attrazione del partner, in particolar modo in colubridi e crotalidi. La femmina di queste specie emette una traccia odorifera, percepita e seguita dal maschio. Prima dell’accoppiamento, inoltre, il maschio si avvicina alla femmina e con la sua lingua bifida o con il mento, ne percorre tutto il corpo per captare i feromoni. Dopo tale comportamento, avviene la copulazione vera e propria con la apposizione delle cloache; gli emipeni vengono utilizzati alternativamente e volontariamente dal maschio. Durante l’ovulazione, il serpente aumenterà di volume nella sua metà posteriore e contrazioni muscolari favoriranno lo spostamento delle uova negli ovidotti. In generale, se l’animale è oviparo, avverrà una muta precedente alla ovo deposizione, che avviene prevalentemente di notte. Gli spermatozoi dei rettili sono morfologicamente simili a quelli di forme superiori di invertebrati. La fecondazione delle uova, da parte di spermatozoi immagazzinati nel tratto riproduttivo femminile, è solitamente possibile anche dopo mesi o perfino anni dall’accoppiamento. La ritenzione dei gameti maschili vitali è detta amphigonia retardata e si ritiene che questa caratteristica offra molti benefici per la sopravvivenza delle specie essendo un adattamento molto utile alle condizioni ambientali quando c’è una relativa scarsità di maschi conspecifici disponibili. Nell’allevamento dei rettili in cattività un accurato monitoraggio dei riproduttori presenta una duplice importanza. Permette di sopperire ad eventuali errori di management nel caso di mancata fertilizzazione e inoltre permette di capire quale sia il grado di sviluppo del prodotto del concepimento e quindi di stabilire quale sia il giorno previsto per la deposizione. Le moderne tecniche di monitoraggio e l’esperienza acquisita in questi ultimi anni permettono inoltre di valutare in modo preciso lo sviluppo follicolare e quindi di stabilire quale sia il periodo migliore per l’accoppiamento. Il dimorfismo sessuale nei serpenti è raro e anche quando presente è poco evidente. Solitamente nei maschi, la coda risulta essere più larga rispetto a quella della femmina in quanto nel segmento post-cloacale vi sono alloggiati gli emipeni. Il maschio inoltre, è generalmente più piccolo della femmina a parità di età. Molti cheloni sono sessualmente dimorfici sebbene i caratteri sessuali secondari siano poco apprezzabili nei soggetti giovani e diventino più evidenti dopo la pubertà. In alcune specie si deve aspettare per più di 10 anni prima che il dimorfismo sia evidente. Le tartarughe di sesso maschile tendono ad avere un pene di grosse dimensioni che può essere estroflesso in caso di situazioni particolarmente stressanti. I maschi sessualmente maturi di molte specie di tartarughe inoltre tendono ad avere una coda più lunga e più spessa rispetto alle femmine di pari dimensioni e la distanza tra il margine caudale del piastrone e l’apertura cloacale è maggiore rispetto alle femmine. Sebbene la determinazione del sesso sia spesso difficile nei soggetti giovani molti sauri adulti hanno dimorfismo sessuale evidente. Nonostante tutto comunque anche tra i sauri esistono molte specie come per esempio Tiliqua scincoides, Tiliqua intermedia, Gerrhosaurus major e Pogona vitticeps che anche in età adulta non mostrano alcun carattere sessuale secondario evidente rendendone molto difficile il riconoscimento del sesso. Per garantire un riconoscimento del sesso degli animali sono state messe a punto diverse tecniche di sessaggio che variano a seconda della specie presa in esame. L’eversione manuale degli emipeni è la più comune metodica utilizzata per il sessaggio dei giovani ofidi ed in particolare dei colubridi. I limiti di questa tecnica sono legati al fatto che può essere considerata attendibile al 100% solo nel caso di maschi riconosciuti positivi. L’eversione idrostatica degli emipeni esattamente come l’eversione manuale degli emipeni si basa sull’estroflessione di questi organi dalla base della coda, pertanto può essere utilizzata solo negli ofidi e in alcuni sauri. La procedura prevede l’iniezione di fluido sterile (preferibilmente soluzione salina isotonica) nella coda caudalmente all’eventuale posizione degli emipeni. Questa tecnica deve essere eseguita solo in casi eccezionali in quanto non è scevra da rischi. L’utilizzo di sonde cloacali è il principale metodo di sessaggio per gli ofidi adulti e per i sauri di grosse dimensioni. Per questa metodica si utilizzano sonde metalliche dello spessore adeguato al paziente e con punta smussa. Nei soggetti di genere maschile la sonda penetra agevolmente al contrario di quello che accade nelle femmine. Anche gli esami radiografici possono rendersi utili per il sessaggio di alcune specie di Varani (Varanus achanturus, V. komodoensis, V. olivaceus, V. gouldi, V. salvadorii ecc.) in quanto questi animali possiedono zone di mineralizzazione dei tessuti molli (“hemibacula”) che possono essere facilmente individuate nei maschi. Diversi studi riportano come il rapporto tra estradiolo e androgeni nel plasma o nel liquido amniotico sia un possibile metodo per identificare il genere sessuale delle tartarughe. Per effettuare il dosaggio ormonale, è necessario prelevare un campione di sangue di almeno 1 ml ad animale aspetto che rende praticamente impossibile utilizzare questo metodo di sessaggio nelle tartarughe molto piccole e nei neonati. L’ecografia, volta al ritrovamento degli emipeni, sembra essere un metodo molto preciso, per la determinazione del sesso nei serpenti. Uno studio compiuto presso il dipartimento di Scienze Medico Veterinarie dell’Università di Parma, ha dimostrato come questo metodo abbia una sensibilità, una specificità e un valore predittivo positivo e negativo pari al 100%. La radiografia con mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata possono essere utilizzate nel sessaggio dei sauri, con buoni risultati. Uno studio, compiuto dal dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, dell’Università di Parma, ha voluto mettere a confronto diverse tecniche di sessaggio nei sauri, tra cui l’ecografia, la radiografia con e senza mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata con e senza mezzo di contrasto. I risultati ottenuti, hanno dimostrato come l’ecografia non sia il mezzo più affidabile per il riconoscimento degli emipeni e quindi del sesso dell’animale, mentre la radiografia e la tomografia computerizza con mezzo di contrasto siano tecniche affidabili e accurate in queste specie. Un metodo valido e facilmente realizzabile per il sessaggio dei cheloni anche prepuberi è la cistoscopia. In un recente studio la cistoscopia è stata effettuata su quindici cheloni deceduti e venticinque cheloni vivi, anestetizzati. In generale, questo metodo si è dimostrato non invasivo per le tartarughe, facilmente ripetibile in diversi tipi di tartarughe e di breve durata. Tra le principali patologie riproduttive dei rettili le distocie sono sicuramente quelle che presentano una maggior frequenza. Quando si parla di distocia nei rettili, si intendono tutte quelle situazioni in cui si ha una mancata espulsione e deposizione del prodotto del concepimento entro tempi fisiologici. Questa patologia è complessa e può dipendere da diverse cause. Inoltre può sfociare in malattie sistemiche a volte molto severe. Le distocie possono essere classificate in ostruttive e non ostruttive in base alle cause. Si parla di distocia ostruttiva quando si verificano delle condizioni per cui viene impedito il corretto passaggio delle uova lungo il tratto riproduttivo (Fig.13). Le cause possono dipendere dalla madre o dalle caratteristiche delle uova. Nel caso di distocia non ostruttiva le uova rinvenute sono solitamente di dimensioni normali e la conformazione anatomica della madre è fisiologica. L’eziologia è da ricercare in difetti comportamentali, ambientali e patologici. Non esistono sintomi specifici e patognomonici di distocia. La malattia diviene evidente e conclamata solamente in presenza di complicazioni. Gli approcci terapeutici possibili sono vari a seconda della specie animale e della situazione. Fornire un’area adeguata per la nidiata: se la distocia non è ostruttiva si può cercare di incoraggiare l’animale a deporre autonomamente le uova creando un idoneo luogo di deposizione. Il trattamento medico prevede la stimolazione della deposizione delle uova ritenute mediante l’induzione con ossitocina. L’ossitocina viene somministrata alle dosi di 1/3 UI/kg per via intramuscolare. Uno studio condotto presso l’Università veterinaria di Parma ha comparato le somministrazioni di ossitocina per via intramuscolare e per via intravenosa, confrontando le tempistiche con le quali incominciano le contrazioni e avviene la completa ovodeposizione e dimostrando come per via intravenosa sia possibile somministrare dosi più basse rispetto a quelle riportate solitamente in letteratura ottenendo comunque un ottimo risultato. Nel caso in cui il trattamento farmacologico dovesse fallire o non fosse attuabile, oppure in casi di distocia ostruttiva è possibile ricorrere alla chirurgia. Per stasi follicolare si intende la incapacità di produrre sufficiente quantità di progesterone da corpi lutei perfettamente funzionanti. Come per la distocia, l’eziologia della stasi follicolare è variegata e molto ampia: le cause possono essere sia ambientali che patologiche. La diagnosi clinica viene fatta essenzialmente per esclusione. Come per la distocia, anche in questo caso l’anamnesi e la raccolta del maggior quantitativo di informazioni è fondamentale per indirizzarsi verso il riconoscimento della patologia. Per prolasso si intende la fuoriuscita di un organo attraverso un orifizio del corpo. Nei rettili, diversi organi possono prolassare attraverso la cloaca: la porzione terminale dell’apparato gastroenterico, la vescica urinaria, il pene nel maschio (cheloni) e gli ovidutti nella femmina. In sauri e ofidi gli emipeni possono prolassare dalle rispettive tasche in seguito ad eccesiva attività sessuale97. La corretta identificazione del viscere prolassato è estremamente importante e deve essere effettuata prima di decidere qualsiasi tipologia di trattamento ed intervento. Nei casi acuti e non complicati è possibile la riduzione manuale dell’organo, dopo un accurato lavaggio e attenta pulizia. Se questo non dovesse essere possibile, l’utilizzo di lubrificanti e pomate antibiotiche garantisce all’organo una protezione efficiente. Nel caso in cui non si sia potuto intervenire celermente e l’organo sia andato incontro a infezione e congestione venosa prolungata con conseguente necrosi, l’unica soluzione è l’amputazione

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A bioengenharia de tecidos baseia-se no uso de moléculas bioativas, células-tronco e biomateriais para reparação de tecidos e/ou órgãos. Biomateriais podem ser classificados de acordo com sua origem em sintéticos ou biológicos. Biomateriais biológicos podem ser produzidos por decelularização, que visa a remoção de células da matriz extracelular (MEC), a qual deve manter sua integridade química e física. Placentas são órgãos de grande interesse na bioengenharia de tecidos visto que são descartadas após o parto e possuem grande volume de matriz extracelular. Métodos de decelularização podem ser classificados em químicos, físicos e enzimáticos. Todos conhecidamente causam alterações na MEC, sendo que a associação deles é comumente utilizada. Este trabalho comparou diferentes protocolos e estabeleceu um método mais favorável para a decelularização de placentas caninas, visando a produção de um biomaterial para futuras aplicações clínicas. Inicialmente ambas as porções - materna e fetal - das placentas foram submetidas à 10 protocolos, que avaliaram variáveis como concentração e tempo de incubação em detergentes, diferentes gradientes de temperatura e a influência da perfusão versus imersão das soluções, na MEC remanescente. Com base na transparência do tecido e na ausência de núcleo celular em cortes histológicos, dois protocolos foram selecionados (I e II). Além dos critérios já mencionados, ambos os protocolos foram comparados quanto à quantidade de DNA remanescente na MEC decelularizada e à permanência e distribuição de algumas das proteínas da matriz. O detergente SDS foi o mais eficaz na remoção de células, embora não tenha sido suficiente para promover uma decelularização tecidual completa. O congelamento prévio das placentas requereu um maior tempo de incubação posterior das amostras nos distintos detergentes. Ambos métodos de perfusão e imersão foram eficazes na remoção das células, embora grande concentração de proteínas do citoesqueleto tenham permanecido retidas na matriz. As amostras processadas pelo protocolo I (SDS 1%, 5mM EDTA + 50mM TRIS + 0,5% antibiótico, e Triton X-100 1%) apresentaram maior preservação da organização estrutural da MEC quando comparadas àquelas processadas de acordo com o protocolo II (que diferiu do anterior pela utilização de solução contendo 0,05% tripsina ao invés de 50mM TRIS), esse último método entretanto foi o que melhor removeu as células das placentas, conforme observado em lâminas histológicas e demonstrado pela menor concentração de DNA. Tanto as porções materna quanto fetal submetidas à ambos protocolos, mantiveram as proteínas laminina, fibronectina e colágeno tipo I. O colágeno tipo III foi observado somente na porção fetal. Conclui-se que o protocolo II foi o mais eficaz no processo de decelularização de placentas caninas tendo promovido a remoção do conteúdo celular e diminuição da concentração de DNA na MEC remanescente. No entanto é necessário otimizar o tempo de incubação das placentas em soluções enzimáticas visando maior conservação do arranjo da matriz decelularizada. A análise da capacidade da MEC decelularizada por tal método para ser utilizada em bioengenharia de tecidos ainda deve ser avaliada in vitro e in vivo

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INTRODUÇÃO: A restrição de crescimento fetal (RCF) representa uma das principais complicações da gravidez e está associada a elevadas taxas de morbimortalidade perinatal. A frequência de desfechos desfavoráveis neonatais está diretamente relacionada à gravidade da RCF, sendo que os casos de pior evolução estão relacionados com peso abaixo do percentil 3. O mecanismo do crescimento fetal não está totalmente esclarecido, mas resulta da interação entre potencial genético de crescimento e fatores placentários, maternos e ambientais. Dentre os fatores etiológicos, o desenvolvimento anormal da placenta e a diminuição da perfusão uteroplacentária são as principais causas de RCF. Este estudo teve por objetivo avaliar volume e índices de vascularização placentários, por meio da ultrassonografia tridimensional (US3D), em gestações com RCF grave, e as correlações dos parâmetros placentários com valores de normalidade e dopplervelocimetria materno-fetal. MÉTODOS: Foram avaliadas 27 gestantes cujos fetos apresentavam peso estimado abaixo do percentil 3 para a idade gestacional. Por meio da US3D, utilizando-se a técnica VOCAL, foram mensurados o volume placentário (VP) e os índices vasculares: índice de vascularização (IV), índice de fluxo (IF) e índice de vascularização e fluxo (IVF). Os dados foram comparados com a curva de normalidade para a idade gestacional e peso fetal descrita por De Paula e cols. (2008, 2009). Desde que os volumes placentários variam durante a gravidez, os valores observados foram comparados com os valores esperados para a idade gestacional e peso fetal. Foram criados os índices volume observado/ esperado para a idade gestacional (Vo/e IG) e volume placentário observado/ esperado para o peso fetal (Vo/e PF). Os parâmetros placentários foram correlacionados com índice de pulsatilidade (IP) médio de (AUt) e IP de artéria umbilical (AU), e avaliados segundo a presença de incisura protodiastólica bilateral em AUt. RESULTADOS: Quando comparadas à curva de normalidade, as placentas de gestação com RCF grave apresentaram VP, IV, IF e IVF significativamente menores (p < 0,0001 para todos os parâmetros). Houve correlação inversa estatisticamente significante da média do PI de AUt com o Vo/e IG (r= -0,461, p= 0,018), IV (r= -0,401, p= 0,042) e IVF (r= -0,421, p= 0,048). No grupo de gestantes que apresentavam incisura protodiastólica bilateral de artérias uterinas, Vo/e IG (p= 0,014), Vo/e PF (p= 0,02) e IV (p= 0,044) foram significativamente mais baixos. Nenhum dos parâmetros placentários apresentou correlação significativa com IP de AU. CONCLUSÕES: Observou-se que o volume e os índices de vascularização placentários apresentam-se diminuídos nos fetos com RCF grave. IP médio de AUT apresenta correlação negativa com Vo/e IG, IV e IVF, e Vo/e IG, Vo/e PF e IV apresentaram-se reduzidos nos casos de incisura bilateral. Não houve correlação significativa dos parâmetros placentários com IP de AU

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As células-tronco podem ser isoladas tanto de tecidos embrionários quanto de tecidos provenientes de um organismo adulto. Este projeto teve por objetivo caracterizar, descrever as células derivadas da região uterina e da cinta placentária junção materno/fetal da placenta de carnívoros domésticos (cães e gatos), e verificar a sua capacidade de pluripotência. Os úteros gestantes e não gestantes foram obtidos em campanhas de castrações e de controle populacional de cães e gatos, na cidade de Pirassununga/SP. Foram coletados 24 úteros gravídicos de animais hígidos, em diferentes idades gestacionais. O material foi dividido em três fases distintas da gestação, ou seja inicio que compreende de 8 a 20 dias de gestação; meio de 21 a 30 dias de gestação e final de 31 a 60 dias de gestação. O material foi coletado de fêmeas caninas e felinas, quatro úteros de cada fase, totalizando 12 úteros de cães e 12 de felinos. Coletamos também 8 úteros de fêmeas nulíparas (4 de cadelas e 4 de gatas) e 8 úteros com um mês pós parto (4 de cadelas e 4 de gatas). As amostras foram fixadas em paraformoldeido tamponado a 4% para a análise histológica e de imunohistoquimica. Para a padronização da imunohistoquimica inúmeros testes de marcação e diluição dos anticorpos utilizados nesta pesquisa foram realizados, todo protocolo aqui descrito foi padronizado pela primeira vez. Nas análises de imunohistoquimica avaliamos a expressão de marcadores associados a células-tronco pluripotentes Nanog, Oct4 e Sox2. Nas cadelas, as marcações foram positivas em todas as fases, gestacionais e não gestacionais. A detecção dessas proteínas nesta espécie ficaram padronizadas, destacando algumas diferenças quantitativas durante alguns períodos da gestação. Foi observado que o Oct4 na cadela, mostra uma diferença significativa (p=0,0064), entre as fases de início e meio da gestação e entra o início e a fase de termo. Quando comparados os resultados das análises imunohistoquimicas utilizando os três anticorpos entre si, nos três períodos gestacionais ficou evidente uma diferença (p=0,0005) somente relativa a proteína Nanog com Oct4. Nas gatas apenas foi possível padronizar o protocolo do Nanog e do Sox2, sendo a marcação feita com Oct4 negativa. Nesta espécie foi possível observar uma diferença da proteína Nanog (p=0,0006) quando comparada na fase inicial para a fase do meio e início da gestação para a fase termo. No que se refere as fêmeas nulíparas e fêmeas pós-parto destaca-se a ausência de diferenças quando comparados os anticorpos na fase pós parto tanto em cadelas quanto em gatas. Na fase nulípara foram observadas diferenças somente na cadela (p=0,0018) para os três anticorpos. Desta forma, a caracterização de células de origem placentária com característica de células tronco pode abrir um leque de possibilidades para obtenção destas células de forma mais ética, uma vez que este material é descartado na castrações. Foi possível a identificação das células que expressão proteínas pluripotentes em diferentes idades gestacionais, tanto na região de cinta placentária como no útero. Apesar de semelhantes, as espécies aqui estudadas apresentaram diferenças na realização do protocolo da imunihistoquímica. Pesquisas relacionadas com as células-tronco do endométrio vêm crescendo, principalmente porque estas células podem ser facilmente obtidas, a partir de fontes descartadas, sem entraves éticos. Desta forma tem o potencial de serem uma nova fonte para o desenvolvimento na terapêutica como terapia celular

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Há poucos dados na literatura sobre o transporte transplacentário de imunoglobulinas em gestações múltiplas. O objetivo deste estudo foi observar fatores que influenciam a concentração de imunoglobulina G (IgG) no cordão umbilical dos neonatos e a transferência transplacentária de IgG total e de IgG contra o Streptococcus grupo B (EGB), e lipopolissacarídeos (LPS) de Klebsiella spp. e Pseudomonas spp.. Métodos: estudo prospectivo realizado no Hospital das Clínicas da Faculdade de Medicina da Universidade de São Paulo no período de 2012 a 2013. Foram coletadas amostras de sangue materno e de cordão umbilical no momento do parto. Os critérios de inclusão foram gestações gemelares com ausência de sinais de infecção por HIV, citomegalovírus, Hepatites B e C, toxoplasmose e rubéola e ausência de doenças autoimunes, malformação fetal e síndromes genéticas. A análise multivariada foi realizada para avaliar a associação entre os níveis de IgG em cordão umbilical e as taxas de transferência de anticorpos com a concentração materna de IgG, a corionicidade da gestação, a presença de insuficiência placentária, a restrição de crescimento intrauterino, a idade gestacional de nascimento, o peso de nascimento, o tabagismo, a doença materna e a via de parto. Resultados: a concentração de IgG total em cordão umbilical apresentou correlação positiva com os níveis maternos séricos de IgG total e a idade gestacional do parto. Os níveis de IgG total em cordão umbilical foram significativamente menores em gestações monocoriônicas quando comparadas às dicoriônicas. A taxa de transferência de IgG total apresentou correlação positiva com a idade gestacional do parto, mas negativa com as concentrações maternas de IgG total. As concentrações de IgG contra EGB e LPS de Klebsiella spp. e Pseudomonas spp. apresentaram associação com os níveis maternos de IgG específicos contra esses antígenos e com o diabetes. Os níveis de IgG contra LPS de Klebsiella spp. também foram associados com o peso de nascimento e com hipertensão materna. As taxas de transferência de IgG contra EGB e LPS de Pseudomonas spp. apresentaram correlação com os níveis maternos de IgG específicos contra os antígenos referidos. A taxa de transferência de IgG contra EGB também esteve associada com a idade gestacional do parto, enquanto a taxa de transferência de IgG contra LPS de Pseudomonas spp. apresentou correlação com diabetes. Não houve correlação entre a taxa de transferência de IgG contra a LPS de Klebsiella spp. com nenhum fator analisado. Conclusão: em gestações gemelares, a concentração total de IgG em cordão umbilical foi influenciada pela concentração materna de IgG total, pela idade gestacional do parto e pela corionicidade placentária. As concentrações de IgG total foram significativamente menores em gestações monocoriônicas que em dicoriônicas. As concentrações séricas de IgG contra EGB e LPS de Klebsiella spp. e Pseudomonas spp. em cordão umbilical apresentaram associação com os níveis maternos de IgG específicos contra esses antígenos e com a presença de diabetes. Todos os outros parâmetros estudados apresentaram diferentes associações com as concentrações de IgG e com as taxas de transferências de IgG específicas contra cada antígeno investigado

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El Trypanosoma cruzi, agente causal del Chagas, atraviesa la placenta, pudiendo infectar el feto y causando la enfermedad de Chagas congénita. Hay evidencias de que la competencia inmunológica de la placenta juega un rol en la transmisión congénita. El proceso de infección placentario puede verse modificado por el juego entre factores deletéreos para T. cruzi, como el óxido nítrico (NO), estrés nitrosativo-oxidativo (EO) y la cantidad de parásitos y capacidad de la célula parasitaria de resistir, invadir y proliferar dentro del tejido placentario. El factor inhibitorio de la migración de macrófagos (MIF) es una citoquina proinflamatoria que juega un importante rol inmuno-regulatorio que estimula la producción de NO. Por ello postulamos como hipótesis que T. cruzi incrementa la producción de MIF en placenta, con aumento de citoquinas proinflamatorias, óxido nítrico e incremento del estrés nitrosativo, participando en la infección de la placenta y el mecanismo de transmisión congénita de la enfermedad. Los objetivos específicos son: a)Analizar el sistema MIF - ICAM1 - NO en la infección de explantos de vellosidades placentarias por formas trypomastigotes del T. cruzi en diseños experimentales in vitro. b)Verificar estado de estrés oxidativo-nitrosativo y alteraciones de la barrera placentaria inducido por óxido nítrico en explantos placentarios en presencia de T. cruzi in vitro. c)Analizar la expresión de MIF e ICAM-1 en placentas en un modelo de Chagas congénito en ratones infectados con T. cruzi de la cepa Tulahuen con dieta normoproteica y normocalorica. d)Verificar nivel de transmisión congénita en las crías de ratones infectados por T. cruzi según expresión de MIF e ICAM1 con dietas normales para estos animales. Los diseños experimentales serán in Vitro mediante empleo de explantos de placentas en cultivo en interacción con formas infectivas de T. cruzi y diseños en ratones en un modelo de transmisión congénita. Las técnicas a emplear serán cultivos de tejidos, técnicas inmunohistoquímicas, western blot, PCR y qPCR, RT-qPCR, mediciones analíticas en medios de cultivos y plasma y suero de ratones. Esperamos encontrar una respuesta inflamatoria exacerbada, como ya ha sido descripta en embarazadas que produjeron transmisión congénita de la enfermedad de Chagas a sus hijos, el incremento de citoquinas pro-inflamatorias y del estrés nitrosativo como el observado in vitro inducido por T. cruzi, (resultados preliminares) que podrían dañar la barrera placentaria y favorecer la transmisión congénita de la enfermedad de Chagas mediada por MIF. Como MIF se puede detectar en circulación sanguínea de la embarazada que en parte es aportado por la placenta (Cardalopolis y col., 2012), podría emplearse como un indicador de la probabilidad de transmisión congénita de la enfermedad.

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v.54:no.3 (1935)

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Trabalho Final do Curso de Mestrado Integrado em Medicina, Faculdade de Medicina, Universidade de Lisboa, 2014

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Plasmodium falciparum infection during pregnancy leads to abortions, stillbirth, low birth weight, and maternal mortality. Infected erythrocytes (IEs) accumulate in the placenta by adhering to chondroitin sulfate A (CSA) via var2CSA protein exposed on the P. falciparum IE membrane. Plasmodium berghei IE infection in pregnant BALB/c mice is a model for severe placental malaria (PM). Here, we describe a transgenic P. berghei parasite expressing the full-length var2CSA extracellular region (domains DBL1X to DBL6ε) fused to a P. berghei exported protein (EMAP1) and characterize a var2CSA-based mouse model of PM. BALB/c mice were infected at midgestation with different doses of P. berghei-var2CSA (P. berghei-VAR) or P. berghei wild-type IEs. Infection with 10(4) P. berghei-VAR IEs induced a higher incidence of stillbirth and lower fetal weight than P. berghei At doses of 10(5) and 10(6) IEs, P. berghei-VAR-infected mice showed increased maternal mortality during pregnancy and fetal loss, respectively. Parasite loads in infected placentas were similar between parasite lines despite differences in maternal outcomes. Fetal weight loss normalized for parasitemia was higher in P. berghei-VAR-infected mice than in P. berghei-infected mice. In vitro assays showed that higher numbers of P. berghei-VAR IEs than P. berghei IEs adhered to placental tissue. Immunization of mice with P. berghei-VAR elicited IgG antibodies reactive to DBL1-6 recombinant protein, indicating that the topology of immunogenic epitopes is maintained between DBL1-6-EMAP1 on P. berghei-VAR and recombinant DBL1-6 (recDBL1-6). Our data suggested that impairments in pregnancy caused by P. berghei-VAR infection were attributable to var2CSA expression. This model provides a tool for preclinical evaluation of protection against PM induced by approaches that target var2CSA.

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Besides its importance in cattle, Neospora caninum may also pose a high risk as abortifacient for small ruminants. We have recently demonstrated that the outcome of experimental infection of pregnant sheep with 10(6) Nc-Spain7 tachyzoites is strongly dependent on the time of gestation. In the current study, we assessed peripheral and local immune response in those animals. Serological analysis revealed earlier and higher IFN-γ and IgG responses in ewes infected at early (G1) and mid (G2) gestation, when abortion occurred. IL-4 was not detected in sera from any sheep. Inflammatory infiltrates in the placenta mainly consisted of CD8+ and, to a lesser extent, CD4+ T cells and macrophages (CD163+). The infiltrate was more intense in sheep infected at mid-gestation. In the foetal mesenchyme, mostly free tachyzoites were found in animals infected at G1, while those infected in G2 displayed predominantly particulate antigen, and parasitophorous vacuoles were detected in sheep infected at G3. A similar pattern of placental cytokine mRNA expression was found in all groups, displaying a strengthened upregulation of IFN-γ and IL-4 and milder increases of TNF-α and IL-10, reminiscent of a mixed Th1 and Th2 response. IL-12 and IL-6 were only slightly upregulated in G2, and TGF-β was downregulated in G1 and G2, suggestive of limited T regulatory (Treg) cell activity. No significant expression of TLR2 or TLR4 could be detected. In summary, this study confirms the pivotal role of systemic and local immune responses at different times of gestation during N. caninum infection in sheep.

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STUDY HYPOTHESIS Using optimized conditions, primary trophoblast cells isolated from human term placenta can develop a confluent monolayer in vitro, which morphologically and functionally resembles the microvilli structure found in vivo. STUDY FINDING We report the successful establishment of a confluent human primary trophoblast monolayer using pre-coated polycarbonate inserts, where the integrity and functionality was validated by cell morphology, biophysical features, cellular marker expression and secretion, and asymmetric glucose transport. WHAT IS KNOWN ALREADY Human trophoblast cells form the initial barrier between maternal and fetal blood to regulate materno-fetal exchange processes. Although the method for isolating pure human cytotrophoblast cells was developed almost 30 years ago, a functional in vitro model with primary trophoblasts forming a confluent monolayer is still lacking. STUDY DESIGN, SAMPLES/MATERIALS, METHODS Human term cytotrophoblasts were isolated by enzymatic digestion and density gradient separation. The purity of the primary cells was evaluated by flow cytometry using the trophoblast-specific marker cytokeratin 7, and vimentin as an indicator for potentially contaminating cells. We screened different coating matrices for high cell viability to optimize the growth conditions for primary trophoblasts on polycarbonate inserts. During culture, cell confluency and polarity were monitored daily by determining transepithelial electrical resistance (TEER) and permeability properties of florescent dyes. The time course of syncytia-related gene expression and hCG secretion during syncytialization were assessed by quantitative RT-PCR and enzyme-linked immunosorbent assay, respectively. The morphology of cultured trophoblasts after 5 days was determined by light microscopy, scanning electron microscopy (SEM) and transmission electron microscopy (TEM). Membrane makers were visualized using confocal microscopy. Additionally, glucose transport studies were performed on the polarized trophoblasts in the same system. MAIN RESULTS AND THE ROLE OF CHANCE During 5-day culture, the highly pure trophoblasts were cultured on inserts coated with reconstituted basement membrane matrix . They exhibited a confluent polarized monolayer, with a modest TEER and a size-dependent apparent permeability coefficient (Papp) to fluorescently labeled compounds (MW ∼400-70 000 Da). The syncytialization progress was characterized by gradually increasing mRNA levels of fusogen genes and elevating hCG secretion. SEM analyses confirmed a confluent trophoblast layer with numerous microvilli, and TEM revealed a monolayer with tight junctions. Immunocytochemistry on the confluent trophoblasts showed positivity for the cell-cell adhesion molecule E-cadherin, the tight junction protein 1 (ZO-1) and the membrane proteins ATP-binding cassette transporter A1 (ABCA1) and glucose transporter 1 (GLUT1). Applying this model to study the bidirectional transport of a non-metabolizable glucose derivative indicated a carrier-mediated placental glucose transport mechanism with asymmetric kinetics. LIMITATIONS, REASONS FOR CAUTION The current study is only focused on primary trophoblast cells isolated from healthy placentas delivered at term. It remains to be evaluated whether this system can be extended to pathological trophoblasts isolated from diverse gestational diseases. WIDER IMPLICATIONS OF THE FINDINGS These findings confirmed the physiological properties of the newly developed human trophoblast barrier, which can be applied to study the exchange of endobiotics and xenobiotics between the maternal and fetal compartment, as well as intracellular metabolism, paracellular contributions and regulatory mechanisms influencing the vectorial transport of molecules. LARGE-SCALE DATA Not applicable. STUDY FUNDING AND COMPETING INTERESTS This study was supported by the Swiss National Center of Competence in Research, NCCR TransCure, University of Bern, Switzerland, and the Swiss National Science Foundation (grant no. 310030_149958, C.A.). All authors declare that their participation in the study did not involve factual or potential conflicts of interests.

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BACKGROUND With increasing demand for umbilical cord blood units (CBUs) with total nucleated cell (TNC) counts of more than 150 × 10(7) , preshipping assessment is mandatory. Umbilical cord blood processing requires aseptic techniques and laboratories with specific air quality and cleanliness. Our aim was to establish a fast and efficient method for determining TNC counts at the obstetric ward without exposing the CBU to the environment. STUDY DESIGN AND METHODS Data from a total of 151 cord blood donations at a single procurement site were included in this prospective study. We measured TNC counts in cord blood aliquots taken from the umbilical cord (TNCCord ), from placenta (TNCPlac ), and from a tubing segment of the sterile collection system (TNCTS ). TNC counts were compared to reference TNC counts in the CBU which were ascertained at the cord blood bank (TNCCBU ). RESULTS TNCTS counts (173 ± 33 × 10(7) cells; calculated for 1 unit) correlated fully with the TNCCBU reference counts (166 ± 33 × 10(7) cells, Pearson's r = 0.97, p < 0.0001). In contrast, TNCCord and TNCPlac counts were more disparate from the reference (r = 0.92 and r = 0.87, respectively). CONCLUSIONS A novel method of measuring TNC counts in tubing segments from the sterile cord blood collection system allows rapid and correct identification of CBUs with high cell numbers at the obstetric ward without exposing cells to the environment. This approach may contribute to cost efficacy as only CBUs with satisfactory TNC counts need to be shipped to the cord blood bank.